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La mattina dopo ci svegliammo pieni di energia.
LAmicoFab era pronto a scoprire finalmente Berlino ed io ero pronta a fargli da guida.
Sì, insomma, forse è il caso che dica la verità. Io non ero piena di energia. No. Io ero divorata dall'ansia da prestazione.

Avete presente quei nonni che esibiscono i loro nipotini, tutti orgogliosi e tronfi? Avete presente quando comincia il circo dei "Fa vedere ai signori come fai questo, fai vedere ai signori come fai quest'altro"? E, soprattutto, avete presente questi nani che, con un legittimo moto di ribellione, invece di recitare la filastrocca "che sanno taaanto bene" si mettono le dita nel naso? Tutte e 10 contemporaneamente. Oppure, invece di dire i colori dell'arcobaleno in inglese, cinese e aramaico, "che le lingue sono taaanto importanti", sillabano a rutti il loro nome di battesimo? Sbagliandolo, per giunta!
Ecco la mia situazione fu identica.
Nonna Pancrazia cercò di far dire la poesiola di Natale a Berlino.
Ma quella fancazzista, anarchica, ribelle della Stadt mi si rivoltò contro.

Non avevo programmato un vero e proprio itinerario, ma mi ero fatta un vago elenco delle cose più importanti da far visitare a LAmicoFab. Elenco che vedeva al primo posto l'arioso viale Unter den Linden.
La sciccosa passeggiata. Il corridoio del lusso. Il tappeto rosso della Berlino Est.
Con Unter den Linden non potevo sbagliare. Andiamo: avevo persino scritto un racconto ambientato lì!

Saremmo partiti dalla Porta di Brandeburgo e poi avremmo passeggiato sotto i tigli.
Un doppio colpo con cui avrei steso LAmicoFab, portandolo al deliquio per la capitale teutonica in 5 minuti.
Tutti dovevano amare Berlino quanto me. Tutti!
Era questa la mia missione.
Era questo il mio piano diabolico.
Era questo il mio inevitabile futuro fallimento.

La Porta, da poco restaurata, appariva di quel biancore perfetto, privo di sfumature e anche di fascino. Così diversa da come l'avevo vista io la prima volta quel lontano settembre del 2000. Non solitaria, imponente, e malinconica, ma bianca come il latte e circondata da turisti. Chiassosi, fastidiosi turisti. Idioti che facevano la coda per farsi fotografare accanto a figuranti vestiti da Superman, Batman o Predator.
"Predator? Che cazzo vi fate la foto abbracciati a Predator? Non siete a Los Angeles. Non state passeggiando davanti al Kodak Theatre. Siete a Berlino. Dannazione! Berlino. Ma che vi dice la testa? E perché Predator non ve la stacca quella dannata testa?" sibilavo a denti stretti peggio di un'invasata.

Unter den Linden fu ancora peggio.
Lavori in corso.
Lavori in corso in ogni dove.
Tutto coperto. Niente visibile.
"Vedi là dietro?" dicevo a LAmicoFab.
"Dove?" mi rispondeva lui.
"Là!"
"Là dove?"
"Là! Se ti pieghi di 30° verso destra, giri la testa di 25° verso sinistra, strizzi gli occhi, apri la bocca, fai una giravolta e falla un'altra volta, dietro quelle due gru potrai vedere la punta del tetto dell'Opera. La vedi???"
"Sìììì bellaaaaaa" mi dava retta il mio compare, dimostrando una commovente fiducia nella riuscita del nostro viaggio.

Infine, per fuggire al dolore e risollevare la giornata, ebbi la brillante idea di andare al Pergamon. Il mio Pergamon. Il museo berlinese che meglio conoscevo e che più amavo. L'edificio tra le cui sale mi ero smarrita e ritrovata mille volte, rapita da tanta antica bellezza.
Ebbene, il Pergamon era in restauro. E credo che lo sia ancora. E credo che lo sarà per sempre. E credo che io non ci metterò mai più piede neanche trascinata per i capelli!
Metà delle sale chiuse. Metà delle opere inaccessibili. Il mio amato Attalo confinato chissà dove!

Non era ancora l'ora del tramonto ed io, nonna Pancrazia, ero già sull'orlo di una crisi di nervi.
Berlino si era messa le dita nel naso, anche quelle dei piedi. Aveva sillabato a rutti nome, cognome e persino numero di telefono. E, da un momento all'altro, avrebbe sicuramente fatto pipì in soggiorno. L'avrebbe fatto se non fosse intervenuto lui.
Lui: LAmicoFab.

Continua...
Partimmo da Malpensa.
All'aeroporto eravamo in tre: io, LAmicoFab, e la sua influenza intestinale. Un virus che lo stava tormentando da più di una settimana, devastandolo nel fisico ma non nello spirito.
"Ma te la senti davvero di venire?" gli chiesi poche ore prima della partenza.
"Certo!" mi risposero lui, le sue occhiaie, e il suo colorito verde ramarro.

La Germania, in quell'occasione, mi regalò l'ennesimo miracolo.
LAmicoFab, appena toccato il suolo berlinese, cominciò a stare meglio. Così lui si poté godere le vacanze, e io smisi di preoccuparmi delle pratiche burocratiche eventuali e necessarie per far rientrare la salma in patria.

Atterrammo a sera tarda. 
Prendemmo l'autobus e poi la metro.
"Lo senti questo profumo?" gli chiesi scendendo verso i binari.
"Sta puzza vorrai dire? Ma che schifo è?"
"Questo è l'odore dell'U-bahn. L'aria densa fatta d'acciaio e fumo. Questa è la vera essenza della città" gli risposi con gli occhi che brillavano di lucida follia. Mentre i suoi cominciavano a brillare di opaco terrore.

Dopo la metro ci toccò fare anche un quarto d'ora a piedi. Due zombie forniti di trolley.
L'unica cosa che ci tenne svegli fu Derrick. Il vecchio teutonico ispettore nella versione parodiata di Tortora e Giusti.

"Harry, chi è meglio? Io o il tenente Colombo?"
"Lei ispettò"
"Si vede il tupè?"
"Mai ispettò"
"Bravo Harry"
Ripeteva senza soluzione di continuità LAmicoFab. Facendomi ridere ogni volta.

Avete capito di cosa sto parlando, no?
No? Agevolo il video.



Eravamo due zombie ridanciani che passeggiavano per le strade deserte di Wedding, "il fiorente quartiere di Wedding", come recitavano i siti più informati.
Questa fu la prima differenza che scoprii rispetto ai miei ricordi. Quello stesso quartiere ai tempi del mio Erasmus era considerato poco più di un dormitorio per sfigati. Ora, a quanto pare, era diventata la nuova frontiera dei giovani artisti alternativi che fuggivano da Prenzlauerberg e Mitte, ormai irrimediabilmente cari e fighetti.

Noi avevamo trovato alloggio tramite internet. In uno di quei siti con le offerte spettacolari.
Dell'infelice scelta mi ero occupata io.
Avevo prenotato una stanza da un privato.
Non molto vicina alla metro.
Quarto piano senza ascensore.
Un proprietario di casa che alle 2 di notte, quando arrivammo, ebbe solo una preoccupazione: mostrarci il prodigio tecnico per cui, appena si accendeva la luce del bagno, partiva anche la radio.
"Oooooooooohhhh che meraviglia!" feci io alla terza dimostrazione, per dargli soddisfazione, interrompere l'esibizione e riuscire, finalmente, ad andare a dormire.

Che volete che vi dica? Io sono ancora convinta che il prezzo fosse talmente buono da meritare qualche piccolo sacrificio. LAmicoFab non del tutto.

Continua...
Ieri ho ricevuto delle strane telefonate.
Brevi squilli sul cellulare.
Prefisso del numero chiamante? 004930.
Alla maggiorparte di voi non dirà nulla. A me tutto.
004930 è il prefisso di Berlino.

"Ooooooooooooooooooh" esclama il pubblico in sala.

Calma! Non fatevi inutili film! Sarà stato un errore. Non conosco più nessuno nel mio amato uovo al tegamino. Ma che impressione vedere quel numero! Rivederlo dopo una vita.
E' stato come se l'astronave madre mi chiamasse. Un'ondata di nostalgia mi ha travolta. "Mi telefona casa" ho pensato.

Poi, stamattina, mi sono svegliata ringhiando e sbavando. Senza nessun motivo. Così. Avete presente quei giorni in cui tutti riescono a dirvi qualcosa di sbagliato? Proprio tutti, anche quelli che non dicono niente? Soprattutto quelli che non dicono niente? Ecco, oggi era un giorno così.

Ho continuato con quest'atteggiamento positivo e bendisposto verso l'universo tutto fino a quando non ho ripensato a quelle telefonate. A Berlino. E al post che non ho ancora scritto e che dovrei scrivere sul mio ritorno in die Stadt. Ritorno che, dopo anni e anni di assenza, si realizzò nel maggio dello scorso anno.

Ho ripensato a tutto questo e mi è tornato il sorriso.

Dovrei proprio raccontare quel viaggio.
Dovrei proprio scrivere quel post.
Dovrei.
Devo.
Voglio.
Lo faccio.

Quel viaggio fu una scelta mistica-filosofica. Escusateseèpoco.
Avevo appena cambiato tutto nella mia vita. Preso decisioni fondamentali. Ribaltato punti di vista. E perso pure quasi 10 kg. Insomma, ne avevo fatta parecchia di roba.
Tutto ciò meritava di culminare nel ritorno alla mia amata Berlino, amata che non vedevo da più di 10 anni. Un'infinità di tempo per una città come Berlino. Un'infinità di tempo per una come me.

Il mio compagno d'avventura sarebbe stato un amico. Non uno a caso.
Colui che non era mai stato a Berlino.
Colui che adorava "Pancrazia in Berlin".
Colui che era stato testimone, non silenzioso, delle mie scelte e delle mie rivoluzioni.
Colui che d'ora in avanti, con sfoggio di fantasia e creatività, chiamerò LAmicoFab.

Fu lui a chiedermelo.
"Andiamo a Berlino?"
"Sì", gli risposi.

E Berlino fu.

Continua...
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