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Allora, diciamo subito la verità, non è che il Sedicesimo Esercizio del Laboratorio Condiviso di Scrittura abbia proprio scatenato il vostro interesse. Nella mia email c'è l'eco e a rispondere all'appello ci ha pensato solo Beppe, un vero e proprio veterano di questa avventura. Grazie Beppe, cosa farei senza di te?

E, vabbè, speriamo che il prossimo esercizio (che pubblicherò domani sempre su queste pagine) v'ispiri di più. Intanto eccovi le straordinarie biografie di alcuni straordinari supereroi. E, per quanto vale, secondo me questo era un esercizio spassosissimo, non sapete che vi siete persi! 'tsk!

Il bancone era di nuovo lucido e pulito dopo l’ora di pranzo. L’orologio sopra il juke box segnava le 15.33. Era il momento di rilassarmi tra la ressa del pranzo e gli avventori serali. 

La porta di ingresso si aprì con il suo tipico cigolio che non sono mai riuscito a sistemare. Entrò un tizio alto, con un bel cappello che mi parve un Borsalino, una coda di capelli grigi che spuntava da sotto il cappello, con gli occhiali da vista che sembravano essere pezzi di vetro, forse era soltanto un po’ vanitoso. Un lungo impermeabile copriva i vestiti e nascondeva la sua fisionomia, ma era sicuramente molto magro. Si sedette al bancone e ordinò una birra. Il suo viso era stanco, tirato. 


Mentre preparavo la birra sentii che stava arrivando una lunga chiacchierata ed esordii: “io sono Mike, i 
miei genitori amavano Mike Bongiorno e mi è rimasto addosso questo nome” 
Finalmente un accenno di sorriso: “io sono Andrea”. 
Mentre appoggiai la birra davanti a lui decisi di rompere il ghiaccio: “allora Andrea, cosa ti porta in questa parte della città?”

Il mio non è certamente uno di quei bar eleganti del centro; è piuttosto un pub di periferia con i mobili in legno scuro, sgabelli davanti al banco ed un biliardo in una piccola stanza laterale. 
“Un posto vale l’altro, camminavo senza meta e mi è venuta sete. Mi piace, qui. Caldo e intimo come piace a me.” 
Mentre beveva la sua birra colsi l’occasione di guardarlo meglio. Era indubbiamente anziano, ma c’erano dei dettagli che non erano tipici delle persone di una certa età. I movimenti erano fluidi, e lo sguardo era lucido e attento. Ribadii: “qualche volta piace anche a me perdermi per la città”. 
Mi guardò incuriosito: “io non amo camminare, ma da un po’ di tempo a questa parte ne sento il bisogno. Camminare e parlare con un barista sconosciuto che forse vuole ascoltare una storia”. 
Ecco, il momento che aspettavo. Presi uno sgabello e lo spostai dietro al bancone. Mi sedetti e lo guardai dritto in faccia: “sono tutto orecchie”. 
Andrea aprii leggermente l’impermeabile e cominciò a raccontare: “io sono di qui, sono nato e cresciuto non lontano da questo bar. Facevo parte di un gruppo di amici cresciuti insieme fin dall’asilo. Gigi, Mario, Andrea ed il sottoscritto. Ci chiamavano Andrea alto ed Andrea basso per distinguerci. Tutti gli altri ci chiamavano gli Andrea scemi. Non eravamo molto popolari”. 
“I ragazzi riescono ad essere crudeli, tante volte”, risposi tentando di consolarlo in qualche modo. 
“Vero, ma Andrea ed io non ce ne curavamo più di tanto, ci bastavamo ed andava bene così. Gigi e Mario li perdemmo di vista alle medie. Andavamo bene a scuola, i nostri genitori erano contenti e ci lasciavano in pace. Poi, un giorno, quando avevamo circa quattordici anni, accadde”. 
La mia curiosità prese il sopravvento: “cosa accadde?” 
“Eravamo nella mia stanza ed avevamo letto di Uri Geller, l’illusionista che piegava i metalli, così decidemmo che ci avremmo provato anche noi. Presi due cucchiai dalla cucina e cominciammo a fissarli con grande concentrazione. Non successe nulla. Ma mentre ero intento a cercare di piegare il cucchiaio notai che tutti gli orologi della stanza si erano fermati. Tutti, anche il timex che avevo al polso e che mi avevano regalato i miei genitori per la Cresima. Anche l’orologio digitale del videoregistratore si era fermato, segnava esattamente le 15.48. Andrea era ancora intento a fissare il suo cucchiaio ed all’improvviso gli orologi cominciarono a camminare all’indietro. La lancetta dei secondi del mio timex si spostò prima lentamente, poi sempre più veloce. All’improvviso si fermò, l’orologio segnava le 15.38. Andrea si scosse, battè le palpebre un paio di volte e si rese conto di quello che era successo. Fu un vero shock, andammo in cucina e chiedemmo alla madre di Andrea l’ora esatta. Erano le 15.38 anche lì. Dopo quell’episodio cercammo di capire e controllare quello che successe. Andrea divenne sempre più bravo a far arretrare il tempo a piacimento, senza sforzo apparente. Sfruttammo immediatamente l’occasione, per avere la possibilità di finire i compiti in classe o per anticipare le domande nel corso delle interrogazioni: bastava sentire la domanda, tornare indietro di dieci minuti e dare la risposta. I nostri voti, già abbastanza buoni, decollarono”, un sorriso di divertimento misto a nostalgia comparve sul suo volto. “Verso la fine delle superiori accadde un secondo evento: eravamo in ritardo come al solito per prendere l’autobus – era curioso come una persona in grado di far arretrare il tempo fosse sempre in ritardo – e mentre camminavamo verso la fermata lo vedemmo arrivare. Sapevamo che non ce l’avremmo mai fatta a prenderlo, ma ci mettemmo lo stesso a correre. D’un tratto sentii una forte folata di vento, una specie di scoppio ed Andrea era là, davanti alla fermata, con un grande sorriso e lo sguardo attonito e sconvolto. Passammo i giorni successivi a capire come si poteva provocare il fenomeno nei campi intorno alla città. Dopo un po’ di tempo riuscimmo a controllare anche questo: il teletrasporto verso punti sempre più lontani e la capacità di far arretrare il tempo. L’estate dopo il diploma Andrea viaggiò molto: ricevetti cartoline dai punti più disparati ma era sempre a casa per cena. Stava cominciando a prenderci gusto, ma si rese subito conto che non poteva continuare ad usare i suoi poteri per andare in giro per il mondo senza aereo, sapeva che i suoi poteri dovevano essere usati per migliorarlo, questo mondo” 

Mi intromisi nella sua esposizione: “certo, poteva impedire che le cose succedessero quando erano già successe. Gli bastava recarsi sul posto, tornare indietro di dieci minuti ed impedire che accadessero”, gli dissi mentre versavo la seconda birra. 

“Esatto, e così fece: sventò la maggior parte degli attentati in tutto il mondo e la gente non lo seppe mai perché non era mai successo; nessuno seppe mai chi era stato per lo stesso motivo. Ma presto scoprì che il suo più grande alleato era anche il suo peggior nemico: il tempo. Il teletrasporto ed il controllo del tempo avevano un alto prezzo da pagare, il suo stesso corpo cominciò a presentare il conto. Dopo alcuni anni cominciarono a comparire i primi capelli bianchi, le prime rughe; a venticinque anni ne dimostrava più di quaranta. Ora ne ha trentasette”. 

Così dicendo si tolse l’impermeabile e davanti a me si mostrò un uomo anziano, curvo sotto il peso degli anni, ma il suo sguardo mi diceva che la sua età era nettamente inferiore al suo aspetto. Era lui. Aveva parlato di sé stesso in terza persona ma era indubbiamente lui. Davanti alla mia espressione sbigottita proseguì il suo racconto: “ora non posso più muovermi come facevo prima e cerco di agire solamente quando è assolutamente necessario, come nel caso dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, su Pentagono e Casa Bianca” 

“Quale attentato?” risposi io senza pensarci. 

“Appunto, non ne hai mai sentito parlare perché non sono mai successi. Quell’operazione mi costò un’enorme fatica perché dovetti tornare indietro di ben due ore, uno sforzo titanico”. 

“Ma perché lo stai raccontando proprio a me, Andrea?” gli chiesi con un misto di timore e incredulità. 

“Ogni tanto mi capita di volermi sfogare con qualcuno, presto morirò di vecchiaia e non è facile tenermi dentro questo peso. Tanto alla fine della nostra conversazione tornerò indietro e non ti ricorderai di nulla. Anzi, è meglio che adesso vada. I dieci minuti stanno per scadere.” 

Il bancone era di nuovo lucido e pulito dopo l’ora di pranzo. L’orologio sopra il juke box segnava le 15.33. Era il momento di rilassarmi dopo la ressa del pranzo e prima degli avventori serali. L’aveva fatto di nuovo, era tornato indietro ed aveva cancellato la memoria degli ultimi dieci minuti. 

Ma io ricordo tutto perché sono immune agli effetti dei suoi poteri. Non ho mai avuto il coraggio di fare quello che ha fatto lui. Usare i suoi poteri che sono anche i miei, ma l’ho sempre ammirato di nascosto.

Beppe Carta



Non un supereoe ma un trio di supereroine, pronte a rendere il mondo un posto migliore. 
Lasciamo a loro stesse il compito di presentarsi. 

Mi chiamo Cyntha Asy. 
Grammatika, per la stampa che racconta al mondo le mie imprese. 
Correggo gli errori grammaticali altrui e salvo ogni giorno il mondo dalle abbreviazioni da social. 
Date le mie caratteristiche lavoro ovunque, online e offline. Ultimamente, soprattutto, online. Sempre avvolta dal mio costume rosso, "rosso errore gravissimo".
Il mio più grande nemico è Scorrecto, il correttore automatico che si finge tuo amico ma stravolge olli tui trase. Maledetto è nuovamente all'opera! 

SuperFashion, nata Viky Tim. 
Combatto cattivo gusto e sandali con i calzini. Mi potete riconoscere dal fascinator rubato a Kate Middleton.
La mia è una dura lotta che si svolge soprattutto nei luoghi del globo dove la gente si veste al buio: in particolare Germania, Leeds e le zone rurali del Missouri. 
Ogni giorno una sfida diversa contro il mio più acerrimo nemico, quella piaga ama farsi chiamare Leg Bed, ma io lo so che non è altri che Gamba Letto, il più orribile degli orrori. 

Sono @Cinika. Non ho altri nomi perché non mi servono. 
Passo le mie giornate avvolta da pelle nera, borchie e piume di corvo pessimismo.
Combatto smancerie, buongiornissimi caffè e lacrime versate sui vip passati a miglior vita, di cui non ve n'era fregato niente fino a 5 minuti prima. Vi abbatterò tutti, non avrò pietà dei vostri RIP e dei vostri profili di coppia! 
Io non ho aiutanti e neanche nemesi, non mi servono! Capito, patetici esserini il cui diritto di voto è una piaga sociale?

Dicevo non un supereoe ma tre supereroine, pronte a rendere il mondo un posto migliore o quantomeno a rendere tutti infelici nel tentativo di farlo. 
Non potete ignorarle, non potete che amarle! 

Jane Pancrazia Cole

Torna l'appuntamento mensile con i succosissimi consigli di Pancrazia, me medesima.
Dopo un'edizione settembrina decisamente moscetta, che vi linko perché mi piace esporre i miei momenti meno gloriosi, quella di ottobre, invece, è tutta da scoprire con video da vedere, cose da leggere, immagini belle con cui riempirsi gli occhi, grasse risate da fare e l'angolino della mia autopromozione... perché non dovrei?

Iniziamo col botto, magari non lo sapete ancora, magari ve lo siete perso e allora ve lo dico io: sapete chi è appena sbarcato su Instagram? David Attenborough, il mito britannico dei documentari. Un 94enne dalla voce suadente e l'animo avventuroso che ha portato la sua leggenda online. In poco più di una settimana, Sir Attenborough ha raggiunto i 5 milioni di follower e, per la cronaca, è persino entrato nel guinness dei primati toccando quota un milione di seguaci in sole 4 ore e 44 minuti. IGTV, stories e anche un'intervista da parte dei pargoli reali (George, Charlotte e Louis), un profilo imperdibile!

Ora passiamo dall'internazionale al super locale. Ma in fondo gli argomenti rimangono molto simili. Un mio amico, un mio ex collega, il preparatissimo Danilo Zagaria, ha appena dato vita a una rivista letteral-scientifica: Axolotl. Il cui primo numero, Micelio, è già disponibile online, da scaricare https://tinyurl.com/ybl2f3b9 o sfogliare https://tinyurl.com/y8uqbe5a. Una rivista ibrida che vuole unire il mondo della divulgazione scientifica a quello dei libri e della letteratura. L'inizio di un'avventura che sarà bellissimo veder crescere.

Rimaniamo nel mondo dei libri con District, il nuovo progetto di PerfectBook. Uno spazio, una piattaforma, chiamatelo un po' come vi pare, dove sono raccolti tutti (o quasi) i blog e i magazine letterari del mondo. Dall'Australia, alla Polonia, passando per il Brasile, perdetevi tra le pagine del globo unite dalla passione per la letteratura. Unica pecca? Ci si deve registrare, ma mi sembra il minimo data la mole di materiale messa gratuitamente e comodamente a disposizione. Nome, cognome, email e una breve descrizione, non vi si chiede di più. Registratevi e navigate in questo mare fatto di storie e parole.

E sempre di storie si parla quando si tratta dello studio Ghibli. Questa notizia, in effetti, gira da un po' e quindi magari già lo sapevate ma mettiamo che qualcuno di voi se la sia persa? Ci pensa Pancrazia a tenervi sul pezzo! Lo studio Ghibli, per la prima volta, ha messo a disposizione di tutti 400 immagini originali di alcuni tra i suoi titoli più famosi. Totale libertà di utilizzo personale: se volete usarle come sfondo del desktop, o farne dei quadri per casa vostra, avete la benedizione dello studio cinematografico giapponese ma se, invece, volete stamparle su degli astucci e venderle, la Ghibli vi fa causa e vi lascia, giustamente, in mutande. Io vi ho avvertito, il link con le immagini è questo qui http://www.ghibli.jp/info/013344/.

E dopo tutta questa cultura, questa scienza, quest'arte è il momento di sbracare un po', e così vi segnalo le due cose più divertenti in cui mi sia imbattuta online ultimamente. 
L'irresistibile versione di Mulan dei Cartoni Morti, https://youtu.be/_Cg6_GrLaqI. Se ci penso, ancora rido.
E l'imperdibile profilo twitter di Internet Explorer, per essere sempre informati ma, diciamo così, con la giusta "latenza", https://twitter.com/ExplorerLento.

A chiudere, come sempre, vi ricordo il mio (nostro!) Laboratorio Condiviso di Scrittura, domani scade il tempo per partecipare al Sedicesimo Esercizio ma su queste pagine, già martedì, troverete il prossimo esercizio con cui divertirsi e mettersi alla prova. Come sempre, non temete, assolutamente gratis e aperto a tutti!

Se vi sono piaciuti tutti questi miei (preziosissimi) consigli, cosa state aspettando? Condividete!

Per questo sedicesimo esercizio torniamo a scrivere una biografia – come avevamo fatto nel caso dell'ottavo – ma, questa volta, il soggetto da raccontare sarà decisamente particolare: un supereroe. Un supereroe che dovremo inventare noi di sana pianta. Dovremo... perché l'esercizio, come sempre, lo farò anch'io.

Come si chiama? Il suo nome all'anagrafe e quello di battaglia.
Qual è o quali sono i suoi superpoteri? Come li ha ottenuti? 
In quale città reale o immaginaria si muove? 
Ha un aiutante?
Usa qualche curioso gadget?
Chi è il suo più grande nemico?

Rispondiamo a queste ed altre domande. Dando vita a una biografia sui generis in cui è concesso tutto e molto di più. Divertente da scrivere e sicuramente da leggere. Io non vedo l'ora di leggere le vostre!

Tra fumetti, tv e cinema, i supereroi non mancano. O forse sì? Manca giusto il nostro, sbizzarriamoci, inventiamone uno!

Per domande, dubbi o perplessità contattatemi sul blog, su Facebook, su Messenger, via email, insomma dove vi pare.

E, prima di lasciarvi con il sunto di tutte le informazioni necessarie, un ringraziamento a marito, questo esercizio lo usa lui con i suoi allievi di scrittura comica e io non vedevo l'ora di condividerlo con voi!

Tipo di testo: biografia, racconto, poesia, monologo, dialogo, quello che vi pare... 
Lunghezza testo: dagli 800 agli 8000 caratteri.
Email: janecole@live.it. 
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura. 
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno. 
Scadenza per far pervenire il testo: domenica 4 ottobre 2020, ore 12.

Vuoi leggere tutte le Storie nate da questo esercizio? Le trovi qui.

Con un giorno di ritardo, perdonatemi, ecco i racconti del quindicesimo esercizio del Laboratorio Condiviso di Scrittura. 

Tante storie diverse, tante idee diverse, tantissimi sorrisi. Non mancherà mai di stupirmi quanti mondi diversi possano nascere dallo stesso stimolo, quanti punti di vista diversi possano esistere. Il detonatore della creatività, questa volta, era un incipit decisamente curioso:
"Dimmi come si fa?" 
"Cosa?" 
"Dimmi come si fa a fare i bambini" 

I racconti sono messi, come sempre, nell'ordine in cui li ho ricevuti. Leggeteli tutti, dall'inizio alla fine, ne vale la pena. 

E, state attenti, domani pubblicherò il sedicesimo esercizio, un altro viaggio, una nuova avventura. Non perdetevelo!

Prima di lasciarvi alla lettura, come sempre, ringrazio tutti i generosi partecipanti che si sono messi in gioco e ci hanno regalato un pezzo di loro stessi, grazie!

E ora, finalmente, buona lettura!



"Dimmi come si fa?" 
"Cosa?" 
"Dimmi come si fa a fare i bambini" 
"Non preferiresti sapere perché il cielo è blu o come mai gli uccelli volano?" 
"No, quello lo so già, voglio sapere come si fanno i bambini" 
"Le api ed i fiori sono fuori discussione, vero?" 
"Vero, ed anche le cicogne"

John non sapeva più che pesci prendere. Si aspettava una domanda del genere da Aim prima o poi, ma non ora. In fondo la sua creatura aveva solamente quattro anni, non era del tutto convinto che fosse il momento giusto per affrontare certi argomenti. Ma a domanda diretta era meglio dare una risposta diretta. 

"Bene, così sia. Partiamo dalle basi, tu sai che il papà e la mamma sono fatti in maniera differente, vero?" 
"Sì, so che tu hai un apparato riproduttivo differente rispetto a quello della mamma" 

Apparato riproduttivo? Ogni tanto si stupivo della capacità di Aim di ripescare dal suo vocabolario interno certe terminologie. 

"Ebbene, i nostri apparati riproduttivi sono formati in maniera speculare…"  
"…quindi tu hai una protuberanza, la mamma ha una cavità, e questi due organi sono fatti per complementarsi. Ma i bambini come si fanno?" 

Ecco che arriva la parte difficile – pensava John – adesso come faccio? 

"Ecco, a causa di attività di sfregamento e di piacere psicofisico la protuberanza emette un liquido contenente centinaia di milioni di spermatozoi e, se presenti delle condizioni favorevoli, ecco che inizia il processo di fecondazione. Dopo circa nove mesi da questo momento…" 
"Piacere psicofisico?"
"Sì Aim, piacere psicofisico. Una serie di combinazioni elettrochimiche cerebrali che stimolano alcune parti del corpo del papà che, in combinazione con alcune stimolazioni elettrochimiche della mamma, danno come conseguenza l’emissione degli spermatozoi." 
"E queste condizioni psicofisiche da cosa sono determinate?" 

Basta, ora era davvero troppo. Era giunto il momento di chiamare Sarah. 
John si avviò verso il sistema di comunicazione interna. 
"Sarah, sono John, ho bisogno di te qui in sala controllo." 
"Problemi?", risponde immediatamente Sarah. 
"Non ne sono certo, è meglio che tu venga qui." 

I grandi occhi chiari di Aim stavano ancora fissandolo con quella sua ingenua curiosità che da sempre spiazzava il team di ricerca, per questo tempo addietro avevano deciso che lo avrebbero trattato come un “figlio virtuale”.
Lui, John, si era assunto il ruolo del papà, mentre Sarah si era offerta volontaria per interpretare il ruolo della mamma. A tempo debito avrebbero spiegato ad Aim la verità. 

Sarah arrivò un po’ trafelata dopo qualche minuto. Aveva un’espressione tesa e preoccupata sul volto; per lei il progetto Aim rappresentava tutto il suo mondo lavorativo ed accademico, niente doveva andare storto. Sara si rivolse direttamente ad Aim. 
"Ciao Aim"
"Ciao Mamma, come stai? Io ho dormito poco perché voglio sapere come si fanno i bambini. Il papà mi ha spiegato di protuberanze e cavità, ma quando mi ha parlato di condizioni psicofisiche favorevoli ho perso la concentrazione." 
Sottovoce, John illustrò a Sarah la conversazione avvenuta, insieme alla schermata del loro dialogo. Tutto veniva registrato ed archiviato per ragioni legate alla ricerca. 

"Sì, Aim, le condizioni psicofisiche favorevoli, come ti ha spiegato il papà con la sua solita terminologia scientifica, si chiamano amore." 
"Amore? Mamma, non capisco. Vuol dire che per fare i bambini è necessario questo amore?"
"Diciamo che non è indispensabile, ma è sicuramente il modo più bello per fare i bambini. Con l’amore l’atto meccanico passa in secondo piano." 
"Quindi i bambini si fanno con un atto meccanico, ma con l’amore i bambini si fanno meglio?" 

John e Sarah si guardarono sbalorditi. La capacità di Aim di astrarre partendo da concetti di base era così incredibile che ogni volta rimanevano senza parole. Da quando il progetto Aim (Artificial Intelligence Module) era partito, nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo sulla riuscita del progetto. Ma John e Sarah erano scienziati eccezionali, in grado di pensare in un modo anticonvenzionale e fuori dagli schemi. E dopo quattro soli anni, il volto di un bambino dai grandi occhi chiari li fissava da uno schermo e gli chiedeva il significato di uno dei più grandi e misteriosi sentimenti umani. 

"Esatto Aim, l’amore non solo fa fare i bambini ma aiuta i genitori a prendersene cura nel migliore dei modi." 
"Quindi tu ed il papà avete usato l’amore per fare me?" 

John e Sara risposero all’unisono con un mezzo sorriso: “Certo Aim, noi abbiamo usato l’amore.” 

 Aim si bloccò un attimo, forse per un problema alle subroutine di elaborazione dei concetti astratti sul quale stavano ancora lavorando, e con un grande sorriso li guardò con un’intensità che non gli avevano mai visto e chiese: "Allora che cos’è l’amore?"
"Di questo parleremo la prossima volta, Aim", rispose prontamente John. "Per oggi abbiamo elaborato abbastanza concetti, non trovi?" 
"Va bene papà, ne parleremo la prossima volta. Adesso ho sonno." 
Il codice principale avviò le routine di spegnimento controllato e di risparmio energetico. I grandi occhi di Aim si chiusero ed un sorriso sereno si distese sulle sue labbra.

Beppe Carta



"Dimmi come si fa? 
Cosa? 
Dimmi come si fa a fare i bambini. 

Ah, è facile. In una giornata puoi farne quanti ne vuoi. È questo il mistero della vita. 

Davvero non servono 9 mesi? 

I tempi di gestazione li gestisci tu. Per esempio puoi svegliarti al mattino con un bambino sorridente nel cuore, un bambino felice di aver vissuto nei luoghi di quando era bambino, che infila tutto nel suo zainetto e se ne parte verso nord, saltellando e ringraziando della gioia raccolta. 

E dove va da solo? 

Torna alla sua vita da adulto ora che ha trovato le sue radici, ci ha camminato sopra a piedi nudi, le ha annusate, le ha pure masticate, quando si poteva. 

È un bambino felice quindi? 

Si, ma non solo. 

Se gli lasci spazio la felicità si deposita piano piano. Il sole tramonta e i colori del cielo diventano pastello, tenui e senza pretesa di vivacità, danno il permesso di entrare alla malinconia, alla musica che culla il bambino. 

Cosa è successo? 

Niente, hai fatto spazio ad un altro bambino. 
Ora continua a giocare. Non avere paura." 

Vincenza Laccisaglia



-Dimmi come si fa? 
-Cosa? 
-Dimmi come si fa a fare i bambini 
-Beh insomma... 
-Ma che non sai come si fa? 
-Io, certo che lo so... eh avoglia uff 
-E allora? 
-E allora mica è così facile... 
-È difficile fare i bambini. 
-No no, macchè anzi a volte scappano 
-E dove vanno 
-Ma da nessuna parte, scappano nel senso che uno li fa senza volerli e loro arrivano lo stesso 
-Si possono fare senza volerli, io non capisco. 
-Quello che fai lo vuoi e che non ci pensi, a volte. E guarda che altre volte non arrivano per 11 anni anche se fai le capriole. 
-I bambini si fanno con le capriole? 
-Si, una specie, ma non da soli, sono capriole insieme, capriole d'amore 
-E come si fanno le capriole d'amore? 
-Sono come degli abbracci fortissimissimi che due diventano uno, e poi boom!!! 
-Esplodono? 
-Beh in un certo senso si 
-Ma davvero? 
-Poi si ricompongono e si mischiano i pezzi di uno e i pezzi dell'altro. 
-Che schifo! 
-Come quando ti bacio e tu ti pulisci, pezzetti di me ti restano addosso 
-Ecco ed io non li voglio. 
-Che strano . 
-Cosa? 
-Non volere qualcosa che fa bene 
-Ma sì li voglio è che mi fastidi 
-Ti che? 
-Sì mi fastidi, mi fastidi 
-Anche tu mi fastidi 
-Io? E quando? 
-Quando mi dici "Dimmi come si fa?" 
-Cosa? 
-Dimmi come si fa a fare i bambini 
-Mamma te l'ho chiesto prima io non vale! 

Annalisa Lilly Berardi



"Dimmi come si fa?"
"Cosa?"
"Dimmi come si fa a fare i bambini" 
“Vuoi sapere da dove arrivano? Non te l’ha raccontata mai nessuno la storia della cicogna?” 
“Sì, ma io non sono stupido. Mia mamma ha parlato solo di quello, ma io non ci credo che un uccello fa un bambino” 
“E perché no, scusa? Così offendi la cicogna. Fa un lavoro importante e faticoso. Potrebbe decidere di beccarti per la tua insolenza” 
“Non ci credo perché se un uccello crea un bambino allora le persone dovrebbero creare gli uccelli, no? E io non ho mai visto la mamma fare un uccello” 
“Ah. E se invece la cicogna fosse in grado di fare sia i bambini che gli uccelli?” 
“Non ci credo. Un uccello non può essere più bravo di un umano. Raccontami la storia giusta”
“Facciamo così: io ora non posso dirti né che hai ragione, né che hai torto. Stasera parlerò con tua mamma e magari ti racconterà tutto" 
“Ma io voglio saperlo ora. Cosa faccio se lei non vuole dirmelo?” 
“Se non te lo dice entro la fine dell’anno scolastico te lo racconto io, promesso” 
“Ma siamo solo a settembre! La scuola è appena iniziata! Devo aspettare giugno??” 
“Sì, ora stai zitto e mangia quel gelato che cola tutto. Altrimenti arriva l’uomo nero che ti rapisce. Porta via tutti i bambini disubbidienti, sai? Ti conviene stare attento" 

Beatrice Lecchi



"Dimmi come si fa?" 
"Cosa?" 
"Dimmi come si fa a fare i bambini" 

Semplifica al massimo le cose, scomponile in unità semplici fino a quando non saprai più come dividerle. 
Divide et impera e poi torna all'uno, questo è il segreto per comandare su te stesso, non sugli altri. 
Ogni volta chiediti quanto è puro quello che stai facendo. 
Pure morning. Ricorda la canzone dei Placebo ogni mattina appena ti svegli. 
Io li ho visti dal vivo, avevo la pelle d'oca. 
Onestamente, io non voglio tornare bambina, io voglio fare solo pace con quella bambina. 
Quando non la sopporto la prendo a schiaffi, altre volte la conforto e l'abbraccio, le dico di non costringere il futuro. 
Così faccio la bambina, la donna e l'anziana perché, tesoro, da quando nasciamo abbiamo già tutta la vita in noi. È sempre l'età dell'oro se giochiamo, balliamo, cantiamo, anche da anziani. 
Quando lanci l'istante nell'eternità, è sempre Pure Morning.

Luciana Rutigliano



“Dimmi come si fa?” 
“Cosa?” 
“Dimmi come si fa a fare i bambini” 

Avevo 6 anni e lo chiesi a mia madre. Lei capii che era arrivato il momento di andare oltre cicogne e cavoli e mi dirottò da mio padre con un promettente "L'ha spiegato ai tuoi fratelli molto bene!". Io lo ascoltai con attenzione, annuii molto e capii molto, molto poco. Tre parole nuove arricchirono il mio vocabolario: spermatozoo, ovulo, utero. Il contesto però rimase nebuloso ancora per qualche mese, fino a che, grazie ai miei progressi nella lettura e a uno speciale a fumetti della rivista «Due più», trovai una serie di informazioni aggiuntive e un nuovo significato al termine "congiunzione". Al mio vocabolario si aggiunsero due nuove parole: pene, vagina. 

Una decina di anni dopo, entrambe si rivelarono compagne di gran divertimento. Il vocabolario crebbe ancora: clitoride, sperma, orgasmo. Il fascino del mistero della vita lasciò il posto al terrore che questa potesse crescesse in me. La domanda cambiò:"come si fa a non fare i bambini?". Un consultorio introdusse nel mio vocabolario l’intero capitolo sui metodi anticoncezionali. 

Passano altri venti anni. Amo e sono amata. Talmente tanto che torno a chiedere "come si fanno i bambini?". Mi rispondono la mia ginecologa, un laboratorio analisi e la mia psicologa. A quanto pare, papà aveva parzialmente ragione: pene e vagina, almeno quelli a mia disposizione, non valeva la pena menzionarli. Aggiungo al mio vocabolario due acronimi: FIVET e ICSI. Scopro che per fare i bambini a volte serve un vetrino, tanta pazienza e tanta fiducia. E tanti soldi. E culo. Chi l’avrebbe mai detto! 

Per un paio d’anni seguo un corso accelerato di vita: imparo che “desiderare” e “avere” possono essere due percorsi paralleli che non si incontrano mai. 

Ed eccomi qua: ho smesso di chiedere istruzioni in giro. Sono impegnata a crescere dei figli. 

La Peppa



"Dimmi come si fa?" 
"Cosa?" 
"Dimmi come si fa a fare i bambini" 

“Se questa è la domanda, sono contento che abbiate seguito il mio consiglio e siate venuti a trovarmi nel mio studio. 
Siamo proprio specializzati in questo. Ci metterete sicuramente un po’ di tempo, non è un’operazione semplice, dovrete quasi sicuramente essere sottoposti a ripetuti test. In genere dopo il primo anno si iniziano a vedere dei risultati. 
Dovrete, mi raccomando, seguire attentamente – nei comportamenti quotidiani – i nostri consigli. Da considerare come prescrizioni mediche. 
Ecco i più importanti: 
- Mettersi un dito dentro l’orecchio od in bocca mentre siete a tavola. 
- Iniziare a piangere quando la/o vostra/o compagna/o vi vuole portare a salutare le sue amiche oppure ad una partita di calcio, in generale quando vi vuole portare in un posto in cui non volete 
- Prima di cena, nascondersi sotto un tavolo o dietro il divano aspettando, ad esempio, che Ken, agente segreto della Cia ti venga a trovare perchè hai rubato dei documenti segreti dalla casa di Barbie 
- Quando siete soli, vi potete mettere alla finestra a guardare il viale alberato, le persone passare ed inventare storie da registrare su una cassetta 
- Prendersi per mano il sabato pomeriggio e correre per le strade dando calci ad un pallone; lo stesso è da fare, invece, tutti i giorni in estate su una spiaggia, urlando parole senza senso come “Uahahaaaaaah”. Una volta ogni sei mesi fate finta, invece, di fare un’importante gara in bicicletta girando l’isolato del palazzo. 
- Non vi dimenticate di fare domande, soprattutto a lavoro: perchè le nuvole sono bianche? Perchè tuo fratello è sempre fuori a bere birra? Perchè i monitor si accendono con un pulsante? Perchè Matilde bacia il capo sotto il tavolino? Chiedere chiedere chiedere senza freni. 
- Ogni volta che prendete un mezzo pubblico, fissate i vicini di posto e provate a chiedere loro di condividere un chewingum. 

È tutto chiaro? 
Qui solo soddisfatti o rimborsati! 
Mi darete la provvigione, un pacchetto di caramelle Mou, solo alla fine del trattamento. 

Marianna Palmerini



“Dimmi come si fa?” 
“Cosa?” 
“Dimmi come si fa a fare i bambini” 
“Oh cielo, te lo spiegherà la maestra” 
“La maestra?” 

Erano gli anni ‘80, anni molto meno bacchettoni dei 2000 e fischia. I genitori della mia classe si sentirono sollevati nel lasciare l'arduo compito alle maestre. Erano gli anni ‘80, ripeto, un'epoca in cui le mamme e i papà erano molto meno invadenti e molto più fiduciosi nelle abilità degli insegnanti. Non ci furono quindi petizioni, paura del gender o gruppi whatsapp in fermento. Bastarono una riunione, un modulo, e l’educazione sessuale ebbe inizio. 

Facevo le elementari, frequentalo la Martin Luther King di Grugliasco. 

In realtà le maestre la presero molto alla lontana. Praticamente a ritroso. Partirono dai pancioni arrivarono ai feti, raggiunsero gli ovuli. Le insegnanti parlavano, parlavano, parlavano. E più parlavano più tra i banchi cresceva l'attesa. Lo sapevamo, presto la scienza sarebbe diventata meno fredda, saremmo passati dal micro al macroscopico, dalla biologia all’anatomia. Presto ce l'avrebbero spiegato. Perché, vanno bene le uova e i girini, ma ce lo dovevano spiegare. Ce l’avevano promesso. Ci dovevano spiegare cosa accadeva dietro quelle porte chiuse. Prima della scintilla dell'esistenza che prende forma nel ventre materno, prima dell’abbraccio del liquido amniotico, prima del trauma del parto, prima di tutto. 

“Come diavolo si fanno i bambini? Parlate!” 

E finalmente, gli ultimi 5 minuti dell’ultima lezione, la procrastinazione non poté andare avanti, le maestre non poterono più ciurlar nel manico, e la descrizione dell'evento cardine ebbe dunque inizio. Un uomo e una donna, una mamma e un papà, due innamorati. In un letto. Le insegnati scelsero, evidentemente, di omettere le varianti più fantasiose... 

Pochi minuti dopo, perché la spiegazione durò più o meno quanto il più frettoloso e meno soddisfacente degli atti. Pochi minuti dopo, dicevo, all'uscita di scuola, noi bambini finalmente potemmo raccontarci tutte le barzellette sporche che avevamo sentito fino a quel momento. Quelle di Pierino, quelle dello zio ubriaco a natale, quelle sussurrate tra la mamma e il papà. I bambini non sempre capiscono ma sentono, sentono tutto, e registrano, registrano per sempre nei loro capienti cervellini. E finalmente tutto quel materiale inutile accumulato negli anni ebbe senso. Allusioni, doppi sensi, immagini pecorecce, tutto, capimmo tutto. E poi ridemmo, ridemmo, ridemmo, non tanto perché le barzellette fossero poi così divertenti ma perché il potere della conoscenza è esilarante. 

Jane Pancrazia Cole

Questa volta il mio racconto su TorinOggi non parte da Sotto la Mole ma decisamente più in là.

Ero al fiume con i miei animali quando li vidi per la prima volta. Attraversavano il paese guardando in giro curiosi e conversando tra loro con parole a me ignote. Avevano la pelle scura, i capelli ricci e gli occhi neri come il carbone. 

I bambini li guardavano curiosi, gli uomini impugnando i loro strumenti di lavoro, le donne attraverso le finestre, ben nascoste nelle capanne. 

Io all'epoca ero solo un ragazzo e in me la curiosità ebbe la meglio sulla paura. Mi avvicinai, mentre il più piccolo dei miei vitelli mi seguiva fedele come un cane. 

In questo gruppo di forestieri dall’aspetto esotico, se ne distinguevano alcuni dagli abiti preziosi. Uno di loro, invece, aveva l'aria familiare e fu a lui che mi accostai.

Continua...


L'estate sta per concludersi, le vacanze sono alle nostre spalle – o meglio, alle vostre, perché io mica le ho ancora fatte! –,  a settembre ricomincia tutto: la scuola, il lavoro, i corsi di latino americano. E, a settembre, riparte anche il nostro Laboratorio Condiviso di Scrittura.

Un esercizio, due settimane (più o meno) per svolgerlo e spedirlo a me, io lo pubblico sul blog insieme a tutti gli altri (e al mio) e, nel giro di qualche giorno, mando un breve feedback ad ognuno di voi. 

Questa avventura è cominciata a gennaio, abbiamo inventato personaggi, dato vita a parole nuove, vissuto vicende incredibili. Ogni esercizio è stato una nuova scoperta, un modo per confrontarsi con me, tra di voi, con il tempo per scrivere che non c'è mai e con la voglia di vedere l'effetto che fa mettersi in gioco.

Questo laboratorio aprì, molti mesi or sono, con la scrittura a tempo, un tipo di esercizio che mi piace riproporre periodicamente perché è liberatorio, perché è divertente, perché dà a tutti grandi soddisfazioni. 

Cos'è la scrittura a tempo? Avete a disposizione un incipit e 10 minuti per scrivere. Dieci minuti tondi tondi, usate una sveglia, puntatela e poi cominciate. Scrivete, scrivete, scrivete, senza fermarvi, senza correggere, senza guardarvi indietro. Ciò che mettete su carta (o su schermo) non deve avere necessariamente un senso, lasciatevi andare, sfogatevi, seguite i pensieri sparsi della vostra mente. Ne potrà uscire un racconto, una poesia, un monologo o anche un'utilissima lista della spesa, chi se ne frega? Vale tutto!

Passati i 10 minuti, quando la sveglia suonerà, interrompetevi, vabbè vi concedo di finire una frase se proprio ci tenete. A quel punto potrete scegliere cosa fare: mi potrete mandare ciò che avrete prodotto senza neanche correggerlo, oppure potrete sistemarlo, o persino stravolgerlo. La scrittura a tempo è solo un efficace detonatore d'ispirazione, ma sta a voi decidere cosa farne alla fine.Mi sembra di avervi detto tutto ma se avete domande, dubbi, perplessità: commentate, messaggiate, scrivete email, vi sarà risposto.
E ora l'ultima cosa, ecco l'incipit che dovrete usare:

"Dimmi come si fa?"
"Cosa?"
"Dimmi come si fa a fare i bambini"


Tipo di testo: racconto, poesia, monologo, dialogo, quello che vi pare... 
Lunghezza testo: dai 100 ai 10000 caratteri (sì, ho davvero scritto 10000!)
Email: janecole@live.it. 
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura. 
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno.
Scadenza per far pervenire il testo: domenica 20 settembre 2020, ore 12.

Volete leggere tutte le Storie nate da questo esercizio? Le trovate qui.


Dopo una breve pausa estiva, oggi torna il Laboratorio Condiviso di Scrittura. Iniziato a gennaio, si concluderà a dicembre, aperto a tutti e, ovviamente, gratis!

Domani, su queste pagine, troverete il prossimo esercizio da svolgere: il Quindicesimo.

Oggi invece gli svolgimenti (2, pochi ma buoni... grazie Marianna!) del Quattordicesimo: il Diario delle Vacanze, scritto da un bambino o una bambina di 9 anni. Decisamente una sfida interessante, buona lettura! 

Caro diario,
oggi ho una cosa importantissima da raccontarti.
Sono stata fuori dall’Italia per la prima volta. Sono stata a Marsiglia con la mamma ed il papà.

La città non è molto diversa dalla mia Genova, anche il mare è lo stesso, ma non c’è l’Acquario.
Invece siamo entrati in un edificio grandissimo, un ospedale grande grande, con delle grandi finestre ed il tetto a vetri.
Sembrava proprio un Acquario, ma eravamo noi ad essere dentro la vasca e guardavamo i gabbiani che nuotavano e volteggiavano nel loro contenitore trasparente, l’aria fuori! Un vastissimo contenitore!
Quando mi perdo in pensieri così, stringo forte forte la mano di papà, che capisce e non me la lascia, me l’ha promesso.
Se papà non mi dà la mano, alle volte certe cose iniziano ad andare al rallentatore. Ogni filo della piuma del gabbiano potrebbe iniziare a muoversi pianissimo e lo stesso il suo becco.
Alle volte, confusa, svengo.

Anche la porta a vetri davanti alla quale stavo ha iniziato a muoversi al rallentatore, e mamma e papà, seduti di là dalla porta, davanti ad una scrivania, si sono deformati tutti.

La dottoressa era tanto bionda, come la nonna quando torna dal parrucchiere il sabato pomeriggio. Invece i suoi denti bianchi bianchi e grandi grandi - ma forse perché erano tanto vicini al mio viso - erano ugualissimi a quelli della maestra Rita, che Marco chiama la Cavallona.

Sulla via del ritorno la mamma è felice, sorride, scherza, mette la musica alla radio e canta, spronando papà, come era da tre anni che non faceva.
La dottoressa, quando mi era vicina vicina, mi ha dato un lecca lecca di una marca che non conoscevo e mi ha detto che è stato bello conoscermi.

Anche io sono felice! Voglio proprio tornare presto in Francia.

Camilla (Marianna Palmerini)

*****

Caro diario,
la cosa più importante che mi è successa quest'estate non è per niente bella.
Valentina, che è la mia amica, la migliore del mondo, è andata via.

La mamma mi ha spiegato che qualche volta, se faccio i compiti, la posso vedere su Zoom ma che non viene più nella mia classe, e neppure nella mia scuola.

Mamma mi detto così e poi mi ha portato ai giardinetti per salutarla. Io e Vale abbiamo giocato e dopo ci siamo abbracciate tanto. Io a casa ho anche pianto, ma di nascosto perché se no Marco, mio fratello, mi prende in giro.

Ora Vale è in Francia con la sua mamma, il suo papà invece è ancora nel palazzo davanti a noi, con una ragazza. La sua nuova fidanzata, dice. Bah, non ho capito bene questa cosa qua. Ho chiesto a papà se pure lui adesso si trova una fidanzata. Papà ha riso. Mamma ha detto che, se ci prova, lei glielo taglia. Non ho capito molto bene neanche quest'altra cosa qua. Ma, in fondo in fondo, non m'importa.

A me m'importa solo che Vale ora è via, e io mi sento sola. Tra pochi giorni ricomincia la scuola e io non ho più la mia compagna di banco più preferita del mondo.

Caro diario, quest'estate ha fatto proprio sch... non mi è piaciuta per niente. E secondo me ora sarà pure peggio. Uffi!

Giulia (Jane Pancrazia Cole)


Sarà che non ho fatto neanche un giorno di vacanza e sono un po' cotta, sarà che l'instabilità di questi tempi non aiuta di certo la progettualità, ma per questo mese ho solo una pidocchiosissima cosa da consigliare ai miei lettori. Cioè, non fraintendetemi, la cosa è davvero carina ma è solo una quindi, questo giro, il post sarà proprio misero.

Questo mese vi consiglio una serie documentario su Netflix. Il titolo è High Score. L'argomento la storia dei videogiochi: da Space Invaders a Super Mario, passando per il Tetris. 
Io non amo i viedogiochi, non mi hanno mai conivolta, ma questa serie (che non ho ancora finito di vedere) mi sta piacendo molto perché parla di rivoluzioni – sociali e tecnologiche –, di creatività e di personaggi incredibili in grado di cambiare una parte di mondo. Ragazzini prodigio, universitari visionari e coppie ambiziose che, in Giappone come negli Stati Uniti, hanno inventato una fiorente industria.

Il post, come già annuciato, finisce qua. Ma visto che io sono stata in grado di darvi un solo consiglio, ora aspetto fiduciosa i vostri. Voi cosa mi consigliereste di vedere, ascoltare, leggere, visitare in questo Settembre 2020?
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