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Da pochi giorni, a Milano, è nata la prima Smart Library. 

Si tratta di una vera e propria biblioteca, che si trova all'interno della fermata di Porta Venezia della metropolitana. 

Vista dall'esterno potrebbe ricordare un po' una di quelle macchinette per le fototessere e, invece, si tratta di una biblioteca connessa direttamente con il sistema bibliotecario milanese. 

Quindi, chi ha la tessera può andare là e prelevare direttamente uno dei titoli. 
In questo momento ce ne sono circa 400 a disposizione ma probabilmente in futuro aumenteranno. 

Si tratta di un esperimento ma, se avrà successo, sicuramente si diffonderà. A Milano ma, io spero, anche in altre città d'Italia. 
Sogno di poter usufruire un giorno di una Smnart Library nella metropolitana di Torino.
C'è una cosa che non ho mai raccontato del mio Erasmus.
Stonava troppo con il resto della storia. Non c'erano risate. Non c'era follia. In fondo, non c'era neanche Berlino.

Un giorno d'autunno Elisa, la mia amica romana, ed io incrociammo altre due ragazze italiane.
Io non conoscevo loro. Loro non conoscevano me. E, dopo quel giorno, non le avrei più riviste.
Una era di Milano, ricordo solo questo.

"Hai sentito che sta succedendo a Torino?" chiese questa ad Elisa.
"No, cosa?"
"Un disastro. Un'alluvione. Hanno interrotto l'autostrada con Milano. Torino è isolata", disse con una certa morbosa eccitazione.

-Torino è isolata- mi rimbombò nella testa.

La mia città era sola.
La mia famiglia si trovava immersa nell'acqua fino al collo.
E io, come una stronza, stavo a Berlino.

Non dissi una parola. Non so che faccia feci. Ma riuscii a zittire l'eccitata milanese che, guardandomi, si bloccò.
"Tu di dove sei?" mi chiese infine, quasi sottovoce.
"Torino"
"Vedrai che... vedrai che si aggiusta tutto"

-Si aggiusta tutto-
Non avevo internet, non avevo la televisione. Torino affogava e io non ne sapevo un cazzo. Corsi a chiamare i miei e, il giorno dopo, feci incetta di tutti i giornali italiani che riuscii a trovare.

Volevo sapere. Dovevo sapere. 

Seppi.
La mia famiglia stava bene. La mia città un po' meno.
Quei giorni furono gli unici in cui desiderai tornare indietro. Desiderai stare con i piedi nel fango e l'acqua fino al collo. 


"Va tutto bene, stai tranquilla. Goditi quest'esperienza e smettila di preoccuparti!" mi dicevano da casa.
Io un po' gli credevo e po' no.
Non parlai d'altro per giorni, nella costante ricerca di chetare il senso di colpa dato dal privilegio, dalla sicurezza, dall'ingiustizia del caso che mi voleva salva.

L'emergenza in città durò poco. Il mio Erasmus proseguii come sapete.

Ma ogni volta che in Italia la catastrofe si ripete. E si ripete sempre. Io penso a quel giorno.
Penso a quelli sotto l'acqua.
E penso anche a quelli all'asciutto. Quelli fortunati. Quelli stronzi che, però, preferirebbero stare con i piedi nel fango. Costretti, come sono, ad osservare impotenti la propria terra che annega. Senza neanche l'amara consolazione di poterla vegliare.

Questo è solo un piccolo, insignificante, privilegiato punto di vista. Ma è il mio. L'unico che possa raccontare.
Lampedusa, 3 ottobre 2013

Amore mio,
mia adorata Chara,
mia bellissima giovane moglie.

Quando ti ho salutato hai messo le tue mani sul mio viso e hai appoggiato la tua fronte contro la mia.
"Tornerai a prendermi?" mi hai chiesto.
"Tornerò" ti ho giurato.

Chara, dolcissimo amore mio, penserai che non ho mantenuto la mia promessa. Penserai che sono un marito infedele. Penserai che non ti amo abbastanza.

No. Non pensarlo. Non pensarlo neanche per un attimo.

Ho freddo e il mare si chiude sopra di me.
Ho freddo e mi scalda solo il pensiero di saperti al sicuro. Di saperti viva.

Tornerò Chara, tornerò dopo che avrai vissuto una lunga vita felice.
Tornerò per camminare con te. Tornerò per accoglierti.

Tu perdonami. Perdonami per non essere stato abbastanza forte. Ma giuro che ci ho provato. Ci abbiamo provato tutti.

Vivi, Chara, vivi anche per me.
Chi conosce Berlino conosce il Tacheles.
La casa dell'arte che per più di vent'anni ha ospitato il lavoro, il sudore e la passione di artisti provenienti da tutto il mondo.
Il centro sociale sempre aperto a chi voleva esprimersi e a chi aveva solo voglia di curiosare. Ai turisti e agli appassionati. Ai berlinesi e a tutti gli altri.


Il Tacheles è stata un'istituzione della Berlino post muro. Testimonianza di una mentalità aperta alla creatività e all'espressione del proprio essere. Cuore pulsante di una città curiosa ed in continuo movimento.

L'altro ieri la Kunsthaus è stata ufficialmente chiusa. La Polizia ha mandato via tutti. Gli ultimi artisti hanno salutato lo spazio speciale, che per tanto tempo li aveva ospitati, con un'ultima rappresentazione: un'orazione funebre in onore di un posto unico che ormai non c'è più.

L'arte comunque non muore mai. E non smette di parlare alle coscienze ed alle anime. Le opere, le installazioni e le mani che le hanno create troveranno altri luoghi, a Berlino o chissà dove.

Ma questo mondo sarà un po' più triste, grigio e soprattutto noioso senza il Tacheles.
Gli azzurri hanno portato Bovolenta sul podio.
Un bronzo che vale molto di più.


In Italia il 70% dei ginecologi è obiettore di coscienza. Si rifiuta di praticare l'aborto.
Perché? Sono stati tutti illuminati sulla via di Damasco? Ma quando mai!
Semplicemente in Italia fare determinate scelte aiuta la carriera. Comportarsi in un determinato modo negli ospedali pubblici spalanca le porte dei primariati. Svolgere determinate pratiche nelle cliniche private riempie i portafogli e salva le apparenze.

Poco importa che le donne di fronte ad una delle decisioni più difficili della propria vita si ritrovino sole.
Poco importa che in questo paese viga una legge al riguardo. 

Non conosco nessun ginecologo che ami praticare un aborto. Non è mai un intervento piacevole ma c'è comunque chi lo fa. Quel 30% di professionisti non ha più pelo sullo stomaco rispetto agli altri, ma semplicemente maggiore consapevolezza dei propri doveri. Quel 30% di professionisti sceglie di prendere sulle proprie spalle il peso di un lavoro ingrato. Perché i pazienti non devono essere lasciati da soli. Mai.

E allora, giovani medici in cerca di una specialità, è a voi che parlo.
Non volete praticare aborti?
Non ve la sentite?
La vostra religione non lo permette?
O temete che farlo ostacolerebbe la vostra carriera e, dopo tutti questi anni di studio, chi se ne fotte di ste ragazzine che non hanno ancora imparato a tenere le gambe strette?  O di ste donne che semplicemente non se la sentono? Chi se ne fotte? Non sarà mica un problema vostro, no?
Giusto. Non deve essere necessariamente un problema vostro.

Quindi: fate altro.
Fate i pediatri, i neurologi, i cardiologi, gli anatomopatologi, i medici legali, gli oftalmologi, gli ortopedici, fate quello che vi pare. Ma non i ginecologi. Fate un favore alla società e un servizio al camice che portate. Ridate dignità a un mestiere che meriterebbe più rispetto da parte di tutti, e in primo luogo da parte di chi lo pratica.
I ginecologi devono, nel caso sia necessario, praticare aborti.

Chi ha paura dei pazzi non fa lo psichiatra.
Chi ha paura del sangue non fa il chirurgo.
Voi siete obiettori di coscienza? Non fate i ginecologi.
Avete scelto comunque di fare i ginecologi? E allora fate il vostro dovere.
E risparmiateci le lezioni di morale, siete gli ultimi a poterle dare.
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