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Sarà per una questione anagrafica, l’autrice ha più o meno la mia età, ma leggendo “Niente di vero” di Veronica Raimo, mi sono trovata spesso a pensare “oh cavolo, sembro io a vent’anni” oppure “oh cavolo, sembra la mia amica Eli” o ancora “oh cavolo, sembro io ora”. Non necessariamente con una connotazione positiva, ben inteso. 

Il romanzo è bello e spietato, l’autrice racconta se stessa e una generazione intera. O meglio, una tipologia di donna: quelle a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, di sinistra, che amano Berlino, intellettualmente snob, hanno faticato a crescere, spesso non hanno figli, per scelta o meno, e sono in perenne ricerca di se stesse. 

Detta così sembra solo un cliché ma, guardandomi attorno, vi trovo tanti pezzi di tante persone con cui sono cresciuta, oltre che tanto di me stessa. Nel racconto autobiografico della Raimo riconosco frammenti di amiche ed ex amiche ma anche fidanzati e genitori. Ritrovo i drammi e le passioni che ho superato e coltivato. 
Insomma, Veronica Raimo racconta una tribù. Non la migliore forse ma la mia. 

Ma, sia ben chiaro, per apprezzare questo libro non si deve avere né la mia carta d’identità né la mia storia. Anche se non siete le protagoniste di questo racconto, ne siete le figlie, le madri, gli amici e i mariti. Ci siete anche voi, tranquilli. 

Niente di vero è candidato al Premio Strega di quest’anno. Io, in verità, non faccio mai il tifo per i premi letterari e, inoltre non ho letto tutti gli altri candidati, ma una vittoria, in questo caso, mi parrebbe più che giustificata. 
E comunque, nel frattempo, l’opera si è già aggiudicata il Premio Strega Giovani. 

Niente di vero. 
Veronica Raimo. 
Edizioni Einaudi. 

Consigliato.
Tra la fine degli anni '90 e l'inizio dei 2000 io ho vissuto, se si escludono i 6 mesi di Erasmus, dentro La Feltrinelli. Quella dell'8 Gallery, per sabauda precisione. 
Anche se forse, a ripensarci, all'epoca era la FNAC ma non fossilizziamoci su questo. 

Quale che fosse la casa madre io, comunque, ci andavo spessissimo e ci spendevo tutto lo spendibile. 

Ci compravo cd e dvd, tutta roba che adesso serve solo a prendere tristissimamente polvere, ma anche libri, libri e ancora libri. 

In particolare, ogni volta, stazionavo le ore tra le pile di volumi colorati con righe oblique a contrasto sui bordi. Gli economici della Feltrinelli, appunto. 

La casa editrice milanese, negli anni, mi aveva regalato Pennac e Benni e quindi rovistavo ogni volta tra quelle copertine in cerca di nuove scoperte, come avvenne nel caso di Allende e Coe ma anche Campo e Archetti. 

Ogni volta rovistavo e ogni volta mi bloccavo lì, a un passo da Banana Yoshimoto. 

A me la Yoshimoto incuriosiva e respingeva allo stesso tempo. Che dipendesse dal fatto che all'epoca non frequentassi affatto la letteratura del sol levante o dal nome, Banana, che onestamente trovavo irritante, il risultato era che mi leggevo tutte le retro copertine ma mai concretizzavo l'acquisto. 

La scrittrice giapponese quindi, per anni, ha occupato uno spazio invisibile nella mia libreria e nella mia memoria, una sorta di sala d'attesa, in attesa, appunto, che io ne leggessi le opere. 

La Feltrinelli ha continuato a sfornare un romanzo della Yoshimoto dopo l'altro ma io non mi sono mai decisa ad acquistarli. 

Poi un paio di anni fa ho fatto l'abbonamento a Audible, una piattaforma dedicata agli audiolibri, e Banana stava anche lì con tutta la sua prolifica nipponica produzione. 

Un click sul cellulare richiede meno sforzo e convinzione di una passeggiata dagli scaffali alla cassa e quindi alla fine l'ho fatto. Ho scaricato Kitchen, in quanto sua opera prima, ho atteso mesi, mesi e ancora mesi ma poi l'ho ascoltato. Con quei 31 anni di ritardo dalla sua pubblicazione. 

Sono rimasta folgorata dalla scrittura della Yoshimoto? No ma non mi è dispiaciuta. 
Probabilmente, a poco a poco, recupererò tutti i suoi libri dal più vecchio al più recente? Probabilmente. Con calma. 

Ciao, sono Jane Pancrazia Cole, ci metto un po' ma alla fine mi decido.

Durante la mia vacanza parigina, per la prima volta, ho fatto un giro nella libreria Shakespeare & Co. 

Per chi non lo sapesse, si tratta di una libreria notissima, a pochissimi passi dalla cattedrale di Notre Dame, specializzata in letteratura in lingua inglese. Frequentata nei tempi andati da personaggi quali Ernest Hemingway e James Joyce, è diventata prima una meta obbligata per i lettori accaniti, ora più probabilmente una trappola per turisti. 

Io, in quanto lettrice e turista, ho ovviamente deciso di andarci. 

Ecco, Shakespeare & Co. sarà anche una trappola per turisti amanti della lettura, ma chi se ne frega? È una gran bella trappola! 
Un dedalo di sale e salette, un piano superiore delizioso, dove accomodarsi, importunare il gatto francese che ti guarda con quella tipica espressione da felino scocciato, sedie e divanetti dove sedersi a leggere, angoli appartati, macchine da scrivere e poi libri, libri, libri. 

Troppo affollata? Certo. 
Deliziosa? Absolutely! 

In questo trionfo di letteratura e comfort vecchio stile, mi sentivo orgogliosa mentre mi dirigevo verso la cassa con un solo libro tra le mani: “A Shakespeare Motley”, un viaggio illustrato attraverso il vocabolario shakesperiano, da “Actor” a “Zodiac” passando per “Hands”. Mi sentivo in gamba, avevo resistito alle sirene del consumismo. Sì, stavo acquistando un giocattolino letterario per appassionati spendaccioni, ma solo uno. Ero brava. Solo uno. Ecco, così pensavo avvicinandomi alla cassa, fino a quando non l’ho visto, proprio lì, civettuolo e irresistibile. “Orgoglio e pregiudizio”. Preziosa copertina rigida. Versione illustrata. In francese. Maledetti, maledetti maghi del marketing. Me l’hanno messo accanto alla cassa! Vabbè, però sono stata brava, comunque sono uscita da quella trappola per turisti topi di biblioteca con due soli libri. E una deliziosa shopper in tela. Non giudicatemi.

In un rovente maggio, a Torino è tornato il Salone del Libro. 

E, nonostante un torcicollo devastante che da qualche giorno mi fa indossare uno sciccosissimo collare, Marito ed io abbiamo affrontato il clima tropicale e siamo andati a fare un giretto al Lingotto. 

È stata la visita più rapida nella mia personale storia delle visite al Salone, andare in giro rigida come uno stoccafisso ha ridotto il piacere e quindi i tempi, ma ciò non ci ha impedito di tornare a casa con un discreto bottino. 

Dal Libraccio: 
- I Beatles – tutte le canzoni,
perché Marito è un grande appassionato dei ragazzi di Liverpool, 
- Il libro dei personaggi letterari di Fabio Stassi e Scrivere di Anne Lamott, 
perché io ho il feticcio della lettura, della scrittura e di tutto ciò che ci gira attorno. 

Da Sui Generis, Another Country di Julian Mitchell, perché è la casa editrice de Il Morandazzo e Marito e io ne conosciamo l'abilità nella scelta, la passione nel lavoro e l'innegabile mazzo che si fa da 7 anni a questa parte. 

E, infine, da Sefirot, Fabula Deck for Kids, perché non solo lavoro con loro ma sono una grande fan dei loro progetti. E sicuramente presto mi darò alla sperimentazione anche con questo prodotto dedicato ai bambini, perché in fondo, nonostante gli acciacchi da ottuagenaria, sono ancora una fanciullina. 
Incriccata ma fanciullina.

Perché sulle copertine di Harry Potter troneggia il nome J.K. Rowling e non Joanne Rowling? 

Non ve lo siete mai chiesto? 
Non importa, ve lo spiego lo stesso. 

Fu un’idea dell’editore che voleva camuffare un po’ il fatto che l’autrice fosse una donna. Prese questa decisione, convinto che gli autori uomini vendessero più delle donne e anche che, una storia che aveva come protagonista un ragazzino maschio, fosse destinata a essere letta solo da ragazzini maschi che, a loro volta, avrebbero preferito un autore maschio. 
Maschio l’ho già detto? 

In realtà, alla fine, Harry Potter si è rivelato un successo editoriale e culturale senza precedenti. Le vicende del maghetto sono state lette da ragazzini, ragazzine, adulti, bambini, anziani. E tutti ormai lo sanno, J.K. è Joanne, una donna. Che, tra l’altro, non ha nessun secondo nome: quella K di J.K. è un omaggio alla nonna Katherine. 
Un’altra donna, ovviamente.

Addio Fantasmi. 
Nadia Terranova. 
Edizioni Einaudi.

Una storia di perdita, lutto e immobilità. 
Una donna che torna a Messina, nella casa dei suoi genitori, per ritrovare il passato e, appunto, cercare di dare l’addio ai propri fantasmi. 

“Conosco” Nadia tramite blog e social da almeno 10 anni, ne ho seguito le evoluzioni, la crescita lavorativa ma, in effetti, non avevo mai letto un suo libro. Mancanza a cui ho rimediato ascoltando l’audiolibro di Addio Fantasmi. 

Nadia Terranova ha un tipo di scrittura sofisticato e mai banale, racconta la sua terra e il passato in maniera coinvolgente. Nadia ha un tipo di scrittura non così facile e neanche essenziale, come io, personalmente, prediligerei. 

Non mi ha sorpresa, quindi, che la mia immersione nelle vicende narrate in Addio Fantasmi sia stata lenta. A un certo punto, però, complice anche la voce di Elena Radonicich, è stata inevitabile. E, inevitabilmente, questo viaggio narrativo nella Messina di adesso e di 10, 15, 20 anni fa ha risvegliato in me ricordi. 

A Torino appartengo a una vastissima tribù, quella dei nati al nord da genitori del sud. I miei arrivano dalla provincia di Palermo. Quelli di Mary, la mia migliore amica, dalla provincia di Messina. 

Io sono quel tipo di persona che viene insultata dai piemontesi che, pensando di farmi un complimento, dicono: “Non sembri per niente del sud”. E questo è molto insultante. E da quelli del Sud che ci tengo a farmi notare critici che “Non sembri per niente del Sud”. L’Italia si unisce in questa necessità di dare opinioni non richieste, ancor più se sono opinioni spiacevoli. Che meraviglia. 

Comunque Mary era la donna del sud per eccellenza: pelle scura, fianchi generosi (il suo più grande cruccio, ogni estate, nei camerini dei negozi del centro), tutta la famiglia ancora a Gioiosa Marea. Famiglia che visitava rigorosamente almeno una volta l’anno. Io, invece, la mia l’ho sempre avuta tutta al nord e in Sicilia ci sono stata una manciata di volte, nel paese dei miei solo una. 

Mary ed io ci siamo conosciute al liceo. Vicine di banco per caso. Riconosciute nelle somiglianze, unite nelle differenze. Nord, Sud, pragmatismo, spiritualità, un misto di esperienze comuni, anni trascorsi, racconti reciproci. 

Addio Fantasmi parla di quella parte di Sicilia che per me appartiene a Mary e alla sua famiglia. Addio Fantasmi parla di perdite e lutti. E Mary io l’ho persa, e con me gli altri, ormai 8 anni fa. E così in piedi in cucina, con le cuffie e il libro nelle orecchie, mi sono sentita a casa, riconosciuta nel dolore e nella mancanza. Ospite in un luogo sconosciuto ma caro. Persa tra quella nostalgia e quella speranza, che non risparmiano nessuno neanche quelli come me. Quelli che non credono ma sperano delle volte di sbagliarsi per avere un giorno la possibilità di un ultimo caffè, un’ultima condivisione.


“Per il mio bene”
. 
Raccontare la propria vita senza filtri. 

Ema Stokholma, per chi non la conoscesse, è una dj e un personaggio televisivo italo francese. Una ragazza altissima, piena di tatuaggi e dall’accento a dir poco inconfondibile. 
Fino a poco tempo fa, per me, era più che altro un’ex concorrente di Pechino Express per cui, onestamente, non provavo nessuna particolare simpatia. Poi, per caso, complice l’ultimo Salone del Libro di Torino, ho scoperto brandelli della sua storia e qualche giorno fa ho ascoltato il suo libro. 

So già cosa starà pensando qualcuno di voi: “Ecco, a questa raccomandata le hanno pubblicato un libro solo perché è già famosa”. Sicuramente l’essere una faccia nota avrà aiutato l’impresa, non ne dubito. Ma Ema Stokholma aveva una storia importante da raccontare e non si può dire altrettanto di molti autori, regolarmente pubblicati e unanimemente riconosciuti. 

Ema ha avuto un’infanzia da incubo, cresciuta da una madre violenta e instabile. Picchiata e umiliata regolarmente. Con un padre italiano che l’ha abbandonata ancora prima che nascesse. E un fratello vittima quanto lei, impegnato quindi, quanto lei, a sopravvivere un giorno dopo l’altro. 

Ema, che in realtà si chiama Morwenn, a 15 anni è scappata, ci aveva già provato più volte da bambina, ma finalmente da adolescente è riuscita nell’impresa. È scappata da colei che, nel libro, mai definisce madre ma sempre Mostro. Un paio di All Star, la fedele musica nelle orecchie e un treno per ricominciare. 

È arrivata in Italia, a Roma, è stata qualche giorno da Antonio, l’inutile padre, per poi iniziare una vita indipendente e senza freni. 
È stata per anni una ragazza in giro per l’Europa tra lavoretti, furti, rave e droga. 
Ha vissuto a lungo una vita confusa, drammatica, appassionata, instabile ma anche piena di legami e amici, destinati a diventare quella famiglia che non aveva avuto prima. 

Ora Ema sta meglio, è cresciuta, ha chiuso con le droghe, ha seppellito sua madre e ha ritrovato suo fratello. Una storia così però è destinata a lasciare dei segni e lei così continua il suo percorso, nel tentativo di guarire da tutte le ferite accumulate negli anni, trovare finalmente lo psicanalista giusto e, come le dice la sua amica Andrea (Andrea Delogu, credo), smettere di accontentarsi di essere una sopravvissuta. 

Ema ha scritto questo libro per raccontare la sua storia e quella di tutti i bambini maltrattati nell’indifferenza altrui. “Non fatevi i fatti vostri” chiede. E così leggere il suo libro o ascoltarlo, come nel mio caso, è quasi un dovere. 
Un dovere doloroso. All’inizio ho fatto fatica, le descrizioni delle violenze subite sono esplicite e fanno male allo stomaco. Ma se ce l’ha fatta una bimba di 7 anni a subirle e a sopravvivere, ce la possiamo fare pure noi ad ascoltarle. Perché se non si è fatto nulla per le vittime nel momento in cui erano tali, il minimo che si possa fare, in quanto essere umano degno di questo nome, è ascoltare con attenzione e rispetto il racconto dei loro dolori, per prenderne consapevolezza e, quando e se capiterà, non farci i fatti nostri. 

Lo stile è asciutto, la storia genuina e affilata. Il libro consigliatissimo. 

ps: l'audiolibro è letto dalla stessa Ema. Per me è un valore aggiunto.

Dopo "Big Magic" di Elizabeth Gilbert (https://bit.ly/3nVlsbc) continuo il mio percorso tra i libri dedicati alla creatività, alla vita creativa, al lavoro creativo, con "I veri artisti non fanno la fame" di Jeff Goins. 

Autore, blogger, imprenditore, praticamente la mia fonte d'ispirazione suprema in questo momento della vita. In tutta onestà, però, non ho trovato questo libro irresistibile. Utile, interessante ma, a tratti, un po' fiacco. Ad attirare davvero l'attenzione solo le parti che riguardano gli aneddoti degli artisti. Da Michelangelo fino ai musicisti di nicchia, Jeff Goins porta ad esempio una varietà di creativi, di successo o meno. 

La scrittura, lo ripeto, non è travolgente ma gli argomenti trattati sono fonte di grande ispirazione per chi, come me, vive, lavora, guadagna di creatività. 

In definitiva, consigliato ma non troppo.

I veri artisti non fanno la fame. 
Strategie senza tempo per prosperare nella nuova era creativa.
Autore Jeff Goins.
Antipodi Edizioni.


Io lo so che alcuni professori a scuola hanno fatto più danni dei lanzichenecchi. 
Io lo so che i programmi scolastici in alcune parti sono miopi, sordi e pure un po' rimbambiti. 
Io lo so ma questa non è una scusa. 

Supera i tuoi traumi liceali, apri la mente e leggi i classici della letteratura. 
Perchè c'è un motivo se i classici sono diventati tali. 
Non li amerai tutti allo stesso modo, ci mancherebbe, ma non potrai restare immune al fascino e all'innegabile qualità di alcuni scritti. 

I russi, i francesi, gli italiani. Pure Manzoni, sì, l'ho detto. Gli inglesi, li spagnoli e poi salpa oltre oceano e anche verso oriente. La letteratura mondiale(!) di tutti i tempi è una ricchezza da godere! 

Leggi le novità del momento, non ti sto suggerendo di chiuderti in una torre d'avorio e pagine ingiallite, ma leggi i classici, un po' per volta, di epoche e luoghi diversi. Che regalo ti farai!

"Ma sti tipi bassetti con i piedoni ti paiono proprio una buona idea?" 
Non escludo che avrei detto questo a Tolkien se mi fossi trovata in mezzo agli Inklings. 

Mi vedo così, unica donna, elegantissima come si usava all'epoca, in mezzo alla crème della letteratura inglese, a sparare scemenze per far la spiritosa. A combattere l'ansia da prestazione con la stupidera. 

Gli Inklings si ritrovavano ogni settimana presso il Pub Eagle and Child ad Oxford, in St Giles Street. Pub che ora espone orgoglioso una targa commemorativa su cui si regge tutto il suo marketing. Scelta condivisibile. 

Quello degli Inklings, era un gruppo di autori, accademici e no, che – dall’inizio degli anni ’30 fino al 1949 – si incontrò per leggersi vicendevolmente cosa stavano scrivendo in quel periodo, per confrontarsi, per darsi consigli. Io m'immagino discorsi del tipo "Che ne dite di un leone parlante?” “Ma sei serio?” 

Insomma un laboratorio di scrittura per inarrivabili geni che stavano facendo la storia della letteratura tutte e del fantasy, in particolare, tra alcol e tabacco. Che invidia. 

Il più noto del gruppo era Tolkien, accanto a lui C.S. Lewis, poi a seguire Charles Williams e molti altri ancora. Trovi l’elenco completo qui https://en.wikipedia.org/wiki/The_Inklings. 

In quegli anni, tra quelle sale e quelle menti, videro la luce opere come Il Signore degli Anelli e la saga delle Cronache di Narnia. E noi ancora ne godiamo, a spiare la meraviglia della creazione con i nasi attaccati ai vetri delle finestre di quel pub di Oxford.

Io, abituata a sentirmi sempre dire "No, sei troppo piccola!" da una madre un po' severa e parecchio apprensiva, ricordo perfettamente il primo di una serie di rari sì. 

Avvenne quando, più o meno a 4 anni, di fronte al mio indice ossuto che indicava la libreria, la mia mamma non negò come sempre ma sorprendentemente prese un volume colorato e me lo mise tra le braccia. 
Era uno dei Quindici, l'enciclopedia per bambini, il mio primo amore. 

Sarà per quello che amo tanto i libri, perché rappresentano per me il primo brivido d'indipendenza, la prima fuga dal nido, il primo passo verso l'età adulta e i suoi misteri.

Cos'è Goodreads? 
Un sito dove tenere conto dei libri letti, leggere recensioni e prendere ispirazione dalle letture altrui. Insomma, un Social per topi di biblioteca. Categoria a cui mi vanto di appartenere praticamente da sempre. 

Ogni inizio anno si può, volendo, indicare quanti libri si ha intenzione di leggere nei 365 giorni successivi. Un modo per sfidare se stessi, per stimolarsi, darsi un obiettivo. 

Io quest'anno l'ho fatto. Sono stata ambiziosa. Troppo. Probabilmente non raggiungerò l'obiettivo. 
Poco male, dirai tu. Ecco. E lo stesso che direi anch'io. Goodreads però non pare essere d'accordo e, colto da un'ansia da prestazione per interposta persona, con l'avvicinarsi della fine dell'anno ha preso a mandarmi una serie di email moleste. 

Appena finisco una lettura mi scrive per spronarmi, "Hai finito di leggere X e ora cosa leggerai? Eh eh eh?". Ho chiuso un libro e 5 secondi dopo attacca alla giugulare. "Ora che vuoi leggere? Eh? Ti suggerisco qualcosa?" 
Good, sto andando a dormire, ci penso domani. 
Good, sono sul water, potrei occuparmi della faccenda più in là? 
Good, se continui a stressarmi così, do fuoco alla libreria. 

"Ehi Jane, sei un po' indietro con le letture, ti lascio a seguire un elenco di libri sotto le 300 pagine. Leggendo questi, vedrai che raggiungerai l'obiettivo annuale, io credo in te" 
Grazie, Good, sono commossa, la tua stima e il tuo affetto mi rinfrancano ma no, tutta la produzione di Baricco, anche no. 

"Ehi Jane, con questo ritmo rischi di non raggiungere l'obiettivo finale, perché non inserisci nell'elenco delle letture fatte nel 2020, qualche libro degli anni passati? Eh, dai valgono comunque!" 
Ma Good, tesò, mi stai suggerendo di barare? 

Viviamo in un mondo malato dove ci prefiggiamo obiettivi inutili da raggiungere ad ogni costo. 

Ah il piacere della lettura!


Sante Altizio è un giornalista, blogger, bookpostino torinese. L'ho conosciuto un paio di anni fa e seguo i suoi progetti sempre volentieri. La sua ultima novità? Un libro uscito a fine luglio dove vengono raccolti i suoi post, pensieri e interviste prodotti durante i lunghi giorni di lock down.

Trovate qui il mio articolo uscito su TorinOggi...


Torna l'attesissimo (lo stavate attendendo tantissimo, nevvero?) appuntamento mensile con i miei consigli su cosa fare e vedere. E, per questa volta, anche sentire.

Cominciamo col botto, con il canale di YouTube di David Lynch. Sì, proprio quel David Lynch. Il regista. Il genio. Il visionario.
E che si è inventato il nostro pazzo pazzo David? I Weather Report. Le previsioni del tempo. Fatte da quello che sembra quasi un bunker, commentando nuvole e temperature.
"Diane, undici e trenta di mattina del 24 febbraio. Sono quasi arrivato a Twin Peaks, cinque miglia a sud della frontiera canadese, due miglia ad ovest dei confini dello stato. Non avevo mai visto tanti alberi in tutta la mia vita. Come direbbe W. C. Fields, è meglio stare qui che a Philadelphia. Temperatura 12°, cielo leggermente nuvoloso. Il meteorologo ha previsto pioggia. Se si potesse guadagnare tutti quei soldi per sbagliare il 60% delle volte sarebbe un bel lavorare", diceva all'inizio di Twin Peaks l'agente Cooper.
Tutto torna, pazzo pazzo David.
https://www.youtube.com/channel/UCDLD_zxiuyh1IMasq9nbjrA.

Mi avete seguito quando ho parlato del Salone del Libro qui, qui, qui e pure qui? No? Certo che, ogni tanto, potreste pure darmela una soddisfazione!
Comunque, sul sito ufficiale del Salone sono disponibili tutti gli incontri di questa specialissima edizione streaming appena trascorsa. Andate a curiosare e divertitevi!
https://www.salonelibro.it/ita/salto-extra-replay.
http://www.radiocole.it/2020/05/pancrazia-al-salone-si-comincia.html.
http://www.radiocole.it/2020/05/pancrazia-al-salone-il-principe-tigre.html.
http://www.radiocole.it/2020/05/pancrazia-al-salone-lautore-invisibile.html.
http://www.radiocole.it/2020/05/pancrazia-al-salone-il-gran-finale.html.

Vi piace il cinema? Ogni domenica pomeriggio sulla pagina de Il Morandazzo c'è un appuntamento imperdibile: Il buono, il brutto il cattivo. Alle 17, Massimo Pica (il Morandazzo) e Federico Basso parlano di film belli (il buono), brutti (il brutto, of course) e imperdibili (il cattivo!). Tanto cinema e parecchia simpatia. Sarò anche di parte, essendo strettamente imparentata con il Morandazzo, ma per me questo è diventato un appuntamento irrinunciabile.
https://www.facebook.com/ilmorandazzo/.

Da qualche mese ho una nuova passione: i podcast. Un mezzo di comunicazione e diffusione della cultura che ho imparato ad amare e spero, presumibilmente dal prossimo autunno, anche ad utilizzare personalmente (spoiler!). Le proposte sono infinite ma il mio preferito per ora è Pilota, di Alice Alessandri, Alice Cucchetti e Andrea Di Lecce. Tutto dedicato alle serie tv. Una manna per quelli malati come me.
https://www.querty.it/show/pilota/.

E, come sempre, concludo con l'EVENTO dell'ANNO! Vabbè magari anche un po' meno. Più onestamente: il mio progetto dell'anno. Il Laboratorio Condiviso di Scrittura. Un esercizio ogni due settimane. Può partecipare chiunque. Si può partecipare quando si vuole e quante volte si vuole. È completamente, assolutamente, meravigliosamente gratuito. In questi giorni è in ballo l'undicesimo esercizio, scrivete, bella gente, scrivete!
http://www.radiocole.it/2020/06/undicesimo-esercizio-scrittura-tempo.html


Nicola Lagioia e Marco Pautasso ieri hanno condotto l'ultima giornata del Salone. Un gran finale come un varietà, che ha visto musicisti, scrittori, giornalisti e attori alternarsi.

Quello di quest'anno è stato un "Salone virtuale," ha detto Lagioia, "che non si sostituisce a quello fisico ma che è stato in grado di raggiungere e appassionare anche chi al Salone, quello vero, non ci era mai stato, o per collocazione geografica o per problemi di salute o di lavoro".

Il Gran Finale è stato una carrellata infinita di personaggi della cultura e dell'arte. I torinesi direttamente sul palco sotto l'iconica torre di libri di François Confino – da anni simbolo della manifestazione – tra questi: Fabrizio Bosso, Levante, i Perturbazione e l'immancabile Baricco. I non indigeni, invece, collegati da casa loro, come Francesco Bianconi, Carlo Rovelli, Zerocalcare, Jasmine Trinca e Roberto Saviano.

Bravi eh, per carità, ma una spanna sopra tutti: Arturo Brachetti, che ha raccontato il Piccolo Principe attraverso l'arte del disegno con la sabbia. Sì, sa fare anche questo Brachetti.
Quanto ci fai sentire inadeguati, Artù!

Infine, Nicola Lagioia, prima di salutare e ringraziare tutti ha voluto suggerire a noi spettatori/lettori “Visto che per vedere tutto questo po' po' di roba non avete dovuto pagare il biglietto, andate a comprarvi un libro, per dare una mano a una filiera che è, al tempo stesso, preziosa e molto fragile”.
E ha ragione, non dimentichiamolo.

Il Salone del Libro si è concluso. Questa mia maratona sul blog, anche.
Viva il Salone del Libro! E viva me! 
Troppo?
Ok, viva il Salone del Libro e basta!

Vent'anni fa, Ilide Carmignani andò da Ernesto Ferrero – allora direttore del Salone – chiedendo uno spazio per i traduttori. L'idea piacque, si partì con una tavola rotonda che poi, negli anni, crebbe, diventando un'importante sezione del Salone stesso. Il nome della sezione? L'azzeccatissimo L'autore invisibile. 

"Il 20% dei libri stampati in Italia sono traduzioni" dice Nicola Lagioia – direttore attuale del Salone. "In realtà, se si eliminano scolastica e saggistica, la percentuale sale di parecchio", specifica la Carmignani. Numeri simili riguardano tutta l'editoria europea, notoriamente tra le più aperte, curiose e cosmopolite. Del resto, giratevi un attimo, alzate lo sguardo, eccola là, la vostra libreria, quanti libri di autori non italiani ci sono? Ecco, appunto. Quanto è importante ma sottovalutato il valore del traduttore?

Quest'anno per festeggiare l'anniversario de L'autore invisibile, a partecipare a questo Salone sui generis, è stata chiamata Anita Raja, traduttrice di numerose autrici di lingua tedesca, tra cui le più note sono sicuramente Christa Wolf e Frida Petzenbaum.

"Non sono una traduttrice professionista," ci tiene subito a precisare Anita Raja, "perché questa attività è sempre stata collaterale. Lo faccio da più di 30 anni ma, non essendo ciò che mi dà da vivere, ho sempre avuto il vantaggio di poter scegliere e di fare questa attività solo per piacere".

"La traduzione è il rapporto tar due lingue e due scritture. Un rapporto non paritario. Chi traduce subisce l’autorità e la fascinazione di un testo di partenza – se l’autore è un grande autore – e offre il proprio linguaggio con amore, con passione, con ammirazione."

"Piegarsi alle necessità del testo di partenza, forzare la propria più modesta capacità di linguaggio per essere all’altezza dell’originale. La traduzione è un'opera di riscrittura che ha la prerogativa dell’ospitalità e l’obbligo di reinventare ogni volta uno spazio linguistico adeguato ai bisogni del testo originale. Tradurre non è trascrivere ma riscrivere, non in modo libero ma comunque inventivo. Trovare, escogitare il modo migliore per ospitare l’originale."

"Il testo ci domina, ci tiene stretti nella sua rete già come lettori. Quando leggiamo un testo che amiamo è difficile capire dove finiamo noi, dove comincia il personaggio, dove ci pieghiamo alle intenzioni dell’autrice/autore, dove inseriamo le nostre intenzioni. Tradurre significa accettare quella disparità, che quella parola è più potente della nostra, vedere con chiarezza la rete del testo, farsene lucidamente intrappolare. Dal riconoscimento della disparità muove la domanda che dovrebbe assillare chiunque traduca: quanto sarò capace di trasportare nella mia lingua della sua parola?"

"Alle opere di grande valore letterario ogni veste in un’altra lingua va stretta. Ogni lettura, ogni traduzione porta i segni della parzialità storica. Il testo di arrivo non è mai definitivo e sempre perfettibile. Il testo originale sprigionerà in futuro significati che ora non vediamo o che appanneranno ciò che ci è sembrato di vedere. Forse dobbiamo concludere che la ricchezza, la plurivocità del testo originale non si riproduce in una sola traduzione ma in un insieme di traduzioni, quelle precedenti e quelle che seguiranno, ed è bene, è bello che sia così", conclude Anita Raja in un intervento appassionato e ricco.

Nota a margine dovuta. Vi state chiedendo chi sia Anita Raja? Il nome vi suona molto famigliare? Se siete appassionati di letteratura, gossip e misteri l'avrete già riconosciuta, altrimenti ve lo dico io. Anita Raja è la sospettata numero 1. Uno dei nomi più tirati in ballo in quanto possibile vera identità di Elena Ferrante. Sarà davvero lei? Ovviamente io non è ho la più pallida idea e, onestamente, poco m'interessa. Ma, in quanto ad amore per le parole e capacità di racconto, direi che questo suo intervento testimonia un innegabile talento. Che l'abbia usato vestendo panni diversi e raccontando amiche geniali? Bah, non lo sapremo mai o forse sì.

La letteratura per l'infanzia è patrimonio dell'umanità. Pur cambiata ed edulcorata negli ultimi anni (perché altrimenti i bambini s'impressionano) rimane una forma d'arte, comunicazione e racconto d'incredibile potenza. Da piccolina mi sono nutrita di favole a colazione, pranzo e cena. Quelle classiche ma anche e, soprattutto, quelle meno conosciute da noi, provenienti dai quattro angoli del globo. Qualcuna tra queste non passerebbe la "censura" attuale forse, censura dei genitori mica degli editori, ma i miei, ringraziando il cielo, sono di un'altra generazione e non hanno mai temuto che fossi troppo impressionabile.

I bambini e i loro libri hanno sempre avuto una grande importanza e un grande spazio all'interno del Salone ed è per questo che ieri, dovendo scegliere un evento da seguire, non ho avuto dubbio alcuno: Abbracci di parole e figure. Una chiacchierata tra Eros Miari – esperto di libri per ragazzi e promozione della lettura – e Bernard Friot, intervallata dagli interventi di Huck Scarry e Chen Jiang Hong.

"Ai bambini sono mancati gli abbracci degli amici" inizia Miari. "Per questo motivo abbiamo invitato persone che abbracciano i bambini con le loro storie e con le loro illustrazioni".

L'autore francese Berbard Friot, se non ci fosse stata l'emergenza, in questi giorni sarebbe stato al Lingotto a leggere le poesie di Gianni Rodari. E, così, in diretta da Bordeaux recita

“Ho visto una formica
 in un giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.
Tutto cambia:
le nuvole, le favole, le persone …
La formica si fa generosa …
È una rivoluzione.”

Parole del poeta romano che ben si sposano con la speranza di questi giorni, in cui la gente si abbraccia senza potersi abbracciare.

Tra gli ultimi libri di Friot pubblicati in Italia ci sono Storie di calzini e di altri oggetti chiacchieroni, edito da Il Castoro; Un anno di poesia, edito da Lapis; e Il fiore del signor Moggi edito da Fatatrac. L'ultimo, tra l'altro, è il primo libro che l'autore ha scritto direttamente in italiano. "Hai meno parole a disposizione quando scrivi in una lingua non tua" spiega Friot. "Quindi devi trovare il modo di dire il più possibile con meno. Una situazione che conosce anche il bambino. Una limitazione che aiuta a concentrare la narrazione".

Il primo ospite dell'evento è Huck Scarry, illustratore statunitense, unico figlio del famosissimo Richard McClure Scarry. E proprio in onore di cotanto padre, Huck regala al Salone 10 minuti di pura delizia con un tutorial per i bambini, in modo che imparino a costruire a casa, con pochi oggetti, un proprio Zigo-Zago personale. Impossibile non amare lui, il padre e il vermetto con il cappello da tirolese!

Infine, la scena la ruba l'affascinante autore cinese Chen Jiang Hong in diretta da Parigi, che parla direttamente ai bambini, mandandogli saluti, affetto, chiedendo loro di proteggersi e sopravvivere. Poi, dopo aver mostrato le sue splendide illustrazioni, legge un brano tratto dal suo libro Il Principe Tigre, edito da Babalibri. Una storia cupa e bellissima, che parla di dolore, vendetta e morte. Ma dopo il buio ci sarà sicuramente la luce. Una storia come quelle che leggevo io, insomma. E, infatti, alla fine ho gli occhi lucidi davanti allo schermo, e una gran voglia di comprarmi una copia del libro, e chi se ne frega se l'età consigliata è 5 anni!

Sono stati tutti splendidi interventi, artisti dalla capacità infinita e il cuore grande. Tutti distanti sono stati capaci, con gli adulti ma soprattutto con i bambini che seguivano in diretta, di creare un momento di unione e collettività. Anche questa volta mi tocca dire: grazie Salone!


Da torinese appassionata di lettura ho un rapporto antico e stretto con il Salone Internazionale del Libro. Al Salone ho consumato scarpe e prosciugato conti, al Salone ho fatto incontri e ascoltato voci. 

Quest'anno, per ovvie ragioni, il Salone non ci sarà, o meglio, non ci sarà nella sua forma classica. Il Lingotto viene sostituito dalla rete e le lunghe camminate tra i corridoi – colmi al tempo stesso di libri e aria viziata –  da video in diretta. Una magra consolazione ma anche un'opportunità. Io, tra l'altro, un Salone così l'ho già vissuto quando, qualche anno fa, una tendenite bastarda e recidivante (chi mi conosce se ne ricorda bene!) mi costrinse a casa, legata alla scrivania, ad abbeverarmi assetata alla fonte di qualsiasi materiale video messo a disposizione online all'epoca. Un'esperienza, per la cronaca, molto più piacevole, ricca e istruttiva di quanto avessi mai potuto preventivare. Ciò detto e ciò sperimentato, questo Salto Extra 2020 – questa la denominazione ufficiale – non mi spaventa affatto, anzi le mie aspettative sono alte e spero solo che non vengano deluse.

L'evento è stato aperto ieri dalla lectio magistralis dello storico Alessandro Barbero. Il Professore, da solo, al centro di un Museo del Cinema, evocativo come sempre e più di sempre, ha raccontato l'umanità attraverso le catastrofi, la capacità insita nell'uomo di risorgere dalle crisi e "di dare forma di opportunità alle conseguenze inaspettate che nei secoli si sono presentate".

"Durante il secondo secolo dopo Cristo, l'Impero Romano viene colpito dalla cosiddetta peste Antonina," spiega Barbero, "che peste non era ma, più probabilmente, una pandemia di morbillo o vaiolo". Dato l'elevato numero dei decessi, l'Impero stesso, per la prima volta, si rende conto dell’"importanza del capitale umano", non della vita umana in quanto tale – un concetto decisamente successivo – ma dell'utilità degli uomini in quanto preziosa manodopera. "Per ovviare al calo demografico vengono aperte le frontiere, si fanno entrare gli immigrati, i barbari desiderosi di integrarsi, ospitati in vere e proprie strutture di accoglienza. E, da quel momento, ciò diventa uno dei punti di forza dell’Impero".

"Risale al 1348, invece, la grande epidemia di peste in Europa, quella che racconta anche Boccaccio nel Decameron". Un'epidemia che colpisce una società ricca ma complessa e che, con un tasso di mortalità altissimo, falcidia la popolazione. "Nel 1361 la peste torna e poi ogni 10 e 15 anni, generazioni e generazioni vivono con la consapevolezza che entro pochi anni ci sarà un’epidemia". Ed è in quel periodo che s’inventano gli stessi meccanismi che stiamo utilizzando noi. Ogni caso di peste viene segnalato. Si chiudono le città, non si fanno attraccare le navi, i malati vengono chiusi in casa. Questi provvedimenti non guariscono dalla malattia, ovviamente, ma servono a limitarne la diffusione e a renderla meno devastante ogni volta che si ripresenta.
Per quanto riguarda le conseguenze inaspettate, la drastica diminuzione demografica rende i lavoratori una merce preziosa e i salari, per la prima volta, salgono. La povera gente ha finalmente qualche soldo in tasca e così "prosperano le città dove si è capito che bisogna produrre panni a buon mercato, perché c’è una moltitudine di persone semplici pronta a spendere".

Ma non sono solo le epidemie a stravolgere la società, ci pensano anche le guerre. Terribile fu il secondo conflitto mondiale e la perdita di vite umane che si portò dietro. Ma l'Italia seppe rinascere inaspettatamente dopo il doppio giogo di regime e guerra. A tal proposito, Gaetano Salvemini, esule dal 1925, dal delitto Matteotti. Dopo aver insegnato ad Harvard, una volta andato in pensione, torna in Italia nel 1949.  Esterrefatto e felice vede gli italiani al lavoro, "un formicaio più rapido a costruire di quanto siano stati gli altri a distruggere". Un paese destinato a riprendersi con una rapidità che nessuno avrebbe mai sospettato. Pronto per un futuro di benessere e progresso.

È questa, lo dice Barbero e lo dico pure io, la stessa speranza che tutti abbiamo in cuore per l'Italia e per il mondo di oggi, una volta che l'emergenza lascerà il posto a un nuovo inizio.

Il Salone Internazionale del Libro è tornato, signori e signore, e come sempre ha qualcosa da insegnarci.


Nuovo mese, nuovi consigli su cose da fare e vedere. Un altro mese che, per ora, si prospetta in quarantena e quindi, anche questa volta, i consigli saranno concentrati su cose da fare e vedere comodamente da casa propria.

Cominciamo con l'English National Ballet che su You Tube propone una serie di lezioni adatte a tutti, anche alle cronicamente incriccate come me. Lezioni tenute ninetepopodimeno che da Tamara Rojo. Chi??? La prima ballerina nonché direttrice artistica dell'ENB. Oooooooooooohhhh.
I video vanno dal riscaldamento alla sbarra e possono farci sentire tutti leggiadri come cigni o, per lo meno, come gli ippopotami in tutù di Fantasia.
www.youtube.com/user/enballet/videos.

Sempre per tenervi in forma anche tra le quattro mura domestiche: Fisico da Covid. L'appuntamento giornaliero, da lunedì al sabato alle ore 17, in diretta su Instagram, in contemporanea sui canali di Willwoosh, Scilla Guglielmo, e su quello di suo fratello maggiore, Scilla Gabriele, che, in quarantena con la nonna, esibisce il suo fisico da stuntman e propone esercizi divertentissimi, dimostrando che simpatia e stupidera sono un tratto comune della sua famiglia.
www.instagram.com/super_scilla_bros.

Ancora su Instagram potete trovare l'attore britannico Patrick Stewart, mitico Picard e socio onorario della Royal Shakespeare Company, che legge un sonetto del bardo al giorno. Forte dei suoi cinquant'anni di carriera teatrale ci regala nettare prezioso per la testa e per l'anima. Io già lo amavo quand'era capitano della nave stellare ora, con quest'idea, lo venero.
www.instagram.com/sirpatstew.

Se non vi basta ascoltare le parole di Shakespeare e necessitate disperatamente di nuovi libri da leggere, la casa editrice torinese Las Vegas offre un ebook gratis al giorno fino a domani, 3 aprile. Stile moderno, autori nuovi, la più pop delle case editrici sotto la Mole si mette in gioco con generosità.
www.lasvegasedizioni.com/ebook-gratis.

Sempre in tema di libri e di Torino, la mitica libreria Therese, realtà indipendente e creativa a cui sono affezionata da tempi non sospetti, ha avuto un'idea splendida: #chiamamitherese.
I distributori sono fermi ma la libreria è ancora piena di volumi che vi possono essere consegnati, in Torino. Come sceglierli?  Con #chiamamitherese appunto. Ogni mercoledì dalle 15 alle 18, Sara (libraia bionda dei nostri sogni) torna in libreria per videochiamarvi/ci. "Per prenotare il vostro appuntamento scrivete una mail a info@libreriatherese con oggetto #chiamamitherese indicando il vostro nome, numero di telefono e – indicativamente – di cosa avreste bisogno. Così nel frattempo facciamo mente locale". Quando il mestiere vero del libraio non si ferma davanti a nulla.

Lasciamo Torino e allarghiamoci all'Europa con Emma, un fantastico progetto che ho scoperto da poco e che adoro. Una piattaforma con numerose lezioni universitarie, dagli atenei di tutto il continente, fruibili per tutti, gratuite e in diverse lingue (italiano compreso). Se avete sete di conoscenza abbeveratevi fino alla ciucca. E, seriamente, preparatevi per il futuro che ci attende: sarà dura? Sì. Ci saranno nuove opportunità? Potrebbe darsi. Volete farvi trovare impreparati? No, e allora studiate!
platform.europeanmoocs.eu.

E, come sempre, concludo questa rubrica, con uno spottone personale. Pubblicizzando, senza vergogna alcuna, due miei progetti di cui potete godere da casa.

Il primo ormai lo conoscete a memoria, si tratta del Laboratorio Condiviso di Scrittura. Gratis e per Tutti. Siamo giunti al sesto esercizio e avete tempo fino a domenica alle 12 per svolgerlo.
www.radiocole.it/2020/03/sesto-esercizio-partiamo-dalla-fine.html.

Infine se avete già letto Guerra e Pace, se non avete ancora letto Guerra e Pace, se volete leggere Guerra e Pace, se non avete alcuna intenzione di leggere Guerra e Pace, qualunque sia la vostra situazione, seguitemi su Instagram con le mie stories pseudoserie in cui racconto, in tempo reale, pagina dopo pagina, la mia avventura nell'opera di Tolstoj ai tempi della quarantena. Giuro di pettinarmi prima di ogni stories.
www.instagram.com/jane_pancrazia/.


Ognuno di noi ha piccoli progetti, piccole sfide, cose che amerebbe fare ma che, per un motivo o per un altro, tende a rimandare, con la scusa della mancanza di tempo, di opportunità o dell'adeguata congiunzione astrale.

Io, ovviamente, non faccio eccezione e, in particolare, conservo accuratamente nel mio capiente cassetto del "vorerei ma non posso" diverse letture impegnative che mi spaventano e che quindi ho sempre rimandato a data da destinarsi.

Data che, però, con il sopraggiungere della quarantena, sembra finalmente essere arrivata e, con essa, il momento del "non ci sono più scuse". Ed è dunque questo il momento in cui, finalmente, mi sono decisa a cominciare a leggere l'imponente: Guerra e Pace di Tolstoj.

Ma visto che i progetti faraonici non vengono mai da soli ho, altresì deciso, di documentare questa mia avventura russa su Instagram con stories giornaliere in cui racconto impressioni, facezie, e personaggi interessanti. Quindi se volete vivere con me, per interposta persona, questo viaggio nella miglior letteratura russa di tutti i tempi, seguitemi su Instagram. Ne varrà la pena. Spero.
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