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Ecco un altro mondiale di cui non ho memoria.
E, considerando che si svolse solo quattro anni fa, il fatto è curioso oltre che preoccupante.

Ancora una volta chiedo aiuto a Wikipedia. La prima risposta è Sudafrica 2010.
Sudafrica? Ok, una tenue luce si accende tra i miei assopiti neuroni della domenica. Una tenue luce e un ritornello scemo: Waka Waka!

Un assillo che proveniva da radio, tv e suonerie di cellulari. Incessante, ripetitivo, insostenibile. Come ogni vero tormentone estivo che si rispetti! Ancora adesso, dopo 4 anni, quando lo sento inizio ad agitarmi come una tarantolata. Ancheggio, cercando di essere etnica, sensuale e latina come solo Shakira può essere. E come io, la più sabauda delle sicule, non riuscirò ad essere mai. Sob!

Un tormentone che non tormenta solo perché la cantante colombiana è impossibile da non amare. L'adorano le donne. La bramano gli uomini. Perché lei è bionda ma con la ricrescita. Perché lei è bella ma ruspante. Perché è giustamente femmina ma non felinodefunta. Perché ha quel bel sorriso perfetto all'americana incastonato in un viso che la mattina, senza trucco e luci giuste, è probabile che sia carino ma non eccezionale. Io me la immagino con le occhiaie, i capelli arruffati, e un poco di fiatella. Non troppa, il giusto. Me la immagino così e le voglio bene.

Quindi la memoria mi si è parzialmente sbloccata. L'inno me lo ricordo. Ma il resto?
Mi tocca rivolgermi nuovamente a Wikipedia. Secondo la virtuale enciclopedia quel mondiale fu vinto dalla Spagna e l'Italia uscì al primo turno. Ecco perché non ricordavo nulla. Rimozione. Rimozione del trauma.
Ecco perché, probabilmente, le mie sinapsi faranno terra bruciata anche del mondiale di quest'anno.

E la mia vita privata?
Wikipedia non può essermi di alcun aiuto, ma forse il blog sì.
Sbircio tra le pagine dell'indice e mi rendo conto che quella fu l'estate della scrittura.
L'estate che seguì la primavera della scrittura, periodo durante il quale la mia più grande passione aveva preso finalmente il giusto posto nella mia vita. Periodo in cui avevo scritto il racconto a puntate "Adelina", da cui è poi derivato il romanzo "Un marito per caso e per disgrazia". Periodo in cui avevo cominciato a frequentare l'adorato laboratorio di scrittura, luogo di scoperte, incontri, lezioni e sostegno.
Insomma la primavera era stata grandiosa.
L'estate fu un'inevitabile e piacevole conseguenza. La conferma di una direzione presa.

E ora? Tutti assieme!

Ogni anno vado al Salone Internazionale del Libro di Torino. Ogni anno mi diverto un poco di meno. Ogni anno sento puzza di minestra riscaldata.
E i libri? Ogni anno prendo fregature epiche!

Quest'anno no!
O meglio, il divertimento è stato in calo e la minestra tristemente tiepida ma...
Ma? Ma!
Ma essermi fermata a fare un saluto a Ilaria Urbinati ha svoltato il mio Salone.
Prima di tutto: chi è Ilaria Urbinati?
Ignoranti! E' una blogger.
Ma soprattutto è una bravissima illustratrice. Ma brava assai, eh!
E, anche, un'ottima maestra. Colei che ha tenuto i laboratori di disegno che ho seguito lo scorso autunno.
Lei è un'ottima maestra. Io una pessima allieva. Ma questa è un'altra storia!

Dicevo, sono passata a fare un saluto a Ilaria, che era ospite presso lo stand di Compagine.
Cos'è Compagine?
Una piccola, giovane, e fiorente casa editrice. Figlia di Emma Cavigliasso e Andrea Gualano.
E chi è Emma Cavigliasso? Una blogger pure lei!
E chi è Andrea...

Ok, mi fermo, inizia a girarmi la testa!

Vi siete persi?
Pure io!
Per farla breve: sono andata a salutare Ilaria ed Emma.
Ho dato una sbirciata ai titoli proposti dal catalogo di Compagine.
Sono stata subito attratta da "Piglia un uovo che ti sbatto" di Dario Benedetto. Un libro di cui avevo già sentito parlare spesso.

Benedetto è un attore, che porta in giro il proprio spettacolo in ogni dove. Ma proprio ogni dove, eh! Tipo caffè, pub, cinema, salotti, soggiorni, cucinini, stadi, palestre, caselli autostradali e, persino, teatri!
Emma ha assistito a una sua esibizione, è rimasta folgorata, e gli ha proposto di trasformare lo show in un libro. E così è stato!

Un libro di divertimento e poesia.
Che coinvolge e si fa leggere di corsa, pagina dopo pagina, immagine dopo immagine.
Una seduta di psicanalisi pubblica, dove l'autore racconta tic, ossessioni, sogni e deliri.
L'infanzia, le donne, e pure i gatti.
Il tutto accompagnato da una virtuale colonna sonora.

Una volta finito il libro è impossibile non desiderare di andare a vedere anche l'artista dal vivo.
Intanto, vi consiglio caldamente di fare come me: leggete "Piglia un uovo che ti sbatto" di Dario Benedetto, edito da Compagine. Poi andremo a vederlo assieme, ok?

Non vi ho ancora convinto? Ci penserà questo piccolo estratto:

Travis, Flowers in the Windows

Questa canzone la metto nelle giornate in cui posso permettermi il lusso della pigrizia.

Rimango nel letto anche dopo aver spento la sveglia per dodici volte, ogni volta con il sorriso.
Perché già la sensazione di sentirla e poterla annientare con un semplice tasto dà felicità.
Una manciata di dolcissimi secondi prima di alzarmi arrivo a questa conclusione:
«L'immaginazione non è una via di fuga, ma il luogo che vorrei raggiungere».

Ci sono delle donne hawaiane che danzano vicino al letto. Cori anni Sessanta che cantano a ritmo su terzine allegre. Aerei che passano così radenti alla casa che le hostess mi dicono di non alzarmi dal letto, per evitare incidenti. I miei vicini di casa sono i Beatles, che stanno decidendo come concludere Strawberry Fields.
Busso dal muro, sussurrando: «Forever».

In giardino c'è Dio, che invece di camminare sulle acque fa surf nella mia piscina d'appartamento. Mi sorride e mi dice che la caffettiera aspetta solo di essere accesa.
Le tende sono musicali e, a seconda di come le apri, suonano una melodia diversa.
Dall'altra parte del muro, i Beatles protestano:
«Silenzio! Qui c'è gente che lavora!»

Sento che il mio appartamento appartato appartenuto a Partenope comincia a vibrare.
Nel frattempo Dio fa emergere dalle acque della piscina i Beach Boys. Avvicina a loro le donne hawaiane e le terzine allegre a confermare che le vibrations sono davvero good.

Citofona Yoko Ono e tutti fanno finta di non sentirla, tranne John. Ma gli altri lo hanno imbavagliato.
La hostess dell'aereo che passa vicino a casa la prende per gli spessi capelli giapponesi.
La fa precipitare da ottomila metri in casa dei Rolling Stones. Keith Richards aggiunge una stropicciatura al suo viso per la sorpresa.
«Sciogli loro, adesso!», urla la hostess, mentre Yoko compone, con le sue grida di aiuto, una strampalata canzone disarmonica.

Immagino che il lusso della pigrizia sia questo: arriva il tempo che bussa alla tua fronte.
Tic tac.
E tu rispondi:
«Ancora un minutino».
Tolga la canzone, Dottore, o mi assopisco.

Ora vi ho convinto, vero?
Muoio oggi.
Mi ritroveranno fra tre giorni.

I nedeed some help to help myself.

(1994)
"Soy infeliz porque se que no me quieres para que mas insistir
Vive feliz mi bien, si el amor que tu me diste para siempre he de sentir
Soy infeliz si porque tu no me quieres, piensas que yo he de morir
Que me sirvan otro trago cantinero yo los pago
Pa' calmar este sufrir"

(1988)
"I can't believe the news today,
I can't close my eyes and make it go away.
How long, how long must we sing this song?
How long? Tonight we can be as one.
Broken bottles under children's feet,
Bodies strewn across a dead end street,
But I won't heed the battle call,
It puts my back up, puts my back up against the wall."

(1983)
"Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow
Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow

Now I am older
The more that I see the less that I know for sure
Now I am older ah hah
The future is brighter and now is the hour

Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow
Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow

Good to be older
Would not exchange a single day or a year
Good to be older ah hah
Less complications everything clear"

(1984)
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