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1. Perugia è proprio bellina ma anche noi non scherziamo. 

2. In Italia siamo oltre 60 milioni di persone per più di 300 mila kmq di territorio, eppure si può incontrare per caso una coppia di amici torinesi dentro la cattedrale di Perugia. 
"Quella è Caterina?" mi chiede Marito. 
Io guardo nella direzione indicata, individuo una statua, che a pensarci adesso probabilmente era della Madonna, e rispondo: "Ma che ne so??? Stai zitto, sto ascoltando di straforo la guida là dietro!". 
La nostra amica Caterina, in effetti, era in piedi un metro a destra della statua. 
Potete chiamarmi Occhi di Falco. 

3. Spello è bella quanto faticosa, soprattutto se si arranca per le sue vie in salita sotto un sole che non perdona. 
Io, comunque, se rinasco, voglio rinascere "turista perfetta". 
La turista vestita di lino, dalle caviglie sottili, i sandali su misura comprati a Capri e la sudorazione che evapora in una nuvola di lillà. 
Maledetta. 

4. La salita fino alla Rocca di Spoleto è una prova di resistenza. 
Resistenza di coppia. 
Lungo la strada si incontrano donne agguerrite, magari poco allenate nel corpo ma imbattibili nello spirito, seguite da uomini che, nonostante le mirabolanti settimanali imprese al calcetto con gli amici, sbuffano, faticano e rimpiangono i bei tempi andati in cui erano single e non si facevano coinvolgere in imprese del genere. 
Marito, la tradizione del calcetto non ce l'ha, ma le sue maledizioni sibilate tra i denti sono uguali a quelle degli altri suoi compagni d'avventura e sventura. 
Io, intanto, controllo soddisfatta il contapassi uahuauhauah... 

5. Mi perdonino le altre località ma Assisi vale tutto il viaggio. L'architettura, l'arte, l'atmosfera. 
Assisi è l'oasi dell'altrove che riesce a rimanere mistica anche invasa dalla confusione dei turisti. 
Inoltre, Marito e io, abbiamo fatto di nostra volontà, senza coarcizione alcuna, una passeggiata all'interno del Bosco di San Francesco. Più di due ore in discesa e poi salita, su un terreno sdrucciolevole, sotto il sole cocente una parte, e sotto un'ombra umida da giungla vietnamita un'altra. E ci è persino piaciuto! Un'impresa del genere può essere fatta rientrare serenamente nei miracoli di San Francesco. 
Grande France'! 

6. Gubbio è l'idea della cittadina umbra. 
Chiudi gli occhi, pensa al Medioevo, a una fortezza arroccata su una collina, ai rilievi boscosi, alle botteghe degli artigiani, ai cavalieri con le loro armature. 
Ci hai pensato? 
Ecco. Riaprili. Guarda. 
Hai visto? Hai pensato a Gubbio. 
E, a proposito di armature, proprio mentre mi inerpicavo tra le roventi stradine locali, mi sono venuti in mente i cavalieri, fasciati nelle pesanti armature. Nel medioevo si combatteva solo durante le mezze stagioni, vero? No, perché, seguite il mio ragionamento, d'inverno, dentro quelle scatolette di tonno, rischiavi che ti si congelassero gli zibedei ma d'estate - peggio mi sento - , rischiavi proprio di arrostire come un polletto e rimanere in piedi, già schiattato, ma tenuto su da tutto l'ambaradan. 
Medievalisti, che mi dite? 

7. Bellina Foligno. 
Uno non parte da Torino per visitare Foligno. No. Ma, se si è di passaggio, è un bel posto per fermarsi a bere qualcosa e fare una passeggiata. 
Bellina Foligno. 

8. "Dai 3 agli ...anta anni, anche oggi si conferma il mio mito di camminatrice!!!" 
Dopo aver ammirato le cascate delle Marmore da sopra e da sotto, ho celebrato con questa umile frase la mia passione per le scarpinate. 
Marito, dopo averla sentita, benevolo, mi ha fatto correre dietro l'auto solo per un paio di km. 

9. Le ferie sono finite. 
Siamo tornati a casa pieni di buoni intenzioni. 
Maledetto settembre!

Foto: Ponte delle Torri che si vede dalla Rocca di Spoleto

Durante la mia vacanza parigina, per la prima volta, ho fatto un giro nella libreria Shakespeare & Co. 

Per chi non lo sapesse, si tratta di una libreria notissima, a pochissimi passi dalla cattedrale di Notre Dame, specializzata in letteratura in lingua inglese. Frequentata nei tempi andati da personaggi quali Ernest Hemingway e James Joyce, è diventata prima una meta obbligata per i lettori accaniti, ora più probabilmente una trappola per turisti. 

Io, in quanto lettrice e turista, ho ovviamente deciso di andarci. 

Ecco, Shakespeare & Co. sarà anche una trappola per turisti amanti della lettura, ma chi se ne frega? È una gran bella trappola! 
Un dedalo di sale e salette, un piano superiore delizioso, dove accomodarsi, importunare il gatto francese che ti guarda con quella tipica espressione da felino scocciato, sedie e divanetti dove sedersi a leggere, angoli appartati, macchine da scrivere e poi libri, libri, libri. 

Troppo affollata? Certo. 
Deliziosa? Absolutely! 

In questo trionfo di letteratura e comfort vecchio stile, mi sentivo orgogliosa mentre mi dirigevo verso la cassa con un solo libro tra le mani: “A Shakespeare Motley”, un viaggio illustrato attraverso il vocabolario shakesperiano, da “Actor” a “Zodiac” passando per “Hands”. Mi sentivo in gamba, avevo resistito alle sirene del consumismo. Sì, stavo acquistando un giocattolino letterario per appassionati spendaccioni, ma solo uno. Ero brava. Solo uno. Ecco, così pensavo avvicinandomi alla cassa, fino a quando non l’ho visto, proprio lì, civettuolo e irresistibile. “Orgoglio e pregiudizio”. Preziosa copertina rigida. Versione illustrata. In francese. Maledetti, maledetti maghi del marketing. Me l’hanno messo accanto alla cassa! Vabbè, però sono stata brava, comunque sono uscita da quella trappola per turisti topi di biblioteca con due soli libri. E una deliziosa shopper in tela. Non giudicatemi.

Dopo Palais de Tokyo, più emozionante fuori che dentro, l’immancabile Louvre e la splendida Versailles, che giro canticchiando tutto il tempo “Grande festa alla corte di Francia c’è nel Regno una bimba in più…”, perché posso essere oltremodo molesta, chiedetelo a mio marito! 

Dicevo, dopo questi ultimi giri, è ora di lasciare Parigi e tornare a casa. 

Lasciare una Parigi soleggiata, bella e gentile. Dove i francesi parlano tranquillamente inglese (lo giuro) e i ragazzi si offrono di aiutarti a portare la valigia sulle scale della metro. 
Sarò strana io ma tutte le mie esperienze in Francia, dal sud al nord, dagli anni ’90 ad adesso, sono sempre state caratterizzate dall’incontro con persone sorridenti, educate e lontane millemiglia dallo stereotipo del francese snob. 
Sarà fortuna o il retaggio sabaudo che mi porto dietro, chi lo sa? 

Ma comunque, sempre, vive la France!

Pensieri sparsi emersi negli ultimi due giorni.

A Parigi chi annaffia le piante lo fa senza timidezza alcuna.  
Passeggi, pensi che stia iniziando a piovere e poi scopri che no, non è il meteo fetente ma il tizio tre piani più su che dà l'acqua ai gerani. 
Una, due, tre volte, in diversi giorni e diversi quartieri della città. L'esperienza empirica pare suggerire che i parigini se ne fottano di chi passa sotto i loro balconi. Difficile stabilire se si tratti proprio d'indifferenza o addirittura di sadismo.

Al museo d'Orsay, di fronte all'autoritratto di Van Gogh, i turisti vengono colti dal medesimo disturbo del comportamento che caratterizza i turisti di fronte alla Gioconda. Non guardano il quadro ad occhio nudo, non sia mai! Si mettono in fila e poi lo fotografano, ignorando volutamente l'esperienza diretta per una brutta documentazione da dimenticare nel proprio cellulare.

Parigi è invasa da enormi orsi di peluche. 
Mi sono documentata: il fenomeno pare aver avuto inizio del 2018. Li trovi seduti ai tavoli dei ristoranti o nelle vetrine dei negozi. Impossibile non amarli con trasporto. 

Gli studenti della Sorbonne hanno le stesse facce e fanno le stesse pause pranzo di tutti gli studenti universitari del mondo. Il che, ne converrete con me, è di gran consolazione. 

Il Croque monsieur meriterebbe di essere importato anche in Italia. Non sarò l'unica a pensarlo? 

Ps: non metto foto illustrative ma questa perché mi piace.

Ieri abbiamo dedicato la giornata a una boulangerie, un mercatino delle pulci e il centre de Pompidou. 

La prima per fare una colazione dolce al volo, alla faccia dei ristoranti vietnamiti. 

Il secondo, quello di Saint-Ouen per la precisione, perché Marito potesse sfogare la sua passione per i vinili. Abbiamo passato le ore tra antiquariato, arte contemporanea, modernariato, un cacciatore di autografi, un collezionista di puffi, poster di moda, tappeti e poi mille milioni di rivenditori dischi. 
Mentre Marito ampliava orgoglioso la sua collezione, io gironzolavo tra i mobili con Edith Piaf di sottofondo e i proprietari che mi salutavano "Bonjour Madame" "Au revoir Madame". Che c'è poco da fare, il "Madame" francese ti fa sentire subito Catherine Denueve, mentre il nostro "Signora" fa millenaria a cui cedono il posto in autobus. 

Il Centre de Pompidou è stata la nostra meta pomeridiana. 
Marito e io, durante i diversi viaggi, abbiamo sviluppato una collezione di musei di arte moderna e contemporanea che abbiamo molto amato, alcuni scoperti per caso altri con cognizione di causa. Come il Berardo a Lisbona e il Mass Moca in Massachusetts, per dirne due. Quindi non ci siamo potuti esimere da una visita al Pompidou per poi svaligiarne lo shop. Perché io non lo so se esistono le anime gemelle o cose così, ma trovare qualcuno con cui condividere le stesse passioni e scegliere senza difficoltà le stesse mete in vacanza è di certo una gran cosa.

Ieri abbiamo iniziato la giornata con una colazione francese... In un ristorante vietnamita. 
Il cappuccino faceva schifo e il conto era una rapina a mano armata, ma chi l'avrebbe mai detto! 

In compenso il pain au Chocolat era buono. Quello è sempre buono. Amo i francesi e la loro relazione passionale col burro. 

Ieri era domenica e pure il primo maggio, musei e molte attrazioni erano chiuse, e così noi ci siamo lanciati in una passeggiata lungo la Senna. 
Km dichiarati dalla guida: 16. 
Km percepiti da noi: all'anima chitemmuort! 

Dopo tutta la scarpinata che, comunque, per la cronaca, è stata molto bella, Marito e io abbiamo deciso di tornare in camera un paio d'ore per riprenderci. 
"Tu riposi e io lavoro" gli ho detto con fastidiosa sicumera. 
Un minuto dopo stavo russando come uno scaricatore di porto alcolizzato. 

Abbiamo chiuso la serata con un giro tra le viuzze del quartiere latino fino all'imponente Notre Dame, ancora parecchio acciaccata ma sempre affascinante. E di sera ancora di più! 

Poi, con questi 30 000 passi in saccoccia siamo nuovamente svenuti in camera. 
"Non sopravviveremo" ha detto Marito, un secondo prima di perdere i sensi. 
"Forse ma moriremo con dei glutei di marmo!" gli ho risposto io.

Sono tornata a Parigi dopo 20 anni dalla mia prima visita. 
All'epoca faceva freddo e feci il viaggio di ritorno con la febbre a 40 e le placche in gola, resa completamente inabile dagli spietati germi francesi. 

Questa volta fa caldo ma lungo i tunnel della metro si creano delle gallerie del vento, che levati proprio. Inoltre, è ancora in corso una pandemia mondiale quindi... chissà se questa volta tornerò! Ma voglio essere ottimista: Parigi è bella come sempre ed è ora di godersela.

E d'imparare a farsi i selfie come si deve.
Vacanze Roma amicizia

È tempo di arrendersi, oggi si torna a casa. 

Queste ferie verranno ricordate per il gran caldo, i primi piatti spettacolari e le numerose persone incontrate e riincontrate. Nel giro di una decina di giorni ha, infatti, avuto luogo il mio tour. Un po' Regina Elisabetta, un po' zia rimbambita d'America, ho avuto la fortuna di incastrare viaggi e facce amiche. 

Tutto ha avuto inizio il 14 agosto con una gita a Milano per incontrare Silvia, detta Sissi, fedele compagna di Erasmus. Chi ha letto Pancrazia in Berlin se la ricorderà. 

Sissi ha scelto l'ondata di caldo del secolo per trascorrere qualche giorno nella ridente città meneghina, sede dei suoi ricordi universitari più cari. 
Era almeno 4 anni che non ci vedevamo. E, pur rischiando la morte per sublimazione, questa occasione di rincontrarci era troppo ghiotta per rinunciarvi. 
Io ero con Marito, lei con tutta la sua truppa: Mauri, compagno storico che conosco da quando conosco lei, ossia più di 20 anni, e i loro 4 figli. A proposito, Sissi a 20 anni schifava i bambini. No, non è che non le piacessero, li schifava proprio. E niente, ora ne ha 4, questa cosa mi farà ridere per sempre. 

Sissi, per il resto, è una certezza. Non è cambiata. Perché si può crescere e si deve, ci mancherebbe, ma senza perdere il meglio di noi. Evviva Sissi! 

Pochi giorni dopo, arrivati a Roma, ha avuto luogo un altro storico incontro tra Ex Erasmus. 
Alla Garbatella, di fronte una carbonara memorabile, Renée ed io abbiamo ammorbato di chiacchiere e ricordi berlinesi i compagni, di entrambe, e il figlio, suo. 
Sì, Renée, un'altra delle famose Comari. Se non lo avete ancora fatto, dovreste proprio leggere Pancrazia in Berlin.

Lei ed io non ci vedevamo più o meno da una decina d'anni ma, nel frattempo, ci hanno tenuto unite il senso dell'umorismo e la passione per lo stalking social di ex (fidanzati e amici), senza vergogna e senza prendersi troppo sul serio. Ricordate: ciò non fa di noi due pazze persecutrici, no no, fa di voi dei tipi noiosissimi se non lo capite! 

Renée si scoccia se le ricordo che lei è sempre stata la mamma di tutti, poi si gira verso il suo bambino "stai dritto con la schiena", lo redarguisce. E allora vedi che ho ragione io? 

Ma non di solo Erasmus si è dipinta la mia estate. Sempre a Roma, Michela ed io ci siamo finalmente incontrate. 

Michela ed io ci conosciamo via internet, tramite blog e social, da un tempo indefinito pericolosamente superiore ai 10 anni. In questo periodo ci siamo lette, scritte, e viste su Skype mille milioni di volte, essendo lei, tra le altre cose, una delle frequentatrici più fedeli dei miei laboratori di scrittura online. 

Anni e anni di amicizia senza mai vedersi dal vivo, fino all'altra mattina, in cui ci siamo godute una colazione assieme. È incredibile quanto sia normale incontrare per la prima volta una persona che, in realtà, si conosce da molto tempo. Si fa quasi fatica a ricordare che, no, in effetti non ci si era mai viste prima. 

Per l'occasione eravamo noi e i nostri rispettivi consorti. Il mio già in essere, il suo (il mitico Gian) tra pochissimo. A proposito, evviva i futuri sposi! 

Il tour si è concluso a Lucca. Dove abbiamo rivisto per un aperitivo e una cena Lucia, Andrea e Leo. Quelli, tra tutti, che - tra Torino, Lucca e Firenze - abbiamo visto più spesso in questi anni. 

Lucia ed io leggiamo da una vita i nostri rispettivi blog. Tramite Lucia ho conosciuto Andrea, suo marito, che con la storia della sua famiglia di blog ne potrebbe riempire 30. E tramite loro 2 ho conosciuto il piccolo Leo, per cui, data la capacità di fare amicizia e l'invidiabile proprietà di linguaggio, prevedo un futuro da organizzatore di eventi, showman o profeta di una nuova religione. Solo il futuro potrà dirlo. 

"Non si può dire che io non conosca gente interessante" ho fatto notare, orgogliosa, a mio marito. 
"Già e hanno tutti voglia di vederti, pare incr... " 
"Mi sento generosa e scelgo di ignorare il tuo tono sorpreso. Ma tornati a casa potrei, per sbaglio, aizzarti contro il cane"
Roma vacanze

L'ultimo giorno a Roma è stato dedicato a Villa Borghese, parco e museo (meraviglia!), e poi Trastevere, Isola Tiberina e Lungo Tevere. 

Che dire? 
Roma è bella. Oggettivamente bella. 
A piedi o in auto, alzi gli occhi, guardi al fondo della strada e ti trovi di fronte a scenari stupendi. È talmente bella che è banale scriverne ma non ci si può astenere, perché le si farebbe un torto. 

E a Roma, è necessario dirlo, si mangia da Dio. 
I fritti e le pastelle, ne vogliamo parlare? 
E la pasta? Dopo un'attenta e scrupolosa analisi, che certe cose o si fanno bene o non si fanno proprio, ho realizzato che la mia preferita è la gricia. È incredibile che fino a poco tempo fa non l'avessi mai sentita nominare: perché non ha conquistato l'Italia e il mondo al pari di altre sue sorelle? Perché??? 
Io, mi perdonino amiche e amici vegetariani e vegani, vorrei farmi un lettino col guanciale (non a caso), avvolgermici tutta e vivere felice. 

Arrivederci Roma e grazie. 

Grazie per la bellezza, la generosità e il carattere dei romani che, visti da una torinese - cresciuta a "non mi oso" e "non si fa"- , sembrano un po' alieni, diversi, sfacciati, fumantini, ma affascinanti nel loro ruolo di eredi dell'impero, orgogliosi di esserlo, giustamente. La città e la gente racchiudono un'energia e una sfacciata superiorità, alla sti cazzi (nel significato originale loro e non quello storpiato nostro), da prendere ad esempio e portare con sé. 

Ora si parte e, dopo un'ultima giornata di vacanza rubata a Lucca, si tornerà a casa. Maledetto covid, che mi avevi quasi fatto dimenticare quanto fosse bello viaggiare, conoscere, incontrare e tornare a scrivere solo per il piacere di raccontare!

Vacanze Romane 5.
MAXXI Roma

Il bello di tornare a visitare una città più e più volte è che, a ogni incontro, puoi permetterti di trascurare i luoghi più ovvi e concentrarti su altro. Ciò vale a maggior ragione quando la città in questione è Roma, dove di luoghi nuovi da visitare ce ne sono per una vita intera. 

Marito, cintura nera nel trovare posti di cui valga la pena, dopo il Museu Berardo a Lisbona, il villaggio di Aurora nello Stato di New York e il MassMoca in Massachusetts, mette a segno un altro colpo felice. Complici alcune volte la Lonely Planet e altre il suo (insospettabile) intuito, Marito in vacanza dà il meglio di sé, proponendo per le nostre visite luoghi meno ovvi, talvolta inaspettati, sempre bellissimi. Io durante i primi viaggi, lo ammetto, ero parecchio titubante ma ormai mi fido ciecamente. E anche questa volta ho fatto bene. 

Il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, merita assai. Inaugurato nel 2010, raccoglie nelle sue sale un'interessante varietà di installazioni, esperienze, opere immersive ed ispirazioni. Da vedere. 

Il bello di tornare a visitare una città più e più volte è che puoi tornare a vedere i luoghi migliori, i più meritevoli, perché ogni volta c'è qualche particolare nuovo da scoprire o perché tuo marito, per esempio, non c'è mai stato. 

È questo il caso dei Vatican Museums - Musei Vaticani, km e km di storia, bellezza e cultura. Un'esperienza della testa, dell'anima e pure del corpo, provato dallo spazio da coprire e dalla temperatura da subire in alcune sale. 

"Allora che ne pensi?" chiedo a Marito appena usciti. 
"Qual è la tua impressione sulla Cappella Sistina? Io ne uscii sopraffatta e confusa, tu?" 
"Sì... ma il braccio di Adamo è evidentemente sproporzionato" 
"Ma io perché ancora ti parlo?" 

Il bello di tornare a visitare una città più e più volte è che puoi goderti la vacanza con più rilassatezza mentre ti concentri sui pregi e i difetti di chi ti sta accanto.

Vacanze Romane 4, 5.

 

Roma via Margutta

Quest'anno, per la prima volta, sono a Roma con l'auto e posso apprezzare a pieno la viabilità della capitale. Un unico, infinito, irrinunciabile senso unico. Per muoversi tra un colle e un altro si seguono gincane che a una torinese, abituata a strade perfettamente perpendicolari, paiono completamente illogiche. Anche se, onestamente, il tutto pare funzionare e l'obiettivo finale, la meta, si raggiunge con limitate difficoltà. Certo, tutto ciò nel 2021 col navigatore, perché vent'anni fa, con la cartina, ci saremmo messi a piangere in un angolo e a quest'ora starei scrivendo da lì. 

Quest'anno ho scoperto che sulla scalinata di Trinità dei monti non ci si può sedere. Magari valeva la stessa regola anche anni fa ma io in realtà ricordo dei gran bivacchi quindi, o non la facevano rispettare prima o l'hanno istituita poi, proprio per evitare i bivacchi di cui sopra. Che poi io capisco il punto di vista dei vigili che si ammazzano di noia sotto il sole urlando ogni 3x2 "non ci si può sedere sugli scalini" e quella dei romani che vorrebbero una città più vivibile e meno cannibalizzata dalla presenza dei turisti. Lo capisco ma, lo ammetto, non poter appoggiare il mio augusto deretano sulla scalinata un po' mi è dispiaciuto. E anche alla scalinata. 

Quest'anno mio marito ha proposto "Andiamo in Via margutta?" e io, senza pensarci un secondo, ho risposto "quella di Luca Barbarossa?" 
Perché, hai voglia di acido ialuronico e creme idratanti, hai voglia di diete e abbigliamento giovane, hai voglia di combattere il passare del tempo con il corpo tonico e pure lo spirito minchione, ma niente svela la vera età di una persona quanto le sue conoscenze musicali. Nel caso specifico basiche, nazional popolari e tanto "bimba cresciuta a pane e SanRemo". 
Maledizione!

Vacanze Romane 3, 4, 5.
Roma dal Vittoriano

Questa è la quarta volta che vengo a Roma. 

Era febbraio del 2000 quando, finita la sessione invernale di esami, due compagne di università ed io salimmo sul treno che di notte andava verso la capitale. Non eravamo ancora a porta Susa che una delle due tirò fuori la cartina di Roma e ci disegnò sopra due linee perpendicolari. "Ecco, ho diviso la città in 4 zone. Quattro zone per quattro giorni", disse soddisfatta, insensibile tanto ai nostri sguardi allibiti quanto alla grandezza della città. 

Alla fine dei 4 giorni, sul treno di ritorno, eravamo più morte che vive e anche la nostra amicizia, a dire il vero, non stava benissimo. 

Più o meno tre anni dopo ci tornai con FidanzatoTedesco. Era l'inizio di agosto e a spasso sul Palatino sotto il sole cocente vidi la Madonna, o almeno così mi parve. Per salvare i miei pochi neuroni non ancora stracotti mi comprai un adorabile cappellino bianco. Da pescatore. 
Ero così caruccia e all'ultima moda che FidanzatoTedesco iniziò a camminarmi due metri dietro. "Io non konosko te", diceva. Avete letto bene: un tedesco coi sandali criticava il mio di look, frutto di una scelta di sopravvivenza. E, infatti, è da mo' che è diventato ExFidanzatoTedesco. 

Una decina di anni dopo andai a godermi semifinali e finali di tennis al Foro Italico. Non ebbi nessuna apparizione mariana ma, in compenso, una ispanica. Vidi Nadal sulla terra rossa. Un alieno. Un banale essere umano non poteva giocare così. 

Quest'anno sono tornata con mio marito. Non facevamo una vera vacanza come piace a noi dai tempi del viaggio di nozze, nel 2019. A distanza di due anni io sono carica a pallettoni, immune al caldo e ai km. Marito ansima e ripete "Eravamo più giovani allora". 
"Sono passati solo due anni" 
"Sì ma gli anni di pandemia valgono come quelli dei cani".

Vacanze Romane 2, 3, 4, 5.




Ci lasciamo l'amata New York alle spalle e partiamo per la capitale, mezzo scelto: treno.

Mentre marito sonnecchia, io studio la guida e scopro che Washington è nata dal nulla, progettata sulle sponde del fiume Potomac per essere la grande capitale di una grande nazione. Scopro anche che, a parte le zone centrali e più prestigiose, non è certo famosa per la sua sicurezza. Infine che, data la sua posizione geografica, d'estate ci fa un gran caldo, con un clima definito addirittura, tropicale. "Esagerati!" penso io.

Arriviamo a Washington: fa un caldo porco!

Il nostro albergo si trova nella zona delle ambasciate. Alla reception, oltre l'acqua, ci sono i pop corn disponibili per gli ospiti. L'acqua c'era anche nell'albergo di New York ma i pop corn, i pop corn?!? Magari non lo sapete ma poche cose al mondo mi piacciono quanto i pop corn. Cioè, per farvi capire, tra una ciotola di pop corn e una stecca di cioccolato, io vado per la ciotola; tra una ciotola di pop corn e una di gelato, io vado per i pop corn; tra una ciotola di popcorn e un piatto di bucatini all'amatriciana io vado... beh io vado per i bucatini, non esageriamo ora!

Comunque quest'albergo, elegante e colorato, con questa mossa di marketing-coccola mi conquista subito. Come la signora alla reception, tanto carina ed educata, che parla, parla, parla. Noi annuiamo. Abbiamo capito tutto, più o meno. Poi saliamo in ascensore, schiacciamo il pulsante del nostro piano. L'ascensore non parte. Rischiacciamo. Nulla. Iniziamo a brontolare "Ecco, tutto figo, ma l'ascensore è rotto, che cazzari". Sale un altro ospite. Ci guarda. Noi lo guardiamo. Lui ci riguarda. Noi lo riguardiamo. Lui ci guarda un'altra volta. Noi sorridiamo, fingendo sicumera ma ormai la nostra espressione è universalmente catalogabile come "Non ci stiamo capendo un cazzo". Lui la riconosce quindi prende la tessera della sua stanza, l'inserisce in una fessura e schiaccia un pulsante. L'ascensore parte. Ops!
"La prossima volta ascolta quello che dicono alla reception, invece di trafficare col cellulare" sibilo a marito.
"La prossima volta ascolta tu, invece di fiondarti sui pop corn" risponde lui, mentre io già mi pento di non averne mangiati altri "Dici che ne posso prendere anche quando usciamo o pare brutto?"

Washington è un grande museo a cielo aperto, una celebrazione alla grandissima dei grandi Stati Uniti. C'è il monumento dedicato a Thomas Jefferson, una sorta di tempietto laico; quello famosissimo a Lincoln, dove lui ti guarda dall'alto con il suo storico cipiglio; la Casa Bianca, che si guarda da lontano, mooolto lontano; il Campidoglio, incredibilmente maestoso; il muro per i caduti in Vietnam, con tutti i nomi incisi e i registri consultabili per trovare il proprio caro perduto; le statue per quelli in Corea, ritratti proprio come se fossero in missione nella natura fitta; e poi, ovviamente, l'obelisco dedicato a George Washington. Quello di Indipendence Day, oltre che di altre migliaia di film catastrofici. Tanto che mentre lo guardo il mio primo pensiero è: "Siamo nel posto peggiore al mondo nel caso ci sia un'invasione aliena, speriamo che vada tutto bene". 
Va tutto bene. 
Ci sono solo due piccoli problemi, insignificanti, che ci danno noia durante i pochi giorni trascorsi nella capitale: lo spazio e il tempo. Ossia i km da percorrere tra un'attrazione e l'altra, e le variabili quanto estreme condizioni meteorologiche.


Washington, come dicevo, è stata costruita dal nulla per essere una capitale, per essere un luogo di celebrazione. Quindi in centro città hanno pensato bene di realizzare il National Mall, un parco enorme punteggiato dai grandi monumenti eretti in onore degli uomini che hanno fatto grande la nazione: presidenti, padri della costituzione e soldati caduti in battaglia. Quindi tutto ciò che vi ho nominato precedentemente, e molto altro, si trova spalmato all'interno di questo parco. Monumenti distantissimi l'uno dall'altro, raggiungibili solo tramite eterne camminate sotto il sole cocente. Ed ecco il secondo problema: a Washington cammini come un dannato sotto un sole che ti uccide e, se non c'è il sole, c'è un'afa che ti soffoca, preludio crudele di una pioggia torrenziale, che arriva a breve sbatacchiando l'ombrellino – che con tanto amore ti sei comprata a New York – come una foglia al vento.

Il punto più alto, o più basso, della fatica lo raggiungiamo al Cimitero nazionale di Arlington, che io insisto per visitare per poter vedere la tomba di John Fitzgerald Kennedy. Là turisti, americani e non,  strisciano per le verdi colline, punteggiate da migliaia di lapidi bianche, e mentre sopraffatti dall'umidità sudano come ramarri, perdendo l'80% dei liquidi corporei, iniziano a considerare la morte come una liberazione più che una condanna. Mi rendo conto che è altamente irrispettoso pensarlo all'interno di un cimitero ma vi chiedo di apprezzare quanto meno l'onestà di questa mia cronaca.
Al contrario, stiamo un gran bene al National Air and Space Museum, museo dell'aviazione e dello spazio, dove si entra gratis e si va dai fratelli Wright fino agli shuttle. Perché noi, bambini negli anni '80, apparteniamo a quella generazione che ha sognato, almeno una volta nella sua vita, di diventare astronauta.

Washington è una città davvero strana, imponente ma con angoli importanti di povertà, un'esibizione di forza e potere che non è in grado di nascondere, ma anzi esalta, le contraddizioni della nazione. Ricchi e poveri. Multilaureati e analfabeti. Americani e immigrati. 
Vedi il Campidoglio e ti rendi conto che questo paese era destinato ad essere quello che è diventato, ne aveva i mezzi ma, soprattutto, l'ambizione. Qual è la prima versione del sogno americano? Il sogno di una nazione di dominare il mondo. O di "esportare la democrazia", come tanto piace dire a loro. Washington è un'affascinante celebrazione con i suoi lati oscuri. Una città in grado di raccontare molto della complessa nazione che rappresenta.

Dopo due giorni rifacciamo le valige. Domani ci aspetta la macchina che abbiamo noleggiato per cominciare la parte on the road del nostro viaggio.

Continua...

Prologo, Partenza, New York – Prima Parte, New York – Seconda Parte

E tu sei mai stato a Washington? Condividi!

La Quinta Strada dove si scoprono cose nuove ad ogni angolo, inclusa la cattedrale di San Patrizio, bella, imponente e con la follia tutta americana di un distributore automatico di acqua santa. Non mi fate quell’aria sconvolta: in fondo si tratta solo della versione più moderna e molto più igienica delle nostre acquasantiere. 

Il Rockefeller Center che regala uno degli scorci più tipici, cinematografici e natalizi. Ma è giugno quindi niente albero e niente pista di pattinaggio, ciccia! 

La Sesta Strada dove c'imbattiamo nella fiera dello street food. No, non è un'arguta metafora, c'è proprio la fiera dello street food. Che se c'è una cosa di cui la città non avrebbe bisogno è proprio la fiera del cibo di strada, essendo già ogni giorno il regno dei carretti calorici. Sempre siano lodati! 

Le stradine con le case belle di mattoni rossi, le scale antincendio e l'ingresso con 4 o 5 gradini. Una foto e "sembra la casa dei Robinson", una foto e "sembra la casa della Tata" , una foto e "la casa di Friends dove sarà?" "E il Central Perk?" "Guarda che il Central Perk non esiste" "Stai scherzando???" 

L'Upper East Side, ricco ricco ricco, lungo lungo lungo e pure in salita... Dipende da che lato lo prendi, ovviamente. Noi da quello sbagliato, ovviamente. 

Le tavole calde con i bicchieroni d'acqua gratuiti e i piatti carne e contorno "Regular o Big?". Tu ordini "regular" e se ne arrivano con una porzione sufficiente per 5, togliendoti la fame per 48 ore ma non la curiosità su quanto cavolo possa essere grande il piatto “Big”. 

Il palazzo dove viveva John Lennon, il ricordo di John Lennon ai confini del parco e il parco. Il park, Central Park, dove ti sdrai sull'erba e dimentichi di essere in città, dove guardi il lago e pensi che vorresti rimanere a New York per sempre, dove una cantante a piedi nudi si fa accompagnare dai musicisti ed è tutto così perfetto che tu quasi ti commuovi. 

Il Memorial dell'11 settembre in superficie e poi, in profondità, il museo dedicato alla tragedia. Ogni parola in più sarebbe superflua. 

Il ponte di Brooklyn dove una coppia di sposi giapponesi si fotografa. Lei ha l'abito bianco e il velo, lui lo smoking. Saranno due pazzi? Saranno sue sposi veri? Nel dubbio ci fermiamo tutti a immortalarli a nostra volta e i ciclisti spietati quasi ci abbattono come birilli. Ma sopravviviamo arriviamo dall'altra parte e ci godiamo quel gioiello che una volta era Broccolino mentre ora, gentrificato e rivoluzionato, è il mio quartiere dei sogni dove trasferirsi per sempre. Dove si fanno delle foto pazzesche con ponti sullo sfondo, dove ci si perde in un mercatino tra artisti, vecchie palle di baseball e figurine dei giocatori come quelle che si scambiavano i bambini nei film di una volta. Mentre un bambino di adesso pizzica i piedi di marito con il monopattino e la madre ci chiede scusa e si genuflette mortificatissima. 


Perché a New York ovviamente ci stanno pure le persone, gli americani, i newyorkesi, mediamente molto più educati di noi italiani, tutto uno scusa e un grazie e un prego. Molto più espansivi di noi torinesi. Che, in effetti, non ci vuole moltissimo. Marito, complice le magliette da nerd e l'aspetto yankee, attacca bottone con chiunque. O meglio, chiunque, attacca bottone con lui. Tv e cinema spesso descrivono i newyorkesi come freddi e maleducati, bah sarà, con noi non lo sono affatto. Rispetto a noi, invece, una cosa è uguale uguale: attraversano la strada da kamikaze arroganti, ignorando sfrontatamente i semafori. Questo fa tanto casa ma io, nonostante l’assicurazione sanitaria faraonica che abbiamo deciso di sottoscrivete prima della partenza, preferisco aspettare il verde eh. 

Times Square che è sempre piena di gente, di giorno e di notte. Turisti, cabarettisti e attori. Cerchiamo la fila per comprare i biglietti per gli spettacoli di Broadway. La troviamo. Abbiamo almeno 40 persone davanti. Una ragazza ci passa un volantino dove sono indicati tutti i punti vendita a Manhattan, scopriamo che oltre a questo che ne sono altri due meno centrali. Ci riproviamo il giorno dopo in uno di questi due. Abbiamo 4 persone davanti. Scegliamo di andare a vedere Chicago. Le attrici cantano ballano e recitano, le ballerine cantano recitano e ballano. I musicisti musicano. Mai vista tanta perfezione in scena. Un orologio svizzero dal cuore pulsante e passionale. Meraviglia. Tra un atto e l'altro passa il ragazzo con vivande e snack. A glass of wine, ordina un tizio a pochi posti da noi. Gli viene consegnato un pinot grigio in un bicchierone di cartone per la bellezze di 30 dollari. Il tizio, per la cronaca, non fa un plissé sentendo il prezzo. Noi. Marito ed io, invece, pianifichiamo di spacciare Tavernello per Barolo e di mettere su un business milionario. 

Lo sport nazionale, il baseball. Andiamo nel Bronx a vedere i New York Yankees. Contro i Tampa Bay. I primi asfaltano i secondi. Kevin Costner saluta alla kiss cam. E noi orgogliosi sfoggiamo cappellino e maglietta, partecipando ad un rito collettivo fatto di gioia e cibo. 

Il Lincoln Center con l'Opera, il balletto e la Juilliard – pazzesca scuola di arte, musica e spettacolo. Ed è subito: “se rinasco faccio la ballerina”. La cantante no, perché neanche in un'altra vita riesco ad immaginarmi intonata.

Continua...

Prologo, Partenza, New York – Prima Parte

Albergo a Long Island, colazione inclusa. Una babele di voci e profumi. Marito che, in brevissimo tempo, diventa cintura nera di waffle. Io che, altrettanto velocemente, ciuccio unte fettine di bacon, senza remore e senza dignità. Senza dignità io, non il bacon. Il mio cellulare che, all'inizio, non riesce ad agganciarsi al wifi, quello di marito invece sì, e da ciò una diretta facebook con il suo faccione divertito in primo piano e la mia crisi isterica – solo audio – in sottofondo. Una crisi isterica – a mia insaputa – con millemilioni di visualizzazioni. C'è gente che chiederebbe il divorzio per molto meno. 

Comunque, sarà che la strada tra l'aeroporto e l'albergo passa per una periferia di indicibile tristezza, sarà che Long Island non è Manhattan, sarà che la metropolitana è sporca e puzzolente, sarà il problema del wifi di cui sopra – whatever will be, will be – ma le mie prime ore a New York non sono proprio esaltanti e il mio primo commento al riguardo è un lapidario "Accidenti, quant'è brutta questa città!" al che il marito, che a NY è già stato e la ama assai, mi guarda come se gli avessi appena insultato tutta la famiglia, nonnina preferita inclusa. 

Per fortuna finalmente arriviamo a Manhattan, passiamo per la stazione centrale, Grand Central Terminal, "Gossip girl, gossip girl!" esclamo io, senza vergogna e remore di svelare al mondo e, soprattutto, al marito, di essermi vista tutta la vacua e folle serie, pur essendo abbondantemente al di fuori del target adolescenziale a cui era destinata. Poi facciamo tre volte il giro dell'Empire State Building in cerca dell'ingresso,  lo troviamo, dentro c'è l'ascensore che fa 80 piani in un secondo, ci sono i valletti che indicano la strada ad ogni corridoio e svolta, e c'è la città da ammirare dall'alto. La giornata è bellissima ed io, finalmente, inizio a cogliere il fascino del luogo, con l'Hudson, le barche e la statua della libertà che da quassù è piccolissima. "Ci facciamo un selfie?" chiedo, che nel mio linguaggio vacanziero significa "Ok, questo posto mi piace, teniamoci stretto questo ricordo".

E da quel momento, per sei giorni è un susseguirsi di scatti, luoghi, esperienze e scoperte.
Il MOMA che sta per chiudere per lavori. Facciamo appena in tempo a vederlo. Bellezza ovunque ma è qualcos'altro ad attirare maggiormente la mia attenzione. La gente si accalca davanti a un van Gogh. Mi fa sempre un certo effetto pensare che lo sventurato sia vissuto e morto male. Solo e dall'enorme talento non riconosciuto. Abbia venduto un solo quadro in vita sua ma che adesso sia uno dei pittori più conosciuti di sempre. Non solo le sue opere raggiungono quotazioni altissime ma anche chi non è mai entrato in un museo in vita sua l'ha sentito nominare almeno una volta. Non sono sicura che lui gradirebbe l'ironia della sua sorte.
Il MET. Adoro il Met. Me ne innamoro subito, mi metterei a vivere lì, in una sala qualsiasi, dormirei felice ranicchiata tra statue e quadri per poi, al mattino, salire in terrazza a far colazione. Si aggiunge di prepotenza ai miei musei del cuore, insieme al Pergamon di Berlino e alla Pincoteca di Brera.
Il Museo di Scienze Naturali con incluso spettacolo dentro il planetario. Ti metti in poltrona, alzi gli occhi e sei immerso tra le stelle e poi tra gli alberi e poi ancora le stelle. Io una cosa così la vorrei in casa, in soggiorno, mi siederei sul divano, soffitto e mura prenderebbero vita e mi farei un viaggio nella Via Lattea e poi più in là ai confini dell'universo, che Netfilx scansati proprio!
Il battello al tramonto, direzione Staten Island, a guardare lo skyline dall'acqua, mangiarsi il primo hot dog di una lunga serie e finire la serata morti di sonno.
In mattina invece si prende un altro battello, lo si raggiunge passando accanto al toro arrabbiato e poi a destra dietro il carosello, dove fisso con stupore una numerosa famiglia con cappelli e cuffiette "gli amish gli amish" sgrano gli occhi ma non indico e non alzo la voce perché lo stupore non diventi invadenza. Ci imbarchiamo. Sotto lo sguardo attento di tutta la ciurma, "Whatch your step" dicono ad ogni passeggero, ad ogni passo, prima di salire. Ci si sente coccolati ma anche terribilmente ansiosi. "Sto attento a dove metto i piedi, sta sereno!". Prima siamo alla Statua della Libertà, dove il museo racconta una storia lunga e un progetto ambizioso. Poi, in una giornata lunghissima che mette a dura prova il fisico di marito, arriviamo ad Ellis Island, approdo della grande immigrazione europea tra Ottocento e Novecento. L'edificio principale è restaurato ma fedele. In quelle stanze a guardar fuori da quei finestroni ci fu anche il mio bisnonno dai baffoni importanti e l'aria distinta. Partito da solo e tornato in Italia da moglie e figli con le tasche piene. L'audioguida racconta la sua storia e quella degli altri. Passo passo. Trasmettendo la paura e l'enormita' del cambiamento affrontato dai bisnonni di tutti noi. La Quinta Strada...

Continua...

Prologo, Partenza


“Lo fate il viaggio di nozze?”
È questa la domanda che ci fanno tutti appena sanno dell’imminente matrimonio.

“Boh, non lo sappiamo, dobbiamo ancora decidere”
È questa la risposta che diamo a tutti.
All’inizio.
Poi, a poco a poco, l’idea si fa strada nei nostri cervelli, i preventivi richiesti non pretendono nessun nostro organo interno come anticipo e così, al fine, decidiamo.

“Stati Uniti” è la nuova risposta. La mia più specifica “Stati Uniti Nord Orientali“ per poi partire con l’elenco delle tappe principali: New York, Washington, Pittsburgh, cascate del Niagara, Ithaca (no, non quella di Ulisse) e Boston. Lo ripeto a chiunque, decine di volte, nascondendo malamente l’eccitazione. Perché Pancrazia vostra, la donna di mondo, alla veneranda età di ventrentquarant’anni, non è mai stati fuori dall’Europa. E sempre la suddetta Pancrazia vostra da cinque anni esibisce nella propria cucina un quadro dedicato a New York. Una speranza, un progetto e ora, finalmente, un biglietto!

E così il 12 giugno c’imbarchiamo finalmente per questo viaggio. Tutto bello. Tutto stupendo, non fosse che sempre la Pancrazia di cui sopra ha un piccolo, insignificante, minuterrimo problema: non ama volare. Non amo volare.

Non che ciò mi abbia mai impedito di viaggiare ma fino a quest’occasione le mie esperienze si sono limitate a viaggi lunghi al massimo un paio d’ore. Paio d’ore passate tutt’altro che rilassata. Come sopravvivere dunque alle nove ore tra Roma e New York? I multimedia! Sì, quello schermetto che, in caso di viaggi lunghi su grandi apparecchi, ogni passeggero si trova davanti e che pare offrire tutte le distrazioni possibili: film, telefilm, news e persino video giochi.

L’aereo decolla e io mi attacco a telecomando e cuffiette come ai miei unici salvatori. Tutto questo mentre il marito, dopo aver sacrificato le sue mani alle mie unghie durante il decollo, si guarda "Una poltrona per due" e ride di gusto. Il fatto di averlo già visto un milione di volte non scalfisce il suo entusiasmo. Per fortuna tra i film da scegliere non ci sono quelli di Bud Spencer e Terence Hill, altrimenti lui si piazzerebbe su quell’aereo per sempre e io farei il viaggio di nozze da sola.

Comunque, mentre Eddie Murphy imperversa sul suo schermo, sul mio si susseguono nell’ordine: Tetris, Modern Family, I Griffin, Animali Fantastici e dove trovarli… che se non ci pensa la Rowling a darmi serenità non so chi potrebbe riuscirci. Ed è proprio guardando le avventure di Newt Scamander – sotto il plaid, con il sedile reclinato – che alla fine mi addormento. Che meraviglia, io in aereo non dormo mai. Questa volta sì. Questa volta mi riposerò pacifica per poi zompettare negli Stati Uniti più carica che mai. Apro gli occhi, mi stiracchio, chissà quanto manca all’atterraggio, un’ora? Poco di più? Guardo lo schermo: 6 ore e 35 minuti! Credo di aver fatto pisolini più lunghi in metropolitana. 

E così seguono 6 ore di noia NOIA NOIAAAA. Guardo spizzichi e mozzichi di tutti i film a disposizione, tutti film che tra l’altro ho già visto, sbuffo, m’irrito per la calma di marito, m’irrito perché sono tutti sereni, mi annoio oltre ogni immaginazione. Poi però, finalmente, il comandante annuncia che stiamo per atterrare e io ripianto le mie unghie sulla mano paziente di marito. Perché è proprio nel momento in cui l’aereo punta verso terra, lo stomaco ti sale in testa e tutto traballa, che pensi che, tutto sommato, lassù a vederti "Una poltrona per due" non ci stavi tanto male.

Continua…

Se siete miei amici “dal vivo” lo sapete.
Se siete miei amici sui social lo sapete.
Se non appartenete a nessuna delle due categorie precedenti, o siete molto distratti, è possibile che non lo sappiate e quindi ve lo dico io: mi sono sposata. Il 9 giugno. Giuro.

È per questo che sono andata negli Stati Uniti, in viaggio di nozze. Questa serie di post non sarà dedicata al matrimonio ma al viaggio. No, niente simpatico aneddoto sulla scelta dell’abito. No, nessun racconto hot riguardo all’addio al nubilato (i tre addii al nubilato che mi hanno organizzato, 3!). E no, neanche un resoconto dettagliato circa le parole che ci siamo scambiati il marito ed io. Sono una blogger (o forse lo ero, data la frequenza dei post negli ultimi anni) abituata a parlare dei fattacci propri ma voglio comunque esercitare il mio diritto al pudore.

Non racconterò nulla delle nozze ma posso dirvi che è stato un matrimonio divertente. Una festa molto più che un pranzo. Certo, non c’era il sole, ha persino un poco piovuto ed io per le prime due ore ero tesa come una corda di violino, ma poi gli amici hanno cominciato a ballare, mi sono rilassata e mi sono divertita.
Il marito invece se l'è goduta fin dall’inizio e in tutte le foto sfoggia un sorriso che levati.

Sono una donna poco organizzata e quindi sono stata una sposa poco organizzata. Nessun miracolo da nubenda si è compiuto, io sono sempre io e mi sono dimenticata le scarpe di ricambio. Ma, dato che ad ogni problema c’è sempre una soluzione, quando i piedi hanno cominciato a dolere ho scelto di andarmene in giro scalza alla “chi se ne fotte”.

Ho avuto la cerimonia più bella del mondo, perché l’ha celebrata un amico, il migliore. Le letture e le musiche le abbiamo scelte marito ed io. Testimoni e amici ci hanno prestato le loro voci. Eravamo in una saletta piccola, tutti appiccicati, non è partita subito la marcia e io, sibilando tra i denti “la marcia, la marcia” mi sono rifiutata di entrare fino a quando non ho sentito la musica giusta. Poi, quando il celebrante ha cominciato a parlare, il vociare di fondo non si è chetato e sempre io, con l’eleganza che mi contraddistingue, mi sono girata e ho cazziato gli invitati “Sssssshhhh è arrivato fin da Catania per questo, lo vogliamo ascoltare o no?”
Insomma una sposa serena.
Però, vi giuro, la cerimonia è stata proprio bella.

Al matrimonio c’erano tutti, o quasi, qualcuno non ha potuto, a qualcuno abbiamo dovuto rinunciare, avete presente cos'è compilare una lista invitati per un evento del genere? Una tragedia!
Tra i presenti menzione d'onore a mio zio del Belgio che ha più di 80 anni ed è tutt’altro che in salute. Fino all’ultimo ci ha detto che non ce l’avrebbe fatta e invece, due giorni prima delle nozze, ce lo siamo ritrovato a Caselle. Aveva preso il biglietto da mesi e ci aveva fatti tutti fessi. Noi Cole abbiamo la pellaccia dura e l’animo mattacchione.

C’erano i miei genitori, i nipoti, mia sorella, Mati, le amiche, gli amici, i cugini, gli zii, la famiglia del marito con una mascotte di pochi mesi. C'erano quelli scatenati e quelli più tranquilli. C'erano persino  la saldatrice di Flashdance, Frank Sinatra e tutto il Trono di Spade. Parevano tutti felici. Felici per noi.

Ho lasciato i capelli semi sciolti perché volevo rimanere me stessa quel giorno, niente piega e impalcatura laccata ma ricci liberi e voluminosi, che sono il mio marchio di fabbrica. Però, ogni volta che qualcuno mi abbracciava, pensavo “cacchio mi schiaccia i capelli!” ma poi mi scioglievo, perché io mica li ho mai ricevuti tanti abbracci così, e quando mi ricapita?

A noi, gli sposi, è piaciuto tutto. Perché è stato a modo nostro. Che il bello di sposarsi dopo una certa è anche questo, si abbassano le aspettative degli altri e si alza il tuo livello di "mi sposo io e decido io". Anche se chi mi conosce dice che quel livello io, probabilmente, ce l'avrei avuto altissimo anche a vent'anni...

Ora basta però, che mi ero promessa di non raccontare nulla.

Il 12 giugno siamo partiti per gli Stati Uniti e voglio scrivere di questo.

Continua…
Sono finite le vacanze, dobbiamo tornare a casa. Ma tra Gallipoli e Torino ci sono, Google Maps alla mano, 1190 km. 
"Facciamo un'ultima sosta a metà strada" 
"Ok".

Il luogo non è importante, vogliamo solo un giaciglio comodo su cui riposare le nostre stanche vacanziere membra. Andando, per l'ultima volta quest'anno, a caccia su Airbnb, finiamo per scegliere Fano. Totalmente a caso.

La proprietaria di casa ci avverte che, al momento del nostro arrivo, lei sarà ancora al lavoro e ci lascia le chiavi nella cassetta delle lettere. Entriamo. Non c'è lei ma c'è il suo gatto che ci guarda col tipico disprezzo felino. Raggiungiamo quella che sappiamo essere camera nostra. Al centro della stanza un materasso. No. Un materassino. Ad aria. Ho campeggiato per molti anni e posso dire, senza timore di essere smentita, che quello che troviamo a Fano sia uno dei più scomodi materassi ad aria mai prodotti. Forse è sgonfio, forse è vecchio, forse è solo una schifezza low cost, ma resta il fatto che, appena ci si sdraia sopra, l'effetto mal di mare è assicurato.

Ma non ci facciamo abbattere, lasciamo la nostra roba in camera e andiamo in giro per Fano in cerca di una cena, o meglio, di un gelato. Camminiamo in lungo e in largo per trovare solo, dopo un'ora, in tutto il centro due striminzite gelaterie, tra l'altro una accanto all'altra. 

M. mangia il gelato ed è felice. Io vengo presa da un improvviso desiderio di crepes. Crepes alla Nutella. A Gallipoli ne facevano ad ogni angolo ed io, per un motivo o un altro, non ne ho mai prese. Il rimorso mi tormenta. Decido di rifarmi a Fano. 
Col cavolo!
Non le fanno da nessuna parte, neanche nei locali dove sono dichiarate nel menù. "D'estate non le serviamo, non ce le chiede nessuno", si giustificano. Al decimo tentativo mi arrendo. Mi consolo mangiando patatine e bevendo vino bianco in piazza. Di sottofondo c'è anche la musica dal vivo. "Non male" 
"Infatti", ci godiamo pigramente l'ultima serata di ferie.

A mezzanotte torniamo a casa. La padrona non c'è. Il gatto sì. 

La porta della nostra stanza non ha la chiave, risolviamo piazzandoci contro le valige. Ma c'è un'altra cosa ben più grave che manca (oltre un letto decente): l'aria condizionata.
Trascorriamo la notte peggiore di tutte le vacanze. O meglio la notte peggiore degli ultimi anni.
La finestra spalancata non attenua il caldo afoso e il materasso è un supplizio. Ci alziamo all'alba, più stanchi di prima, in soggiorno troviamo un tizio seminudo che dorme sul divano. Della padrona di casa nessuna traccia. Il gatto ci osserva.

Ripartiamo. Nel pomeriggio siamo finalmente a Torino. Sveniamo sul letto. Il nostro comodissimo letto. 

È novembre e siamo tornati a casa da tre mesi. Della tizia dell'appartamento non abbiamo mai avuto alcun segno, neanche una recensione. Il gatto ci manda una cartolina ogni tanto.

Fine.

Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte, Ottava Parte, Nona Parte
"Gallipoli? Andate a Gallipoli? Ma perché? Tutta questa strada per finire in un posto così commerciale? È come andare a Rimini!"
Più o meno è questo ciò che ci viene detto ogni volta che annunciamo la nostra ultima tappa in Puglia. Tappa scelta, anche in questo caso, con grande attenzione.

"Andiamo al mare?"
"Noi in spiaggia ci annoiamo"
"Sì, ma non possiamo fare tutti questi km, scendere fino in Salento e non fare neanche un giorno di mare"
"Ok, come vuoi"
"Otranto o Gallipoli?"
"Boh"

"Avreste dovuto scegliere Otranto!" ci dicono tutti.
"E grazie al cazz..." rispondiamo noi "Ormai abbiamo prenotato".
L'unico a tirarci un po' su e è S. "Gallipoli non è così male, e poi ha un bellissimo centro storico, una fortezza che dà direttamente sul mare, un intrico di stradine, e una serie infinita di ristorantini di pesce dalla vista mozzafiato."
"Ecco, andremo a visitare il centro", ci consoliamo.
Poi, lasciata Lecce, dopo esserci esauriti nel traffico folle di Gallipoli, scopriamo che nel centro, in effetti, noi ci dormiamo. In un micro appartamentino, dalle pareti bianche e le mattonelle azzurre, a un soffio dall'acqua, a sciabattare rilassati fino alla spiaggia, con i vecchietti del luogo che t'incontrano, ti salutano, ti chiedono "come va?", anche se non ti hanno mai visto prima.
In tutto questo, giusto perché delle volte ogni stella si allinea positivamente, troviamo anche un preziosissimo parcheggio gratuito. E solo chi è stato a Gallipoli in agosto può comprendere pienamente la meraviglia di un tale dono.

Le nostre 48 ore in loco si prospettano, dunque, molto meglio di quanto abbiano cercato di farcele sembrare. Il primo giorno lo trascorriamo tra i vicoli e la spiaggia. Bello tutto ma a noi ciò che colpisce di più è un negozio dedicato al Natale, con tanto di elfi dormienti meccanizzati che russano. Un negozio dedicato al Natale. A Gallipoli. Ad agosto. A questo punto mi aspetto di trovare anche uno spaccio di friselle a Rovaniemi, residenza ufficiale del pancione rossovestito, in Finlandia. 


Il giorno dopo facciamo colazione col pasticciotto pugliese e poi salpiamo per il largo. Gita in barca. No, non super sciccosissima gita in barca a vela. Ma molto più caciarona gita su barca a motore con folla vociante e spaghettata zozzona. Il momento clou consiste nella sosta a largo con tanto di possibilità di tuffarsi. Io so stare a galla ma non sono una grande nuotatrice e quindi non vado mai dove non tocco. Ma si buttano tutti, pure quelli nella mia medesima condizione, supportati dai giubbotti di salvataggio. Quindi mi faccio forza e ne indosso uno anch'io. Mai provato uno in acqua. Che orrida sensazione. Impossibile muoversi, l'effetto è quello di un tronco galleggiante. Dopo essere rimasta pucciata dieci interminabili minuti in acqua, a mo' di bustina da tè, decido che l'esperienza può dirsi conclusa, devo solo riuscire a raggiungere la scaletta. Con le braccia non mi direziono. Provo con le gambe. Dopo una pedata in faccia a una vecchia e una ginocchiata a un bambino, al grido di "Per la mia salvezza sono pronta a passare sul cadavere di chiunque!" riesco ad issare nuovamente il mio culone a bordo. 
Il capitano mi guarda con pietà. 

Continua...

Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte, Ottava Parte
Riprendiamo l'auto per la prossima tappa del nostro viaggio: Lecce.
Ma, già che ci siamo, ci fermiamo per qualche ora ad Ostuni.

Bella Ostuni, calda Ostuni, faticosa Ostuni, piena di turisti Ostuni. 
La gita è fisicamente provante, dato l'affollamento e la temperatura infernale, ma ne vale la pena, il luogo è un gioiello. Certo, in un altro mese dell'anno, sarebbe stata un'altra cosa.

Persi tutti i liquidi possibili e immaginabili torniamo in auto e puntiamo ancora a sud. Sono preoccupata. Nei giorni precedenti, ad ogni mio "Andremo anche a Lecce", mi sono sentita rispondere "Beeeeeellaaaaa Lecce!". Sono preoccupata. Le mie aspettative sono troppo alte. Rimarrò delusa. 

E invece no. Bella Lecce, bellissima Lecce. Per tre giorni ci godiamo questa città che, oltre ad essere una manna per gli occhi dei turisti, è chiaramente una realtà culturale molto vivace e sofisticata. Accanto agli immancabili negozietti di souvenir, si affacciano numerosi studi di design e gallerie d'arte contemporanea di altissimo livello. Io che lavoro per il sito di ContemporaryArt Torino Piemonte, accarezzo l'idea di trasferirmi lì e fondare ContemporaryArt Lecce Salento. Ecco se c'è una città del sud in cui credo potrei sentirmi a mio agio, e non una siculo sabauda aliena, è proprio la splendida, antica ma modernissima Lecce.

E, se tutto questo non bastasse, per le vie del centro è pieno di ragazze con cestini colmi di taralli venduti nei negozi dei paraggi."Li vuole assaggiare?" ti chiedono. E io che faccio? Posso mica rifiutare? E giù a ingozzarmi come se non ci fosse un domani. Ma sono buoni, accidenti se sono buoni! Il marketing è efficace e, prima di partire, compriamo una scorta maxi da portare ai parenti nordici, per far godere un po' anche le loro papille gustative.

Per non farci mancare niente, infine, proviamo anche la Puccia salentina. La vendono ovunque, non possiamo non mangiarla anche noi. "Buona" "Sì, sì, ma è un panino, perché non lo chiamano semplicemente panino?" "Shhhhh non offendere gli indigeni" "ma è un panino..." "Zitto e mangia!"

Continua...

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