Radio cole
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Non avere una linea, un ordine, un progetto editoriale 
Non organizzare i post o gli argomenti. Non inventare rubriche a scadenza settimanale, mensile, o annuale. Non corteggiare i lettori con imperdibili appuntamenti fissi. No. No. E poi no! L’ho già scritto e lo ribadisco. Il lettore non deve essere viziato ma maltrattato, confuso, deluso. Egli deve collegarsi al blog senza avere la più pallida idea di cosa lo attenderà.
Non temete, se all’inizio l’effetto sorpresa potrà provocare una qualche ingiustificata fascinazione, nel giro di poco tempo tale effetto sparirà, per lasciare spazio al legittimo fastidio fino al delizioso disinteresse.

Volete essere un blogger sconosciuto?
Dimostrate il vostro menefreghismo nei confronti di chi vi segue facendo sempre a capoccia vostra nel modo meno prevedibile, organizzato e sensato possibile. Non seguite una linea editoriale e, ancora meglio, vantatevi spesso di questa condotta. All’inizio potrà sembrare difficile ma poi, con impegno e devozione, vedrete che finirete col prenderci gusto. Migliorerete. Capirete da soli i picchi raffinati di tali misantropici comportamenti, come l’abbandonare rapidamente e con orrore gli argomenti che richiamano sul vostro blog un numeroso pubblico, o non occuparsi mai della notizia del giorno.

La nicchia deve essere il vostro regno! Ma, mi raccomando, non arredatela. Qualche pazzo che voglia condividerla con voi rischiate di trovarlo comunque. Lasciatela così, spartana, buia e polverosa.
Un blogger d’insuccesso, è un blogger solo e malmostoso. Siatelo anche voi!


Evitare come la peste qualsiasi argomento di successo

Non c’è bisogno di essere degli esperti di web, comunicazione o blog per capirlo. Basta navigare la rete per due minuti per rendersi conto che gli argomenti più gettonati sono: maternità, cucina e moda. Non necessariamente in quest'ordine.

Le mamme hanno invaso internet qualche anno fa con la loro scorta di pannolini, cacche e aneddoti divertenti. Perché, bisogna dire la verità, sti nanetti profumati di borotalco sono buffi e fanno ridere. Tali blogger sanguisughe non devono fare altro che osservarli e riportarne le gesta. Sì, insomma, queste ottengono il massimo del risultato con il minimo sforzo. Maledette!
Oggettivamente fanno molta più fatica quelli/e che cucinano. Devo inventarsi/copiare/variare un piatto. Realizzarlo. Impiattarlo. E fotografarlo nel modo più cool possibile. Non è dato sapere se poi lo mangino o ci avvelenino i vicini, ma almeno lo sbattimento è innegabile. 
Ma le più preferite tra le preferite sono loro: le fashion blogger. Queste si alzano la mattina, accocchiano abiti a caso, cercano improbabili location, schiavizzano fidanzati-fotografi con la personalità di un geco, e si fanno immortalare. Ogni santissimo giorno.

Che sia l’esperienza comune della maternità, che sia la passione condivisa per lo spignattamento, che sia il desiderio, neanche tanto recondito, di vivere agiatamente non facendo una mazza. Questi tipi di blog hanno sempre molto seguito. Quindi, se volete essere una blogger di nicchia (leggasi fallita sconosciuta) evitate accuratamente questi tre settori. Che è vero che ormai sono saturi, ma non sia mai che la sfiga si accanisca su di voi e vi tocchi l’onta del successo. Che vergogna!
Scegliete qualche altro argomento o, meglio ancora, come faccio io non scegliete proprio. Più gli argomenti del blog sono vari e imprevedibili, più il sito è di tipo “generalista”, e più il processo di affezione del lettore è difficoltoso. Nessuna monopassione, nessuna emulazione, nessun processo identificativo. Confondete il lettore, deludetelo, parlate di cinema una volta e poi mai più per mesi, anche anni se necessario. Scrivete un racconto ogni eclissi solare. Raccontate dei fatti vostri, ingolosite la platea e poi tiratevi indietro ritrose.

Insomma, dovete avere un solo obiettivo: l’esaurimento nervoso dello sventurato che s’imbatte sulla vostra pagina. Egli non si deve affezionare, non vi deve voler bene. Egli, più vi legge, più deve desiderare di dar fuoco alla vostra auto. Tanto a voi che ve ne frega? I blogger poveracci la macchina neanche ce l’hanno!

Dare al proprio blog un nome di cui nessuno capisca il senso 

Evitare come la peste quei nomi evocativi che chiariscano immediatamente quale sia l’argomento del sito. Il lettore non deve fare neanche un poco di fatica? Non deve sperimentare l’amara sensazione delle aspettative disilluse? Non deve abbeverarsi al calice della delusione? 
Che banalità quei blog che parlano di maternità è hanno il termine “mamma” nel titolo. Che noia quei blog “Cucina di…” che dispensano ricette e suggerimenti culinari. Che sfoggio di mancanza di fantasia quelle pagine che hanno nella propria intestazione evidenti richiami cinematografici e, infatti, orrore(!), parlano proprio di cinema. 

Ma volete mettere quanto sia meglio un nome tipo, che so io, Radio Cole? Che eleganza, che mistero, che insensatezza. Uno legge Radio Cole e pensa “Toh il sito di una radio” e invece no! Uno legge Radio Cole e pensa “Toh una web radio”, col cavolo! Uno legge Radio Cole e pensa “E vabbè sarà un blog in cui si parla di musica”, ma quando mai! Sul mio blog, non per vantarmi, di musica ho sempre parlato poco, anzi pochissimo. Il mio è un blog generalista dove si trattano gli argomenti più vari a mio giudizio e discrezione. Il buon senso avrebbe voluto un nome del tipo “Il diario di Pancrazia”, “Le avventure di Jane”, “Le chiacchiere di JPC”. Ma io del buon senso non ho mai saputo che farmene!

Ma allora perché proprio Radio Cole? Semplice, quand'ero piccina, mia sorella maggiore ricevette in dono uno stereo. Lei lo ignorò, io me ne innamorai. A stregarmi fu soprattutto la radio e, in particolare, gli speaker. Quelli dalla voce calma e saggia, calda e avvincente, così diversa dalla mia, a suo modo affascinante, "gallina strozzata con la zeppola". Cosa avrei dato per poter essere anch'io una di loro. M'immaginavo all'interno della MIA stazione radiofonica privata, come un'imperatrice egocentrica e delirante. M'immaginavo mentre, senza dover rendere conto a nessuno, mettevo solo la musica che piaceva a me, parlavo solo delle cose che interessavano a me, e filosofeggiavo profondamente senza contraddittorio alcuno. Awww la dittatura ideologica, che dolce nettare! Quindi, molti anni dopo, di fronte alla schermata di Blogger che pretendeva di essere compilata, questo mio vecchio sogno riaffiorò e diede vita a Radio Cole. La mia stazione radiofonica personale, dove scrivere di tutto ciò che mi passava per la testa, in maniera del tutto anarchica, disorganizzata, e allegramente disordinata. 

Ma giungiamo ordunque ai preziosi consigli. Volete aprire un blog di cucina? Perché non provate con “La biblioteca di Patty”? Volete dedicarvi alla moda? Niente di meglio di “Le mani in pasta!” Volete scrivere di libri? E allora non posso che consigliarvi un fuorviante “Un tuffo nell’armadio”. Il lettore deve faticare, deve vagare confuso tra aspettative e scoperte, a un passo dall’esaurimento nervoso. Perché? E che ne so! Ma così è più divertente!

Continua...
Ad aprirsi un blog, diventare un fenomeno di costume e fare millemilioni di fatturato son capaci tutti. Ma ad aprirsi un blog, scriverci con devozione per anni, e rimanere comunque un’emerita squattrinata sconosciuta ci vuole un talento speciale. Io, non per vantarmi, questo talento ce l’ho e, nella mia immensa generosità, ho scelto di condividerlo con voi.

Magari siete quel tipo di persona che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Magari siete quel tipo di persona che raccoglie simpatia e consensi anche solo alzandosi dal letto. Magari siete dei vincenti naturali. Ecco, voi sventurati, avete sicuramente bisogno del mio aiuto. Voi rischiate di aprire un blog e svoltare. Una cosa tanto banale quanto volgare. Il successo è per i pigri! A scartavetrarsi le gonadi con lo struggimento dell’insoddisfazione ci vuole impegno. Non è roba per tutti! Ma per molti sì!
Quindi non spaventatevi. Ce l’ho fatta io, ce la potete fare anche voi! Vi basterà seguire questo dettagliato vademecum.

Regola numero 1 
Scegliere un Nickname complicato e di cui nessuno capisca il senso 
Avete presente? Qualcosa tipo Jane Pancrazia Cole.
Orribile, nevvero? Sì. Non per vantarmi. Ma, sì.
Lo elaborai, ormai molti anni or sono, con tanta tantissima attenzione.
Partì tutto da Cole. Cognome tratto da una saga letteraria opera di Noah Gordon. Uno scrittore americano molto conosciuto. Conosciutissimo. Dappertutto. Dappertutto tranne che in Italia, dove non è particolarmente popolare. La mia fu una scelta consapevole. Volevo un cognome che fosse legato alla letteratura ma non fosse troppo ovvio. Missione compiuta.
Cole non è ovvio. Per niente. Molti sono convinti che si scriva Col, altri che si pronunci Cole (con la “e” finale bella aperta), alcuni pensano che sia un sofisticato omaggio a Nat King Cole, altri uno più pop a Cheryl Cole. Tutti brancolano nel buio dell’ignoranza e io rido soddisfatta dal mio tetro angolo imbottito dell’incomprensione autoinflitta.

Ma senza l’inspiegabile accoppiata di nome e secondo nome, il mio destino avrebbe potuto comunque essere diverso. Sarei potuta diventare la sexy Cole, l’opinion leader Cole, la social Cole. Orrore! Destino ingrato prontamente evitato grazie all’incongruo abbinamento di Jane e Pancrazia. Potrebbe mai venirvi in mente qualcosa di più sgraziato? No, a voi no. E, infatti io che ci sto a fare? Che ci sta a fare questa guida? A guidarvi, appunto. Ecco alcuni esempi che vi possano essere d’ispirazione per il vostro futuro da blogger anonimo. Lucy Eustacchia Martìn, Sophie Genoveffa Trotter, e per gli uomini James Abbondio Trueba, Nick Gerundio Zosimov.
Le combinazioni possono essere infinite. Il risultato unico e inevitabile: la sgradevolezza!

Domani la seconda regola...


N.d.A: i più fedeli di voi potrebbero riconoscere il pezzo. Infatti lo pubblicai molto tempo fa, ma senza un seguito. Ora i seguiti sono pronti e quindi riposto tutto da capo.
Sono tornata, perché questa è casa mia e proprio non riesco a rinunciarci.
Sono tornata, perché tutte le volte che qualcuno mi chiede "Ma sul blog non ci scrivi più?" mi piange il cuore.
Sono tornata, perché è tra queste pagine che ho cominciato a raccontare le mie storie e, ora che c'è una nuova, è qui che le devo dare spazio.

Da pochi mesi esiste una rivista online, si chiama Vingt-Deux Pensées, e da ieri è disponibile il suo quinto numero. Dentro troverete molto da leggere e da vedere. Tra tante parole e idee, c'è anche un mio piccolo racconto, dannatamente autobiografico.

Era parecchio che non scrivevo solo per il piacere di farlo, mi è stato chiesto di mettermi in gioco, l'ho fatto e ciò ha liberato un'energia e una voglia di scrivere scrivere scrivere, come non mi capitava da anni. Che bello! Comunque vada, qualsiasi cosa venga da questo nuovo sentimento, che bello! Racconti belli, racconti brutti, storie inutili o no, chi se ne frega? Che bello!

Pre scaricare la rivista, cliccate qui.

Con il teatro si può fare politica? Certo. Con l'arte si può esprimere il proprio impegno sociale? Ovviamente. Da sopra un palco si può veicolare un pensiero? Sì, sì e ancora sì. 
Ma trattare il pubblico come uno scolaretto da indottrinare, come il popolino da imboccare a forza di didascaliche scenette e frasi ad effetto, no, no e ancora no. 
Ed è questo quello che io ho visto domenica sera quando ho assistito ad Animal Machine. E a poco sono valse le ottime prove attoriali di Davide Capostagno e Serena Bavo. 

Per raggiungere il cuore e il cervello di una platea pensante lo sforzo da fare è ben altro. Ridurre la questione animalista e, soprattutto, il problema etico della sperimentazione a un testo tanto moraleggiante fa un pessimo servizio alla causa stessa. 
La proiezione di frasi e statistiche ad effetto alla maniera di facebook, e il riciclo di video vecchi o "acchiappatenerezza" è un espediente da occupazione scolastica.

Non m'importa quale sia il messaggio, non lo devo necessariamente condividere ma lo devo rispettare, e perché ciò avvenga è necessario che io assista a un lavoro onesto che scavi faticosamente in profondità e non razzoli tra la polvere dell'ovvio.

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