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Prima fu la televisione del dolore, dell'esibizione e dei ritorni dall'Argentina. Dalla Carrà alla De Filippi, passando per tutte le 50 sfumature del porno emotivo.
Poi arrivarono i social. E la televisione non fu più abbastanza.

Non siamo più, o almeno non siamo solo, spettatori dei sentimenti e sentimentalismi altrui, ma siamo diventati protagonisti. Non guardiamo più dal buco della serratura degli altri, ma apriamo le nostre stesse finestre affinché tutti sappiano.

Facebook ha ucciso il pudore.

No, non sto parlando delle scollature casualmente esibite. E neanche delle tartarughe appositamente definite. Parlo di quegli status in cui tutti, prima o poi, abbiamo urlato al mondo, vomitato in piazza, masturbato in bacheca il nostro amore, i nostri affetti, le nostre storie. Felici o meno che fossero.

Sì, ci siamo cascati o ci caschiamo tutti, prima o poi. Non assumete quell'aria di superiorità che non ci crede nessuno.
Certo, la distinzione tra gli esibizionisti patologici e quelli colti da un unico raro momento d'incoercibile condivisione spudorata esiste, eccome. Ma, nel caos del flusso continuo di una bacheca qualunque, ciò non ha importanza, l'impressione è che la gente non nasconda più nulla. O, meglio, non protegga più nulla.
Perché no, se non parlo dei fatti miei o, a maggior ragione, dei miei sentimenti non vuol dire che non ne abbia o che, orrore, me ne vergogni. Forse significa solo che desidero custodirli. Difenderli dagli sguardi e dalle parole altrui, dal giudizio di bocche affrettate, dalla curiosità superficiale dei molti. O semplicemente da tutto e da niente.

Perché le cose davvero care si conservano, si curano, non si esibiscono.
I bambini si stringono al petto. Gli amici si comprendono muti. Gli amori sono misteri insondabili agli occhi dei più, e tali dovrebbero rimanere.

Il pudore è delicato. La pornografia è volgare.
Ci caschiamo tutti. Ma qualcuno di più.
Da piccola sognavo di andare in radio, parlare dei fatti miei e mettere la musica che piaceva a me.
Sabato scorso questo sogno si è avverato.

Ho chiacchierato, riso, raccontato di me e ciò che faccio. Ho scelto le canzoni, fatto dediche, comunicato con gli amici-spettatori tramite facebook. Mi sono divertita un bel po'. Ma proprio un bel po'.

Ho completamente realizzato un mio sogno d'infanzia. Quanti possono dire lo stesso?
Tutto merito di Gianluca e Roberto. Villa e Tave. In onda ogni sabato alle 14 su Radio Nuclear con Tutto Disco. Ogni sabato. Anche oggi.
Un contenitore di chiacchiere, musica dance dagli anni '70 ad oggi, e due gran fighi!
Sono agli inizi, ci provano, si allenano, crescono, ogni tanto fanno casini, ma si divertono e non si prendono mai troppo sul serio. Io ve li consiglio.
Oggi vorrei raccontarvi del momento in cui la danza classica entrò nella mia vita.

Questa scintilla, questo pizzicore, questa necessità improvvisa di parlare di un così specifico momento è nata dalla visione di un video delizioso, disponibile a questo link.
Un video in cui si documenta un pomeriggio speciale, durante il quale dei leggiadri ballerini dell'English Youth Ballet hanno abbandonato per poche ore le tavole del palcoscenico, e portato la propria arte in un ospedale pediatrico. Un'idea meravigliosa che ha sbalordito e incantato i piccoli pazienti. Ci sono stati occhi spalancati e timide imitazioni. Una bambina con un cerchietto rosa tra i lunghi capelli scuri ha sollevato le braccia in una quinta posizione. Ed è stato a questo punto che io mi sono commossa, che ho ricordato quel pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa.

Avevo otto anni ed ero in vacanza in Sicilia. Avevo trascorso una notte insonne, vittima di uno spregiudicato mix di pizza e gelato. Sostavo, fiacca e verdognola, su una sedia in terrazzo.
Non era una bella giornata. Niente sole e una nausea che non mi faceva avvicinare neanche al pane secco.

"Vado a fare un giro in paese, vuoi qualcosa?" mi chiese mio padre.
"Un giornaletto" gli risposi io.
Tornò poco tempo dopo con il Corriere dei Piccoli o forse qualcos'altro. In realtà non me lo ricordo.
Ciò che ricordo chiaramente è che, tra le varie storie a fumetti, era presente anche quella di una ragazzina che studiava danza.
Aveva occhi grandi, gambe lunghe, e sottili capelli biondi. Era bellissima. La storia raccontata non mi colpii più di tanto ma quelle immagini mi stregarono. Mai avevo visto qualcosa di più elegante. La danzatrice era immobile sulla carta ma nella mia testa si muoveva leggera e forte. Fluida e sicura. Era musica ed era poesia.

Dimenticai la nausea, riacquistai il colore, e cominciai ad imitare quei fantastici disegni.
In punta di piedi, con il collo teso e la schiena dritta, mi muovevo per tutto il terrazzo.  Ero felice. Ricordo che mi sentivo felice. La felicità della scoperta e della bellezza. La stessa felicità che mi riempie il cuore ancora adesso quando incontro l'arte e il talento.

Ballai senza musica a lungo, poi corsi dai miei genitori:
"Quando torniamo a Torino posso fare danza classica?" chiesi in un sol fiato.
"No" mi ripose mia madre.
"E perché?"
"Perché finiresti per fare come tua sorella, che inizia una cosa ma poi l'abbandona. Sempre la stessa storia: tennis, pallavolo, pallacanestro. No, non se e parla proprio!"
Quella risposta mi suonò allora e mi suona ancora come un'epica fesseria.
Piansi. Ma i miei genitori furono irremovibili.

Fino a quando, un paio di mesi dopo, la mia maestra dell'elementari mi fece un magnifico inconsapevole regalo:
"Jane è una bambina molto intelligente, giudiziosa e ben voluta da tutti i suoi compagni, ma..."
"Ma cosa?" chiese mia madre allarmata.
"Ma dovrebbe fare più movimento, qualche sport. E' così rigida e gracilina."

Quella sera stessa a tavola mi chiesero: "Vuoi ancora fare danza classica?"
Ricordo lo stupore a la gioia di quel momento.
Ricordo il body blu elettrico, le scarpette bianche, e la piccola palestra con gli specchi.
Ricordo il tutù che mi veniva largo, i miei genitori seduti tra il pubblico, e i fiori che mi regalò mia zia alla fine del primo saggio.

Non ero un gran talento ma mi piaceva ballare e, a detta dell'insegnante, avevo dalla mia una certa eleganza e un ottimo senso del ritmo.

Purtroppo però quest'avventura nel mondo del balletto durò solo due miseri anni, di cui il secondo trascorso vittima del bullismo di un gruppo di ragazzine più grandi. Un gruppo di giovenche incapaci che passavano il tempo a prendere pesantemente in giro noi più piccole. Io mi difesi con le armi che possedevo: una gran testa dura e una lingua tagliente. L'anno dopo però mi arresi, ormai la danza non mi piaceva più, andare a lezione non era più divertente, era una guerra che mi ero scocciata di combattere. E così lasciai le scarpette e scelsi la pallavolo. Sport in cui, per la cronaca, sono sempre stata e sarò sempre una pippa clamorosa.

Non sarei mai diventata una danzatrice, non ho mai avuto neanche un quarto del talento necessario, ma rimpiango comunque l'interruzione così precoce del mio viaggio nella danza classica. Un'arte che ancora adesso mi affascina e commuove, la perfetta sintesi tra forza e leggerezza, anima e corpo.

Se volete vedere le divinità che scendono dall'Olimpo andate a vedere il balletto.
Certi bei momenti meritano di essere fermati per sempre. Sulla carta o sulla tastiera.
Dalla bacheca di facebook al blog.

"Mi è scaduta la carta postepay. Per il rinnovo devo fare la fila agli sportelli o posso chiedere a te, solerte amico del banco informazioni?"
"Nessuna fila: ci penso io!"
"Grazie"
"Figurati, noi della posta amiamo venire incontro alle esigenze dei nostri clienti"
"Che meraviglia!"
"Vuoi rinnovare questa postepay basic-puzzona o passare alla fantastica postepay figa-evolution?"
"E quale differenza ci sarebbe?"
"Un piccolo canone annuale in cambio di fantastici servizi cazzi-e-mazzi"
"Interessante, ma io di questi fantastici servizi cazzi-e-mazzi non saprei proprio che farmene. Credo che rinnoverò semplicemente la postepay basic-puzzona"
"Va bene. Biglietto e fila allo sportello. Il prossimo! "
Domani torno sul luogo del delitto. Torno davanti alla webcam che mi fa sembrare un gioioso cucciolo d'ippopotamo. Torno in radio. Radio Nuclear.

Domani parteciperò alla trasmissione di due amici: Villata e Tavella. Che è un po' come dire Batman e Robin, Ian Solo e Chewbecca, Birba e Gargamella. Ma non chiedetemi chi sia chi.
Posso solo dirvi che io, per un pomeriggio, sarò Batgirl, la principessa Leila, Puffetta. O, più realisticamente, sarò solo sobria come Joker, slanciata come un Ewok, e gradevole come Quattrocchi.

Non so cosa faremo, non so cosa farò, non so cosa faranno. L'unica certezza è che verrà messa in onda la mia playlist: dodici canzoni dance che spaziano dagli anni '70 ai giorni nostri.
Com'è nel mio stile di "Regina dell'Ansia da Prestazione", appena mi è stato chiesto di fare questa scaletta musicale, mi sono messa al lavoro manco ne dipendesse la pace nel mondo, la scomparsa della disoccupazione in Italia, o la scoperta del balsamo perfetto per i miei capelli. Ho ascoltato, ballato e selezionato come se non ci fosse un domani.

Ma un domani ci sarà. E, quindi, domani alle 14 collegatevi, guardate ed ascoltate!
Potrete godere della bellezza sfolgorante degli amichetti miei, sbertucciare i miei infruttuosi tentativi di non sembrare grassa e, soprattutto, sentire tanta buona musica.

Non mi credete? Si comincerà così:



E voi cosa avreste scelto al posto mio?
Potete spaziare. Uno o più titoli della musica dance, da quando è nata all'altro ieri. Ditemi, commentate, sculettate! Oggi si fa festa e domani di più!
Ve la faccio breve.
Avete presente quelle serate in cui il mondo ce l'ha con voi e voi ce l'avete col mondo? Quelle serate in cui chi vi dovrebbe volere bene mette in pratica tutto il proprio peggior repertorio per farvi sentire una cacca? Quelle serate in cui vorreste solo chiudervi in casa, staccare il telefono, e nascondervi sotto il piumone fino a data da destinarsi? Quelle serate in cui vi credete figa e poi scoprite di avere il rossetto sui denti?
Avete presente?
No?
Beati voi.

Io sì, c'ho presente, c'ho presente chiarissimamente.
Giovedì scorso è stata proprio una serata così.
Ma invece di tumularmi sotto il piumone, ho deciso che sarebbe stato meglio ridere. No, non una risata isterica da pazza. Proprio una risata vera. Più d'una possibilmente.

E per questo motivo, una settimana fa, carica dello spirito machisenefotteneanchequestomiabbatterà, sono andata a godere della seconda data live di Kotiomkin.

Uno spettacolo dove qualcuno ha fatto molto ridere, qualcuno ridere, e qualcuno insomma.
Dove la parte tecnica ha funzionato, i presentatori hanno dimostrato scioltezza, e i disturbatori hanno disturbato secondo uno schema divertente e riuscito.
Dove i battutari online si sono scatenati sulle attualissime 50 sfumature di grigio.
Dove gli Anonymous hanno presentato un commovente prediciottesimo, Morandazzo ha illuminato la platea con le sue cinematografiche perle di saggezza, e i Civatians hanno raccontato i drammi di una vita indecisa... o forse sì?... o forse no?

Il Kotiomkin live è una formula che funziona. A cavallo tra rete e palco, professionisti e amatori, cabaret e satira. Uno spettacolo che le diverse teste matte della nota pagina facebook stanno portando in tutta Italia. Che io sappia almeno: Milano, Roma, Genova e Torino.
Ah, ovviamente, le serate torinesi sono le migliori. E che ve lo dico a fare?

Il prossimo appuntamento sotto la Mole sarà il 5 marzo alle 21:30, al Colors, in via Sacchi 63.

E, visto che oggi mi sento particolarmente generosa, segnalo per i miei lettori romani, il KotiomkinTevere, stasera, ore 21:30, al TAG (Tevere Art Gallery) in via Passera 25.
E per i milanesi, sempre stasera, il Kotiomkin live alle 22, presso La Strada in via Patellani 4.

Buon divertimento a tutti! Fate come me: uscite da sotto i piumoni e andate a ridere ridere ridere!...prima però controllate il rossetto.
Io ho un nipote. Ha cinque anni. E lo invidio moltissimo.
Non gli invidio i grandi occhi neri, la leggerezza dell'età o l'innato carisma.
No. Gli invidio i nonni.
Io non ne ho più, ormai da molti anni. In realtà la vita è stata generosa con me. Me ne ha regalati addirittura cinque. Non mi sono fatta mancare nulla, ho avuto la nonna bisbetica e quella rudemente accogliente, il nonno protettivo e quello mitologico. Ho avuto perfino il nonno putativo.
Ma ho sempre avuto anche una marea di cugini con cui spartire questo tesoro. Che sia chiaro, i cugini sono un altro bel regalo dell'esistenza a cui non potrei mai rinunciare. Ma a PrincipeV invidio l'amore assoluto e incondizionato di cui gode grazie allo status di piccolo unico nipote.
Lui ama i suoi nonni, che poi sarebbero i miei genitori, e loro amano lui con uno struggente slancio.

Ogni tanto li guardo e mi auguro che lui non li dimentichi mai. Che ricordi quei momenti. Ricordi quel calore. Perché sono doni preziosi che ci si porta dietro anche da grandi. Anche quando si va per i 40, ma i nonni ancora ci mancano.
Io ricordo le confidenze di mia nonna Maria, che mi raccontò di un cuore infranto e una gioventù vanitosa.
Ricordo il carattere da leonessa di nonna Rosa quel giorno che tornai in lacrime dal liceo. Ricordo il suo desiderio di strozzare i professori e la mia sorpresa di saperla sempre al mio fianco, anche quando avevo torto.
Ricordo nonno Francesco che, seppur anziano e malato, era in grado di rammentare perfettamente quanto tempo avessi fatto passare dall'ultima volta che ero andata a fargli visita. Un bonario cazziatone che dava il senso di quanto lui, immerso in una folla di nipoti, ci distinguesse e amasse tutti.
Ricordo i mille colori che, da piccola, davo alla personalità di mio nonno Andrea. Morto giovane, ancora prima che i miei genitori si sposassero, e quindi disponibile ad ogni mia libera e fantasiosa interpretazione.
Ricordo il niente affatto scontato amore di nonno Herbert, la sua generosità, la sua accoglienza, il suo sonno improvviso ed eterno su una panchina, all'ombra dei tigli.

I nonni sono il mio punto debole. Lo confesso.
E così sabato 24, lo spettacolo del duo Popoff mi ha colpita dritta al cuore.
Loro sono una coppia, sul palco e no. Lei è un'attrice che ama cantare. Lui un musicista che ama lei. Gli occhi non tradiscono.
Per la rassegna Palco Oscenico hanno portato uno spettacolo ancora in divenire. Hanno portato un pancione e tante piante. Hanno portato la storia di una bambina che diventa donna. Una bambina accompagnata dal mistero della vita e della nascita, "Sono nata da un fiore, con l'aiuto di un'ape, vestita da un ragno". Accompagnata dall'amore di un nonno che è il più dolce dei fidanzati. Accompagnata dalla rassicurante presenza di una nonna e delle sue rose.

E sabato sono state cornicette, canti, boccioli. E sono stati amori, dolori e percorsi. E sono state tutte queste cose e anche di più. In un testo semplice ma genuino. Capace di evocare balconi assolati, vestaglie fiorate, vecchi telefoni e profumi di casa, di famiglia, di vita.

Il duo Popoff ha tanti progetti, tra cui il più grande vedrà la luce fra pochissimo, ma mi auguro di cuore che questo testo non venga messo da parte, ma arricchito e migliorato come merita. Curato come una pianta. Curato come l'amore. Perché: "Non siamo stati cacciati dal paradiso terrestre. Non ce ne siamo mai andati".

N.d.A.: i virgolettati sono tratti direttamente da "La grammatica dei fiori" del duo Popoff.
Tornano i resoconti di Pancrazia, single dopo i 35. Post sciocchini e cronologicamente disordinati che dicono tutto ma non raccontano niente.

A un certo punto capita. Capita che tu ti rimetta in gioco ma che lui tergiversi.
Capita. E tu, in uno sfoggio di sorprendente maturità, ti dai un'unica e inequivocabile risposta: "Evidentemente non gli piaccio". Ti dai una risposta, cerchi di fartene una ragione, e provi ad andare avanti con la tua vita utilizzando la tecnica, un po' meno matura, della totale rimozione del problema.

Ecco, tu vorresti fare così, ma i tuoi amici no. Loro di risposte non ne hanno una sola. Ne hanno millemilioni. E vogliono condividerle con te fino allo sfinimento, se non loro, almeno tuo.

"Il problema è che gli piaci troppo, ha paura d'impegnarsi, perché sa che con te finirebbe col lasciarsi andare completamente" dice la candida M, cavalcando il suo unicorno glitterato, circondata da folletti giocosi, e diretta verso il villaggio dei Puffi.
"Secondo me è gay" risolve con ingegneristica precisione A.
"E' colpa tua: sei troppo criptica! Quel poveraccio neanche l'avrà capito di piacerti. Avrà paura che, se ci prova, prima lo denunci e poi lo prendi a mazzate" teorizza F, specializzato nella nobile arte dell'avvocato del diavolo altrui.
"E' gayyy" insiste A.
"Magari è solo un poco timido" ipotizza G che, da quando si è fidanzato, ha subito l'orrida muta da uomo equilibrato a molesto orsetto del cuore.
"Gayyyyy!!!" s'innervosisce A, esasperato dall'antico teorema che vede quelli che hanno il pane essere incredibilmente sprovvisti di denti.

Ma, in tutto questo folle vociare, arriva lei. L'amica S che, con un'invidiabile capacità di sintesi, sentenzia: "E' solo uno stronzo."
E che puoi rispondere di fronte a tanta illuminata saggezza?
Nulla. Non valgono i "ma" i "forse" o gli "eppure". Se lo difendi ti senti patetica. Ma se lo attacchi pure di più. Quindi ti arrendi, annuisci e pensi che, in fondo in fondo, avresti preferito avesse avuto ragione A.
Anche perché: quanti post ci avresti potuto scrivere sopra?
Il blog ci avrebbe campato un anno!
Invece no! Il destino non vuole fare di te una blogger famosa, ma la protagonista, la coprotagonista, il personaggio secondario, e la comparsa della peggio commedia americana.
Certe cose, o le si fanno per bene, o non le si fanno proprio.
Tra le ultime ore dell'8 gennaio e le prime del 9 ho:

rischiato di ammazzarmi in auto, avendo grandemente e inconsapevolmente torto;

sbagliato clamorosamente candeggio, facendo virare parte della mia biancheria verso lo sciccosissimo tono verde ramarro;

litigato con qualsiasi forma di tecnologia a me disponibile, vecchia e nuova, conosciuta e sconosciuta.


Ormai è evidente: la demenza senile mi sta correndo incontro a grandi falcate.
Ma io me ne fotto: mi sono comprata una bottiglia di nebbiolo e pure una di candeggina. L'importante e che non le scambi!

Che sia festa per me e per tutti quelli che oggi mi hanno pensato anche solo per pochi attimi!


Dopo anni, anni e anni da blogger-poveraccia mi sono finalmente fatta il Dominio. Ed è stato bellissimo.

Ispirata da questo post di Cannibal Kid, guidata da quest'altro di Costanza, e salvata dall'esaurimento nervoso da quest'ultimo di Pietro Web, ho fatto mio un angolo di rete che risponde all'ovvio nome di www.radiocole.it
E, nel compimento dell'impresa, non ho commesso neanche un guaio informatico irreparabile e non ho guadagnato neanche una ciocca di capelli bianchi da stress. E di ciò mi bullo moltissimo.

Dopo essermi bullata passo a tranquillizzare i miei più abitudinari lettori: potete continuare ad utilizzare anche il vecchio indirizzo (www.radiocole.blogspot.com) perché tanto verrete comunque teletrasportati qua. A casetta. Nella vecchia e cara Radio Cole. Dove, come potete vedere con i vostri stessi occhi, è cambiata la via ma l'arredamento è rimasto sempre lo stesso. Per ora.

Questo minuscolo passo per l'umanità, ma enorme per la mia bloggeritudine, sarà il primo di una serie d'interventi di style e restyle necessari per dare nuova linfa, ordine, e concretezza al mio lavoro.
Ma non agitatevi, state sereni, lo spirito di condivisione, amore per la bellezza, e passione per la stupidera continuerà a regnare sovrano su questa pagina. E ci mancherebbe altro, la padrona di casa sono sempre io. Anzi, d'ora in avanti, lo sarò persino di più. No, non più stupida, solo più padrona.
"Shhhhh...abbassa la voce"

Volete darmi sui nervi?
Ditemi questa semplice frase.
"Shhhhh...abbassa la voce"
Disponibile anche nella variante "Shhhhh...non urlare"

Non importa che io stia davvero urlando o abbia semplicemente un tono troppo alto rispetto al contesto in cui mi trovo. Questo richiamo mi farà andare il sangue al cervello. Immediatamente.

Non so da cosa dipenda la mia reazione istintiva. Non so a quale trauma infantile debba essere fatta risalire. Il risultato è sempre lo stesso.

L'interlocutore dice "Shhhhh...abbassa la voce". E il mio cervello registra "Stai zitta cretina!" oppure "Non urlare, razza di cafona inadeguata" o ancora "Chiudi quella boccaccia, imbarazzante femmina che non ha ancora imparato a comportarsi".
Ed è solo grazie al mio esiguo ma efficiente pacchetto di neuroni razionali, più o meno il 5% del totale, che non salto subito alla giugulare del richiamante. Cioè, mentalmente lo faccio. Attacco al collo il malcapitato, strappo la testa con un morso, e poi faccio roteare il cranio tenendolo per i capelli. Ma realmente no. Realmente mi limito ad abbassare la voce e continuare a parlare. Riuscendo, molto spesso, persino a mantenere un'espressione neutra.

E voi? Non vorrete farmi credere che io sia l'unica ad avere queste turbe?
Non c'è nulla che vi dia esageratamente e inspiegabilmente fastidio?
Raccontate. Raccontate con il tono di voce a voi più congeniale.
"Vorremmo che tu partecipassi al video promozionale di Off Stage"
Così è nata quest'esperienza. Con una semplice richiesta, date e orari da concordare, e un ego da diva hollywoodiana da reprimere.

Il primo giorno mi sono presentata all'appuntamento senza avere la più pallida idea di che dovessi fare.
Pomeriggio. Cafè des Arts.
"Dovrai ordinare qualcosa"
"Che cosa?"
"Quello che vuoi, devi fare la finta cliente"
"Quello che voglio? Ma che siete matti? Non fatemi prendere inziative! Che devo dire?"
"Ordina un panino al prosciutto. Ok?"
"Ok"

Prima delle riprese.
"Ti sei truccata Pancrazia?"
"No, non sono molto brava a farlo"
"Perfetto ci pensiamo noi!"

Cinque minuti dopo.
Lunghe ciglia, matita nera, labbra rosso lacca.
"Wow!"
Talmente abituata ad essere così gnocca e così poco incline alla vanità da reagire con un sobrio: "Devo farmi un selfieeeee! Devo assolutamente farmi un selfieeeee! Questo momento va fermato e tramandato! Tutti mi devono vedere! Voglio affogare sommersa dai like!"

Per il secondo giorno mi è stata chiesta una cosa sola: un vestito nero.
E che ci vorrà mai? Ogni donna che si rispetti ha un tubino nero nel proprio armadio. No? No.
Al telefono.
"Ciao sorella mia adorata!"
"Ciao Pancrazia, sorellachenonsifamaisentire, di cosa hai bisogno?"
"Io? Niente! Per chi mi hai presa?!? Credi che ti cerchi solo per mero opportunismo???"
"Scusa, come non detto"
"Ce l'hai un vestito nero da prestarmi?"
"Appunto...per quando ti serve?"
"Oggi pomeriggio. Fra un'ora. Praticamente adesso. Non è un problema, vero?"
"Incontriamoci a metà strada, sorellachesiriducesempreall'ultimomomento"

Secondo appuntamento per le riprese, questa volta al Lab di piazza Vittorio.
Abito, trucco, parrucco.
Effetto finale: Pancrazia in stra-tiro, manco fosse stata invitata a un matrimonio.

"Che devo fare questa volta?"
"Fingi di scrivere a macchina e di guardare il palco. Un po' scrivi e un po' guardi"
"Un po' scrivo e un po' guardo, bene."
"Fai un'espressione interessata"
"Interessata? Quanto interessata?"
"Il giusto"
"Ok non c'è problema. Ce la posso fare."

Ce la potevo fare.
Ce l'ho fatta?
Questo è il risultato finale.


L'avete visto?
Avete notato che non c'è la mia versione dattilografa?
Ebbene sì, ho subito l'onta di essere tagliata dalla versione finale.

Evidentemente non ce l'ho fatta.
Ma l'ho presa benissimo eh, l'ho presa benissimo.

Ricapitolando.
Torno single dopo un'infinità di anni vissuti in coppia, e scopro un mondo nuovo: quello del broccolaggio (sì, lo so, avevo promesso di non usare più questo termine, chiedo venia) over 35. 
Do l'annuncio urbi et orbi della mia nuova condizione.
M'iscrivo a un'incongrua varietà di corsi.
Insomma, ricomincio a vivere con entusiasmo e disordine.

Il tempo passa, fino a quando accade l'inevitabile. Dopo mesi di uomini repellenti, stupidi e francamente molesti, m'imbatto in un tizio alla cui vista non sento l'impellente desiderio di fuggire urlando.

Incontro. Amicizia su facebook. Chat.
OhmioDio!
Finora ho condotto conversazioni online sbadigliando e sperando nella caduta della linea.
Finora ho accampato fantasmagoriche scuse per evitare appuntamenti, e qualsivoglia incontro che non includa la presenza di almeno altri 10 amici a far da cuscinetto.
Finora.
Poi questo tizio comincia a scrivermi e io decido che, non mi piace ma con lui non voglio fare la figura della scema, isterica, celhosoloio. Non mi piace ma voglio che mi trovi simpatica. Non mi piace ma m'interessa l'opinione che ha di me.
Ecco! E' finita la pacchia. Interrotta l'estasi. Concluso il benessere del machisenefotte. E inzia il limbo del ameluinonpiaceperòiovorreipiacerglialmenounpochino. E perché? Giusto per risalire sulla giostra. Giusto per divertirmi un po'. Giusto.

Arriva il primo messaggio sulla chat di facebook ed io, donna matura e ricca di esperienza, reagisco con sangue freddo e sicumera. Mi fiondo immediatamente su whatsapp a chiedere aiuto con la disperazione di una che sta annegando, la lucidità mentale di un ultracentenario, e l'autocontrollo di una quattordicenne a un concerto degli One Direction.

"Aiuto! Help! SOS" scrivo al mio ignaro migliore amico che, un secondo prima cerca di passare una tranquilla serata con la di lui amata e un secondo dopo si vede coinvolto, suo malgrado, nel mio delirio.
"Che c'è? Che succede?"
"E' terribile!"
"Cosa? Hai bisogno d'aiuto? Dove sei? Che stai facendo? Mi sto preoccupando! Devo chiamare la polizia?"
"Ma no! Devi aiutarmi!"
"A fare che?"
"Parlare in chat"
"Parlare in chat? E con chi?"
"Con quello ameluinonpiaceperòiovorreipiacerglialmenounpochino"
"E hai bisogno di un tutor?"
"Sì!"
"Ma tu parli in continuazione in chat!"
"Sì, ma a differenza del solito, di questo tizio m'importa l'opinione che ha di me"
"E perché?"
"E che ne so! Non sono lucida in questo momento! So solo che m'importa"
"Vabbé, e allora che aspetti? Parlaci!"
"E se pensasse che sono cretina?"
"Non me la sentirei di dargli torto"
"E se pensasse che sono noiosa?"
"Tu non sei noiosa, evita solo di essere monosillabica come al tuo solito"
"Vedi! Vedi! Vedi! Ho bisogno di te! Del tuo aiuto!"
"No, tu hai bisogno di uno bravo o, forse, semplicemente di rilassarti"
"Io per iscritto sono un disastro"
"Tu con la parola scritta ti ci guadagni da vivere"
"Ma questa è una cosa diversa, qua si parla di femminile simpatia, sofisticata gattamortaggine, allegra seduzione. Sono ANNI che non pratico questa nobile e antica arte"
"Bene, è ora di ricominciare!"
"Da sola? Senza il tuo aiuto?"
"Ovviamente!"
"Non ce la posso fare!"
"Devi"
"E se dovesse essere un disastro?"
"Sopravvivrai e imparerai dai tuoi errori"
"Io non voglio imparare dai miei errori! Io non voglio fare errori!"
"Allora adotta un gatto e comprati un plaid"
"Non sei divertente"
"Dai ce la puoi fare!"
"Sono fuori allenamento!"
"Giusto: quindi ricomincia ad allenarti hop hop!"
"Ma..."
"Passo e chiudo."
"Cosa? Passo e chiudo? Passo e chiudo?...Ehi!!!...Rispondimi! Dove sei? Aiuto!!! Aiuto!!!"

E un'ora dopo.
"Allora com'è andata?"
"Credo bene, ma..."
"Ma?"
"Sarei più tranquilla se tu leggessi tutta la chat e mi dicessi quali errori ho commesso e dove posso migliorare. Copio e incollo, eh?"
"Passo e chiudo"
"Passo e chiudo? Ma come? Un'altra volta? Ma daiii"

Continua...
Ode a te,
vecchina che abiti proprio sopra di me.

Le tue novantaquattro primavere porti splendidamente,
non fosse per quella tua ottusa mente.
Tale limitazione, io me ne avvedo,
non dipende dal tempo andato, ma fa parte del tuo umano corredo.


Ode a te,
rimbambita che abiti proprio sopra di me.

Un tempo ti lamentavi dell'afro odor emanato dai quei due rumeni:
"puzza di pulito" la chiamavi. Una totale insensatezza, ne convieni?
Oggi cucini aglio come se non ci fosse un domani: "che t'andasse di traverso"
dico, chiudendo porte finestre pertugi, e verso.


Ode a te,
stracciamaroni che abiti proprio sopra di me.

Ce l'hai sempre avuta anche con i giovinastri extracomunitari
che abitavano al piano pari.
A sentire il tuo dire accusatore,
costoro passavano le giornate ad andare su e giù in ascensore.


Ode a te,
vecchiaccia che abiti proprio sopra di me.

In passato ti lamentasti ogni giorno della molesta presenza dei miei predecessori,
Fu per questo motivo che gioisti alquanto quando vedesti i miei traslocatori.
Prima ti crucciavi di viver sopra due indegni stranieri,
ora festeggi per la mia presenza, come mi spiegasti non più tardi di ieri.


Ode a te,
che abiti proprio sopra di me.
Le tue novantaquattro primavere ti proteggono da qualsiasi mia lamentela,
ma almeno lascia che ti dedichi questa mia d'insulti sequela.
Quest'anno le mie vacanze sono state brevi e spezzettate, ma non prive d'interessanti rivelazioni.
Rivelazioni che vado a condividere con voi, miei amati lettori, perché la conoscenza va diffusa, elargita, lanciata al popolo come carnevaleschi coriandoli.

Sul lago di Garda ho capito che la Coca Cola Zero dà dipendenza fisica e, soprattutto, psicologica.
Non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui un mio amico, prossimo alla morte per totale disidratazione, si sia incaponito nel girare 3 diversi bar, rifiutando di assumere qualsiasi altro liquido, fino a trovare l'ultima lattina disponibile della nota bevanda. Lattina a cui si è fisicamente congiunto, tra lacrime e risate, con l'equilibrio emotivo di un concorrente da reality.

In riva al mare di Recco ho elevato la focaccia ligure, quella sottile salata e croccante, al rango di unico alimento di cui valga sempre la pena nutrirsi. Che sia mattina, pomeriggio o sera, essa è in grado di appagarti e allietarti. Essa è la soluzione ad ogni mancanza e necessità. Null'altro serve. Essa è.

Immersa nelle langhe mi sono, per l'ennesima volta, interrogata circa la nota freddezza di noi piemontesi (che siano acquisiti o meno). Tali aprioristiche convinzioni sono il frutto di una profonda ignoranza. Chi è in grado di produrre dei vini rossi così, è uno che dei piaceri della carne, di tutti i piaceri della carne, se ne intende. Eccome se se ne intende!
Noi non siamo freddi. Siamo solo un poco sbattuti.
Periodi brevi. Frasi semplici. Punteggiatura spietata.
È così che scrivo.

(Parentesi aperte che non si chiudono, "Virgolettati abbelliti da una memoria selettiva; subordinate che reggono altre subordinate che reggono interrogative irrisolte.
È così che vivo.
Pancrazia ha una bella cantina. Grande e pulita.

Appena trasferitasi nella nuova casa, ella adorava la sua capiente cantina. A tal punto che la di lei espressione preferita era: "Questa cosa non so dove metterla, la porto giù. Che tanto, quando mi serve, ci metto un minuto ad andare a prenderla."

Questo slancio verso la cantina lasciava perplessa MammaCole che si premuniva di ricordare al frutto del proprio ventre "Le cose che usi più spesso ti conviene tenerle a casa. E pure quelle che usi meno spesso. Che se poi non hai voglia di andare giù come fai?"

A più di un anno dal trasloco, a Pancrazia scoccia incredibilmente dover dare in parte ragione alla propria genitrice.
In realtà il problema non è "non aver voglia di andare giù". Il dramma è che, col passare del tempo e lo scemare dell'entusiasmo, si sono palesate mille paranoie.

La cantina è diventata un luogo infestato dalle peggio creature: animali e vegetali. Ma soprattutto animali.
Non che Pancrazia abbia mai fatto qualche spiacevole incontro, ma la sua fertile fantasia le ha fornito abbondanti quadri di party tra roditori, aperitivi tra bagarozzi, e orge tra varani. Sì, varani.

Ella, dunque, ora cerca di andare in cantina il meno possibile. Anche se ciò significa tenere esposta una valigia per un mese, esibire tre barattoli di vernice in soggiorno per 2 settimane, o importunare-supplicare-ricattare moralmente parenti e amici per farsi accompagnare nell'orrido antro.

Periodicamente, però, arriva un momento in cui Pancrazia si stufa di veder roba per casa e ha un sussulto d'orgoglio che le impedisce di chiedere l'altrui aiuto. In queste rare occasioni, ella indossa un paio di scarpe chiuse e scende verso l'abisso, schiamazzando come una pazza e pregando che ciò sia sufficiente a far fuggire bestie e simili.

Pancrazia domina le scale ballando e cantando, neanche stesse sostenendo un provino per un musical di Broadway.
Uno spettacolo indecoroso che prima o poi, non vi è dubbio alcuno, verrà scoperto da qualche fortunato vicino che provvederà a ricattarla.

One singular sensation, every little step she takes
One thrilling combination, every move that she makes
One smile and suddenly nobody else will do
You know you'll never be lonely with you-know-who
One moment in her presence and you can forget the rest
For the girl is second best to none, son
Oooh! Sigh! Give her your attention
Do I really have to mention she's the one

Un altro passaggio obbligato del ritorno alla singletudine consiste nell'iscrizione compulsiva a corsi di vario genere e natura.

Il single lungimirante sceglie attività che riempiranno il suo tempo libero, gli consentiranno di fare nuove amicizie e, se gli va bene, gli permetteranno anche la nobile arte del broccolaggio. Secondo questa logica non è poi così importante il corso in quanto tale ma chi, normalmente, lo frequenta.
Mentre il single minchione, categoria a cui mi vanto di appartenere, si preoccupa solo di scegliere attività che ritiene realmente  interessanti. Grandissimo errore! O, almeno, così mi hanno detto.

Io scelsi fitboxe, acquerello e francese. Corsi a bassa densità maschile.
Che vi avevo detto? Single minchiona.

Riguardo all'acquerello e al francese credo che non ci sia neanche bisogno che aggiunga altro, ma per quanto riguarda la fitboxe sappiate che è la meno maschia delle attività ginniche. Vi assicuro che è più probabile trovare cromosomi Y a zumba o acqua gym che a menar l'aria o il sacco. Attività che invece vede partecipare decine e decine di donne incazzate col mondo e con qualsiasi portatore sano di testosterone.

Non c'è dunque da stupirsi che, di fronte alle mie scelte, si sprecarono le domande.
"Fitboxe? Perché? Dimmi almeno che l'istruttore è figo!"
"Acquerello? E' uno scherzo, vero?"
"Francese? Vuoi imparare il francese? Ma chi te lo fa fare? Dai, dì la verità: hai conosciuto un francese carino? Daiii a me puoi dirlo!"

Io, testarda, mi ostinai a dare sempre la stessa risposta: "Perché mi piace, che male c'è?"

Risposta a cui i miei amici reagirono dimostrando affetto e comprensione.
"Tu sei cretina!"
"Già che ci sei perché non ti annodi le tube?"
"Morirai da sola: prenditi almeno un gatto"

In effetti ai miei corsi non ho mai broccolato.
E' il caso che mi organizzi per tempo in vista del prossimo autunno.
Prometto che a settembre farò scelte più ponderate, mi troverò amici un pochino meno critici stronzi e, soprattutto, smetterò di usare termini orribili come "broccolaggio".

Continua...

Voi che avete fatto venerdì sera?
Io sono andata ad uno spettacolo.
Uno spettacolo con un nome improbabile ma un fine nobile.

Improvvisadente!
Una serata di cabaret e improvvisazione per raccogliere fondi in favore dell'Onlus Life for Madagascar.

Chiara, improvvisatrice e dentista, passerà con altri suoi colleghi tre settimane in Madagascar a fornire cure gratuite alla popolazione di Nosy Be. E per questo motivo ha chiamato a raccolta la Torino che improvvisa e monologa, Torino che ha risposto all'appello con grande entusiasmo. Così tanto che sul palco c'è salito mezzo mondo, e la serata è durata così a lungo che sembrava di stare alla finale di San Remo. Ma è stato per una buona causa e quindi non mi lamento. Vabbé un pochino sì, ma solo un po'!

E non mi lamento anche perché, con questa scusa, ho visto per la prima volta all'opera Elena Ascione, una stand up comedian divertentissima. Ne avevo già sentito parlare, ed è stato bello scoprire quanto tanta fama fosse meritata. Elena ci ha fatto ridere raccontando le sue nevrosi e manie, l'ossessione per il controllo e l'ordine della casa. Praticamente una di famiglia! Elena, tra l'altro, non ha parlato di uomini per tutto il monologo e questo, per una donna che fa cabaret, è sintomo di originalità e voglia di evitare la via più facile e scontata.
Oltre ad Elena mi hanno colpito anche gli Gnomix (che, ho appena scoperto, in realtà si chiamano Gnomiz, ma lascio il nome sbagliato a imperitura memoria del fatto che dovrei controllare meglio prima di pubblicare i post)  duo comico responsabile della conduzione della serata. Anche di loro avevo già sentito parlare. Anche loro non li avevo ancora visti in azione. Divertenti e generosi, non si sono risparmiati regalando momenti esilaranti.
Infine, una menzione speciale va ai Sumadai, tra le cui fila milita proprio Chiara, l'organizzatrice della serata.
Sono stati seminifinalisti a Facce da Palco e io non li vedevo all'opera da allora. E' stato un piacere scoprire i loro miglioramenti e avere la conferma della loro voglia di mettersi in gioco e crescere.

Se vi siete persi la serata ma volete comunque contribuire a questo bel progetto di beneficenza potete fare una donazione con carta di credito nel sito dell'associazione o un bonifico (IBAN: IT 28 R 0558401611000000000181).

E se volete sapere tutto ciò che penso non sarebbe il caso di scrivere in un post del genere, ma che alla fine ho deciso di scrivere comunque, sappiate che...  
...l'abbigliamento scelto per la serata consisteva in camicettina da brava ragazza, fermaglio nei capelli a cercar di far ordine dove regna il caos, e ballerine antisesso. Quando si tratta di beneficenza io la prendo molto sul serio e mi travesto da bacchettona! E sottolinerei la scelta del termine "travesto".
Mezzo di locomozione: auto. Parcheggio: trovato in tempi accettabili, senza troppi smadonnamenti. Perché guidavo per una buona causa ed il mio karma ha un modo di agire estremamente elementare.
Alcol assunto per riuscire ad arrivare sveglia alla fine dell'interminabile serata: un mojito e una birra. Risultato? Una domenica intera col mal di testa. Non c'ho più il fisico!

Voi, mi raccomando, non prendete esempio da me: non bevete se dovete guidare e, soprattutto, non mettetevi le ballerine!
Dati i preoccupanti vuoti di memoria emersi durante questo viaggio attraverso gli anni e i mondiali, ho deciso di organizzarmi per tempo e di scrivermi un efficace promemoria per il 2018.

Ha vinto la Germania.
L'Italia ha fatto schifo.
Il Brasile anche di più.
Il caldo non si decide ad arrivare.
Io ho un buco nel muro. E una vita incerta ma interessante.

Fra 4 anni Wikipedia non mi servirà.
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