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Oggi ho scelto una citazione che non fa riferimento alla scrittura, è qualcosa di più ampio che riguarda le aspirazioni personali, la voglia di migliorarsi e quella di creare. O, almeno, è così che la vedo io.

Io sono quel tipo di persona in continua ricerca, personale e professionale. 

Spingersi, migliorare, volere fare di più, nuovi corsi, nuove lingue, ancora libri. Questo mi appartiene. E, onestamente, è una parte del mio carattere di cui vado molto fiera.

Ma questa citazione, sentita la settimana scorsa durante un incontro di biblioterapia (in futuro ve ne parlerò), mi ha ricordato la necessità di essere buona con me stessa, di godermi i risultati che ottengo, perché derivano dal mio impegno e dovrei esserne orgogliosa. 
Orgogliosa di quello che faccio e di quello che sono, degli obiettivi raggiunti, della cura che ogni giorno dedico al mio giardino. 

Faccio il meglio che posso e dovrei ricordarmi più spesso che dovrebbe essere abbastanza. Abbastanza per me, per il mio giudizio, che è il più importante.

A seguire il testo da cui è tratta la citazione della psicoanalista Marina Valcarenghi.

"Esiste dunque un giardino per ognuno di noi che ci viene consegnato quando veniamo al mondo. 

A mano a mano che diventiamo grandi impariamo a conoscerlo: non abbiamo deciso quanto è grande, né se sia o no bene esposto al sole, se sia fertile o roccioso, arido o naturalmente bene irrigato e neppure sappiamo per quanto tempo ci sia dato di coltivarlo. 

Ma il compito principale di tutta la nostra esistenza è di farlo fiorire, di farlo essere al suo meglio.

Ognuno di noi farà quello che può mediando fra la natura del suo giardino e le sue aspirazioni: potranno crescere margherite o pomodori o orchidee; chi pianterà alberi d'alto fusto e chi rosai o lamponi: ciò che conta è il piacere di trasformare un terreno in un giardino e di riconoscere che quello 'è proprio il nostro giardino'. 

Per coltivare un terreno, bisogna saperlo difendere, recintarlo, sistemare un cancello, regolamentare le visite, escludere gli importuni, i perdigiorno e i violenti; è, questo, un diritto-dovere in assenza del quale nessuna coltivazione darà frutti." 
Un racconto nasce dalla testa dell'autore ma poi vive mille vite grazie ai lettori, alla loro immaginazione, alla sensibilità e alle personali esperienze pregresse. 

Un viaggio affascinante, fatto di mille percorsi diversi.

 

I racconti si trovano nel proprio passato. 
Ricordi, esperienze, chiacchiere intorno a un fuoco. 

Tutto resta dentro, macera, fermenta, si impasta nel fango e poi un giorno te lo ritrovi su un foglio, senza neanche averlo previsto.
Io vorrei svegliarmi la mattina e trovare Yoda seduto al tavolo del soggiorno.

Vorrei fare colazione con lui, inzuppando pan di stelle nel cappuccino e spalmando nutella sul pan carré.
Vorrei iniziare ogni giornata specchiandomi in quella faccetta verde da tartaruga con le orecchie a punta.
Vorrei che, a scadenze regolari, m'illuminasse il cammino con qualche preziosa indicazione, qualcosa tipo "Molto da scrivere ancora tu hai", oppure "Una raccolta di racconti fare dovrai".

Insomma, io vorrei avere un maestro Jedi.
Voi no?

"Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito."
(Se questo è un uomo, Primo Levi)
(1987)
Immagine tratta dal sito www.turismo.it
Quella sera, come ogni sera, l'IncontentabileLettore ordinò a Google di mostrargli qualcosa di nuovo da leggere.

Il motore di ricerca scandagliò la rete in lungo e in largo, ma tutti i webmaster e i blogger scappavano al suo arrivo, e si nascondevano temendo di subire le ire e l'insoddisfazione del perfido utente.
Google si stava rassegnando a dichiarare: "Nessun risultato trovato per i termini di ricerca", quando un nuovo inaspettato incontro, in un piccolo angolo della blogosfera, cambiò gli eventi.

Dovete sapere che quello stesso giorno una bellissima fanciulla, Pancrazàd, aveva aperto il proprio blog. Ella aveva una gran quantità di storie da raccontare. E anche leggende relative alle scuole elementari, l'Erasmus, gli ex fidanzati, e ancora, e ancora.
In realtà, la blogger non era del tutto sicura di saper scrivere, ma era certa di essere in grado di trasformare un evento banale in una grande avventura. L'aveva sempre fatto, fin da piccola. Codesto era forse il più prezioso tra i suoi doni.

Alla vista di Google Pancrazàd disse: "Perché Motore, Motore mio, ti vedo chino sotto il fardello dello sconforto? Sappi, o Motore, che le vere blogstar dicono -O tu che ti affliggi consolati! Niente dura: ogni commento svanisce, ogni flame si dimentica. La Rete dà, la Rete toglie.-"

Quando Google udì queste parole si sentì subito rinfrancato. E raccontò alla nuova blogger dell'IncontentabileLettore che ogni sera lo tormentava con le sue richieste irrealizzabili: racconti interessanti, post stimolanti, storie originali, e ancora, e ancora. Allora Pancrazàd gli disse: "Motore mio, presentami codesto utente e io lo affronterò con coraggio. Egli mi leggerà e mi amerà oppure, con il suo astio,  condannerà il mio blog all'eterno Under Construction"

Allora Google, ammirato da tanto ardore e felice di aver finalmente trovato qualcuno disposto a sacrificarsi, sollevò la scrivente fanciulla tra le proprie braccia e la recò in dono all'IncontentabileLettore.

"Risultato della ricerca: Radio Cole" apparve sullo schermo.
Ed il primo dei mille post cominciò ad essere letto.
E così ogni sera, un post alla volta, una sera alla volta.
E ancora, e ancora.

(NdA: questo era il millesimo)
Cavina è un autore che ama parlare di ciò che conosce. Lui ha frequentato l'ITIS e così ci parla di questo. Ce ne parla con personaggi tratteggiati da poche caratteristiche ma mai piatti. Ce ne parla con episodi forse non veri ma verosimili. Ce ne parla strappando più di un sorriso.

Ma Cavina non è solo questo. Non scrive solo di questo.
Quando pensi di aver inquadrato il genere, la storia, lo stile, lui aggiunge la poesia. Immagini che all'inizio appaiono solo ai bordi della pagina, cominciano a diffondersi a tradimento ad ogni riga.
E così tutto acquista un significato altro, anche la merda d'uccello.
Il sorriso si fa amaro e le dita sfogliano più velocemente. Gli occhi si incollano alle pagine. Le labbra bevono ogni storia, ogni quadro, ogni ritratto.

Come quello di Veroli Wanda, doloroso primo amore del protagonista. Lei, con il suo sguardo che trapassa, diventa il più crudele dei personaggi.
Algida. Spietata. Egoista. Come solo una ragazzina sa essere. Ma come nessuna crudele ragazzina è mai stata adeguatamente descritta. Lei non fa niente e dice ancora meno, ma nel suo distacco si coglie la cifra della vera cattiveria.

O quello di Mamma Creonti. Madre del protagonista che, dopo un libro intero in cui appare come una figura ritagliata da un foglio di carta velina, alla fine si trasforma in forza e sostanza. Si rivela essere consapevole ma protettiva, piegata dalla vita ma lungi dall'esserne spezzata.

Ad essere spezzata è invece la vicina di casa, abusata dal marito. Cavina ce la regala in un singolo episodio, intenta a salvare un giocattolo incastrato tra i rami di un albero. E non serve altro.

Parlavo al mio Big Jim come se fossi stato il capo della spedizione di soccorso mandata dietro le linee nemiche a recuperarlo.
Ero un tipo simpatico, allora. Mica andavo in una scuola seria.
Stavo proprio dicendo al mio Big Jim di tenere duro, quando la mia vicina mi si mise dietro e incominciò a darmi consigli su come disimpigliarlo.
Era divertente.
Sembrava facesse parte anche lei della spedizione di soccorso.
"Tieni duro, passo" diceva al Big Jim, come se parlasse alla ricetrasmittente.
Era una bella idea.
Mi stavo proprio divertendo un sacco.
Riuscimmo a tirarlo giù da quell'inferno di rami senza rompere il paracadute della festa.
E quando mi girai per ringraziarla, perché ero un capo spedizione severo ma giusto, che non tratta i suoi soldati come fossero, chennesò, uccellini da richiamo, vidi che aveva il labbro spaccato, sanguinava.
Tutto il vestito era pieno di sangue.
E aveva solo una ciabatta ai piedi.
Quella fu la cosa peggiore. Vedere che era scesa dall'ultimo piano con quel labbro spaccato senza accorgersi di avere una sola ciabatta.
Ce l'aveva al piede sinistro.
Scappai in casa.
Forse non avrei dovuto farlo, ma filai diritto in casa, al sicuro lontano dalle linee nemiche.
Guardai dalla finestra, prima di rimettere a posto il paracadute nel suo cassetto.
Era ancora là che fissava i rami dell'albero. Chissà cosa ci vedeva. Chissà chi c'era rimasto impigliato.
Non sarebbe mai riuscita a portarlo in salvo, con quell'unica ciabatta al piede.
Mai e poi mai.

Inutile Tentare Imprigionare Sogni è edito da Marcos y Marcos.

Io ve lo consiglio. Che abbiate fatto l'ITIS o no. Che siate stati studenti brillanti o no. Cavina vi racconterà se stesso e anche un po' di voi.
E io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete.
Quella dove uno va dallo psichiatra e dice: "Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina", e il dottore gli dice: "perché non lo interna?", e quello risponde: "e poi a me le uova chi me le fa?".

Be', credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi.
Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.

(Citazione tratta da "Io e Annie")
"La maggior parte della gente gioca felice alla giostra della discarica: risparmia e si sacrifica per comprare cose che poi butta via, risparmia e si sacrifica per comprarne altre."
"Second Hand", Michael Zadoorian.
Edizioni Marcos y Marcos.
"Dove credi di andare? Sei in mezzo al nulla"
"Allora mi aggrapperò al bordo di qualcosa" 
Driving lessons


"Baby, you are gonna miss that plane."
"I know."
Oggi è il terzo venerdì di gennaio e su SettePerUno è stata pubblicata la terza parte del mio racconto: 151°.

Una storia che parla di bambini, amore ed eroi. O, come disse colei che colse lo spirito perfettamente, de "il piccolo Pedro e certe dolcissime epiche imprese".

Leggete, cari, leggete.
Gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà.
Sciascia, ne "Il giorno della civetta", divideva impietosamente l'umanità in cinque categorie.


Che vergogna.
Africa che tutti ha fatto nascere, anche noi, sbiaditi dal tempo e dalla nebbia.
(letteredalucca.wordpress.com)

In una rete dove a dominare sono i social network, con la comunicazione stereotipata di facebook o quella creativa ed essenziale di twitter, sembra esserci sempre meno spazio ed attenzione per i blog. Troppo dispersivi. Troppo impegnativi. Troppo faticosi da leggere e da scrivere.

Poi però trovi un post di una penna felice e un'anima grande. Di una donna che mi onoro di conoscere, anche se solo attraverso la sua scrittura, e che spero un giorno di poter incontare per guardarci occhi negli occhi e raccontarci anche a voce.

Il giorno dopo la follia che è accaduta a Firenze Lucia ha scritto un post che è un gioiello e che vi farà comprendere perché lei "mi garba " così tanto.
A Firenze, il giorno dopo.
Una volta, quand'ero poco più di una bambina, mi piaceva il calcio.
Di quell'epoca ormai lontana ricordo con particolare affetto la Sampdoria, quella del bel Roberto Mancini, del riccio Gianluca Vialli e di "nonno" Cerezo.
Toninho Cerezo era un esuberante calciatore brasiliano, dall'età indefinita ed il sorriso contagioso.Tutti lo amavano e, qualunque fosse la personale squadra d'elezione, era impossibile rimanere indifferenti alla naturale simpatia di quella faccia da commedia.
Ieri, per caso, ho ritrovato il "nonno" alle Invasioni Barbariche ed ho scoperto che è rimasto uguale nel corpo e nello spirito. Gli occhi buoni ed il sorriso sincero sono gli stessi di un tempo e sono la perfetta espressione di un cuore grande e di una grande anima.

Toninho Cerezo ha una figlia. Una modella bellissima che si chiama Lea T. Una trans con gli occhi scuri e dolci del suo papà.

Lui le ha dedicato questa lettera:
“Non possiamo essere bravi in tutto e tu, Lea T. Cerezo, sai fare molto più che semplici palleggi.
Hai avuto il coraggio, con eleganza, di tentare di rompere i paradigmi e di mostrare al mondo che dobbiamo accettare le differenze, essere tolleranti con la diversità. Capire e non giudicare ciò che non conosciamo.
Il cammino può essere lungo ma sicuramente non sarà lo stesso senza di te.

Bambino o bambina, Leandro o Lea, non importa più. Sarò sempre tuo padre e tu, orgogliosamente, una parte di me”.

E' vero non si può essere bravi in tutto, ma il "nonno" ha dimostrato di non essere bravo solo a fare semplici palleggi. Toninho Cerezo è un meraviglioso Padre (sì, con la "p" maiuscola), a cui va almeno in parte il merito di aver cresciuto una persona in grado di lottare contro i feroci demoni che stanno dentro e quelli stupidi, ignoranti e cattivi che stanno fuori.

La "transizione" è una delle condizioni umane più complesse e dolorose. Non si riconosce il proprio corpo, ci si sente prigionieri della propria pelle, si è murati vivi dentro un estraneo. Può esistere davvero qualcosa di peggio?
La "transizione" è un lungo viaggio durante il quale si cerca l' equilibrio tra corpo e cervello. La destinazione finale può essere il cambiamento di sesso o l'accettazione di una condizione di mezzo, ma comunque l'unico vero obiettivo è semplicemente la serenità.

Coloro che guardano queste persone come fossero fenomeni da circo, coloro che le definiscono creature del maligno, coloro che le disprezzano alla luce del sole ma poi le cercano quando calano le tenebre, probabilmente non posseggono metà del loro coraggio, un quarto della loro forza, una punta della loro determinazione.

Provo da sempre pena per gli ipocriti bigotti e da ieri una grande incondizionata stima per Cerezo. Semplicemente: un Padre.

(Il video dell'intervista a Lea T. Cerezo lo trovate a questo indirizzo http://www.la7.it/invasionibarbariche/pvideo-stream?id=399092)
Ieri sera Giuliano Amato a "Che tempo che fa":
"Non ha proprio senso storico pensare ad una patria padana distinta dalla patria italiana in un mondo in cui la dimensione europea sarà una dimensione troppo piccola per aver voce.
Il giorno in cui ci sarà un tavolo con il Presidente degli Stati Uniti, quello della Cina, quello del Brasile, quello dell'India, noi ci mandiamo l'Atalanta???"

E' vero Giuliano Amato ha l'aria da sorcetto.
E' vero in passato ha fatto scelte che non condivido.
E' vero "ai tempi d'oro" stava culo e camicia con Craxi.
Ma, preso atto di tutto ciò, quant'è piacevole sentire un politico pacato che padroneggia la lingua italiana, i propri neuroni ed un senso dell'umorismo gustoso e non sguaiato?
Come si chiama questa cosa qua?
Ah sì! Quasi quasi non me la ricordavo più: Intelligenza.



"Il governo di Berlusconi dà nuovi fondi per le scuole private e cattoliche, in cambio ha un bonus per altri tre scandali e bestemmia libera fino al 2012."
Corrado Guzzanti, dalla puntata di "Vieni via con me" del 22 novembre 2010.

Alcuni libri vanno assaggiati,
altri divorati e alcuni, rari,
masticati e digeriti.

Francis Bacon.

Ero entrata in libreria solo per dare una rapida occhiata, ripromettendomi di tenere il portafogli ermeticamente chiuso.
I miei buoni propositi sono andati a farsi benedire nel momento in cui ho visto Lui.
Lui,  che qualcuno aveva gettato distrattamente su un tavolo.
Lui, che sembrava stesse lì ad aspettarmi.
Lui, il cui titolo mi occhieggiava malandrino e seducente dalla copertina.
Lui, "I berlinesi" di Sven Regener.

Come avrei potuto resistere ad un richiamo tanto sfacciato?
Come avrei potuto ignorare le insistenti sirene crucche?
Come avrei potuto non cadere vittima dell'Erasmus Nostalgia?
Ed infatti non ho resistito, non ho ignorato e ci sono caduta con tutte le scarpe.

Un libro ambientato nella Berlino degli anni '80: quella del muro, delle case occupate, dei punk e degli artisti. Una realtà folle ed irresistibile che viene descritta attraverso gli occhi di Frank, giovane in cerca del fratello maggiore ma soprattutto di se stesso. Un percoso compiuto tra fiumi di birra, personaggi sopra le righe e dialoghi assurdi. Un viaggio che, nonostante il finale sotto tono, vi consiglio di intraprendere.
Un libro per chi ama Berlino.
Un libro dove si può cogliere il clima sociale e culturale che, a distanza di molti anni e dopo lo stravolgimento politico, ancora caratterizza la città.
Un libro lieve, divertito e divertente.

Un libro libidinoso come una colazione da Berio (*) (**).
Un libro fresco come una birra al Pratergarten (*).
Un libro che ti sazia come una cena al Faustus  (*) di Kudamm.

"I berlinesi" di Sven Regener, edizioni Elliot.


(*) Qualcuno di voi è in partenza per Berlino? Questi sono tutti locali provati ed approvati da me. Prendete nota e poi fatemi sapere.
(**) Vi consiglio di ordinare una "Toronto", a mio insindacabile giudizio, la colazione più buona del mondo.
More powerful than a locomotive. Able to leap tall buildings in a single bound. Look! Up in the sky! It's a bird. It's a plane. It's Superman!

Guarda in alto nel cielo!
E' uno stormo di uccelli.
E' una pattuglia di aeroplani.
No, sono i Diavoli Rossi del Rugby Varese!

Campioni della Serie C territoriale 2009/2010...nonsosemispiego!

(Grazie ad Ale per la fantastica foto)
Tutti i bambini mitizzano la loro nascita. E' un tratto universale. Volete conoscere qualcuno? Mente, anima e cuore? Chiedetegli di raccontarvi quando è nato. Ciò che ne ricaverete non sarà la verità; sarà una storia. E niente è più rivelatore di una storia.
"La tredicesima storia", Diane Setterfield, Mondadori.

Era un freddo inverno torinese, freddo come solo un inverno sotto le Alpi può essere. Con l'aria che ti taglia la faccia, gli occhi che lacrimano, i cumuli di neve ai bordi delle strade e l'asfalto ghiacciato.
Una 500 arrancava con le ruote che slittavano ed il motore che rombava disperato ed eccessivo. Dentro due figure piccoline: una lunga e nervosa ed una tonda, dolorante, ma stoica.

In ospedale lei si unì alle giovani donne panciute che ancheggiavano per i corridoi, una mano su un fianco e l'altra sull'ombelico.
Alcune erano belle come madonne, altre solo molto stanche. Lei era lei.
Lui prese posto in sala d'attesa tra gli altri uomini, del resto il parto era una cosa da femmine.
Tra i futuri padri c'erano quelli euforici, quelli preoccupati, quelli emozionati e poi c'era lui. Lui era lui.

La sala travaglio era così affollata, tante facce e tante voci concitate che si accavallavano: "La signora ce la fa da sola? Non ce la fa?".
Ad un passo dal cesareo si decise per il parto naturale.

La bambina si presentò al mondo come altre decine, centinaia o forse migliaia di bambini allo stesso momento: con un pianto dirotto, acuto ed arrabbiato.
Furiosa e frustrata. Era stata cullata per 8 mesi in una placenta a foglia d'edera. Chissà come doveva essere stata scomoda.
Forse era stato quello il motivo ad indurla all'evasione, forse era per quello che, nonostante fosse ancora troppo piccola, si era tuffata a testa in giù verso la luce, senza pensare alle conseguenze.

La bambina lottò per giorni con le mani strette a pugno e gli occhietti cisposi. Giorni trascorsi dentro una scatola trasparente, mentre la sua famiglia l'osservava dall'esterno, come in un acquario.
Lei da una parte, gli altri da un'altra. Metafora e preludio di una sensazione che l'avrebbe accompagnata per sempre.

La bambina lottò grazie al cuore forte, il sangue della propria madre ed un carattere cocciuto.
La bambina lottò e vinse.

A febbraio la portarono a casa.
Finalmente c'erano tutti: la madre, il padre, la sorella maggiore, la piccolina e, sotto la culla, il cane a fare la guardia.
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