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Negli ultimi mesi mi è sbocciata un'inspiegabile passione per le lingue. 

Io di base parlerei italiano, inglese (discretamente) e tedesco (strarrugginito!). Per farvi capire, non ho difficoltà a guardare film o serie in inglese, ma ho provato a guardare Dark in tedesco e mi volevo sparare.

Comunque, da qualche mese a questa parte, sto ripassando l'inglese e rispolverando il tedesco ma anche riprendendo da capo il francese, di cui avevo fatto solo un inutile corso regionale anni fa, e affrontando per la prima volta pure lo spagnolo. Già che ci sono. 

Ho tempo di fare tutto ciò? No. 
Lo faccio comunque? Certo! 
Volete mettere il piacere di scoprire che in spagnolo "il topo" si dice "el raton". Cioè "el raton", vi rendete conto? Io, nei momenti di sconforto, ci penso e rido tantissimo.

"Ragazzi, mi dispiace ma sono positivo". 
Sono iniziati così, con questo messaggio in un gruppo whatsapp, 16 giorni indimenticabili. 

Niente di originale, ci sono passati in molti durante le feste. Ma Marito ed io abbiamo vinto il bonus di trascorrere i suddetti 16 giorni nella nostra tanto desiderata casa nuova, talmente nuova da essere ancora senza cucina, senza porte e con il citofono fuori uso. 

Dal 29 dicembre al 14 gennaio. 
Isolamento preventivo da contatto con positivo, diversi test rapidi negativi, "Va tutto bene", due giorni di febbre, "Sarà solo una banale influenza", improvviso mal di gola bastardo, "Staremo isolati qui per sempre e non riusciremo mai a finire la casa, il mondo ci odia!”. 
Due test molecolari (1 a testa) fatti in mezzo al nulla nebbioso e malaugurante di Orbassano. Positivi. "Te l'ho detto che il mondo ci odia!". 
Di conseguenza,10 giorni di isolamento obbligatorio. Intanto passa tutto, per fortuna, mai stati così in forma, mai stati così annoiati. 
Ordiniamo la spesa online, non funziona il citofono, non si apre il portone, "La lasci lì, arrivoooo" urla Marito bardato come in CSI. Non c'è il frigorifero, "Tutto sul balcone". Mangiamo pane formaggio e prosciutto oppure pane prosciutto e formaggio. 
Il mio compleanno agli arresti domiciliari, "Tanti Auguri!". Ci vuole qualcosa di caldo, mamma Cole cucina, papà Cole (ultraottantenne) consegna, non funziona il citofono, non si apre il portone, "Lascia tutto lì, non ti avvicinare, per l'amor di Dio!" intimo da dietro la FPP2, che mi rende innocua ma in cambio mi manda in cancrena le orecchie. 
Passati 10 giorni dal molecolare, ci mettiamo in coda davanti alla farmacia. Entro dopo Marito, "Le ha pagato lui il tampone" fa ammiccante il farmacista. Sono definitivamente passati i tempi in cui gli uomini mi offrivano da bere. Quanta amarezza. 
Test fatti, attendiamo i risultati, "Ci vorrà un'oretta". Arriva un'email molto prima, "Non si apre, cellulare maledetto!", un'ansia che neanche ai tempi dell'università. Negativi! "Siamo liberi! Vai a prendere il cane! Non rientrerò mai più a casa, metti in moto e giriamo per la città, guarda com'è bella Torino, c'è anche il sole, la vita è meravigliosa!" 

È passato un mese abbondante, ora abbiamo la cucina, un citofono funzionante e persino le porte. Ma che esperienza indimenticabile è stata. 

Questo testo è dedicato a cuggi, l'untore inconsapevole divorato dai sensi di colpa, e a Elena, costretta in pochi metri quadri a un passo dall'esaurimento nervoso. 

(*) Il cane ha approfittato del nostro isolamento per soggiornare dalla nonna. 
(**) Sì, i virgolettati più isterici sono tutti miei.

Rubianastrasse o anche via Romualda. 
La mia vecchia casa era così speciale da essere dotata persino di nomignoli appropriati. 

Io ci ho vissuto 8 anni, i primi da sola e i secondi con Fidanzato e Marito. Fidanzato e Marito, lo preciso per i più distratti, sono la stessa persona. 

Dentro quella casa ci sono state risate, amore ma anche lacrime. Dentro quella casa ci sono stati amici, nipoti, cugini e colazioni abbondanti. Ma anche laboratori di scrittura, prove di cabaret, pranzi, cene, un lock down e, naturalmente, un cane (Emilia) e tutti i suoi peli. 

In quella casa sono rinata, personalmente e professionalmente. Da quella casa sono partita e tra quelle mura sono tornata. Ho ricevuto notizie bellissime e altre terribili, ho vissuto gioie ma anche lutti. Mi sono innamorata e ho fatto cadere a terra tutto il riso incastrato tra capelli e abito da sposa. 

Quando nel 2013 arredai la casa un pezzo per volta, tra Ikea e mercatini, sapevo che probabilmente sarebbe stata solo di passaggio e che poi sarei andata oltre ma non avrei mai osato immaginare che avrebbe significato così tanto per me e che sarebbe stata testimone, muta ma presente, di momenti bellissimi. 

Fra poco (sperando che i lavori finiscano presto) ci sarà una cosa tutta nuova, ci andremo io, Marito e il cane. Chissà quante altre avventure potrò raccontare. Ma l’accogliente appartamento di via Rubiana – o meglio, l’alloggio, come lo chiamiamo qui – con i suoi colori, il suo divano e il suo quadro con l’anguria, occuperà sempre un posto speciale nel mio cuore. E, credo, anche in quello di tutti coloro che vi hanno passato dei bei momenti. 

Un augurio a chi ci vivrà dopo di me. 
Buon viaggio e trattamela bene!

Cara Emilia, 
l'anno scorso, di questi tempi, marito ed io eravamo alle prese con una decisione importante. 
"Vorremmo adottare un cane adulto" dicemmo all'impiegata del Rifugio di Torino. 
"Adulto?" e lei quasi si commosse. 

Dopo diverse visite e valutazioni, ti scegliemmo il 25 agosto. Venimmo a prenderti il 27. Quello stesso giorno, guardando i tuo documenti, scoprimmo che eri nata il 24 agosto 2015. 

Ti abbiamo, quindi, scelta il giorno dopo il tuo compleanno, un regalo in ritardo. Un regalo per una cagnetta meravigliosa di quattro anni, di cui due passati in canile. "Al gabbio", come piace dire a me, perché sono un po’ scema e perché mi piace pensarti come una dura. Perché tu, in effetti, sei una dura. 

Il tuo nome ufficiale, ai tempi, era Littorina. Converrai con me che il nome era parecchio bruttino. “Possiamo cambiarlo o si traumatizza?” chiesi alla volontaria. 
“No, tranquilla, non le dispiacerà affatto” 
Decidemmo di chiamarti Emilia, in onore di Emilia Clarke, l’attrice che interpreta la regina dei draghi di Game of Thrones. In modo che ti fosse subito chiaro che stessi per entrare a far parte di una famiglia di nerd. Emilia, nata dai croccantini, regina dei cagnetti, signora delle salsicce, protettrice degli ossi, principessa del condominio, imperatrice della pancia all’aria, figlia dei Pica, la non-dimagrita, distruttrice di toelettature appena fatte. 

La prima notte l'hai passata sdraiata a terra, di fronte al nostro letto, un occhio aperto e uno chiuso, sempre all'erta. Non ti fidavi un granché, e come darti torto? Non ci conoscevi. Ma da allora è passato praticamente un anno: tu hai imparato a fidarti, prima, e a volerci bene, dopo. Noi ci siamo innamorati di te, di tutte le tue sfaccettature. 

Tu non sei una tenerona, ma ti piacciono le persone. Ami tutti i bipedi (adulti) e a tutti fai le feste e su tutti ti strusci, dimostrando anche una certa leggerezza di costumi. Ami tutti, tranne quelli in moto, quelli li odi di una rabbia viscerale e ingiustificata, da ottantenne malmostoso che ce l’ha coi giovani d’oggi. Verso i bambini non hai mai mostrato un particolare slancio, se un piccolo umano viene ad accarezzarti, tu rimani immobile, una statua di sale, e non si capisce se lo fai per non spaventare il piccolo o nella speranza che questi si allontani in fretta. 

Le tue cose preferite sono la salsiccia, i palloncini, i grissini, il pouf al fondo del letto, i balconi, il parco della Tesoriera, la pallina ma solo dopo il tramonto, perché hai il metabolismo lento e, a correre prima delle 18, ti pesa il sedere. 

La tua persona preferita in assoluto è marito, tuo padre, lo ami di un amore puro e sdolcinato, al secondo posto il macellaio, diventato il tuo migliore amico grazie a una polpetta volante durante il lock down. Io credo di occupare un misero terzo posto. Terza sempre, tranne quando piove. Se piove forte, infatti, ti attacchi alle mie caviglie, o mi guardi preoccupata accucciata accanto al letto. Questo mi fa sentire speciale ma mi riempie anche il cuore di tristezza perché penso a tutte le notti che avrai passato in canile, nella tua cuccia, mentre la pioggia forte spazzava il tetto e tu spaventata aspettavi che finisse. 
Sono così contenta che tu ora sia al sicuro con noi, ma mi dispiace tanto non poter far nulla per quei brutti ricordi. 

Tra le cose che ti piace fare ci sono mangiare, mangiare e mangiare. Ah, quasi dimenticavo, anche chiedere il cibo a chi sta mangiando. Poi ti piacciono i grattini sulla pancia, come una vera coccolona. Ma anche fare gli agguati a Moon, il cane della nostra vicina di casa, come una vera ninja: strisci fuori in balcone tutta acquattata e, appena la vedi, le abbai contro come una pazza. Lei che, a differenza tua, è matura e pacifica, ti ignora. Tu abbai ancora un po’, poi ti cheti, e ti accucci con quell’aria compiaciuta da bulla di quartiere, che vorrei sgridarti se non fossi troppo impegnata a ridere. Allo stesso modo ti piace attaccar briga con i pastori tedeschi e altri cani random in giro per il parco, tutti rigorosamente più grandi di te. Non lo fai spesso ma quando lo fai ci metti proprio tutta te stessa, alla faccia del guinzaglio fucsia e della pettorina rosa confetto, ti trasformi in una iena, dimostrando sprezzo del pericolo e, soprattutto, un’invidiabile (ed eccessiva) sicurezza nei tuoi mezzi. Nell’area cani ti piace tanto rotolarti nel fango e nella terra e più sei pulita più ti rotoli, guardandoci poi orgogliosa, mentre io rimpiango il tuo manto bianco candido diventato beige terra lercia. Poi ti piace anche andare a trovare nonna Lucia e fare le passeggiate con lei che, ignorando con arroganza il fatto che i cani non siano bambini, ti vizia come se fossi la sua unica nipote, ti porta al bar e ti fa far la vita da signora. 

Ma la cosa che ti piace più di tutte è uscire con noi, tutti e tre. Tu, marito ed io. Che sia per andare ai giardinetti o a fare un bel giro, cominci a saltare come una matta, sfoggiando un entusiasmo travolgente, felicissima di stare tutti assieme, perché hai un forte senso della famiglia, anzi del branco. 

E oggi, per questo branco, è un grande giorno di festa, tanti auguri Emilia, buon quinto compleanno!
Causa tendinite pervicace e malevola, sono stata costretta 5 giorni al totale allettamento.
"Si alzi solo per andare in bagno" ha ordinato il medico, senza lasciare adito ad interpretazione alcuna.
E così sono rimasta sdraiata a dormire sul materasso, sdraiata a fissare il soffitto sul materasso, seduta a lavorare col portatile sul materasso, seduta a sospirare lamentosa sul materasso. E, seppur  consapevole che le disgrazie sono altre, permettetemi di dire che la faccenda è stata alquanto fastidiosa. Ma mentre io mi abbrutivo sotto le coltri, intorno a me gli altri si muovevano solerti e utili. Una su tutti: Madre Cole.

Io odio dipendere dagli altri. Cioè, lo so che, in generale, non piace a nessuno ma io non ne faccio una questione d'indipendenza e orgoglio, o almeno non solo. A me infastidisce soprattutto la posizione scomoda in cui un rapporto di dipendenza, seppur momentaneo, ti mette. La riconoscenza è un sentimento nobile ma anche una gabbia. Non guardatemi con quell'aria di rimprovero ma apprezzate, al contrario, la mia sfacciata sincerità.

Io, in occasione di questa domenica di maggio, lo devo dire. Devo confessare che, all'ottava volta che mia madre, giunta in mio soccorso,  aveva da ridire su uno qualunque degli aspetti della mia gestione casalinga, io desideravo ancora dirle "Grazie madre per essere venuta qui ad occuparti di me e del  mio domicilio" (non sono mica un arido mostro) ma desideravo anche,  e con altrettanto se non superiore ardore, tirarle dietro una delle due stampelle che usavo per deambulare verso il bagno.
"Uh quanta roba da lavare" criticava e a me iniziava a salire la carogna.
"Ma perchè tieni le pentole così? Aspetta che le metto a modo mio. Ecco, molto meglio" stravolgeva e a me si risvegliava la gastrite.
"La tua dispensa è troppo disordinata, che ci fanno gli spaghetti accanto al riso?" sgridava e io tentavo di afferrare la stampella appoggiata al cassettone.
Ma poi lei mi rimboccava le coperte, portava il minestronecomepiaceame e mi comprava le briosche dal bar sotto casa. Io allora mi chetavo, mollavo la stampella e mi sentivo pure un poco in colpa per i sentimenti precedenti. Ma solo un po', eh.

C'è questa ingiusta regola non scritta per cui, se mi stai facendo un favore, io non posso dire niente, sospirare, alzare un sopracciglio. Devo accettare tutto passivamente, sorridente e, se possibile, esibendo anche uno sguardo di devozione di cristiana ispirazione. Io devo accettare con tutto il pacchetto anche e soprattutto la sgradevolezza del samaritano, le diverse opinioni e la pesantezza. E secondo me, chi ti fa il favore, in quel momento un po' se ne approfitta, conosce il suo potere e lo esercita. Tutti siamo corsi in aiuto di qualcuno almeno una volta nella vita e tutti, un po', ce ne siamo approfittati. "E  pensare che gli sto facendo un favore... che ingrato" abbiamo  pensato quando abbiamo ritenuto il nostro gesto non sufficientemente apprezzato. Aprezzamento che può variare, a nostro insindacabile giudizio, da un sorriso sincero all'anima del primogenito di chi abbiamo aiutato.

Non fate segno di no con la testa, non ci crede nessuno, l'avete fatto e lo fate anche voi e, se credete di no, è solo perché non ve ne siete mai resi conto. Questo fa di voi degli inconsapevoli non degli innocenti. Anzi, per quanto mi riguarda, l'inconsapevolezza è un aggravante!
"Io ti faccio un favore, io comando, tu ringrazia e taci,  puzzone!" è il sottotesto che guida certi scambi. Scambi meravigliosi, la cui unica alternativa sarebbe essere soli al mondo senza l'aiuto di nessuno, ma pur sempre scambi. Ricordiamoci la gratitudine ma smettiamo di lucidare tronfi le nostre aureole.

Ora vi saluto, devo andare a fare gli auguri a mia madre e a ringraziarla perché senza di lei non ce l'avrei mai fatta in questi giorni. Prima però vado a rimettere in disordine la dispensa, che a me piaceva di più com'era prima.

Tanti auguri alla mamme e ai benefattori... tanta pazienza a tutti gli altri.
Caro estroverso,
ti dispiacerebbe raccontarmi un po' com'è la tua vita?
Perché, insomma, io non riesco neanche ad immaginarmi l'esistenza di un NON timido.

Caro estroverso ti ricordi quand'eri piccino?
Ti ricordi di quella bimba riccia che al parco se ne stava in disparte, fino a quando ti avvicinavi tu per chiederle "Come ti chiami?"
Te la ricordi?
Ecco, io non ero quella riccia lì.
Ma ti ricordi di quella magrina vergognosa? Quella con la mamma che le gestiva le pubbliche relazioni e ti chiedeva al posto suo "fai giocare anche lei?"
Te la ricordi?
Ecco, io non ero nemmeno quella.
Io ero quella magrina e riccia che aspettava in fila all'altalena facendosi passare avanti da chiunque, quella che non andava sul girello altrimenti vomitava, quella che si faceva tutt'uno col grosso cespuglio di ortensie all'angolo.
Ecco, non ti ricordi di me, vero?
Non ti crucciare, non è mica colpa tua.
Non eri tu ad essere un bambino privo di sentimento, ero io ad aver precocemente sviluppato il dono dell'invisibilità. Un superpotere. Deleterio alla distanza ma efficace nella quotidiana sopravvivenza.

Caro estroverso,
e ti ricordi qualche anno dopo?
Ti ricordi di quella ragazzina che stava sempre sulle sue ma poi, quasi per caso, ti capitava di conoscerla e di scoprirla divertente, spiritosa e, a  tratti, persino chiacchierona.
E tu allora pensavi fosse carino dirle "all'inizio mi stavi un casino sulle palle, mi sembrava te la tirassi, ma ora che ti conosco, lo sai che sei proprio simpatica?"
E magari pensavi pure di essere gentile a dirmi una roba così, ti pareva persino di farmi un prezioso complimento. Ma no, non era un complimento, o almeno io non lo vivevo come tale. Ed anche alla distanza, a ripensarci, continua a sembrarmi solo uno sfoggio di superficiale boria. Tanto magnanimo quanto non richiesto giudizio assolutorio, che mi faceva solo scattare la carogna e desiderare di urlarti in faccia "tu, invece, fino a questo momento mi eri abbastanza indifferente ma adesso no, adesso, mi stai proprio sui coglioni!"

Caro estroverso,
come si vive nella tua pelle?
Sei corazzato contro tutto e tutti oppure anche tu ogni tanto te la fai sotto?
Io so com'è la mia vita, com'è la mia pelle, conosco le mie battaglie, tutte, soprattutto quelle perse.
So che pure adesso, a 39 anni suonati, a una lezione di Lindy hop con 50 sconosciuti c'ho un'ansia che mi si divora, e mi sento la protagonista sfigata di un brutto film adolescenziale americano.
Uno di quelli dove io sono la tizia coi brufoli e l'apparecchio, e tutti gli altri sono giocatori di football e cheerleader.
E no, io i brufoli non li ho neanche mai avuti e l'apparecchio non l'ho mai portato, ma certe immagini sono simboliche, estroverso, simboliche, essù sforzati un po'!

Caro estroverso,
scusami,
non volevo essere antipatica,
è che riscoprire certi sopiti ma mai dimenticati sentimenti è un dolore piccolino ma profondo, una puntura di spillo che pare una stilettata.

Caro estroverso,
vorrei proprio sapere, sapere come ci si trova ad essere te.
Me lo potresti spiegare?
Solo se hai voglia di farlo, ovviamente.
Non hai mai paura tu?
O forse no? Forse ce l'hai. Meno di me, certo. Ma la tua curiosità è più forte, la tua curiosità vince. Vince facile.
Mentre la mia, sottile e nervosa, si trascina dietro una paura col culo pesante e che punta pure i piedi, 'sta stronza! Anche la mia curiosità alla fine ha la meglio. Certo, per chi mi hai presa? Ma che fatica ogni volta, che gran fatica!

Caro estroverso,
sappi che io non ce l'ho con te, ma t'invidio.
T'invidio disperatamente.
Altro che i soldi e la bellezza. Chi se ne fotte di quella roba là?
Io invidio la mancanza di uno stomaco annodato in situazioni che non lo meriterebbero. Invidio la leggerezza pura non rovinata dall'ansia gratuita. Invidio la capacità di guardare il mondo fuori senza i giri infiniti di guardare prima se stessi, poi l'immagine di sé proiettata sugli altri, poi quella degli altri su di sé, e poi, epoi, epoiepoi epoiepoiepoi

Caro estroverso,
nudo puro e felice,
caro estroverso se ci sei, se esisti, batti un colpo e raccontati.
Perché tu esisti, vero?

O arranchiamo tutti immersi in diversi livelli di disagio?
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