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Il Respiro della Palla

Quest'estate mi sto occupando di un progetto che mi piace molto. Si concluderà tra poche settimane e, colpevolmente, non ve ne ho ancora parlato.

Lo farò oggi.

Si tratta de "Il Respiro della Palla" un podcast dedicato allo Sport, la sua storia e i suoi eroi. Il progetto, il testo e la voce sono di Marco Pozzi, appassionato di basket e teatro che prima ha creato uno spettacolo per il palcpscenico poi, complice la pandemia, ha deciso di trsformarlo in un podcast.

In tutto ciò, io mi occupo della comunicazione social, della gestione di Facebook e Instagram.

Il Podcast è costituito da 9 puntate, ne esce una alla settimana, di venerdì. Oggi è stata pubblicata la quinta. Questa, ad esempio, tratta degli eroi dello sport italiano: da Carnera a Chechi, per intenderci. Ma ogni episodio ha un argomento diverso e interessante, come la storia delle Olimpiadi o la nascita dei Mondiali di Calcio.

Lo sport fa parte della vita di tutti noi e, soprattutto, influenza e viene influenzato dalla società e i suoi cambiamenti.

Io amo moltissimo questo progetto, mi esalta parlare di sport pur essendo una campionessa di tiro al telecomando, e mi fa piacere condividere con voi questo lavoro.

Online di contenuti di scarsa qualità ce ne sono tanti, questo non lo è. Ascoltatelo!

Trovate il Podcast QUI.

La pagina Facebook QUI.

e il Profilo Instagram QUI.

Indossate gli scaldamuscoli e seguiteci!
Dati i preoccupanti vuoti di memoria emersi durante questo viaggio attraverso gli anni e i mondiali, ho deciso di organizzarmi per tempo e di scrivermi un efficace promemoria per il 2018.

Ha vinto la Germania.
L'Italia ha fatto schifo.
Il Brasile anche di più.
Il caldo non si decide ad arrivare.
Io ho un buco nel muro. E una vita incerta ma interessante.

Fra 4 anni Wikipedia non mi servirà.
Ecco un altro mondiale di cui non ho memoria.
E, considerando che si svolse solo quattro anni fa, il fatto è curioso oltre che preoccupante.

Ancora una volta chiedo aiuto a Wikipedia. La prima risposta è Sudafrica 2010.
Sudafrica? Ok, una tenue luce si accende tra i miei assopiti neuroni della domenica. Una tenue luce e un ritornello scemo: Waka Waka!

Un assillo che proveniva da radio, tv e suonerie di cellulari. Incessante, ripetitivo, insostenibile. Come ogni vero tormentone estivo che si rispetti! Ancora adesso, dopo 4 anni, quando lo sento inizio ad agitarmi come una tarantolata. Ancheggio, cercando di essere etnica, sensuale e latina come solo Shakira può essere. E come io, la più sabauda delle sicule, non riuscirò ad essere mai. Sob!

Un tormentone che non tormenta solo perché la cantante colombiana è impossibile da non amare. L'adorano le donne. La bramano gli uomini. Perché lei è bionda ma con la ricrescita. Perché lei è bella ma ruspante. Perché è giustamente femmina ma non felinodefunta. Perché ha quel bel sorriso perfetto all'americana incastonato in un viso che la mattina, senza trucco e luci giuste, è probabile che sia carino ma non eccezionale. Io me la immagino con le occhiaie, i capelli arruffati, e un poco di fiatella. Non troppa, il giusto. Me la immagino così e le voglio bene.

Quindi la memoria mi si è parzialmente sbloccata. L'inno me lo ricordo. Ma il resto?
Mi tocca rivolgermi nuovamente a Wikipedia. Secondo la virtuale enciclopedia quel mondiale fu vinto dalla Spagna e l'Italia uscì al primo turno. Ecco perché non ricordavo nulla. Rimozione. Rimozione del trauma.
Ecco perché, probabilmente, le mie sinapsi faranno terra bruciata anche del mondiale di quest'anno.

E la mia vita privata?
Wikipedia non può essermi di alcun aiuto, ma forse il blog sì.
Sbircio tra le pagine dell'indice e mi rendo conto che quella fu l'estate della scrittura.
L'estate che seguì la primavera della scrittura, periodo durante il quale la mia più grande passione aveva preso finalmente il giusto posto nella mia vita. Periodo in cui avevo scritto il racconto a puntate "Adelina", da cui è poi derivato il romanzo "Un marito per caso e per disgrazia". Periodo in cui avevo cominciato a frequentare l'adorato laboratorio di scrittura, luogo di scoperte, incontri, lezioni e sostegno.
Insomma la primavera era stata grandiosa.
L'estate fu un'inevitabile e piacevole conseguenza. La conferma di una direzione presa.

E ora? Tutti assieme!

Germania 2006.

Cosa ricordo di quell'evento? Tutto.
Ricordo che indovinai i pronostici di ogni partita dell'Italia. No, non provai a scommettere, ma forse avrei dovuto, anche perché il talento divinatorio non mi si è più palesato in nessuna forma e occasione. Non sarebbe stata una brutta idea approfittarne un po'.
Ricordo l'orgasmo della semifinale. Noi che, per l'ennesima volta, facevamo a pezzi i tedeschi. Che io a quel popolo gli voglio bene, ma il piacere di asfaltarlo durante i mondiali è sempre di una dolcezza infinita.
Ricordo la testata di Zidane e l'ubriacatura di gioia quando Cannavaro alzò la coppa.

Ricordo l'insensata euforia, la musica dei White Stripe, la voglia di festeggiare fino a quando non si chiudevano gli occhi.

Il 1982 fu lieve poesia. Il 2006 uno sfrenato rave.


I Mondiali del 2002 sono perfettamente impressi nella mia mente.
Perfettamente e dolorosamente.

Furono i campionati della Corea e dell'arbitro Moreno. Ma, per me, furono soprattutto i mondiali di Elmar.
Elmar chi? Il mio storico fidanzato teutonico. Conosciuto in Erasmus un anno prima, trascorse gran parte di quell'estate a casa mia.
Oh che gioia! Oh che meraviglia!
Non foss'altro che io, con mira da cecchino, avevo scovato l'unico tedesco allergico al calcio. Allergico al calcio e pure discretamente scassamaroni. Perché non è che lui schifasse il pallone ma lasciasse agli altri il diritto di goderne. No, ma quando mai! Sarebbe stato troppo democratico! Lui schifava il pallone e mi trascinava in giro ogni volta che in tv c'erano gli azzurri.

"Non vorrai mica stare chiusa in casa a guardare quegli scemi che giocano?" mi diceva.
"Non vorrai mica perdere 90 minuti della tua vita dietro una partita di calcio?" continuava.
"Non vorrai mica costringere anche me a questa tortura?" chiosava.
"Ma perché no? Esattamente! Ma tu puoi andartene dove ti pare, anzi se ti fai un giro è pure meglio, che secondo me porti tigna!" gli rispondevo, aggraziata e dolce come un camionista bulgaro ubriaco.

Eppure niente, non c'era nulla da fare. Lui era insistente oltre ogni umana sopportazione. Ed io mi arrendevo pur di zittirlo.

Per questo motivo di quei maledetti mondiali ricordo soprattutto delle scene degne di Fantozzi.
Io che, priva di autoradio, chiedo il risultato parziale al tizio nella macchina accanto alla mia.
Io che, passeggiando, origlio le televisioni degli appartamenti a piano terra.
Io che, coi nervi a fior di pelle, scoppio in lacrime per strada appena vengo a sapere del gol di Del Piero contro il Messico.

Certe esperienze ti segnano e t'insegnano molto.
Una cosa su tutte: peggio di un uomo fissato col calcio c'è solo un uomo che lo odia!

Del '98 non ricordo nulla. Nulla di nulla. E' impressionante. Tabula rasa. Niente che sia accaduto nel campo, fuori dal campo, o nella mia vita.
Fa quasi paura, anzi no, fa paura sul serio!

Cerco su Wikipedia. Scopro che quello fu il primo mondiale vinto dalla Francia. Francia che ci eliminò ai quarti di finale. Il nostro allenatore era Cesare Maldini. Ok, degli occhi spiritati di Maldini mi ricordo. E anche della Francia. Cantavano l'inno tutti abbracciati e baciavano la capoccia glabra del portiere.

Wikipedia, però, non mi è di alcun aiuto per quanto riguarda la mia vita privata. Faccio mente locale. Nell'estate del '98 uscivo già da mesi con un tizio che si chiamava Massimo. Tizio che sarebbe passato alla storia, alla mia personale storia, con due nomignoli: Magnum P.I., per l'innegabile somiglianza quando decise di farsi crescere i baffi, e Max il Fedifrago, per... e vabbé, che ve lo spiego a fare?


Del '94 ricordo Sacchi,...

Buuuuuuuuuuuu! Basta! Non se ne può più!

...ehi cos'è questo rumoreggiare in sala? Cosa c'è che non va?
Aspettate un attimo, non agitatevi, mollate quegli ortaggi, lasciatemi spiegare.
  
Sì, lo so che l'Italia è stata eliminata.
Lo so che a molti di voi, adesso, non frega nulla del Mondiale.
E a molti, probabilmente, fregava poco anche prima.
Ma io di  questi post ora che ne faccio?
Non vorrete mica che li butti?
Sappiate che non ci riesco. Sono tutti lì, tra le bozze, in ordine. Mi fanno tenerezza, non posso cliccare su "elimina". Non ne ho la forza!

Facciamo così, troviamo un compromesso, io li pubblico e voi, se proprio ciò vi fa stare meglio, li ignorate.
Contenti voi.
Contenta io.
Contenti tutti.
Siamo d'accordo?
Allora proseguo, eh?
Grazie.

Del '94 ricordo Sacchi, che odiavo con raro trasporto. Fastidioso, spocchioso, presuntuoso, e un'altra decina di caratteristiche negative che terminano in "oso". Mettete voi quelle che preferite.
L'intera squadra, in realtà, non risvegliava la mia simpatia. Tanto che vidi l'infelice finale facendo i compiti delle vacanze. Può esistere una dimostrazione di disinteresse maggiore di questa?
E per fortuna ero disinteressata perché, altrimenti, non mi sarei mai ripresa da quel rigore!

I Mondiali del '90 sono una pietra miliare nella mia vita.
Rappresentano la gioia e il dolore.
Soprattutto il dolore.

Ricordo la "favola" di Schillaci e l'orgoglio siculo di mia madre. Ricordo "Ciao", la più brutta mascotte che mente umana abbia mai concepito. E ricordo pure "Notti magiche", quell'inno che a tutti ha sempre fatto schifo, ma che tutti conosciamo a memoria.

Ma non dimentico, soprattutto, quella maledetta semifinale, quella contro l'Argentina, quella che spezzò i nostri sogni di gloria.
Alla fine mi ritrovai piangente e arrabbiata davanti alla tv. Giovane adolescente, con gli ormoni in subbuglio, che versava copiose lacrime e minacciava di morte Maradona. No, non sto esagerando, lo volevo proprio uccidere. Non tutta la squadra sudamericana, solo lui. Avevo anche elaborato un complesso piano: sarei andata a Napoli in treno e l'avrei fatto fuori con un coltello da cucina. Uno di quelli seghettati, che gli altri non tagliano.

E pensare che anni dopo, molti anni dopo, avrei avuto quale miglior amico un uomo che espone le foto di Diego come santini. Il destino delle volte è proprio curioso.

Ma, bando alle ciance, è giunto il momento. Non fate i timidi. Siate spudoratamente nazional popolari!
Vi vergognate? Va bene, comincio io:

" Forse non sarà una canzone a cambiare le regole del gioco, ma voglio viverla cosi quest'avventura senza frontiere e con il cuore in gola..."

Del 1986 ricordo poco. Solo che venimmo eliminati presto e che quel sorcio di Platini si fece beffe di noi. Perché, da che mondo e mondo, i francesi quando vincono riescono ad essere più fastidiosi perfino di quando perdono.

Avevo nove anni, facevo danza classica, e quell'anno feci il saggio al Teatro Massaua.
Ora è un cineplex e una sala bingo. Con delle insegne esterne che farebbero la loro porca figura persino a Las Vegas.
Quanta amarezza.



Il mio rapporto con il calcio ha avuto i suoi alti e i suoi bassi.
Grande passione giovanile, cocente delusione dell'età adulta.
Ora è poco più di un rumore di fondo nella mia bacheca facebook, un fastidioso brusio da far tacere con un click.

Ma il Mondiale no. Il Mondiale è altra cosa.
Il Mondiale è un appuntamento che ogni quattro anni porta con sé ricordi ed emozioni. Segna il cambiamento di un paese, la vita di una famiglia, ed il passaggio attraverso le diverse fasi dell'esistenza.

Il primo che ricordi è quello del 1982.
Avevo solo 5 anni e per la finale ci riunimmo tutti dagli zii.
C'erano confusione, urla, e poi quel tizio in televisione. Quel tizio che correva, correva e gridava. Sul momento non capii se fosse felice o disperato, e cercai i volti dei grandi per avere una risposta. Erano tutti in piedi, ridevano e si abbracciavano. Loro erano contenti. Anche lui doveva esserlo.
Quel tizio era Tardelli.

Ricordo che nella confusione mio cugino Marco, che ai tempi era un pupo di due anni legato come un salame al passeggino, mi strappò la piccola bandiera dell'Italia dalle mani, rompendo con un sonoro TAC! la minuscola asta a cui stava attaccata. Io prima cercai di strangolarlo poi, impeditami l'impresa dal resto della famiglia, reagii con una crisi di pianto inconsolabile. A riportare la pace ci pensò, contro ogni previsione ed episodio precedente, il collerico zio Nino. Egli si affrettò a compiere le dovute riparazioni, presumo con il legnetto di un ghiacciolo (li chiamavo stick allora), e a rendermi così nuovamente felice.

Grazie a tanta solerzia, potei festeggiare adeguatamente durante il tragitto del ritorno a casa. Per strada c'erano confusione, clacson, e il mio piccolo tricolore esposto fuori dal finestrino di mia madre. Eravamo sulla nostra 127 verde. Senza finestrini posteriori, cinture di sicurezza, o seggiolini per bambini.

Era un'Italia incosciente ed innocente. Gli anni più brutti sembravano messi definitivamente alle spalle. Avevamo Pertini, Toto Cutugno e Paolo Rossi. Non desideravamo di più.

Positivo. Un'altra volta.
Vengo squalificato a vita dalle competizioni internazionali.
Sono Ben Johnson.
(1993)
Siamo tutti e tre sul divano.
Mamma, papà ed io.
Assistiamo al miracolo. Il Miracolo sul ghiaccio.
(1980)
3
2
1
Zero!
Finalmente inizia la cerimonia. Finalmente iniziano le Olimpiadi.
La passione vive qui!
(2006)
Divento numero 1 del ranking mondiale. Lo sarò per 237 settimane consecutive. Sono Roger Federer.
(2004)
Ho vinto già tutto e non mi diverto più.
Mi ritiro.
Sono Björn Borg.
(1983)
Ci restituiscono le medaglie di papà.
Un oro nel pentathlon e un oro nel decathlon.
Siamo molto orgogliosi. Lo sarebbe stato anche lui.
(1983)
81 giorni.
4.500 chilometri.
Attraverso l'Oceano Atlantico con una barca a remi. Da sola.
Nessun'altra donna l'ha fatto prima di me.
(1999)
3, 2, 1. 
E poi giù per 38.969,4 metri.
(2012)
Mi ritiro.
Di nuovo.
(2012)
Siamo rimasti solo in tre. Gli altri sono tutti dietro. 
Douglas e Ahmed scattano, ma questa è la mia giornata. 
Muscoli. Fiato. Testa. 
Un passo dopo l'altro. Sono leggero. Volo.
Questa è la mia medaglia.
(1988)
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