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Come vi avevo già annunciato, sabato pomeriggio ho partecipato a una diretta Facebook dedicata al cinema degli anni '80.

Eravamo in 5. Chi quel decennio l'ha vissuto da bimbo e chi da ragazzo.  Ognuno di noi ha "portato" due film dell'epoca a cui è particolarmente legato. E una pellicola che, per ragioni diverse e sicuramente opinabili, detesta. 

Quindi no, non è stata una tavola rotonda dedicata ai più grandi capolavori cinematografici di quel periodo e neanche un compendio esaustivo dell'argomento, ma una chiacchierata tra amici che hanno ricordato sensazioni e sentimenti degli ormai lontanissimi anni '80. 

Se vi va di recuperare l'evento – perché la mia presenza in una diretta Facebook può considerarsi tale – andate a questo link e buona visione!


Per questioni anagrafiche e culturali sono un'esperta di cinema anni '80. E sciorinerò tutta la mia conoscenza domani, sabato 30 maggio, alle ore 17 in una diretta su facebook.

L'appuntamento è con il format C'era una volta il Cinema che potrete seguire sul mio profilo o sul profilo di Morandazzo. Una tavola rotonda semiseria – molto semi e poco seria – che vedrà partecipare gente bella bella che, molto probabilmente, finirà con l'accapigliarsi parlando di Dirty Dancing!

Preparate glitter e rossetti rosa shocking gli anni '80 stanno tornando!

Nicola Lagioia e Marco Pautasso ieri hanno condotto l'ultima giornata del Salone. Un gran finale come un varietà, che ha visto musicisti, scrittori, giornalisti e attori alternarsi.

Quello di quest'anno è stato un "Salone virtuale," ha detto Lagioia, "che non si sostituisce a quello fisico ma che è stato in grado di raggiungere e appassionare anche chi al Salone, quello vero, non ci era mai stato, o per collocazione geografica o per problemi di salute o di lavoro".

Il Gran Finale è stato una carrellata infinita di personaggi della cultura e dell'arte. I torinesi direttamente sul palco sotto l'iconica torre di libri di François Confino – da anni simbolo della manifestazione – tra questi: Fabrizio Bosso, Levante, i Perturbazione e l'immancabile Baricco. I non indigeni, invece, collegati da casa loro, come Francesco Bianconi, Carlo Rovelli, Zerocalcare, Jasmine Trinca e Roberto Saviano.

Bravi eh, per carità, ma una spanna sopra tutti: Arturo Brachetti, che ha raccontato il Piccolo Principe attraverso l'arte del disegno con la sabbia. Sì, sa fare anche questo Brachetti.
Quanto ci fai sentire inadeguati, Artù!

Infine, Nicola Lagioia, prima di salutare e ringraziare tutti ha voluto suggerire a noi spettatori/lettori “Visto che per vedere tutto questo po' po' di roba non avete dovuto pagare il biglietto, andate a comprarvi un libro, per dare una mano a una filiera che è, al tempo stesso, preziosa e molto fragile”.
E ha ragione, non dimentichiamolo.

Il Salone del Libro si è concluso. Questa mia maratona sul blog, anche.
Viva il Salone del Libro! E viva me! 
Troppo?
Ok, viva il Salone del Libro e basta!

Vent'anni fa, Ilide Carmignani andò da Ernesto Ferrero – allora direttore del Salone – chiedendo uno spazio per i traduttori. L'idea piacque, si partì con una tavola rotonda che poi, negli anni, crebbe, diventando un'importante sezione del Salone stesso. Il nome della sezione? L'azzeccatissimo L'autore invisibile. 

"Il 20% dei libri stampati in Italia sono traduzioni" dice Nicola Lagioia – direttore attuale del Salone. "In realtà, se si eliminano scolastica e saggistica, la percentuale sale di parecchio", specifica la Carmignani. Numeri simili riguardano tutta l'editoria europea, notoriamente tra le più aperte, curiose e cosmopolite. Del resto, giratevi un attimo, alzate lo sguardo, eccola là, la vostra libreria, quanti libri di autori non italiani ci sono? Ecco, appunto. Quanto è importante ma sottovalutato il valore del traduttore?

Quest'anno per festeggiare l'anniversario de L'autore invisibile, a partecipare a questo Salone sui generis, è stata chiamata Anita Raja, traduttrice di numerose autrici di lingua tedesca, tra cui le più note sono sicuramente Christa Wolf e Frida Petzenbaum.

"Non sono una traduttrice professionista," ci tiene subito a precisare Anita Raja, "perché questa attività è sempre stata collaterale. Lo faccio da più di 30 anni ma, non essendo ciò che mi dà da vivere, ho sempre avuto il vantaggio di poter scegliere e di fare questa attività solo per piacere".

"La traduzione è il rapporto tar due lingue e due scritture. Un rapporto non paritario. Chi traduce subisce l’autorità e la fascinazione di un testo di partenza – se l’autore è un grande autore – e offre il proprio linguaggio con amore, con passione, con ammirazione."

"Piegarsi alle necessità del testo di partenza, forzare la propria più modesta capacità di linguaggio per essere all’altezza dell’originale. La traduzione è un'opera di riscrittura che ha la prerogativa dell’ospitalità e l’obbligo di reinventare ogni volta uno spazio linguistico adeguato ai bisogni del testo originale. Tradurre non è trascrivere ma riscrivere, non in modo libero ma comunque inventivo. Trovare, escogitare il modo migliore per ospitare l’originale."

"Il testo ci domina, ci tiene stretti nella sua rete già come lettori. Quando leggiamo un testo che amiamo è difficile capire dove finiamo noi, dove comincia il personaggio, dove ci pieghiamo alle intenzioni dell’autrice/autore, dove inseriamo le nostre intenzioni. Tradurre significa accettare quella disparità, che quella parola è più potente della nostra, vedere con chiarezza la rete del testo, farsene lucidamente intrappolare. Dal riconoscimento della disparità muove la domanda che dovrebbe assillare chiunque traduca: quanto sarò capace di trasportare nella mia lingua della sua parola?"

"Alle opere di grande valore letterario ogni veste in un’altra lingua va stretta. Ogni lettura, ogni traduzione porta i segni della parzialità storica. Il testo di arrivo non è mai definitivo e sempre perfettibile. Il testo originale sprigionerà in futuro significati che ora non vediamo o che appanneranno ciò che ci è sembrato di vedere. Forse dobbiamo concludere che la ricchezza, la plurivocità del testo originale non si riproduce in una sola traduzione ma in un insieme di traduzioni, quelle precedenti e quelle che seguiranno, ed è bene, è bello che sia così", conclude Anita Raja in un intervento appassionato e ricco.

Nota a margine dovuta. Vi state chiedendo chi sia Anita Raja? Il nome vi suona molto famigliare? Se siete appassionati di letteratura, gossip e misteri l'avrete già riconosciuta, altrimenti ve lo dico io. Anita Raja è la sospettata numero 1. Uno dei nomi più tirati in ballo in quanto possibile vera identità di Elena Ferrante. Sarà davvero lei? Ovviamente io non è ho la più pallida idea e, onestamente, poco m'interessa. Ma, in quanto ad amore per le parole e capacità di racconto, direi che questo suo intervento testimonia un innegabile talento. Che l'abbia usato vestendo panni diversi e raccontando amiche geniali? Bah, non lo sapremo mai o forse sì.

La letteratura per l'infanzia è patrimonio dell'umanità. Pur cambiata ed edulcorata negli ultimi anni (perché altrimenti i bambini s'impressionano) rimane una forma d'arte, comunicazione e racconto d'incredibile potenza. Da piccolina mi sono nutrita di favole a colazione, pranzo e cena. Quelle classiche ma anche e, soprattutto, quelle meno conosciute da noi, provenienti dai quattro angoli del globo. Qualcuna tra queste non passerebbe la "censura" attuale forse, censura dei genitori mica degli editori, ma i miei, ringraziando il cielo, sono di un'altra generazione e non hanno mai temuto che fossi troppo impressionabile.

I bambini e i loro libri hanno sempre avuto una grande importanza e un grande spazio all'interno del Salone ed è per questo che ieri, dovendo scegliere un evento da seguire, non ho avuto dubbio alcuno: Abbracci di parole e figure. Una chiacchierata tra Eros Miari – esperto di libri per ragazzi e promozione della lettura – e Bernard Friot, intervallata dagli interventi di Huck Scarry e Chen Jiang Hong.

"Ai bambini sono mancati gli abbracci degli amici" inizia Miari. "Per questo motivo abbiamo invitato persone che abbracciano i bambini con le loro storie e con le loro illustrazioni".

L'autore francese Berbard Friot, se non ci fosse stata l'emergenza, in questi giorni sarebbe stato al Lingotto a leggere le poesie di Gianni Rodari. E, così, in diretta da Bordeaux recita

“Ho visto una formica
 in un giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.
Tutto cambia:
le nuvole, le favole, le persone …
La formica si fa generosa …
È una rivoluzione.”

Parole del poeta romano che ben si sposano con la speranza di questi giorni, in cui la gente si abbraccia senza potersi abbracciare.

Tra gli ultimi libri di Friot pubblicati in Italia ci sono Storie di calzini e di altri oggetti chiacchieroni, edito da Il Castoro; Un anno di poesia, edito da Lapis; e Il fiore del signor Moggi edito da Fatatrac. L'ultimo, tra l'altro, è il primo libro che l'autore ha scritto direttamente in italiano. "Hai meno parole a disposizione quando scrivi in una lingua non tua" spiega Friot. "Quindi devi trovare il modo di dire il più possibile con meno. Una situazione che conosce anche il bambino. Una limitazione che aiuta a concentrare la narrazione".

Il primo ospite dell'evento è Huck Scarry, illustratore statunitense, unico figlio del famosissimo Richard McClure Scarry. E proprio in onore di cotanto padre, Huck regala al Salone 10 minuti di pura delizia con un tutorial per i bambini, in modo che imparino a costruire a casa, con pochi oggetti, un proprio Zigo-Zago personale. Impossibile non amare lui, il padre e il vermetto con il cappello da tirolese!

Infine, la scena la ruba l'affascinante autore cinese Chen Jiang Hong in diretta da Parigi, che parla direttamente ai bambini, mandandogli saluti, affetto, chiedendo loro di proteggersi e sopravvivere. Poi, dopo aver mostrato le sue splendide illustrazioni, legge un brano tratto dal suo libro Il Principe Tigre, edito da Babalibri. Una storia cupa e bellissima, che parla di dolore, vendetta e morte. Ma dopo il buio ci sarà sicuramente la luce. Una storia come quelle che leggevo io, insomma. E, infatti, alla fine ho gli occhi lucidi davanti allo schermo, e una gran voglia di comprarmi una copia del libro, e chi se ne frega se l'età consigliata è 5 anni!

Sono stati tutti splendidi interventi, artisti dalla capacità infinita e il cuore grande. Tutti distanti sono stati capaci, con gli adulti ma soprattutto con i bambini che seguivano in diretta, di creare un momento di unione e collettività. Anche questa volta mi tocca dire: grazie Salone!


Da torinese appassionata di lettura ho un rapporto antico e stretto con il Salone Internazionale del Libro. Al Salone ho consumato scarpe e prosciugato conti, al Salone ho fatto incontri e ascoltato voci. 

Quest'anno, per ovvie ragioni, il Salone non ci sarà, o meglio, non ci sarà nella sua forma classica. Il Lingotto viene sostituito dalla rete e le lunghe camminate tra i corridoi – colmi al tempo stesso di libri e aria viziata –  da video in diretta. Una magra consolazione ma anche un'opportunità. Io, tra l'altro, un Salone così l'ho già vissuto quando, qualche anno fa, una tendenite bastarda e recidivante (chi mi conosce se ne ricorda bene!) mi costrinse a casa, legata alla scrivania, ad abbeverarmi assetata alla fonte di qualsiasi materiale video messo a disposizione online all'epoca. Un'esperienza, per la cronaca, molto più piacevole, ricca e istruttiva di quanto avessi mai potuto preventivare. Ciò detto e ciò sperimentato, questo Salto Extra 2020 – questa la denominazione ufficiale – non mi spaventa affatto, anzi le mie aspettative sono alte e spero solo che non vengano deluse.

L'evento è stato aperto ieri dalla lectio magistralis dello storico Alessandro Barbero. Il Professore, da solo, al centro di un Museo del Cinema, evocativo come sempre e più di sempre, ha raccontato l'umanità attraverso le catastrofi, la capacità insita nell'uomo di risorgere dalle crisi e "di dare forma di opportunità alle conseguenze inaspettate che nei secoli si sono presentate".

"Durante il secondo secolo dopo Cristo, l'Impero Romano viene colpito dalla cosiddetta peste Antonina," spiega Barbero, "che peste non era ma, più probabilmente, una pandemia di morbillo o vaiolo". Dato l'elevato numero dei decessi, l'Impero stesso, per la prima volta, si rende conto dell’"importanza del capitale umano", non della vita umana in quanto tale – un concetto decisamente successivo – ma dell'utilità degli uomini in quanto preziosa manodopera. "Per ovviare al calo demografico vengono aperte le frontiere, si fanno entrare gli immigrati, i barbari desiderosi di integrarsi, ospitati in vere e proprie strutture di accoglienza. E, da quel momento, ciò diventa uno dei punti di forza dell’Impero".

"Risale al 1348, invece, la grande epidemia di peste in Europa, quella che racconta anche Boccaccio nel Decameron". Un'epidemia che colpisce una società ricca ma complessa e che, con un tasso di mortalità altissimo, falcidia la popolazione. "Nel 1361 la peste torna e poi ogni 10 e 15 anni, generazioni e generazioni vivono con la consapevolezza che entro pochi anni ci sarà un’epidemia". Ed è in quel periodo che s’inventano gli stessi meccanismi che stiamo utilizzando noi. Ogni caso di peste viene segnalato. Si chiudono le città, non si fanno attraccare le navi, i malati vengono chiusi in casa. Questi provvedimenti non guariscono dalla malattia, ovviamente, ma servono a limitarne la diffusione e a renderla meno devastante ogni volta che si ripresenta.
Per quanto riguarda le conseguenze inaspettate, la drastica diminuzione demografica rende i lavoratori una merce preziosa e i salari, per la prima volta, salgono. La povera gente ha finalmente qualche soldo in tasca e così "prosperano le città dove si è capito che bisogna produrre panni a buon mercato, perché c’è una moltitudine di persone semplici pronta a spendere".

Ma non sono solo le epidemie a stravolgere la società, ci pensano anche le guerre. Terribile fu il secondo conflitto mondiale e la perdita di vite umane che si portò dietro. Ma l'Italia seppe rinascere inaspettatamente dopo il doppio giogo di regime e guerra. A tal proposito, Gaetano Salvemini, esule dal 1925, dal delitto Matteotti. Dopo aver insegnato ad Harvard, una volta andato in pensione, torna in Italia nel 1949.  Esterrefatto e felice vede gli italiani al lavoro, "un formicaio più rapido a costruire di quanto siano stati gli altri a distruggere". Un paese destinato a riprendersi con una rapidità che nessuno avrebbe mai sospettato. Pronto per un futuro di benessere e progresso.

È questa, lo dice Barbero e lo dico pure io, la stessa speranza che tutti abbiamo in cuore per l'Italia e per il mondo di oggi, una volta che l'emergenza lascerà il posto a un nuovo inizio.

Il Salone Internazionale del Libro è tornato, signori e signore, e come sempre ha qualcosa da insegnarci.

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