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Stimo Christopher Nolan ma detesto i film di guerra. 
Ho deciso di vedere Dunkirk solo per dovere. Perché il regista inglese è uno dei migliori della sua generazione e i suoi lavori bisogna vederli. 

Mi sono approcciata a questo film, dunque, priva di una genuina curiosità e di un qualsivoglia entusiasmo.

E invece.

E invece Dunkirik mi ha conquistata. Ma conquistata sul serio. Testa, cuore e stomaco.  Più la pellicola andava avanti più io mi protraevo verso lo schermo in un fascio di nervi, aspettative e angosce.

Nolan ha messo alla prova il pubblico. Cosa che, tra l'altro, a lui piace tantissimo. Ha scelto la via più difficile e meno ovvia. E anche questo a lui piace un bel po'.  Ha raccontato una storia naturalmente drammatica con una fotografia fredda e,  soprattutto, ha evitato di  concentrarsi su un unico protagonista, rendendo così l'identificazione molto meno facile. Eppure a Nolan è riuscito comunque il miracolo di trascinare lo spettatore dentro la storia. In una maniera che non sarei neanche in grado di definire. Melodrammatica? No, ma forse un po'. Intensa? Sì. Cruenta? No, ma in un certo senso sì. Spietata? Sì, ma solo falsamente realistica.

In più il regista ha aggiunto al tutto il suo peculiare utilizzo del tempo nella narrazione. Passato e presente che si alternano, che si rincorrono fino a raggiungersi.

Ho adorato questo film, adorato sul serio.
Mi ha conquistata al 100%.

Giudizio finale: tre oscar su 8 nomination. Troppo pochi. La miglior regia era la sua. 
In occasione dell’uscita del libro “La sfida della libertà”, la seconda parte dell’autobiografia di Nelson Mandela scritta con l’autore Mandla Langa, le librerie Feltrinelli hanno organizzato una mostra fotografica dedicata al grande leader sudafricano.

L’esposizione sarà presente, fino al 31 marzo, in nove punti vendita in nove città italiane, tra queste anche Torino con la Feltrinelli Express di Porta Nuova.

 Numerose fotografie, tratte dal libro, sono esposte a raccontare...

Continua sul sito di Torino Oggi


Siete mai stati a vedere un Match d'improvvisazione?
No? Cliccate sull'immagine che ve lo racconto io...

Margot Robbie, ottima protagonista di "Tonya", è talmente giovane da non aver mai sentito parlare, prima di leggere il copione, del più grande scandalo che macchiò il pattinaggio nel 1994. Beata lei.
Io, invece, così giovane non sono e quell'episodio me lo ricordo benissimo. Mi ricordo lo stupore per una cosa tanto grave organizzata tanto male, mi ricordo la ragazza bella e leggiadra che urlava di dolore e l'altra, la colpevole, meno bella e meno leggiadra, perfetta per rappresentare il ruolo che si era scelta.

Come si fa a raccontare una storia così? Senza trasformare la pellicola in uno di quei dozzinali biopic del sabato pomeriggio televisivo?
Come si fa? Chiedetelo a Craig Gillespie. Il regista. Lui ce l'ha fatta. Lui ci è riuscito.

Ha raccontato la storia attraverso la viva voce e le esatte parole dei protagonisti. Dei cattivi. Parole che gli stolti (Tonya, il violento ex marito e il mitomane cretino amico di quest'ultimo) hanno rilasciato in vecchie interviste televisive. E, al netto delle bugie, delle omissioni ma anche delle tante ingenuità, grazie ai loro racconti emerge un quadro affascinante nella sua desolazione.

Craig Gillespie è riuscito nella difficile impresa di raccontare un cattivo senza idealizzarlo ma anche senza condannarlo, perché a condannare Tonya, in fondo, ci ha già pensato da sempre la vita. Vita che lei si è trovata costretta a giocare, fin da piccola, con pessime carte. Abbandonata da un padre che amava e costretta a crescere con la peggiore delle madri possibili: violenta, anaffettiva, STRONZA. 

Ciò, ovviamente, non giustifica Tonya, perché di gente con pessimi inizi, e senza neanche il suo  talento, ce n'è tanta al mondo e non è che tutti risolvano i propri problemi facendo prendere a randellate la principale rivale. Facendo prendere a randellate o coprendo i colpevoli una volta venuta a sapere del fattaccio, la verità processuale e quella delle interviste in questo differiscono.

Insomma, Tonya è fisicamente potente ma non aggraziata. Talentuosa ma non forse così tanto come crede di essere. Eccessiva, umorale, sgradevole, lei e come lei tutta la sua famiglia.  Tonya non la vorresti come amica, ma non riesci comunque ad odiarla perché assistere alla rappresentazione della sua vita è come assistere a un incidente al rallentatore.
Tonya, qualunque cosa faccia, qualunque obiettivo raggiunga, sembra avere comunque un destino perennemente puntato verso il disastro. Può dibattersi ma è destinata ad affogare. E tu stai là, a guardarla impotente e a soffrire un po' per lei. 

Craig Gillespie racconta una storia affascinante quanto assurda, come solo le storie vere sanno essere. E lo fa, tra l'atro, con una scelta di attori ineccepibile, tra cui emerge Allison Janney che, per la sua interpretazione della madre terribile, si è portata a casa un meritatissimo Oscar. 

Ma qualche difetto questo film ce lo avrà? 
Sì, per quanto mi riguarda, sì.
Alcune scene sui pattini danno troppo la sgradevole sensazione "faccia di Margot appiccicata su corpo di vera pattinatrice". Ma, onestamente, non so se questo dipenda da un livello tecnologico non ancora raggiunto, da mancanza di abilità tecniche dei responsabili o da penuria di fondi. Non è ho la più pallida idea.

Il giudizio, comunque, resta positivo. Il film è da vedere.
Io ho un rapporto sano con i musical. Non li amo né li odio a prescindere. Ce ne sono alcuni che adoro, come "Moulin Rouge!", altri che ho trovato tanto noiosi da non essere riuscita ad andare oltre i primi dieci minuti di visione, come "Evita".

Bene, fatta questa inutile premessa, posso procedere.

Cosa non mi è piaciuto di "The Greatest Showman"?
Hugh Jackman che interpreta il suo personaggio anche nella fase della storia in cui ha 20 anni. Parliamoci chiaro, Jackman è gnocco, gnocco assai, ma ventenne no, neanche lontanamente. La scelta non è sensata, anzi risulta proprio ridicola.
Bocciata anche la coppia formata da Michelle Williams e Hugh Jackman. Non funzionano, non fanno scintille, per nulla. Tra di loro non c'è chimica e, mentre i personaggi dovrebbero essere coetanei, i loro 12 anni di differenza si vedono tutti. Inoltre, la Williams anche da sola convince poco. E pensare che è una delle mie attrici preferite, ma mi pare evidente che non sia particolarmente portata per il genere. Nelle pellicole indy-drammatiche emerge, nel musical sparisce.

Hugh Jackman, invece, e qui comincio con le cose che mi sono piaciute, è nato per fare musical, è un talento cristallino che è un vero piacere guardare. Presenza scenica, energia, voce, gambe, ha tutto.
Ottime anche: la bellissima Zendaya e Keala Settle, la donna barbuta interprete della canzone candidata all'Oscar "This is me". Efficace brano che, però, si è dovuto arrendere di fronte a una concorrenza che quest'anno era davvero notevole, ma che ha lasciato il segno sul palcoscenico del Dolby Theatre con uno dei migliori momenti di tutta la cerimonia di premiazione.

In sintesi: il film ha più di qualche pecca, ma il suo sporco lavoro di sollevarti dalle miserie umane e farti sperare nell'insperato lo fa tutto. Ed è questa la magia del musical.

Giudizio finale: astenersi cinici e musicalfobici.

Se il regista è Steven Spielberg, la protagonista Meryl Streep e il protagonista Tom Hanks, il film non può essere che ben fatto. E infatti è fatto benissimo.

Se si parla di giornalismo serio, di scoop portati a termine a rischio della propria carriera, l'argomento mi piace. E infatti mi piace.

Se viene dato risalto a una donna che si trova a lottare in un mondo di uomini che la trattano con sufficienza, la pellicola è attuale. E infatti, a modo suo, lo è.

Tutto bene, dunque?
No.
Questo film lascerà un segno nella storia del cinema?
No.

The Post è godibile ma non imperdibile.
The Post è tecnicamente perfetto ma latita di anima.
The Post te lo vedi tutto, e a Tom e Maryl non puoi che volere benissimo, ma alla fine storci la bocca in un "Tutto qua?"

The Post era stato nominato per l'Oscar a "Migliore Attrice" e a "Miglior Film" ma non ha portato a casa nessuno dei due premi, e direi che va bene così.

Giudizio finale: godibile ma...

Nota a margine: la locandina, però, è bellissima.

Buona sera carissimi,
da poco ho cominciato una collaborazione con Torino Oggi, quotidiano online locale, ho deciso di condividere con voi alcuni miei articoli, che ne dite?

Il mio ambito? Ovviamente: cultura, arte e spettacolo. Argomenti tra i quali sguazzo con somma soddisfazione ma ancora un milione di cose da imparare.

Ecco il link di ciò che ho scritto ieri, un pezzo dove racconto un'esperienza davvero peculiare: una visita al Museo del Cinema "al buio". Sì, avete letto bene, al buio.

Curiosi? Spero di sì.

http://bit.ly/VisitaAlBuio


Una sta una vita senza scrivere sul proprio blog, poi una notte non riesce a prendere sonno, si gira e si rigira nel letto e, toh!, viene fulminata da un'idea: scrivere una serie di post dedicati ai film vittoriosi o nominati durante l'ultima notte degli Oscar.

In ordine assolutamente casuale inizio con "Coco", il cartone Disney Pixar, vincitore del premio per miglior film d'animazione e miglior canzone.

Onestamente non m'ispirava per nulla, e mi sono decisa a guardarlo solo sfinita dalle critiche positive al riguardo che continuavano a giungermi da ogni parte. Dunque ho capitolato. L'ho guardato. E per i primi 10 minuti ho anche pensato "vabbè, niente di che".

Poi la storia ha preso piede e, dall'ingresso nel coloratissimo e messicano mondo dei morti, mi sono lasciata trascinare. Infine, quando è emerso chiaramente il concetto "Scompariamo totalmente solo nel momento in cui nessuno sulla Terra si ricorda più di noi" ho cominciato a singhiozzare, priva di ritegno e orgoglio.

Non credo che faccia a tutti lo stesso effetto, dipende probabilmente dalla sensibilità personale, dall'esperienze vissute e dalle persone perse. Io ho pianto, pianto, pianto ma sono anche stata felice. Perché il ricordo è un concetto potente e positivo.

Ho apprezzato, inoltre, la scelta di raccontare la cultura messicana. Perché è bello non essere sempre centrati solo sul proprio ombelico, sia da grandi che da bambini, è bello guardare un po' più là.  È bello e necessario essere curiosi, perché, se non lo si è, se non si è curiosi, allora sì che si è morti, morti dentro. Morti grigi e polverosi, tra l'altro, mica colorati e appassionati come quelli di Coco.

Giudizio finale: DA VEDERE! 

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