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Scontenta per la posizione periferica dello studentato, a Novembre compilai il modulo di rinuncia alla mia camera. Dal momento della consegna avrei avuto un mese a disposizione prima di dover andarmene.
30 giorni per trovare l'appartamento dei miei sogni, 30 giorni per cercare un nuovo posto dove stare, 30 giorni per non finire a dormire sotto un ponte.
30 giorni possono essere tanti o pochissimi.
Carica di ottimismo, ma anche di una certa ansia, mi imbarcai nella ricerca della mia nuova casa.

Lo scopo era quello di trovare una stanza in una WG (alloggio diviso tra più adulti, studenti o meno), in un bel quartiere e ad un prezzo ragionevole.
La concorrenza era agguerrita, le offerte (decenti) inferiori alle domande, l'impresa ardua.
Fatica, frustrazione e scoramento sarebbero stati i miei fedeli compagni per alcune intense settimane.

Ogni sabato mattina mi recavo in edicola a comprare i giornali specializzati, spulciavo tutti gli annunci, selezionavo le proposte più interessanti e poi telefonavo per prendere appuntamento. Il momento topico della conversazione era sempre lo stesso:
"Wie ist die Adresse?"

"Sbaragnaustrasse"

"Eh???"

"Superkazzolenstrasse"

"Wasssssss?"
Erano pochissime le volte in cui capivo l'indirizzo al volo, spesso dovevo chiedere lo spelling ed in alcuni imbarazzanti e penosi casi neanche ciò era sufficiente. Allora mi armavo di stradario e pazienza e, andando per tentativi ed assonanze, alla fine risolvevo il mistero e risalivo al nome esatto della via. Un' acuta detective? No, semplicemente una ragazza disperata e caparbia.

Nel giro di un paio di settimane vidi molti appartamenti.
Quelli migliori venivano presi d'assalto da orde di giovani. Ci ritrovavamo in fila, come all'ufficio di collocamento o ad un provino per il Grande Fratello. Non eravamo noi a "giudicare" la casa, ma i futuri coinquilini a decidere se noi eravamo all'altezza del giaciglio offertoci.
Quelli peggiori erano ovviamente molto meno ambiti. Del resto non c'è da stupirsi che non ci fosse la fila per accaparrarsi un sottoscala caro quanto un attico, per godere la gioia di un' ottantenne come coinquilina, o per provare le brezza di vivere tra simpatici spacciatori ed amichevoli Naziskin.

Alla fine, dopo settimane di appuntamenti e molte delusioni, le opzioni vagamente accettabili rimaste a mia disposizione erano solo due. Potevo scegliere se vivere con "Rosemary' s Baby" o lo "Psycho Brother".

Il primo alloggio si trovava nel mio quartiere preferito: Prenzlauerberg (ora entrato a far parte del distretto di Pankow). Vitale polo di attrazione per artisti e giovani provenienti da tutto il mondo, pieno di Caffè, negozi colorati e ristorantini etnici.
Guardai le strade ed i palazzi limitrofi con commozione, iniziai a salire le scale con una rinnovata speranza, bussai alla porta con il cuore gonfio d'attesa. Dopo un secondo l'uscio si aprì, io sfoderai il migliore dei miei sorrisi, ma davanti a me non trovai il tipico fricchettone berlinese o l'ennesimo studente Erasmus, bensì una bambina.
Una bimba con il viso imbronciato e lo sguardo rabbioso.
I miei futuri coinquilini sarebbero dovuti essere un padre single, giovane e belloccio, e la di lui figlioletta, con l'aria dolce e rassicurante della protagonista de L'Esorcista.
Mentre il papà mi mostrava l'appartamento, l'adorabile frugoletto mi lanciava sguardi carichi d'odio.
Mentre sedevamo tutti intorno ad un tavolo, l'angioletto tentava di prendermi a calci.
Mentre parlavamo di affitti e spese, la fetente lillipuziana precisava che: "Io questa in casa non ce la voglio!"
La camera da affittare era enorme e bella, l'alloggio fantastico, il quartiere il meglio che io potessi desiderare, ma l'idea di convivere con la bimba posseduta dallo dimonio mi frenava assai.

Me ne andai con un vago "Mi faccio sentire io" ed affranta arrancai verso la mia ultima destinazione: l'appartamento dello Psycho Brother.
Il quartiere era periferico, quasi quanto quello dello studentato, e l'edificio un casermone in pieno stile sovietico. Una tristezza infinita.
Ad aspettarmi trovai un ragazzo alto e smilzo, proprietario dell'immobile; una ragazza coreana, che si era appena aggiudicata l'ultimo posto decente disponibile, lasciando a mia disposizone uno sgabuzzino con lucernaio; tre gatti piscioni e lo Psycho Brother, fratello del proprietario, chiuso a doppia mandata nella propria stanza perché "preferisce stare per i fatti propri" , "non ama gli estranei" ed "è un po' strano, ma tranquillo".

La casa era carina, ma la brutta posizione, le dimensioni della mia camera e soprattutto la presenza dello strano figuro di cui sopra, mi facevano intravedere terribili quadri futuri. Che andavano dall'obbligo di dividere il mio misero giaciglio con i tre gatti piscioni fino al mio accoltellamento sotto la doccia ad opera dello Psycho Brother.



La mia calda ed accogliente stanzetta a Schlachtensee non mi era mai parsa così bella e sicura.

Tornai a casa terribilmente scoraggiata e, mentre affogavo i dispiaceri in un thè alla cannella, qualcuno bussò alla mia porta:
"Ciao Jane"
"Ciao amichetta Eli"
"Com'è andata la ricerca?"
"Un disastro"
"Non ti preoccupare, ho trovato questo numero sulla bacheca di Fisica. E' l'appartamento perfetto per te!"

Continua...

Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13
La sera che lo conobbi fu un vero e proprio colpo di fulmine.
Io rimasi affascinata dai soffici capelli biondi, dai grandi occhi azzurri e dal sorriso magnetico.
Anche lui vide qualcosa di speciale in me, non so se fu la chioma selvaggia, le morbide curve da femmina mediterranea o l'aria dolce e remissiva.
Agli iniziali sguardi carichi di sottintesi, seguirono ben presto i fatti. Lui, passionale ed irruento, mi strinse tra le sue forti braccia fino a togliermi il respiro, mi leccò voluttuosamente la faccia e mi atterrò sul divano fra grasse e soddisfatte risate.
Quando ormai pensavo che non sarei sopravvissuta a tanto entusiasmo, dalla televisione giunse la più celestiale delle melodie: "E' l'ora dei Teletubbies! E' l'ora dei Teletubbies!"
Il piccolo pannolinato iperattivo, mollata la preda, si accucciò in mistica contemplazione di fronte all'apparecchio televisivo ed io, strisciando via dalla stanza, riuscì a mettermi in salvo.

Quella sera un quesito prese forma nella mia riccia testolina: "Cos’hanno i Teletubbies che io non ho?"
Di fronte a questi pupazzoni colorati un duenne, dotato dell'accelerazione di una pallina da flipper e dell'energia di un reattore nucleare, si chetava immediatamente, ma lo stesso soggetto, al cospetto della mia sola anonima presenza, sembrava sotto l'effetto di una flebo di caffeina. Perché?
I Teletubbies divennero i miei nuovi idoli, i miei nuovi punti di riferimento, i miei nuovi guru.
La mia decisione era presa: li avrei studiati, li avrei amati, li avrei compresi ed infine sarei diventata una di loro!

Dopo un lungo ed estenuante lavoro sull'argomento, consistito nella visione di numero UN episodio (i 25 minuti più lunghi della mia vita), ho estrapolato le caratteristiche principali dei quattro colorati imbecilli.

1) Un enorme culone.
E su questo aspetto, non per vantarmi, ma sono già un bel pezzo avanti. Del resto essere vergognosamente ingrassata avrà pure i suoi vantaggi. Se non bastasse il morbido posteriore, sono dotata anche di notevoli maniglie dell'amore e di un orgoglioso davanzale. E scusate se è poco!

2) Un'antenna sulla capoccia.
Ne basta una? Principianti! La mattina, prima di pettinarmi, non ho solo un'antenna, ma anche un paio di parabole sul testone.


3) Un pessimo gusto per gli accessori.
Questo mi costa più fatica ma, se è per la causa, lo farò. Tirerò fuori quella borsetta verde con le paillettes che mi fu regalata 3 anni fa. Quella non è brutta, è proprio inguardabile.




4) Una lentezza esasperante. 
 Perfetto! Io di secondo nome in realtà non faccio Pancrazia ma Bradipo.

5) Un entusiasmo infantile, eccessivo, quasi patologico per qualsiasi stupidaggine.  
 Infantile? Eccessivo? Patologico? E che problema c'è? Ce l'ho. Ce l'ho. Ce l'ho.

La prossima volta che io ed il piccolo Attila ci incontreremo non mi farò più cogliere impreparata. Mi basteranno un pigiamone rosa, l'oscena borsa a tracolla ed i capelli più spettinati del solito per sedare il pargolo.

Almeno spero.
Può capitare che ti arrivi un'email da uno sconosciuto.

Può capitare che tale sconosciuto ti chieda il permesso di utilizzare un tuo post in un suo libro.

Può capitare che tu creda che il suddetto sconosciuto sia un pazzo mitomane, ed invece poi ti renda conto che è proprio uno scrittore. Uno scrittore vero, che scrive libri veri, con lettori veri.

Può capitare che ti ritrovi in libreria, con un libro nuovo tra le mani, a leggere incredula le tue parole, il tuo nome e l'indirizzo del tuo blog.

Può capitare che il tuo ego cresca a dismisura.

Può capitare. Ed è una gran goduria.

Il libro è: "101 modi per combattere il tuo nemico acquisito: tua suocera" di Francesco Cagno, Newton Compton Editori.

E quando mi ricapita?
Da qualche tempo avrete notato un nuovo banner su queste pagine, quello di Donne Pensanti.
Un'iniziativa, nata grazie a Panzallaria, che si pone come obiettivo quello di lottare "contro lo sdoganamento della mignottocrazia", cercando (cito direttamente dal sito)
donne e uomini che abbiano qualcosa di significativo da raccontare sulla percezione del femminile in Italia.
...donne che: lavorano, fanno figli, non li fanno, non lavorano perché, hanno scelto di rimanere quando potevano andarsene, hanno scelto di andarsene quando potevano rimanere, sono precarie, non lo sono, hanno subito discriminazione o ne sono vittime oggi.
...testimonianze maschili sui medesimi argomenti. Il punto di vista dell’altra parte, di coloro che non accettano l’idea merceologica della donna che sembra essere di gran moda oggi, nel nostro Paese.

Anch'io, nel mio piccolo, ho cercato di contribuire con un vecchio racconto, che i lettori più "stagionati" ricorderanno, e che per l'occasione è stato leggermente modificato.

Perché non partecipate anche voi?

Donne Pensanti.
Ciccio e Jane saranno ad Udine.



Jane sta attendendo la partita con la compostezza e la sobrietà che la contraddistinguono in questi frangenti.


Pe-Pe
Pe-Pe-Pe-Pe
Pe-Pe
Pe-Pe-Pe-Pe
Pe-Pe
Pe-Pe-Pe-Pe
Pe-Pe

A E I O U Y
A E I O U Y

Brigitte Bardot Bardot
Brigitte beijou beijou

Ay Ay Caramba Ay Ay Caramba

Eh meu amigo Charlie
Eh meu amigo Charlie
Charlie Brown
Charlie Brown

Ecco. Appunto.

"Se non fosse per lo snobbismo dei premi letterari, Moccia meriterebbe di vincere un Premio Strega od un Campiello"
Alfonso Signorini.
(Verissimo, 14 novembre 2009)
LAmicaMeri ed io ci conosciamo da diciotto anni.

LAmicaMeri ed io siamo cresciute assieme.

LAmicaMeri ed io siamo sempre state l'una il sostegno dell'altra nei momenti difficili e l'una la complice dell'altra nei momenti felici.

Così diverse eppure così simili.
Terra io, aria lei.
Concreta io, spirituale lei.
Occidente io, oriente lei.
Mai in contrasto, ma sempre pronte a confrontarci.

Un rapporto così forte è quasi impossibile da scalfire. Quasi.

Come potrò guardare LAmicaMeri con gli stessi occhi con cui la guardavo prima?
Come potrò ascoltarla con la stessa attenzione con cui l'ascoltavo prima?
Come potrò abbracciarla con lo stesso affetto con cui l'abbracciavo prima?
Come potrò ora che ho scoperto che è una fan di GIACOBBO.

Ma vi rendete conto?

G-I-A-C-O-B-B-O
G-I-A-C-O-B-B-O  
G-I-A-C-O-B-B-O

E' proprio vero che non si conosce mai nessuno fino in fondo.
Che amarezza.
Qualche post fa avevo accennato rapidamente ad un misterioso figuro, appassionato di politica e storia italiana, rispondente al nome di Fumiki.
E' giunto il momento che gli dedichi la giusta attenzione, poiché il personaggio merita. Eccome se merita.

Dopo i primi giorni di assestamento allo studentato, iniziai a notare un ragazzo schivo e silenzioso che si aggirava sul mio stesso piano, cucinava nella mia stessa cucina e si lavava sotto la mia stessa doccia.
Io lo salutavo con un garrulo "Hallo", mentre lui rispondeva con un formale e volutamente distante "Guten Morgen".
Tale siparietto venne a ripetersi per giorni, ma io non mi arresi, la sua freddezza non mi fece desistere ed alla fine ebbi la meglio. Una mattina all'ennesimo algido saluto risposi con un sorriso ed una tazzina di caffè fumante. Lui ricambiò con una zuppa liofilizzata.
Seduti alla stessa tavola iniziammo a parlare e raccontarci.
Fu così che nacque un'amicizia.

Fumiki era giapponese e studiava economia.
Dimenticate il tipico giovane nipponico occidentalizzato, buffo e fissato con i congegni elettronici.
Lui proveniva da una famiglia umile, era nato e cresciuto in una zona rurale e cercava di costruirsi un futuro grazie all'impegno e al talento negli studi.
Anche a Berlino seguiva un regime di vita molto spartano, la sera non usciva quasi mai, sfuggiva la confusione e, se c'era abbastanza silenzio nell'Haus 17, lo si poteva sentire suonare lo shakuhachi chiuso nella propria stanza.
Era serio ed a tratti persino cupo. Educato, ma a volte scostante.

Fumiki era pieno di pregiudizi nei confronti degli studenti Erasmus,"una massa di festaioli ubriaconi", e gli italiani, "frivoli, pigri e inaffidabili".
Cercò a lungo di collocarmi in queste due categorie, ma con grande disappunto scoprì che io sballavo tutte le sue ottuse certezze. Uscivo spesso, ma non tornavo ubriaca. Facevo tardi, ma mi svegliavo presto ogni mattina. Mi divertivo, ma frequentavo l'università regolarmente.
Alla fine dovette ammettere che forse non ero io a rappresentare chissà quale rara eccezione, ma lui ad essere parecchio prevenuto.
Dovette arrendersi al fatto che anche i festaioli hanno un cervello e che gli italiani non si alzano a mezzogiorno.

Io e Fumiki parlavamo di tutto: dalla storia italiana alla cultura giapponese, dalla religione all'ecologia, dai cartoni animati alla cucina.
Lui amava il Risorgimento e mi faceva mille domande a cui spesso io, ignorante come una capra, non sapevo rispondere.
Io mi infuriavo per la caccia alle balene: orrida pratica che lui collocava tra le antiche tradizioni ed io tra le barbarie da cancellare.
Lui si stupiva dei cartoni animati nipponici, più o meno lascivi od espliciti, che in Italia venivano considerati adatti ai bambini, e neanche la mia assicurazione di una rigida censura lo rasserenava.
Io lo aiutavo a preparasi la carbonara, ma poi inorridivo scoprendo la sua intenzione di mangiarsela il giorno dopo per colazione.

Fumiki ogni tanto diventava un poco strano, ma mentre io imputavo questo suo comportamento alle diversità culturali, le mie amiche mi dicevano più o meno così: "Ma guarda che quello ce stà a provà".
Ed oggettivamente tutti i torti forse non li avevano.
Le sue attenzioni nei miei confronti col passare del tempo divennero sempre più simili a quelle di un uomo per una donna e non di un amico per un'amica.
Ogni scusa era buona per farmi un regalo, piccoli pensieri di poco valore, ma che sottolineavano il suo affetto nei miei confronti. Una fetta di torta portatami nella lavanderia a gettoni dove stavo facendo il bucato, un festone di origami fatto da tantissime meravigliose gru colorate, una tazza di Glühwein(*) da dividere in due e una targa in ottone da attaccare alla porta del mio nuovo appartamento(**), solo per citarne alcuni.

Forse per troppa timidezza o per la consapevolezza che ci dividesse un'insormontabile montagna di differenze culturali, Fumiki non disse mai niente di diretto circa i suoi sentimenti ed io ignorai sempre, più o meno consciamente, tutti i segnali indiretti.

La storia rimase così. Sospesa. Perfetta per essere ricordata a distanza di anni con un sorriso e tanta tenerezza.

Continua...

(*)La versione tedesca del Vin Brulè
(**)La ricerca della nuova casa sarà argomento del prossimo post.

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