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Noi siamo i ricordi degli altri.

Fra sessant'anni per mio nipote sarò ancora la zia dei racconti, della grande scrivania e dell'insalata di riso.
Sembra poco e invece è tantissimo.
Io ho un nipote. Ha cinque anni. E lo invidio moltissimo.
Non gli invidio i grandi occhi neri, la leggerezza dell'età o l'innato carisma.
No. Gli invidio i nonni.
Io non ne ho più, ormai da molti anni. In realtà la vita è stata generosa con me. Me ne ha regalati addirittura cinque. Non mi sono fatta mancare nulla, ho avuto la nonna bisbetica e quella rudemente accogliente, il nonno protettivo e quello mitologico. Ho avuto perfino il nonno putativo.
Ma ho sempre avuto anche una marea di cugini con cui spartire questo tesoro. Che sia chiaro, i cugini sono un altro bel regalo dell'esistenza a cui non potrei mai rinunciare. Ma a PrincipeV invidio l'amore assoluto e incondizionato di cui gode grazie allo status di piccolo unico nipote.
Lui ama i suoi nonni, che poi sarebbero i miei genitori, e loro amano lui con uno struggente slancio.

Ogni tanto li guardo e mi auguro che lui non li dimentichi mai. Che ricordi quei momenti. Ricordi quel calore. Perché sono doni preziosi che ci si porta dietro anche da grandi. Anche quando si va per i 40, ma i nonni ancora ci mancano.
Io ricordo le confidenze di mia nonna Maria, che mi raccontò di un cuore infranto e una gioventù vanitosa.
Ricordo il carattere da leonessa di nonna Rosa quel giorno che tornai in lacrime dal liceo. Ricordo il suo desiderio di strozzare i professori e la mia sorpresa di saperla sempre al mio fianco, anche quando avevo torto.
Ricordo nonno Francesco che, seppur anziano e malato, era in grado di rammentare perfettamente quanto tempo avessi fatto passare dall'ultima volta che ero andata a fargli visita. Un bonario cazziatone che dava il senso di quanto lui, immerso in una folla di nipoti, ci distinguesse e amasse tutti.
Ricordo i mille colori che, da piccola, davo alla personalità di mio nonno Andrea. Morto giovane, ancora prima che i miei genitori si sposassero, e quindi disponibile ad ogni mia libera e fantasiosa interpretazione.
Ricordo il niente affatto scontato amore di nonno Herbert, la sua generosità, la sua accoglienza, il suo sonno improvviso ed eterno su una panchina, all'ombra dei tigli.

I nonni sono il mio punto debole. Lo confesso.
E così sabato 24, lo spettacolo del duo Popoff mi ha colpita dritta al cuore.
Loro sono una coppia, sul palco e no. Lei è un'attrice che ama cantare. Lui un musicista che ama lei. Gli occhi non tradiscono.
Per la rassegna Palco Oscenico hanno portato uno spettacolo ancora in divenire. Hanno portato un pancione e tante piante. Hanno portato la storia di una bambina che diventa donna. Una bambina accompagnata dal mistero della vita e della nascita, "Sono nata da un fiore, con l'aiuto di un'ape, vestita da un ragno". Accompagnata dall'amore di un nonno che è il più dolce dei fidanzati. Accompagnata dalla rassicurante presenza di una nonna e delle sue rose.

E sabato sono state cornicette, canti, boccioli. E sono stati amori, dolori e percorsi. E sono state tutte queste cose e anche di più. In un testo semplice ma genuino. Capace di evocare balconi assolati, vestaglie fiorate, vecchi telefoni e profumi di casa, di famiglia, di vita.

Il duo Popoff ha tanti progetti, tra cui il più grande vedrà la luce fra pochissimo, ma mi auguro di cuore che questo testo non venga messo da parte, ma arricchito e migliorato come merita. Curato come una pianta. Curato come l'amore. Perché: "Non siamo stati cacciati dal paradiso terrestre. Non ce ne siamo mai andati".

N.d.A.: i virgolettati sono tratti direttamente da "La grammatica dei fiori" del duo Popoff.
La prima volta che andai al cinema ero al mare. A Rivazzurra, per la precisione.
A godermi la più classica delle vacanze per famiglie in Riviera Romagnola.
Mamma, papà, sorella ed io.

La prima volta che andai al cinema, superate le pesanti tende rosse, mi ritrovai in un cortile.
In alto c'era un cielo pieno di stelle, a terra la ghiaia.
Da un lato un grande telo bianco, dall'altro una spianata di sedie di legno.
Erano quelle classiche da cinema. Quelle che si chiudevano appena ti alzavi. Quelle che, se andavi al bagno durante la proiezione, al ritorno ti dovevi ricordare di spingere giù il sedile con una mano, altrimenti le mancavi e finivi col sedere a terra.

La prima volta che andai al cinema, mio padre mi sollevò e mi depositò sulla sedia accanto alla sua.
Io, all'epoca, ero un leggerissimo mucchietto d'ossa con le gambette corte. Le luci si spensero e la sedia cercò immediatamente d'ingoiarmi.
Dimostrando sprezzo del pericolo e una certa capacità d'iniziativa, invece di frignare o chiedere aiuto, scivolai fino al bordo, e lì rimasi per tutto il film. Con le punte dei piedi a sfiorare la ghiaia e gli addominali contratti a mantenere l'equilibrio.

La prima volta che andai al cinema il programma prevedeva "Innamorato pazzo" con Celentano e Ornella Muti.
Ricordo chiaramente le risate di tutti. E ricordo ancora più chiaramente che, tra la fatica fisica di non finir risucchiata dal sedile, e l'emozione di quel mondo nuovo e un poco magico, non riuscii a seguire la trama.
Per nulla. Figurarsi capirne la comicità!
E così risi a comando. Risi quando ridevano gli altri.
Celentano guidava l'autobus. Tutti ridevano. E pure io.
La Muti si arrabbiava. Tutti ridevano. E pure io.
Ricordo che la Muti si arrabbiava parecchio. Ed era bella. Quando era imbronciata era ancora più bella. Forse era per questo che la facevano sempre arrabbiare.

La prima volta che andai al cinema fu speciale e indimenticabile. Fu un piccolo traguardo da "grande".

Oggi pomeriggio non ci saranno le stelle e neanche la ghiaia.
Le sedie saranno comodissime e non proveranno a mangiare nessuno.
Il film sarà un cartone animato e non una commedia romantica all'italiana.
Ma sarà comunque un momento magico.

Oggi pomeriggio il PrincipeV vedrà il suo primo film al cinema. E io sarò con lui.
E sarò anche un poco emozionata. Orgogliosa di poter essergli accanto mentre taglia questo traguardo.

 
Caro PrincipeV,
ieri hai compiuto quattro anni. 
Una gran bella età per un gran bel bambino.

Ogni giorno ti fai più grande e impari qualcosa di nuovo. E oggi voglio essere proprio io a darti una lezione che potrà esserti utile nel futuro. Voglio raccontarti l'amore. L'amore ai tempi delle medie. 

Tu ancora non lo sai, ma le medie sono quel limbo tra elementari e superiori in cui i corpi cambiano, le voci si fanno più profonde, le scarpe più puzzolenti e gli amori diventano passione bruciante e infelice.

Alle medie le femmine perdono la testa per i ripetenti, perché sono più grandi, perché sono irraggiungibili, perché sono veri uomini. Veri uomini che usano poco la doccia e mai il congiuntivo.
Sì, le femmine possono essere stupide quanto e più dei maschi. Ma non soffermiamoci su questo e andiamo oltre.

In seconda io, tua zia, m'innamorai struggevolmente di Domenico.
Domenico era in terza C quando io ero in seconda A.
Domenico avrebbe dovuto essere già alle superiori da un  paio d'anni quando io ero in seconda A.

Devi sapere che alle medie esistono ripetenti e ripetenti. Ci sono quelli che "non ci arrivano", quelli che "se ne fregano", quelli con "famiglie difficili".
Il ripetente del mio cuore apparteneva un poco alla terza e un poco alla seconda categoria. O almeno così mi piaceva, e mi piace tuttora, credere. Egli, oltre ad essere bello, era intelligente e sensibile. Erano gli altri a non capirlo, poverino!
Così doveva essere. E così era. Nella mia testa.
E, data l'assoluta unilateralità e platonicità del nostro rapporto, la mia testa era l'unico posto importante. L'unico posto in cui noi due ci amavamo come nessuno si era amato mai.

Domenico aveva morbidi capelli castani, o almeno così sembravano dato che non mi ci sono mai avvicinata abbastanza da constatarlo di persona, profondi occhi scuri e lineamenti perfetti.
Assomigliava in maniera impressionante a John Taylor, il bassista dei Duran Duran. 
Per te, PrincipeV, e i lettori più giovani o smemorati allego una foto esplicativa.
Domenico era così, ma senza cotonatura, colpi di sole ed espressione languida.

Noi innamorate dei ripetenti eravamo come delle fan. C'erano quelle a cui piaceva Daniele, frontman sfacciato. Quelle a cui piaceva Andrea, rockettaro maledetto. E quelle a cui piaceva Domenico. Bello ma poco appariscente. Silenzioso. Riservato. Non incline agli atteggiamenti da divo.

Una mattina in terza C si ritrovarono con un'ora buca e, nell'impossibilità di procurare un supplente al volo, la classe venne divisa in piccoli gruppi e spedita a far tappezzeria nelle altre aule.
Domenico finì, insieme ad un suo compagno, in seconda A. La MIA seconda A.

Egli passò un'ora a guardare fuori dalla finestra,
Io passai un'ora a osservarlo di sottecchi, con la tachicardia, la salivazione azzerata e la sudorazione moltiplicata.
Poi suonò la campanella. Il mio taciturno amore si alzò e io lo guardai allontanarsi verso il tramonto.
Questo sognante quadro venne interrotto da una voce gracchiante: "Domenico guarda cosa c'è scritto là!", urlò quel viscido del mio ex fidanzatino.
Urlò il patetico e geloso omino indicando il mio banco.
Banco ornato da me medesima con deliziosi deliri d'amore ed un elaborato graffito "Dome&PancriXever".

Mi alzai di scatto, coprii la scritta col diario, mentre l'oggetto dei miei desideri si avvicinava inesorabile al mio posto. Si avvicinava, arrivava, si fermava.
Quelli che seguirono furono i 30 secondi più mervigliosamente orribili della mia vita. O almeno delle medie.
Da una parte c'era il ripetente curioso, dall'altra la ragazzina che cercava di proteggere gli ultimi brandelli di dignità. In mezzo un diario a celare l'imbarazzo.
"Mi fai leggere?", chiese lui.
"No", sussurrai io.
"Dai..."
"No"
"Ma..."
"No, Domenico, per piacere no"
Lui allungò la mano verso il diario. La mia presa era di pastafrolla. Sarebbe bastato un secondo. Un secondo, uno strattone e una risata per spezzare il mio fragile cuore e ferire il mio orgoglio.

Lui allungò la mano. Poi, però, mi guardò negli occhi.
Non so cosa vide nei miei piccoli occhi all'ingiù. Probabilmente terrore, panico e disperazione.

Domenico non era solo bello ma anche gentile. Gentile in un momento della propria vita in cui raramente lo si è.
Non mise alla prova la mia presa di pastafrolla.
"Non ti preoccupare", disse rivolto a me.
"Tu impara a farti i fatti tuoi, che fai più bella figura!", disse a quel vigliaccone del mio ex.
Poi mi sorrise e se ne andò.

PrincipeV, mio adorato nipote, ti ho raccontato questa storia perché vedo la tua bellezza e conosco il tuo cuore buono.
Ricordati sempre di essere gentile con tutti.
Ma ricordati soprattutto di essere gentile con le femmine. Con quelle che ti piacciono e, a maggior ragione, con quelle che non ti piacciono.
Perché un sorriso sincero ed un gesto educato valgono molto più di un'espressione da piacione. E lasciano tracce indelebili con cui nessuno sguardo da conquistatore sarà mai in grado di competere.

E ricordati pure di studiare: così non sarai mai ripetente.
Non ne hai bisogno: sei così bello che le ragazze s'innamoreranno lo stesso di te.
Un'ora per decidere quale regalo prendere al nipote adorato.
Cinque minuti perché lui lanci il suddetto regalo dal balcone, facendolo schiantare a terra in mille pezzi.

Un'obsoleta tradizione, perpetuata ogni anno ad uso e consumo degli adulti.
Una tassa imposta ai bambini, sotto forma di stress e confusione.
Un delirio di genitori isterici e nonni gongolanti.
Un'accozzaglia di siparietti coercitivi e stereotipati.

La recita di Natale dell'Asilo è il male.
Ma...

... mio nipote fra 15 anni lo troverete a Broadway! 
Il piccoletto è un vero talento. Tutto zia sua!

Un anno di gioia e dolore, pianti e sorrisi, perdite e incontri.
Un anno di "Non ce la faremo mai".
Un anno di "Come abbiamo fatto finora senza di lui?"
Un anno di giardinetti, altalene, scivoli e ludoteca.
Un anno di pappa, nanna, pannolini e vasino.
Un anno di poco sonno e tante risate.
Un anno di coccole e capricci.
Un anno di bernoccoli e spaventi.
Un anno di favole e canzoni.
Un anno di urla e paura.
Un anno di "Ti voglio bene come il mondo"
Un anno di "Ti voglio bene più del mondo"
Un anno di "Gli vorrò abbastanza bene?"
Un anno di "Mi toglie il fiato il bene che gli voglio!"
Un anno di mamma e papà.
Un anno di famiglia.

È passato un anno da quel primo incontro: auguri a tutti e tre!

Per fare certe scoperte uno pensa di dover affidarsi a Giacobbo, Daniele Bossari oppure a Fiammetta Cicogna. Per venire a conoscenza di certi misteri della natura uno pensa di aver bisogno di una laurea in scienze naturali, un master in biologia applicata, o perlomeno un abbonamento a Focus Junior. Per poter giungere a un tale livello di scienza e conoscenza dell’essere umano e delle sue intrinseche capacità uno pensa di dover viaggiare in lungo e in largo per tutto il globo terracqueo, frequentare le tribù della Papuasia, o essere eletto vicesindaco di una comunità Inuit.

E invece no! Certe cose si finisce con l’impararle in posti, tempi e luoghi tra i più impensati.

Ad esempio, se non fosse stato per un pisolino pomeridiano, cuore a cuore con mio nipote, non avrei mai saputo che un grazioso esemplare di homino sapiens sapiens, alto 90 cm e la cui massa si aggira intorno ai 14 kg, fosse in grado di russare con la potenza e il talento di un ippopotamo adulto con le adenoidi ingrossate.

N.d.A. Passando dalle scienze alle lettere, vi segnalo che la favola “Il Cavaliere che divenne Principe”, che la maggior parte di voi già conosce, ora è disponibile anche sulle pagine di Ti racconto una Fiaba. Un sito che raccoglie racconti classici, meno classici, e piccole opere di sconosciuti. Un progetto per far sognare grandi e piccini, a cui possono partecipare tutti, proponendo anche una microfavola di soli 140 caratteri.
E' proprio vero che l'arrivo di un bambino cambia la vita.
Cambia la vita dei genitori, dei nonni e persino degli zii.
In particolare cambia la vita delle zie gelose della propria intimità.
Quelle che, per loro natura, sentono il bisogno di chiudersi in bagno a doppia mandata. Sempre, anche se sono sole in casa, anche se la porta è difettosa, anche se, così facendo, più di una volta si sono trovate a dover gestire situazioni imbarazzanti quanto sgradevoli.

Se poi, a questo cambiamento, si aggiunge la sciagura di una serratura rotta, le suddette zie possono ritrovarsi a condurre, loro malgrado, conversazioni che mai avrebbero pensato di dover condurre.

"Ziaaa, dove seiii?"
"Aspetta un attimo e arrivo, tesoro"
"Sei in bagnooo?"
"Aspetta amore, non entrare, ora esco, non entr..."
"Ciao", dice il nipote arrampicandosi sopra il bidet.
"Ciao"
"Fai la cacca?"
"Non potresti uscire un attimino, mio invadente congiunto?"
"No"
"No???"
"No. Io voglio stare con te. Sempre."

Io amo il mio piccolo stalker in erba, ma bisognerà provvedere ad aggiustare quella maledetta serratura. Al più presto. Prima di subito. Ora!
SorellaCole: Abbiamo comprato il vestito di carnevale per il piccolino. Sarà bellissimo!
Jane Pancrazia: Ma che tenerezza. E dimmi: cosa gli avete preso? Un bel costume da Principe nobile e coraggioso?
SC: No, veramente no.
JP: Cavaliere senza macchia e senza paura?
SC: No, non proprio. Abbiamo optato per qualcosa di diverso. Più moderno, diciamo.
JP: Avete fatto bene. Con un bel supereroe non si sbaglia mai. Avete scelto Spider-Man, vero? Il supereroe più super che ci sia!
SC: No, in verità, sei ancora un pochetto lontana.
JP: E allora mi arrendo. Da cosa lo vestirete?
SC: Topino.
JC: ...
SC: Un adorabile topino.
JC: ...
SC: Un simpaticissimo topino.
JC: Vestirete MIO nipote da SORCIO???
SC: Non da sorcio, da topino!
JC: E' lo stesso!
SC: Ma no, che non è lo stesso. Mantieni la calma. Cerca di affrontare la questione in maniera lucida e razionale. E' troppo piccolo per i costumi che piacciono a te. Per la sua età sono più adatti quelli teneri, da cucciolotto.
JC: Ma non potevi conciarlo da tenero orsacchiotto? Tenero scoiattolino? Tenero coniglietto saltellante? Proprio da pantegana fetente???
SC: Non è un vestito da pantegana ma da dolce topino con papillon annesso.
JC: Perfetto! Sorcio con tanto di ridicolo farfallino. Così mortificherete anche il suo senso estetico oltre che la sua dignità, ma bravi!!!

Ogni zia che si rispetti ha dei compiti da assolvere.
Compito numero uno: amare follemente il proprio nipote.
Compito numero due: preoccuparsi che non sia mai lesa l'onorabilità e l'innata eleganza del proprio nipote.
Compito numero tre: sfrantecare pazienza e certezze della propria sorella, nonché madre del succitato nipote.

Io sono una zia che prende molto seriamente il proprio ruolo.

Ovviamente PrincipeV è bellissimo con il suo vestito da topino, ma io non lo ammetterò mai, neanche sotto tortura.

Ah, quasi dimenticavo, ora mia sorella mi odia. Missione compiuta!
Non avrei potuto desiderare un compleanno migliore. Oggi, appena sveglia, ho ricevuto la notizia della felice conclusione della vicenda di Hambtamu. Ritrovato sano e salvo alla stazione di Napoli.
Un bellissimo tredicenne imbarcatosi in un'avventura più grande di lui che, per fortuna, è stato rintracciato e riportato dalla propria famiglia.

Caro Hambtamu,

ti parlo come parlerei a mio nipote.
Ti parlo come forse un giorno, quando sarà anche lui un piccolo uomo, dovrò parlargli sul serio.

La tua confusione è figlia della tua età e della tua storia. Il tuo desiderio è legittimo e comprensibile. Ma non sottovalutare mai più chi ti ama come ti ama la tua famiglia.
Non conosco i tuoi genitori ma conosco la loro storia. Conosco la tua storia. Conosco la nostra storia. Ed è per questo che sono certa che la tua mamma ed il tuo papà sono pronti ad ascoltarti, appoggiarti ed accompagnarti lungo il tuo viaggio.

Non aver paura di chiedere aiuto, chi ti ama è in grado di sorprenderti.

Con affetto,
la tua amica Pancrazia
Ogni dicembre è la solita storia. Anzi, ogni anno che passa è un poco peggio. Incontro sempre più persone che, per un motivo o per un altro, dicono di odiare il Natale.
Chi lo odia per partito preso, chi per ragioni condivisibili e chi, ne ho il forte sospetto, solo perché è un modo come un altro per darsi un tono.

A me invece il Natale piace e, una volta per tutte, vorrei spiegarvi il perché.

Il mio Natale è la festa dei nonni che non ci sono più, ma è come se ci fossero ancora. Natale è il pigiamone di flanella e la colazione del 25 sentendosi perennemente una bimba. Natale sono i pacchi da aprire il 24 a mezzanotte perché noi terroni usiamo così, e quasi 50 anni di vita in Piemonte non hanno minimamente scalfito questa atavica abitudine.

Il mio Natale è la famiglia enorme, divertente e caciarona. Natale è la zia che mi conosce da quando andavo in giro col pannolino, e quindi pensa di avere il diritto di farsi i fatti miei. E forse, a pensarci, non ha tutti i torti. Natale sono gli auguri con le amiche più care, passa il tempo, cambiano le situazioni, ma a noi basta ancora un solo sguardo per capirci al volo.

Natale è soprattutto la festa della ludoteca. I bambini prendono una stellina di creta a testa, PrincipeV si fa strada tra tutti gli adulti e corre da sorellaCole con uno slancio che neanche il più devoto degli innamorati "Per te mamma. Fatta io!", dichiara appassionato.
E a me sembra di poter morire in quell'istante. Morire felice di fronte alla scena più bella che abbia mai visto. Morire di troppo amore.

Questo è il mio Natale.
Se foste al mio posto piacerebbe anche a voi.
Vorrei scrivere di più ma non ho tempo o forse sono solo molto disorganizzata. Abbiate fede, magari prima o poi vedrò la luce, uscirò dal tunnel della procrastinazione e smetterò di rincorrere gli impegni e le scadenze con il fiatone e la netta impressione di essere sempre in ritardo.

Intanto vi aggiorno un poco.
PrincipeV continua a crescere e ad essere sempre più bello e simpatico. Io, grazie a lui, sto imparando a conoscere il magico mondo dei giardinetti. Luogo in bilico tra fiaba e realtà, sogno ed incubo, pace e delirio. Tra altalene e panchine si aggirano mamme logorroiche e disperatamente bisognose di relazionarsi con degli adulti, e mamme ostili a cui farebbe tanto bene relazionarsi con un Pit Bull isterico. Tra scivoli ed alberi si scapicollano bambini carini e simpatici come orsetti gommosi ma anche piccoli sociopatici destinati a diventare serial killer oppure, per combattere il proprio complesso d'inadeguatezza, a scendere in politica.

SorellaCole non commenta e non frequenta più queste pagine perché ormai è caduta nel gorgo della maternità. Ora è una donna felice, magra come un chiodo(la carogna) e senza più neanche un secondo libero per andare in bagno. Ripetete tutti con me: "Hai voluto la bicicletta..." uahuahuahauahauha

Ciccio è sempre un gran bell'ometto, nonché mio augusto (non)consorte, e anche se non ne parlo spesso, continua ad occupare il mio morbidosamente mediterraneo fianco.
Quanto sono fastidiose quelle mamme che parlano in continuazione dei propri bambini?
Quanto sono insopportabili quei nonni che descrivono i loro piccoli eredi come geni in erba?
Quanto sono patetiche quelle zie che con sguardo sognante ed aria ispirata fanno l'elenco dettagliato di tutte le straordinarie virtù dei nipotini?
Quanto? Tanto. Anzi, tantissimo.

Detto questo: voi non avete idea di quanto sia intelligente, spiritoso e bello mio nipote.
Un ometto alto 83 cm che parla italiano meglio di molti miei conoscenti, è più divertente della maggiorparte dei comici che si vedono in tv, e può sfoggiare un paio di fascinosi occhioni neri che pure George Clooney schiatterebbe d'invidia a vederli. Il piccoletto oltretutto può vantare delle microspalle da rugbista, uno scatto da centometrista e la resistenza fisica di un maratoneta. Il Principe che fu Cavaliere possiede anche il coraggio di un leone, un sorriso da squaletto e l'appetito di un bufalo a regime ipocalorico.

E' evidente, non sono io ad aver perso dignità e ragione, è lui ad essere uno spettacolo.
In un tempo senza tempo, in un paese lontano lontano, viveva un cavaliere dall'armatura scintillante.
Il sole splendeva alto nel cielo, i monti disegnavano l'orizzonte, distese di fiori alti quanto bambini riempivano gli occhi, ed il prode V, con una bella piuma rossa come pennacchio, cavalcava il suo destriero lungo strade, boschi e campi.

Ogni volta che c'era un problema il CavaliereV arrivava in soccorso: salvava fanciulle in difficoltà, portava bimbi al sicuro e sconfiggeva bestie feroci.
"Ti siamo debitori, prendi in dono uno zecchino", lo ringraziavano i vecchi capi villaggio. "Fermati un poco con noi, ti daremo lingotti d'oro e argento", lo allettavano i borgomastri. "Rimani a proteggere il castello e ti coprirò di gioielli e pietre preziose", gli proponeva il Conte della fortezza antica.
"No, grazie mille", rispondeva V, faceva un inchino, scuoteva il rosso pennacchio e ripartiva in groppa al suo cavallo mai stanco. Lui degli zecchini non sapeva proprio cosa farsene e poi nella bell'armatura non aveva neanche una tasca piccina piccina dove metterli; l'oro e l'argento lo facevano riempire di bolle peggio di un folletto col varibillo; e la fortezza non gli piaceva per niente, tutta scura e piena di spifferi com'era.

Le fanciulle amavano il CavaliereV e sospiravano intravedendo il suo sguardo di brace attraverso la fessura dell'elmo, i giovani sognavano di poter essere forti e coraggiosi come lui, ma in verità il cavaliere non era mica tanto contento. Ogni notte si stendeva ai piedi di un grande albero a guardare le stelle. Ogni notte restava sveglio perché, se sei solo in mezzo al bosco, puoi permetterti di dormire solo con gli occhi aperti. Ogni notte si chiedeva quando avrebbe trovato riposo: fare l'eroe gli piaceva assai ma delle volte un poco di pace ed un pisolino come si deve non gli sarebbero mica dispiaciuti.

Un giorno d'estate un vecchio contadino gli si parò davanti in mezzo al sentiero: "CavaliereV hai sentito la triste novella? In un paese lontano lontano un Drago sta tenendo prigionieri un fattore e sua moglie. Poverini, nessuno corre ad aiutarli perché tutti hanno paura di quel bestione grande e cattivo."
"Ci andrò io", rispose lesto il cavaliere dal pennacchio rosso, che aveva il cuore grande e l'animo nobile.
"Ma è lontano."
"Cavalcherò giorno e notte se sarà necessario", e così partì.
Gli ci vollero due giorni e due notti, superò campi e monti, sfidò la pioggia e la neve, fino a quando non giunse in una grande pianura con un fiume che dalla montagna scendeva fino al mare.

Davanti ad un'umile casetta stava seduto un Drago grasso e puzzolente. V poggiò la spada a terra, prese una fogliolina da un cespuglio, e piano piano si avvicinò a quel bestione fiammeggiante. Passo, passo, senza far scricchiolare l'armatura, arrivò fino ad un piedone dalle unghie zozze e, trattenendo il fiato, fece l'unica cosa che può sconfiggere un vero Drago, un segreto segretissimo che solo i grandi cavalieri d'armi e d'onore conoscono: gli fece il solletico.
L'animale spalancò la bocca piena di denti e, invece di sputare fuoco, iniziò a ridere.
Una risata, uno sbuffo di fumo.
Una risata, uno sbuffo di fumo, un colpo di tosse.
Una risata, uno sbuffo di fumo, un colpo di tosse, uno starnuto.
E a forza di ridere, sbuffare, tossire e starnutire, il verde sederone squamoso si sollevò da terra ed il Drago volò via con un bell'attacco di ridarella draghesca. Ahahah, puf, cof, etciù, ahahah, puf, cof, etciù, ahahah, puf, cof, etciù si sentì sempre più distante, fino a quando non ci fu silenzio e lontano nel cielo non rimase che un puntino verde piccolo quanto una capocchia di spillo.

Il fattore e la fattoressa uscirono di corsa da casa: "Grazie cavaliere sconosciuto, grazie per averci salvato. Cosa possiamo fare per te? Noi non abbiamo zecchini, oro, argento o pietre preziose ma se vuoi possiamo dividere la nostra cena in tre."
V, che un certo appetito in effetti ce lo aveva, accettò e mangiò con loro una minestra che era proprio la fine del mondo. Poi, dato che era stanco, si coricò al calduccio sopra un saccone di piume vicino al caminetto. Gli occhi gli si fecero pesanti e, visto che non era da solo ma in casa con lui c'erano quei due signori tanto gentili, decise che un sonnellino piccolo piccolo se lo poteva fare.

La mattina il fattore e la fattoressa si alzarono presto per preparare la colazione al loro salvatore e grande fu lo stupore quando, al posto del prode cavaliere, trovarono un bimbo dai grandi occhi neri ed il sorriso del sole. "Quanto sei bello", gli disse la donna, "sembri proprio un Principe".

Così il CavaliereV divenne PrincipeV.
Ed il fattore e la fattoressa divennero mamma e papà.
Caro PrincipeV,

questa è la prima lettera che ti scrivo.
Te la scrivo per farti gli auguri di buon compleanno ma, com'è nel mio stile, sono in ritardo. Avrei dovuto farlo prima ma testa e cuore erano troppo confusi. Sentimenti, pensieri, emozioni, ci ho messo tutti questi giorni per farci un poco d'ordine.

Quando due anni fa ho saputo che saresti arrivato, arrivato per davvero, che non eri solo un sogno o una speranza ma un puntino lontano in lento ed inesorabile avvicinamento, mi si è aperto un mondo tutto nuovo. La famiglia Cole si allargava e soprattutto si allungava. Gettava il cuore oltre l'ostacolo. Spostava i propri orizzonti un poco più in là.
Io per molti, troppi, anni sono stata la più piccola, l'ultima arrivata. Quando sono venuta al mondo c'erano già tutti: il nonno, la nonna e persino la tua mamma. Sì, tecnicamente non erano ancora entrati a far parte della famiglia il tuo papà o lo zio Ciccio ma di tutti noi, di quelli con lo stesso sangue, io ero l'ultima.
Lo stesso sangue, appunto. Due anni fa dissi a tuo zio proprio così: "Voglio bene ai miei nipotini acquisiti ma lui sarà una cosa diversa, lui sarà figlio di mia sorella, sangue del mio sangue."
Lo so che, per quello che ci riguarda, tecnicamente questa è una fesseria ma insomma quello che volevo dire era che: la vita è imprevedibile, le persone vanno e vengono, le famiglie si allargano e si restringono, gli amori finiscono e le amicizie si sfilacciano ma i bambini, che siano figli o nipoti, quelli no, quelli arrivano e restano per sempre.
Fra 5, 10, 15 o 20 anni tu ci sarai ancora ed io ci sarò. Per te. Sempre.

Per la maggior parte delle persone "aspettare un bambino" significa guardare una pancia crescere. Poi ci sono quelli come noi, quelli per cui "aspettare un bambino" significa aspettare, aspettare sul serio.
Aspettare una telefonata ed un abbinamento. E così che lo chiamano, un abbinamento. Una famiglia per un bambino. La famiglia giusta per il bambino giusto.
Prima ci sono gli psicologi, poi gli assistenti sociali, gli incontri, i gruppi di supporto. E intanto si aspetta, si spera, delle volte si ha l'impressione che basti allungare un poco di più le braccia per arrivarci e delle volte sembra che per quanto si faccia, per quanto si aspetti, per quanto si sia delle brave persone, questo bimbo non arriverà mai.

La tua mamma ed il tuo papà ti hanno aspettato tanto e noi con loro.
Quanta è stata lunga la strada e quanto sembra breve ed insignificante a ripensarci adesso. Una strada che i tuoi genitori hanno intrapreso ancora prima che tu poggiassi i tuoi piedini su questa terra. Una strada che per quasi due anni tu hai dovuto percorrere da solo. Anzi no, solo no, solo mai, perché hai avuto chi si è preso cura di te, gente per bene che ti ha aperto il proprio cuore e la propria casa e che per questo avrà per sempre la mia riconoscenza.
Tu non avrai memoria di loro ma loro di te, il bimbo forte che amava la musica.
Sei così piccolo, PrincipeV, ma hai già tante persone al mondo che ti amano e ti portano nel cuore. Non scordarlo mai.


Finalmente, una settimana fa, la tua mamma ed il tuo papà sono venuti a prenderti, hanno attraversato terre e lingue diverse, hanno macinato chilometri e perso ore di sonno. In questi giorni vi state conoscendo e amalgamando, state intrecciando i fili delle vostre esistenze, state scambiandovi baci e urla, tenerezze e capricci.

Per adesso io ho potuto vederti solo in cam ma siamo già diventati grandi amici, non è vero? Ieri, per la prima volta, hai detto "ciao zia" ed io ho scoperto cos'è l'amore, l'amore vero. Tu sei l'uomo della mia vita, zio Ciccio già lo sa e si è messo l'animo in pace, sei il piccolo di casa, sei la nuova gemma sull'albero, il fiume che arriva fino al mare, la tartaruga che corre verso l'acqua. Tu sei un miracolo ed una benedizione.
Tu sei tutte queste cose assieme e sei soprattutto mio nipote.

Nipote, mi riempio la bocca ed il cuore con questa parola e trabocco d'orgoglio perché neanche nei miei più rosei sogni tu saresti potuto essere meglio di quello che sei.
Tu sei tu.
Era te che stavamo aspettando.

Spesso in questi mesi, quando raccontavo di te la gente mi diceva "E' un bambino fortunato", ed io rispondevo "Siamo noi ad essere quelli fortunati". Ed è proprio vero. E' così. Siamo noi ad essere fortunati perché il destino ha fatto incrociare le nostre vite. Perché noi avremo l'onore di vederti crescere. Perché sei un gran testone ed un terremoto, perché quando ti arrabbi urli con una vocetta acuta che non perdona e quando ridi ti si muove tutta la pancia, perché sei uno spericolato con un sorriso dolce, perché sei un tiranno con l'animo del Re Buono. Insomma perché tu sei un normale e sano bambino di due anni.

Fra qualche settimana finalmente ci incontreremo, intanto io continuo ad aspettarti. Sono qua per te e ci sarò per sempre perché tu sei mio nipote, sangue del mio sangue.

Tanti auguri PrincipeV,
tua zia Jane,
anzi no, tua zia Rò.
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