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Vi svelo un segreto: sulla mia libreria troneggia un ritratto di Dickens. Ogni volta che comincio un laboratorio di scrittura con un nuovo gruppo lo mostro, e racconto il suo modo di "gestire" e considerare i personaggi dei suoi racconti. 
Quindi lo leggo, lo amo e lo considero un punto di riferimento.

Dovendo scrivere un racconto natalizio ambientato a Torino ho deciso di giocare, prendere il suo Canto di Natale e trasferirlo sotto la Mole.
Una dichiarazione d'amore a Dickens, un esercizio di stile, un gran divertimento.

Buona lettura!

Il vecchio Pietro Taccagni stava tornando a casa. La città era ricoperta da un sottile strato di neve e l'aria era gelida. Ma a lui non importava, dato che il suo cuore era più freddo ancora, così come la sua anima. 
Le finestre dei palazzi svelavano scene di famiglie festose e alberi addobbati. "Che ci troveranno tutti in questa festa?" si chiedeva tra sé e sé l'anziano commerciante. "E che avranno da festeggiare? Più sono poveri e più gioiscono, manica di folli! Il Natale non è altro che un giorno di scadenze quando non s'hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un'ora più ricchi!" borbottava, profondamente infastidito dal fatto che, ogni anno, i suoi dipendenti pretendessero di stare a casa per le feste. “Pigri, vogliono fare la bella vita a mie spese!” ringhiava a denti stretti. Poi, lanciando uno sguardo in tralice alla Mole, illuminata da giorni per l'occasione, "Che spreco di soldi e watt!", gridò e prese a camminare reggendosi al bastone.
Continua...


BUONE FESTE!!!!

“Dove sei? Vieni qua!” urlava al culmine della rabbia il tesoriere del Re, passando da una stanza all'altra della sua ricca dimora. 

Era fuori di sé dalla rabbia. Aveva svolto il suo lavoro fedelmente per dieci anni e ora veniva accusato di furto. “Un ladro? Lui? Ma come si permettevano?” Tutto ciò che aveva preso, tutto il denaro che aveva sottratto gli apparteneva. Di diritto. Lui lavorava duramente. Lui meritava una giusta ricompensa. Ecco cos'era: solo una ricompensa, non un furto. 

Ma, evidentemente, quel “bamboccio del Re” era stato malconsigliato. Qualche invidioso gliel'aveva messo contro e ora lui, il tesoriere, rischiava di perdere ogni cosa. “Confisca di tutti i suoi beni” diceva l’ordine reale. Tutti i suoi beni. Compresa la sua dimora, la splendida villa nel parco. 

“Dove sei? Vieni qua!” le guardie bussavano alle porte ma lui non aveva tempo di rispondere, doveva cercare lei. Josephine, la sua amata. Gli avrebbero tolto tutto ma non lei. “Tu verrai con me!” le aveva urlato e lei aveva scorto nello sguardo di lui l'inizio della follia e, per questo, era corsa a nascondersi...

Continua...


Sono finite le vacanze, dobbiamo tornare a casa. Ma tra Gallipoli e Torino ci sono, Google Maps alla mano, 1190 km. 
"Facciamo un'ultima sosta a metà strada" 
"Ok".

Il luogo non è importante, vogliamo solo un giaciglio comodo su cui riposare le nostre stanche vacanziere membra. Andando, per l'ultima volta quest'anno, a caccia su Airbnb, finiamo per scegliere Fano. Totalmente a caso.

La proprietaria di casa ci avverte che, al momento del nostro arrivo, lei sarà ancora al lavoro e ci lascia le chiavi nella cassetta delle lettere. Entriamo. Non c'è lei ma c'è il suo gatto che ci guarda col tipico disprezzo felino. Raggiungiamo quella che sappiamo essere camera nostra. Al centro della stanza un materasso. No. Un materassino. Ad aria. Ho campeggiato per molti anni e posso dire, senza timore di essere smentita, che quello che troviamo a Fano sia uno dei più scomodi materassi ad aria mai prodotti. Forse è sgonfio, forse è vecchio, forse è solo una schifezza low cost, ma resta il fatto che, appena ci si sdraia sopra, l'effetto mal di mare è assicurato.

Ma non ci facciamo abbattere, lasciamo la nostra roba in camera e andiamo in giro per Fano in cerca di una cena, o meglio, di un gelato. Camminiamo in lungo e in largo per trovare solo, dopo un'ora, in tutto il centro due striminzite gelaterie, tra l'altro una accanto all'altra. 

M. mangia il gelato ed è felice. Io vengo presa da un improvviso desiderio di crepes. Crepes alla Nutella. A Gallipoli ne facevano ad ogni angolo ed io, per un motivo o un altro, non ne ho mai prese. Il rimorso mi tormenta. Decido di rifarmi a Fano. 
Col cavolo!
Non le fanno da nessuna parte, neanche nei locali dove sono dichiarate nel menù. "D'estate non le serviamo, non ce le chiede nessuno", si giustificano. Al decimo tentativo mi arrendo. Mi consolo mangiando patatine e bevendo vino bianco in piazza. Di sottofondo c'è anche la musica dal vivo. "Non male" 
"Infatti", ci godiamo pigramente l'ultima serata di ferie.

A mezzanotte torniamo a casa. La padrona non c'è. Il gatto sì. 

La porta della nostra stanza non ha la chiave, risolviamo piazzandoci contro le valige. Ma c'è un'altra cosa ben più grave che manca (oltre un letto decente): l'aria condizionata.
Trascorriamo la notte peggiore di tutte le vacanze. O meglio la notte peggiore degli ultimi anni.
La finestra spalancata non attenua il caldo afoso e il materasso è un supplizio. Ci alziamo all'alba, più stanchi di prima, in soggiorno troviamo un tizio seminudo che dorme sul divano. Della padrona di casa nessuna traccia. Il gatto ci osserva.

Ripartiamo. Nel pomeriggio siamo finalmente a Torino. Sveniamo sul letto. Il nostro comodissimo letto. 

È novembre e siamo tornati a casa da tre mesi. Della tizia dell'appartamento non abbiamo mai avuto alcun segno, neanche una recensione. Il gatto ci manda una cartolina ogni tanto.

Fine.

Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte, Ottava Parte, Nona Parte
"C'è la fila", disse frate Elmo rivolto al suo confratello Pasquale Baylòn. 
"Cosa?" 
"C'è la fila. Si vogliono far tutte confessare da te. Eppure non sei mica tanto bello" concluse ridendo mentre don Baylòn si avvicinava alle donne in attesa. 
Tra queste c'era Maria la sposina, Sara che voleva il terzo pupetto da un po', e persino Marta, la perpetua di Don Carlo. 

Frate Pasquale Baylòn era arrivato dalla Spagna da pochi mesi. All'inizio aveva faticato a farsi apprezzare dai fedeli, un po' a causa del carattere riservato dei torinesi, un po' a causa delle difficoltà con la lingua, un po' a causa del gratuito sospetto riservato spesso agli stranieri. Le persone non si fidavano di lui e, quando venivano al convento, per una confessione o un semplice consiglio, preferivano aspettare ore che si liberasse qualcun altro, piuttosto che dare retta allo "spagnolo". 

Le cose erano proseguite così per settimane e il frate, essendo un uomo molto saggio, si era limitato a mettersi nelle mani del Signore e attendere che, col tempo e la pazienza, qualcosa mutasse. E il Signore, dal canto suo, una mattina aveva ricambiato tanta fiducia mandandogli in visita la povera Bettina...

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"Gallipoli? Andate a Gallipoli? Ma perché? Tutta questa strada per finire in un posto così commerciale? È come andare a Rimini!"
Più o meno è questo ciò che ci viene detto ogni volta che annunciamo la nostra ultima tappa in Puglia. Tappa scelta, anche in questo caso, con grande attenzione.

"Andiamo al mare?"
"Noi in spiaggia ci annoiamo"
"Sì, ma non possiamo fare tutti questi km, scendere fino in Salento e non fare neanche un giorno di mare"
"Ok, come vuoi"
"Otranto o Gallipoli?"
"Boh"

"Avreste dovuto scegliere Otranto!" ci dicono tutti.
"E grazie al cazz..." rispondiamo noi "Ormai abbiamo prenotato".
L'unico a tirarci un po' su e è S. "Gallipoli non è così male, e poi ha un bellissimo centro storico, una fortezza che dà direttamente sul mare, un intrico di stradine, e una serie infinita di ristorantini di pesce dalla vista mozzafiato."
"Ecco, andremo a visitare il centro", ci consoliamo.
Poi, lasciata Lecce, dopo esserci esauriti nel traffico folle di Gallipoli, scopriamo che nel centro, in effetti, noi ci dormiamo. In un micro appartamentino, dalle pareti bianche e le mattonelle azzurre, a un soffio dall'acqua, a sciabattare rilassati fino alla spiaggia, con i vecchietti del luogo che t'incontrano, ti salutano, ti chiedono "come va?", anche se non ti hanno mai visto prima.
In tutto questo, giusto perché delle volte ogni stella si allinea positivamente, troviamo anche un preziosissimo parcheggio gratuito. E solo chi è stato a Gallipoli in agosto può comprendere pienamente la meraviglia di un tale dono.

Le nostre 48 ore in loco si prospettano, dunque, molto meglio di quanto abbiano cercato di farcele sembrare. Il primo giorno lo trascorriamo tra i vicoli e la spiaggia. Bello tutto ma a noi ciò che colpisce di più è un negozio dedicato al Natale, con tanto di elfi dormienti meccanizzati che russano. Un negozio dedicato al Natale. A Gallipoli. Ad agosto. A questo punto mi aspetto di trovare anche uno spaccio di friselle a Rovaniemi, residenza ufficiale del pancione rossovestito, in Finlandia. 


Il giorno dopo facciamo colazione col pasticciotto pugliese e poi salpiamo per il largo. Gita in barca. No, non super sciccosissima gita in barca a vela. Ma molto più caciarona gita su barca a motore con folla vociante e spaghettata zozzona. Il momento clou consiste nella sosta a largo con tanto di possibilità di tuffarsi. Io so stare a galla ma non sono una grande nuotatrice e quindi non vado mai dove non tocco. Ma si buttano tutti, pure quelli nella mia medesima condizione, supportati dai giubbotti di salvataggio. Quindi mi faccio forza e ne indosso uno anch'io. Mai provato uno in acqua. Che orrida sensazione. Impossibile muoversi, l'effetto è quello di un tronco galleggiante. Dopo essere rimasta pucciata dieci interminabili minuti in acqua, a mo' di bustina da tè, decido che l'esperienza può dirsi conclusa, devo solo riuscire a raggiungere la scaletta. Con le braccia non mi direziono. Provo con le gambe. Dopo una pedata in faccia a una vecchia e una ginocchiata a un bambino, al grido di "Per la mia salvezza sono pronta a passare sul cadavere di chiunque!" riesco ad issare nuovamente il mio culone a bordo. 
Il capitano mi guarda con pietà. 

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Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte, Ottava Parte
Riprendiamo l'auto per la prossima tappa del nostro viaggio: Lecce.
Ma, già che ci siamo, ci fermiamo per qualche ora ad Ostuni.

Bella Ostuni, calda Ostuni, faticosa Ostuni, piena di turisti Ostuni. 
La gita è fisicamente provante, dato l'affollamento e la temperatura infernale, ma ne vale la pena, il luogo è un gioiello. Certo, in un altro mese dell'anno, sarebbe stata un'altra cosa.

Persi tutti i liquidi possibili e immaginabili torniamo in auto e puntiamo ancora a sud. Sono preoccupata. Nei giorni precedenti, ad ogni mio "Andremo anche a Lecce", mi sono sentita rispondere "Beeeeeellaaaaa Lecce!". Sono preoccupata. Le mie aspettative sono troppo alte. Rimarrò delusa. 

E invece no. Bella Lecce, bellissima Lecce. Per tre giorni ci godiamo questa città che, oltre ad essere una manna per gli occhi dei turisti, è chiaramente una realtà culturale molto vivace e sofisticata. Accanto agli immancabili negozietti di souvenir, si affacciano numerosi studi di design e gallerie d'arte contemporanea di altissimo livello. Io che lavoro per il sito di ContemporaryArt Torino Piemonte, accarezzo l'idea di trasferirmi lì e fondare ContemporaryArt Lecce Salento. Ecco se c'è una città del sud in cui credo potrei sentirmi a mio agio, e non una siculo sabauda aliena, è proprio la splendida, antica ma modernissima Lecce.

E, se tutto questo non bastasse, per le vie del centro è pieno di ragazze con cestini colmi di taralli venduti nei negozi dei paraggi."Li vuole assaggiare?" ti chiedono. E io che faccio? Posso mica rifiutare? E giù a ingozzarmi come se non ci fosse un domani. Ma sono buoni, accidenti se sono buoni! Il marketing è efficace e, prima di partire, compriamo una scorta maxi da portare ai parenti nordici, per far godere un po' anche le loro papille gustative.

Per non farci mancare niente, infine, proviamo anche la Puccia salentina. La vendono ovunque, non possiamo non mangiarla anche noi. "Buona" "Sì, sì, ma è un panino, perché non lo chiamano semplicemente panino?" "Shhhhh non offendere gli indigeni" "ma è un panino..." "Zitto e mangia!"

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Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte, Sesta Parte, Settima Parte
I più attenti di voi lo sanno, da un paio di mesi scrivo racconti sulle leggende torinesi. Finora ero partita da leggende conosciute per poi farne una mia versione, questa volta invece la storia l'ho inventata di sana pianta. Poldo e Dorabella sono un parto della mia fantasia.
Ed ecco la loro storia...

"Sono stanca di aspettare", diceva Dorabella, battendo il piedino nervoso sul selciato.
"Non sono ancora pronto", borbottava Poldo, passandosi la mano tra la folta barba.
"Io sto sfiorendo nell'attesa che tu ti senta sufficientemente maturo".
"Abbi pazienza cara, è che sono ancora così giovane."
"Guarda che la barba ti sta già diventando grigia, giovanotto."
"Ma che dici?" si allarmò Poldo, correndo a ispezionare il suo riflesso nella vetrina dell’elegante Caffè.
"Oh santo cielo, tu non sei giovane, sei solo un balengu!"

Si svolgeva, più o meno così, ogni pomeriggio l'appuntamento tra Dorabella e Poldo, fidanzati da una vita senza l'ombra del progetto di un futuro matrimonio.
"Come sei bella Dorabella mia, quando ci sposeremo..."
"Ma quando? Quando???" chiedeva lei esasperata.
"Il giorno che saremo tutte e due sotto lo stesso tetto..." la guardava con occhi sognanti lui.
"Ma quando? Quando???" chiedeva lei... e andavano avanti così ormai da anni. In centro li conoscevano tutti e li guardavano incuriositi. Erano uno spettacolo interessante: due tanto innamorati che, però, passavano il tempo a punzecchiarsi. Non potevano fare l'uno a meno dell'altra ma lei aveva sempre i capelli dritti dal nervoso e lui era terrorizzato dall’idea del matrimonio. E così passeggiavano sotto i portici e lungo le piazze di Torino tra un continuo tubar e pugnar, pugnar e tubar. 

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L'alba del giorno dopo il matrimonio, tutta la compagnia di torinesi, e non solo, si mette in moto presto. Nonostante la stanchezza c'è una città da visitare e solo un giorno per poterlo fare.

Sprofondiamo nei Sassi di Matera, allagati solo il giorno prima da un'epica pioggia. Saliamo e scendiamo. O meglio scendiamo e poi saliamo.

Iniziamo ufficialmente la giornata da turisti con un documentario dentro Casa Noha, un'antica dimora ora gestita dal FAI – Fondo Ambiente Italiano.
Viene raccontata la storia di Matera. Quella affascinante antica. E quella devastante moderna. Viene raccontata la "vergogna dell'Italia", l'affollamento, la povertà, un pezzo di terra lontana dal progresso, dal benessere e anche solo dalla vita vivibile. Non ci si crede. I racconti dei miei nonni contadini in Sicilia impallidisco di fronte al degrado, al disagio e all'arretratezza delle immagini in bianco e nero che scorrono davanti ai nostri occhi. Viene raccontata la denuncia di Carlo Levi, la visione illuminata di Olivetti e quella, molto meno illuminata, della democrazia cristiana: "Chi vuole restare nei Sassi li deve aggiustare a proprie spese. Chi, invece, accetta di andarsene riceverà una buonuscita e una casa", decide il governo. La gente ovviamente se ne va. Olivetti, invece, aveva immaginato una ricostruzione che fosse prima di tutto culturale, la nascita di una forte identità comunitaria nei nuovi come nei vecchi preziosi borghi. Aveva immaginato dei Sassi meno affollati ma ancora vivi, abitati, pulsanti. Troppo faticoso, decide la politica. Troppo lungimirante. I Sassi si svuotano. Muoiono. 

Ma la consapevolezza di un patrimonio che non si può ignorare rimane sotto pelle, coltivato soprattutto dal mondo dell'arte, primo fra tutti il cinema che, in più di un'occasione, utilizza e celebra una scenografia così unica. Da metà degli anni '80 la gente torna a vivere nei Sassi che, lentamente ma inesorabilmente, rinascono, per diventare uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti della penisola. Matera capitale della cultura 2019 ora, ai nostri occhi, acquista ancora più significato. "Cristo si è fermato a Eboli" viene inserito immediatamente tra i libri da leggere.

Ci fermiamo per pranzare, siamo un esercito, non è una cosa facile trovare un tavolo per trenta senza prenotazione. Dopo svariati tentativi finiamo in un posto sciccosissimo, e meno male "che dovevamo cercare una cosa easy". Io ne approfitto per imparare che i primi piatti e le fave a Matera sono una filosofia di vita, una poesia, un patrimonio.

La sera siamo sempre in giro per i Sassi che risultano essere ancora più belli. 
M. ed io, però, siamo anziani e provati e ce ne andiamo a dormire presto, solo dopo aver recuperato l'auto che, per l'occasione, è parcheggiata a millemila km. Perché il sabato sera a Matera, è come il sabato a sera a Torino e un po' ovunque, col cacchio che trovi un posto per la macchina!

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"Scappa scappa!" si sentiva urlare per le strade del villaggio. Il drago era nuovamente sceso dalle montagne appuntite e, spiegando le sue grandi ali squamose sopra la pianura, sputava fuoco su case e animali.

Gli abitanti, vittime delle sue scorribande da molti mesi, avevano ormai imparato a prevedere il suo arrivo grazie al cambiamento del vento. Appena l'aria calda cominciava a spazzare i prati, loro correvano a cercare riparo dentro le acque del grande fiume Padus. Si mettevano a mollo, in quella che ormai era diventata per loro fonte di vita e di salvezza, portando con sé le proprie bestie spaventate. E lì restavano, a battere i denti dal freddo, fino a quando il drago non si stancava di far danni e riprendeva quota verso il suo nido tra le montagne.

Poi, zuppi ma vivi, facevano ritorno a casa. Alcuni sospiravano di sollievo nel trovarla ancora integra, altri urlavano di disperazione di fronte a un mucchio di cenere...

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3 agosto 2018, it's wedding time!

I gruppi di whatsapp si svegliano all'alba.
"Ragazzi, siete già in piedi?"
Meme ad alto contenuto di caffeina.
"Avete fatto colazione?"
Meme glitterato.
"C'è qualcuno?"
Meme ad cazzum.
"Dov'è il ferro da stiro?"
Noi torinesi che occupiamo lo stesso albergo, in pieno stile gita delle superiori, iniziamo a prepararci presto ma, tra il trucco e il parrucco, riusciamo a partire con auto e pulmini solo all'ultimo minuto. Per fortuna anche la sposa, com'è nella migliore tradizione, se la prende comoda e quindi arriva comunque dopo di noi.

Chi prima (M., E. ed io), chi dopo (gli altri), chi molto dopo (C. che finisce di truccarsi in auto e va a farsi l'acconciatura da una parrucchiera accanto alla chiesa, in piena cerimonia) siamo tutti bellissimi.  Dopo la cerimonia è il momento del ricevimento al ristorante, dove siamo pronti a dare il meglio di noi stessi. Seguiamo come soldatini le indicazioni del nazi animatore, che ci dice cosa fare, quando farlo e con quanto entusiasmo. Ma, il poverino, non sa con chi ha a che fare e infatti, a sorpresa (*) tra un piatto e l'altro, parte la canzone "Mundian To Bach Ke" e con questa il nostro flash mob. Noi torinesi scendiamo in campo a dar spettacolo!

Finta sorpresa, aria svagata, su, giù, su, giù, saltello, saltello, gamba, shakera shakera shakera shekera, gira gira gira gira, altra gamba, shakerea shakera shakera shakera, gira dall'altra parte gira gira gira, lato, sedere, lato, sedere, a sinistra, lato, sedere, lato, sedere, preparazione... dea Kali! Aria svagata, tutti a sedere.

Ci siamo allenati per l'occasione, abbiamo fatto le prove a Torino, siamo morti di caldo sculettando in soggiorni roventi ma alla fine il nostro flash mob in stile bhollywood è un successo strepitoso! Lo sposo, noto mollaccione, si commuove per l'impegno dimostrato, come manco i nonni di fronte ai nipotini che recitano la poesia di Natale.
L'indoballetto piace talmente tanto che ce lo fanno rifare quattro volte durante tutta la serata e ogni volta si aggiunge qualcuno, sposa compresa. 

Broadway aspettaci!

Ovviamente non condividerei con voi la documentazione video dell'esibizione neanche sotto tortura  non ci sono video del nostro balletto, peccato...



(*) sorpresa per sposi e altri invitati, non certo per l'organizzazione. Per poterlo fare abbiamo intessuto delle trattative con la wedding planner, che manco all'ONU!

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Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte, Quinta Parte
E viene l'ora della partenza per Matera, momento clou della vacanza, motivo centrale della stessa, sede del matrimonio del secolo! 

Gli altri invitati torinesi si mettono in viaggio. C'è chi guida tutta la notte, c'è chi atterra a Bari e poi affitta un pulmino, e poi ci siamo noi, che siamo già nelle Marche e quindi ce la prendiamo comoda. Colazione con marmellatine e uccellini canterini, panini per il pranzo, saluti pigri alla nostra ospite e poi via verso Matera. Tempo stimato di viaggio 4 ore. Ed è, in effetti, il tempo che ci mettiamo, ma che viaggio! 

Da Monteprandone a Canosa tutto bene, tre ore lisce come l'olio, ma poi a Canosa si deve uscire dall'autostrada e in quel momento mi vengono in mente tutte le volte che ho sentito dire "Matera è bellissima ma è mal collegata". Viaggiamo su strade con dossi che rischiano di farti decollare o ribaltare, oppure decollare e poi ribaltare. Buche dove lasciarci uno o più pneumatici. Asfalto così sconnesso che "sconnesso" non basta più, ci vorrebbe un nuovo termine per definirlo, tipo asfaltodimerda. Strade deserte, abbandonate a se stesse, tanto che la vegetazione, che dovrebbe stare solo ai bordi invade la carreggiata, dando al tutto quell'aria beneaugurante da fine del mondo/attacco degli zombi imminente.

Per rassicurarci, e rassicurare, messaggiamo costantemente con una coppia di amici(*). Vengono anche loro al matrimonio, vivono a Bologna, sono partiti in mattinata e si trovano circa 100 km dietro di noi. "Anche voi state uscendo a Canosa?" "Sì, perché?" "Niente, state calmi, andrà tutto bene" "In che senso state calmi?" "Superati i primi 20, 30, 40 minuti, le cose migliorano" "Cosa?" "Ci siete ancora?" "Oh santoiddioooo questo è l'inferno!" 

Alla fine arriviamo tutti a destinazione, noi, quelli che sono partiti di notte, quelli che hanno fatto il viaggio in aereo e pure quelli di Bologna. Giungiamo a Matera. Matera. Pieno, vero, sud. Certificato, geografico, garantito, meraviglioso, italico sud. Dove il bel tempo e il buon cibo non mancano mai! E, infatti, facciamo giusto in tempo a disfare le valigie, che si scatenano gli elementi e comincia a piovere a dirotto.  Perfetto.

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Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte, Quarta Parte

(*): coppia formata da mia cugina e il suo fidanzato. Lo specifico perché la definizione vaga "coppia di amici" potrebbe non essermi mai perdonata.
Era stato un viaggio lungo, da San Pietroburgo fino a Torino. Lui, Aleksandr Michajlovič Beloselskij, sonnecchiava cullato dal dondolio della carrozza. Lei, Barbara Jakovlevna Tatisjtjeva, invece lasciava che gli occhi le si riempissero delle bellezze della nuova città.

Osservando gli edifici dalle linee pulite ed eleganti, lei si ritrovò a pensare a quando lui l’aveva chiesta in sposa. Ormai quasi sei anni prima, si era inginocchiato ai suoi piedi, le aveva baciato le mani candide e le aveva giurato "Ti farò vedere il mondo, uscire da questo palazzo per conoscere mille altri luoghi". Lei si era emozionata a quelle parole. Lui la conosceva. Lui sapeva quanto soffrisse una vita priva di libertà e curiosità, chiusa nella ricca dimora di famiglia con l’unica possibilità di farsi raccontare dagli altri cosa succedesse davvero nel mondo.

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Lasciata Ferrara ci dirigiamo verso San Benedetto del Tronto o, meglio, verso il nostro alloggio che si trova a Monteprandone, nella vicina collina. Alloggio scelto in base ad arditi calcoli astronomici, geolocalizzazioni e... insomma, costava meno di quelli sulla costa. 

Per raggiungerlo passiamo in mezzo a campi e boschi, un tornante dopo l'altro, sempre più convinti di avere fatto una scelta pessima e che il braccino corto ci sia stato fatale, in realtà ad esserci fatale è il navigatore che, pur di farci risparmiare mezzo metro ci farebbe passare anche in mezzo alle paludi della tristezza.  E noi, infatti, imparata la lezione, il navigatore lo ignoriamo e spernacchiamo per i due giorni successivi. 

A Monteprandone dormiamo all'interno di una fattoria con gli ulivi, le galline e un cane che ci guarda con malcelato fastidio. La mattina la padrona ci porta le marmellatine fatte in casa, i passerotti intonano per noi dolci melodie, e l'acqua che beviamo è distillato di rugiada mattutina. Perfino il cane, a un certo punto, sembra tollerarci. Io resterei lì per le prossime due settimane, ma non si vive di sole marmellatine, e quindi visitiamo San Benedetto del Tronto di sera e Ascoli di giorno.

Non ci aspettiamo molto da San Benedetto e invece rimaniamo piacevolmente colpiti. Sarà stata sfacciata fortuna ma, nelle due sere che trascorriamo lì, ci imbattiamo in: delizioso mercatino, alcolico e danzereccio festival dei cocktail, esposizione di artisti contemporanei per le strade e cinema gratuito all'aperto. Passeggiando tra i mille locali, dalla tranquillità del mare al centro della movida, scegliamo di volta in volta se goderci la confusione o la calma e, già che ci siamo, ci guardiamo "Frida" con Salma Hayek in un cortile, sotto un pergolato. Come sia di giorno non ne è ho la più pallida idea, ma di sera San Benedetto è una scoperta.

Ascoli? Vogliamo parlare del centro storico di Ascoli? Una delle sorprese più gradite di questa vacanza. Una città da visitare con il naso rivolto all'insù e la consapevolezza che meriterebbe più attenzione. Ad Ascoli i palazzi belli sono talmente tanti che la cartina turistica non li segnala neanche tutti. Ad Ascoli le sue piazze, grandi ma non troppo, e le sue vie, strette e lunghe, paiono volerti proteggere dal mondo di fuori, portarti altrove. Ad Ascoli possiamo provare le vere olive ascolane (ovviamente!) mica quel surrogato surgelato che si mangia altrove, quelle locali che hanno una consistenza, un sapore, una personalità che le altre se li sognano!

Ma di Ascoli mi colpisce soprattutto la gente, che meravigliosa umanità è quella ascolana! Come il ragazzo che, oltre i gelati, vende succhi e centrifughe. M. assetato e assolato ne prende una. Il ragazzo gli prepara un bicchierone enorme e poi ne regala uno più piccolo a me, "Così lo prova anche la ragazza", dice. La ragazza. LA RAGAZZA. Avrà vent'anni e mi chiama la ragazza. Viva Ascoli, viva gli Ascolani!!!

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Prologo, Prima Parte, Seconda Parte, Terza Parte
Sarà per il caldo ma, a spasso per Ferrara,  M. si ferma rapito davanti ad una vetrina e dice solo: "Quasi quasi mi compro un completo per il matrimonio".
"Ci siamo portati dietro due giacche, due pantaloni e due camice, in modo che tu potessi decidere all'ultimo cosa metterti."
"Quindi?"
"Quindi, ora senti il desiderio di comprarti un abito? Ora? Tre giorni prima delle nozze? A Torino non hai fatto neanche mezzo giro per negozi e ora vuoi un abito?"
"Sì, perché? Perché vuoi tarpare il mio desiderio di essere affascinante?"
"Per carità, lungi da me tarpare il tuo charme ma..."
"Ma?"
"Niente, niente", preferisco tacere anche se so che non sarà una decisione indolore.
E così entriamo nel negozio e nel giro di 40 minuti M. si compra giacca, pantaloni, camicia e cintura. Le scarpe no. Solo perché non hanno il suo numero. "E meno male!"commento io.

Ad acquisti conclusi il mio "Ma" prende forma e sostanza, "Ma l'orlo dei pantaloni?" ci chiediamo entrambi. E già, c'è da fare l'orlo dei pantaloni, e no, io non sono una sartina provetta e non vado in giro con ago, filo e macchina da cucire.
Il commesso del negozio ci propone una soluzione, disperata ma efficace, "Biadesivo, lo vendono nella merceria qua accanto", peccato che alla merceria accanto l'abbiano finito e alla merceria un po' più in là ci rispondano "Siamo un negozio d'abbigliamento, ci avete cercato su Google vero? Capita spesso, non sappiamo come cambiare la denominazione, non siamo una merceria". Ecco. Perfetto. Grazie.

Io, che vorrei godermi la giornata in città, propongo a M. di cercare una sarta nella nostra prossima tappa, San Benedetto del Tronto. Lui, invece, si piazza al telefono a interpellare qualsiasi sartoria nel raggio di km.
Io mi faccio i selfie. Lui "Pronto, avrei bisogno dell'orlo ai pantaloni..." "Noi ci occupiamo solo di abiti da donna".
Io litigo col tizio dei bagni pubblici che non ha resto da darmi, e a me 10 euro per una pipì sembrano davvero troppi. Lui "Fate orli express?" "Ma certo, ci mettiamo una settimana".
Io faccio stories su instagram. Lui convince un amico suo ad accompagnarci nell'impresa. Questi, lo stesso che ci ha fatto provare i cappellacci di zucca, ci porta di fronte a una sartoria cinese. "Sei ore", ci dicono. Troppe, dobbiamo raggiungere la prossima tappa entro stasera. Ma poco distante ce n'è un'altra, "Tre ore". È fatta!
Noi ci spiaggiamo a un chioschetto a riprendere fiato e i pantaloni, al fine, sono pronti.

Lui se li prova. Io resto ad aspettarlo in macchina e, dentro di me, sogno che glieli abbiano trasformati in un paio di bermuda, così impara a pensarci all'ultimo minuto!

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Prologo, Prima Parte, Seconda Parte
Prima di partire, ogni volta che dicevo a qualcuno che sarei andata a Ferrara, ottenevo sempre la medesima risposta: "Uuuuuuuuuu bellaaaaaa Ferrara, ma d'estate si muore di caldo ed è piena di zanzare".

E Ferrara, in effetti, è bella. Davvero una bella città, dalle piazze larghe e le grandi strade, dai vicoli stretti e i marciapiedi puliti. Una città luminosa. Elegante, nobile ma anche con i piedi per terra. Pare poco vanitosa Ferrara. Consapevole ma non sfacciata. Di una bellezza aggraziata, come una ragazza dalle caviglie sottili e il collo nudo, con le ballerine ai piedi candidi e i fiori nel cesto della bicicletta.

E a Ferrara io, in verità, non ho beccato molte zanzare. 
Credo che fossero tutte morte. 
Di caldo. 

Il 31 luglio di quest'anno i telegiornali eleggevano Ferrara quale città più calda d'Italia. Voi dove eravate quando ciò accadeva? Davanti alla tv, con l'aria condizionata? In spiaggia con una cocktail ghiacciato in mano? In montagna a fare trekking con un maglioncino sulle spalle contro gli spifferi? Io ero a Ferrara in giro per le meravigliose grandi strade di Ferrara, in giro per le larghe piazze di Ferrara, in giro per una città che, per essere bella è bella, per carità, ma che non offre un briciolo d'ombra manco a pagarlo!

Voi godevate dell'aria condizionata? Io strisciavo lungo i muri. Voi passeggiavate al fresco? Io boccheggiavo al caldo. Voi andavate avanti a granite siciliane? Io provavo i cappellacci di zucca. Bollenti e calorici cappellacci di zucca al ragù. Non mi guardate con quell'aria accusatoria. Che ci posso fare io se il piatto tipico del luogo non è il ghiacciolo al limone? E, se proprio ve lo devo dire, mi sono già pentita di non aver provato pure la salama da sugo, che se uno deve morire di caldo e calorie che almeno lo faccia per bene, burp!

Continua...

Prologo, Prima Parte
È con una gran quantità di orgoglio e di molesta euforia che vi presento un mio nuovo progetto: Storie sotto la Mole. 
Una nuova rubrica ospitata dal quotidiano online Torino Oggi. Per questo giornale già svolgo il ruolo di redattrice cultura, e infatti ho anche condiviso alcuni articoli su questo blog, ma in questo caso si tratta d'altro. 

Sguazzavo nel mare di Gallipoli, lontana da casa, quando ho avuto l'idea: scrivere racconti dedicati alle storie, vere o leggendarie, che appartengono alla mia sabauda città. Se c'è qualcosa che mi piace fare è scrivere racconti, se c'è un luogo che amo particolarmente è proprio Torino. Quindi ho lanciato la proposta e questa, con mio sommo gaudio, è stata accettata. 

Oggi è il numero 0, l'esordio di questa nuova avventura e, per scaramanzia e buon auspicio, questo racconto è tutto una dolcezza...

CRACK!
"Che è stato?"

Una pietruzza, più carogna delle altre, salta dall'asfalto dritta verso il nostro parabrezza, CRACK!, ed è subito crepa, sbrego, dramma e bestemmie!

Il vetro regge, la visibilità è ancora garantita ma al grido di "se ci fermano ci fanno la multa, poveri noi!" ci attiviamo per trovare una soluzione. "Pronto stiamo uscendo dall'autostrada dovremmo cambiare il vetro dell'auto", inizia così la prima di una serie di telefonate alla ricerca del parabrezza dei nostri sogni. Ovviamente non è sufficiente un vetro qualsiasi ma ci vuole quello del modello gusto per l'auto giusta. Vabbé, che problema c'è? Vuoi che non abbiano un parabrezza di una Lancia Y del 2013? Insomma non è mica una Corvet del 1970, una Delorean che ha viaggiato avanti e indietro nel tempo, o una 313 immatricolata a Paperopoli, è una cacchio di Lancia Y, Gruppo fu FIAT, ora FCA. E suvvia, quanto sarà difficile trovarlo? Quanto? Tanto!

Il parabrezza per la nostra auto sembra non averlo nessuno. Non a Torino, non a Ferrara, non a Parma, non a Matera, non in Puglia. Il cellulare è rovente, quasi vacilliamo, il futuro delle nostre vacanze appare mestamente appeso a un filo. Ma non molliamo, incrociamo le officine con le polizze, i vetri con le tempistiche di consegna, la sfiga con l'animadichitemmuort e, alla fine, coperti solo parzialmente dall'assicurazione, troviamo riparo e soluzione nella ridente Alessandria. E del resto chi non vorrebbe cominciare le proprie vacanze con 4 ore (2 di pausa pranzo dell'officina e 2 di cambio vetro) nella periferia di Alessandria? Perché queste officine, tra l'altro, non stanno mica in centro, dove almeno si può fare una passeggiata o bersi un caffè in piazza. No,  stanno in periferia dove l'unica cosa da fare è chiudersi dentro un centro commerciale dallo stile Unione Sovietica nei suoi giorni più bui.

Ma alla fine anche queste benedette quattro ore trascorrono e noi riprendiamo la strada con un disperato bisogno di sentirci veramente in vacanza e un parabrezza nuovo di zecca. Tra l'altro, quest'ultimo e così pulito, e noi l'abbiamo cercato talmente tanto, dal trattenermi a stento dal viaggiare aggrappata fuori dal finestrino per scacciare i moscerini uno ad uno, "Pussa via bestiacce, che c'inzozzate la creatura!"

E così, dopo una giornata infinita, dopo 9 ore di viaggio, che sono esattamente il doppio di quanto ci avremmo dovuto mettere, alle 7 di sera giungiamo finalmente a Ferrara. Lì posiamo i bagagli, ci ungiamo per benino di Autan e usciamo a scoprire la nostra prima meta.

Continua...

Prologo
"La prossima estate ci sposiamo!"
È cominciata così la nostra vacanza 2018.

Cominciata una sera d'autunno del 2017, quando N. e R. annunciarono il loro matrimonio. Matrimonio che si sarebbe (e si è) tenuto un venerdì dell'agosto successivo in quel di Matera. O meglio, nelle sue vicinanze.

Quale occasione migliore per me e M., compagno di avventure, per organizzare un bel viaggio on the road dal Nord al Sud Italia?

Guida turistica da una parte e navigatore dall'altra, durante la scorsa primavera, abbiamo considerato tempi di percorrenza e attrattive nei diversi luoghi. Abbiamo prenotato e calendarizzato. Abbiamo organizzato e conteggiato. Poi, durante le ultime settimane precedenti la partenza, M. si è riposato e io mi sono scatenata, attaccando bottone con chiunque avesse la sventura d'incrociarmi, al solo scopo di pavoneggiarmi per la splendida e meritata vacanza che finalmente avremmo fatto.

Se mi avete incontrato in quel periodo potete sicuramente confermare la mia molesta attitudine. "Un etto di prosciutto cotto, e a fine mese partiamo per Ferrara", "Scusi è libero questo posto? Poi passeremo per San Benedetto del Tronto", "Una pizza margherita doppia mozzarella. Lei è mai stato ad Ascoli?", "No, agente, giuro che non ho bevuto. Ma berrò sicuramente al matrimonio a Matera!", "È rosso cretino! E poi io devo andare a Lecce!", "Giuro di dire la verità tutta la verità, nient'altro che la verità, e poi andare a Gallipoli"

Infine giunge la mattina del 30 luglio 2018, data della partenza. La mia valigia, la sua valigia, la valigia per il matrimonio, il beauty case e la borsa frigo. Forte dei miei anni di campeggio, riesco a riempire ogni contenitore sia del necessario che del superfluo. M., forte di un'adolescenza passata a giocare a Tetris, riesce a far stare tutto in auto.

"La vita è meravigliosa, nulla può andare storto", penso guardando il cielo azzurro attraverso il finestrino...
CRACK!
"Che è stato?"

Continua...

(*) Per rappresentare il matrimonio, ma proteggere la privacy di N. e R., ho scelto la foto di due sconosciuti nubendi...
Ho letto questo libro all'ombra degli alberi di Monteprandone e sotto il sole di Gallipoli. Ho letto questo libro in vacanza e poi di ritorno in città, a Torino, sul letto, sul divano, sul balcone e alla scrivania. Una lettura rapida e coinvolgente. La vita di una ragazza e della sua famiglia raccontata a spizzichi e bocconi, con tanto dolore ma altrettanta leggerezza.

Quando si prende in mano questo libricino candido e sottile, quando si vede il volto giovane e sorridente dell'autrice, quando s'intuisce l'ambientazione sarda con il sole che abbaglia e il vento che spettina, ci si aspetta una storia delicata, si sospetta una valanga di "già letto". E invece no. Forma  e contenuti sorprendono. Un esempio? La più importante relazione sentimentale della tenera protagonista è di sadomaso estremo, descritto nei più sgraditi e umilianti particolari. Ma tutto questo e altro perverso dolore, tutta questa sfacciata infelicità vengono raccontati con tocco lieve e deliziosa ironia, attraverso piccoli quadri, brevi scorci, micro incursioni nella vita dei personaggi.

No, non fraintendetemi, non è un libro che parla di sesso. Parla tanto di amore e, com'è ovvio, anche di sesso, che ne è una parte importante. Ma parla soprattutto di famiglia e vita.

I protagonisti del libro sono tutti infelici, prigionieri di destino avverso, cattiverie altrui e debolezze proprie. E il lettore, pagina dopo pagina, prima aspetta il cambiamento, poi invoca la rinascita, infine si rassegna all'inevitabile caduta, perché “Dio non vuole”. Soffre con loro ma, come loro, in maniera lieve e disincantata, con il vento nei capelli e il sole negli occhi. Fino alla fine. E se questa sia lieta o no, non ve lo dico.
Leggetelo.

Sapete cosa mi piace di più della mia collaborazione con il quotidiano TorinOggi? 
Poter parlare di ciò che accade in città: attori, musicisti, autori, eventi, follie, occasioni. 

Avete presente la rubrica Costume e Società del Tg2? Ecco, il mio contributo al giornale ha quello spirito lì: condividere, far conoscere tutto ciò che la cultura in città ha da offrire. E, per mia grande fortuna, Torino ha da offrire tantissimo! Altro che città triste e grigia, può vantare alcune figure colorate e mitologiche che arricchiscono il suo panorama e lo rendono unico. Personaggi che si sono inventati e hanno inventato. Tempo fa vi raccontai la Lettrice vis à vis questa volta tocca al BookPostino.

Da due anni a questa parte si aggira per le vie di Torino, in bicicletta o sui mezzi pubblici, una figura unica nel suo genere. All’anagrafe risponde al nome di Sante Altizio ma ormai per tutti è il BookPostino. Come dice lui stesso: “La risposta romantica ad Amazon”.

Il BookPostino porta a domicilio libri su richiesta, quando possibile, anche arricchiti da firma e dedica dell’autore. I libri possono essere di qualsiasi editore, ma non è un segreto che il postino della letteratura abbia una predilezione per l’editoria indipendente. Ed infatti, è proprio all’editoria indipendente che si deve la nascita di questa idea, durante l'estate del 2016...

Continua su TorinOggi...
Brave con la lingua.
Odio il titolo di questa raccolta. Non posso non dirlo. Lo odio.
Ma non voglio parlare di questo ora. Saltiamo la copertina a piè pari e andiamo alla ciccia, al contenuto, che merita molta più attenzione.

Ho comprato questo libro perché apprezzo il lavoro degli Autori Riuniti e perché, tra le scrittrici che hanno partecipato al progetto, ci sono alcune donne che conosco e stimo, qualcuna dal vivo, come Noemi Cuffia, qualcun’altra solo su social e TV, come Flavia Fratello.

La raccolta comprende una serie di racconti sulle donne, scritti dalle donne. Alcuni fin troppo didascalici, la maggior parte originali e coinvolgenti. Alcune sono storie tipicamente femminili, altre di una più generale umanità, con o senza tette, poco importa.

Non ho amato tutto allo stesso modo e in una raccolta, con tante voci e tante mani differenti, è inevitabile. Ma il livello generale è oggettivamente molto buono. Non vi dico quali sono i racconti che ho amato meno, perché non mi piace il tiro al piccione e poi perché, come già detto, pure quelli meno amati sono, comunque, racconti di qualità. Ma vi segnalo le storie che mi hanno colpita di più, che mi hanno emozionata, che mi hanno conquistata: La casa di Irene Roncoroni e La ragazza finestra di Romina Falconi.

La casa, in particolare, è un vero gioiello. Da leggere. Insieme a tutti gli altri.

Ognuno di noi ha una storia in famiglia che riguarda una 500.
La mia ha avuto luogo prima ancora che nascessi, quando i miei genitori, i miei zii, mia sorella e mia cugina andarono in 500 (giardinetta) da Torino a Liegi. Quattro adulti, due bambine, e una scatoletta bianca che provocarono ilarità, stupore ed entusiasmo in camionisti e benzinai lungo tutto il percorso.

Ognuno di noi ha una storia, ma quella di Andrea e Luca è la più bella di tutte. Li incontrai, tre anni fa, poco prima della loro partenza grazie a Humans - Torino. E ora, a distanza di anni, racconto la loro mostra e il loro viaggio su Torino Oggi...


“Più bulli, meno ciccioni” è questo il ritornello provocatorio di Selezione Naturale, ultimo estratto dall’album Tutti su per terra degli Eugenio in Via di Gioia. 
Un singolo che racconta il bullismo, accompagnato da un video dove si cerca di intuirne e spiegarne le origini. Una storia ambientata su un campo da calcio, durante una partita giovanile, dove a prevalere sono le aspettative degli adulti, le loro pressioni e la loro rabbia. Tutti elementi che finiscono col condizionare il comportamento dei più giovani, influenzati da questi “cattivi maestri”.

“Com’è nata la canzone?” chiedo a Eugenio Cesaro, cantante e compositore della band torinese. “Come nascono tutte le nostre canzoni: per strada... continua su TorinOggi...

Una donna bella e sottile, con un vezzoso cappellino sul capo, un carretto pieno di libri, e una bicicletta.
“Ha un’aria molto parigina” fa notare una signora che si avvicina a curiosare.
Chiara Trevisan, la protagonista di questo quadretto, sorride e alza le spalle, “non è la prima a dirmelo”.
“Ho indovinato? È un’idea francese? Si è ispirata a qualcosa che ha visto?” insiste la signora.
“No, è un’idea mia, tutta mia.”

Continua su TorinOggi...


Questo è l'ultimo post della serie. Dedicato all'ultimo film, tra i premiati o nominati, che ho visto.

"Tre manifesti a Ebbing, Missouri" è un film splendido con una sceneggiatura inaspettata. In cui, partendo da una situazione e dei personaggi che paiono prevedibili, si costruisce una storia diversa dal solito, una storia dove i cattivi non esistono. Ma neanche i buoni. I protagonisti sono tutti reali e incasinati. Molto incasinati.

Questa è la storia di chi combatte ogni giorno contro la propria miseria umana e anche quella degli altri. Due protagonisti su tre sono oggettivamente insopportabili: violenti, irascibili e ignoranti. Il terzo, l'unico che in un mondo reale verrebbe definito "una brava persona", è costretto a cedere il passo a metà pellicola, ma lascia un segno profondo nello spettatore, e non solo.

"Tre manifesti a Ebbing, Missouri" è un film che si regge su tre perfette prove attoriali fornite da: Frances McDormand,  Sam Rockwell, e Woody Harrelson (*).
I primi due si sono portati a casa l'oscar come migliore attrice protagonista e come miglior attore non protagonista. L'ultimo solo una nomination, anche se avrebbe meritato di più. Il suo è uno dei personaggi più interessanti e lui lo interpreta da Dio. Come fa sempre, del resto.

"Tre manifesti a Ebbing, Missouri" è un film che racconta la rabbia e la necessità di superarla per provare a vivere.

Il giudizio finale non può che essere: da vedere!


(*) Io Woody Harrelson lo amo artisticamente e pure un po' carnalmente dai tempi di Cin Cin, che sia messo agli atti.

Per torinesi e non, volete qualche anticipazione del prossimo Salone Internazionale del Libro?
Eccole qua, nell'articolo che ho scritto per TorinOggi...





Non sono un'appassionata di Guillermo del Toro. Ma ho grande rispetto per gli artisti dallo stile inconfondibile.  Ma non è questo il motivo per cui ho voluto vedere assolutamente "La forma dell'acqua". Ho voluto vedere assolutamente "La forma dell'acqua" perché, se un regista ha il folle coraggio di andare da un produttore e proporgli una storia d'amore tra un uomo pesce e una donna muta, questo regista si è meritato che io il suo film lo vada a vedere. Se l'è proprio guadagnato, guadagnato sul campo.

Il film l'ho visto e mi è piaciuto. Ma non l'ho adorato. Non lo so il perché. 
Mi è più o meno piaciuto tutto. La fotografia, le scenografie, gli attori e questa storia d'amore favolistica ma anche carnale. 
Mi è più o meno piaciuto tutto, ma il cuore no, non me l'ha rapito. 

Lo so che è non è una grande critica, né oggettiva né chiara ma, del resto, mica faccio il critico cinematografico io! 

Giudizio finale: ha preso una discreta carrettata di premi, forse li ha meritati, forse no... boh...
Se siete di Torino andateci di persona. 
Se non siete di Torino ascoltateli via web.
Una grande stanza luminosa, tante sedie in circolo, facce vecchie e nuove con storie diverse da raccontare e talenti da esibire. Questa è Pro Loco, la trasmissione della webradio RadioOhm, che ogni martedì pomeriggio dalle 14 alle 15 va in diretta dal circolo Basaglia, in via Mantova 34 a Torino.
Continuate a leggere sulla pagina di TorinOggi...


Poco tempo fa sono andata a vedere: "Donne (S)comode", una conferenza spettacolo sulle mestruazioni. Ebbene sì, avete letto bene, proprio quelle.
All’alba della primavera del 2018, in una società moderna e aperta, molti sono i tabù ormai caduti. Molti ma non tutti. Infatti, qualunque sia il modo in cui le si chiami: “il Marchese” , “il ciclo” o il più frequente “le mie cose”, le mestruazioni femminili restano ancora un argomento trattato con vergogna da molte donne e con fastidio da quasi tutti gli uomini. 
Qualsiasi tabù resta saldo nell’ignoranza, mentre si arrende naturalmente di fronte alla conoscenza. Ed è da questo principio che nasce l’idea dell’attrice Patrizia Besantini che, con le informazioni dell’ostetrica Paola Maria Lussoglio prima e la penna felice di Annalisa Arione dopo, ha scritto e messo in scena uno spettacolo dedicato proprio alla fisiologica ciclicità della donna.
Continua sul sito di TorinOggi...



Stimo Christopher Nolan ma detesto i film di guerra. 
Ho deciso di vedere Dunkirk solo per dovere. Perché il regista inglese è uno dei migliori della sua generazione e i suoi lavori bisogna vederli. 

Mi sono approcciata a questo film, dunque, priva di una genuina curiosità e di un qualsivoglia entusiasmo.

E invece.

E invece Dunkirik mi ha conquistata. Ma conquistata sul serio. Testa, cuore e stomaco.  Più la pellicola andava avanti più io mi protraevo verso lo schermo in un fascio di nervi, aspettative e angosce.

Nolan ha messo alla prova il pubblico. Cosa che, tra l'altro, a lui piace tantissimo. Ha scelto la via più difficile e meno ovvia. E anche questo a lui piace un bel po'.  Ha raccontato una storia naturalmente drammatica con una fotografia fredda e,  soprattutto, ha evitato di  concentrarsi su un unico protagonista, rendendo così l'identificazione molto meno facile. Eppure a Nolan è riuscito comunque il miracolo di trascinare lo spettatore dentro la storia. In una maniera che non sarei neanche in grado di definire. Melodrammatica? No, ma forse un po'. Intensa? Sì. Cruenta? No, ma in un certo senso sì. Spietata? Sì, ma solo falsamente realistica.

In più il regista ha aggiunto al tutto il suo peculiare utilizzo del tempo nella narrazione. Passato e presente che si alternano, che si rincorrono fino a raggiungersi.

Ho adorato questo film, adorato sul serio.
Mi ha conquistata al 100%.

Giudizio finale: tre oscar su 8 nomination. Troppo pochi. La miglior regia era la sua. 
In occasione dell’uscita del libro “La sfida della libertà”, la seconda parte dell’autobiografia di Nelson Mandela scritta con l’autore Mandla Langa, le librerie Feltrinelli hanno organizzato una mostra fotografica dedicata al grande leader sudafricano.

L’esposizione sarà presente, fino al 31 marzo, in nove punti vendita in nove città italiane, tra queste anche Torino con la Feltrinelli Express di Porta Nuova.

 Numerose fotografie, tratte dal libro, sono esposte a raccontare...

Continua sul sito di Torino Oggi


Siete mai stati a vedere un Match d'improvvisazione?
No? Cliccate sull'immagine che ve lo racconto io...

Margot Robbie, ottima protagonista di "Tonya", è talmente giovane da non aver mai sentito parlare, prima di leggere il copione, del più grande scandalo che macchiò il pattinaggio nel 1994. Beata lei.
Io, invece, così giovane non sono e quell'episodio me lo ricordo benissimo. Mi ricordo lo stupore per una cosa tanto grave organizzata tanto male, mi ricordo la ragazza bella e leggiadra che urlava di dolore e l'altra, la colpevole, meno bella e meno leggiadra, perfetta per rappresentare il ruolo che si era scelta.

Come si fa a raccontare una storia così? Senza trasformare la pellicola in uno di quei dozzinali biopic del sabato pomeriggio televisivo?
Come si fa? Chiedetelo a Craig Gillespie. Il regista. Lui ce l'ha fatta. Lui ci è riuscito.

Ha raccontato la storia attraverso la viva voce e le esatte parole dei protagonisti. Dei cattivi. Parole che gli stolti (Tonya, il violento ex marito e il mitomane cretino amico di quest'ultimo) hanno rilasciato in vecchie interviste televisive. E, al netto delle bugie, delle omissioni ma anche delle tante ingenuità, grazie ai loro racconti emerge un quadro affascinante nella sua desolazione.

Craig Gillespie è riuscito nella difficile impresa di raccontare un cattivo senza idealizzarlo ma anche senza condannarlo, perché a condannare Tonya, in fondo, ci ha già pensato da sempre la vita. Vita che lei si è trovata costretta a giocare, fin da piccola, con pessime carte. Abbandonata da un padre che amava e costretta a crescere con la peggiore delle madri possibili: violenta, anaffettiva, STRONZA. 

Ciò, ovviamente, non giustifica Tonya, perché di gente con pessimi inizi, e senza neanche il suo  talento, ce n'è tanta al mondo e non è che tutti risolvano i propri problemi facendo prendere a randellate la principale rivale. Facendo prendere a randellate o coprendo i colpevoli una volta venuta a sapere del fattaccio, la verità processuale e quella delle interviste in questo differiscono.

Insomma, Tonya è fisicamente potente ma non aggraziata. Talentuosa ma non forse così tanto come crede di essere. Eccessiva, umorale, sgradevole, lei e come lei tutta la sua famiglia.  Tonya non la vorresti come amica, ma non riesci comunque ad odiarla perché assistere alla rappresentazione della sua vita è come assistere a un incidente al rallentatore.
Tonya, qualunque cosa faccia, qualunque obiettivo raggiunga, sembra avere comunque un destino perennemente puntato verso il disastro. Può dibattersi ma è destinata ad affogare. E tu stai là, a guardarla impotente e a soffrire un po' per lei. 

Craig Gillespie racconta una storia affascinante quanto assurda, come solo le storie vere sanno essere. E lo fa, tra l'atro, con una scelta di attori ineccepibile, tra cui emerge Allison Janney che, per la sua interpretazione della madre terribile, si è portata a casa un meritatissimo Oscar. 

Ma qualche difetto questo film ce lo avrà? 
Sì, per quanto mi riguarda, sì.
Alcune scene sui pattini danno troppo la sgradevole sensazione "faccia di Margot appiccicata su corpo di vera pattinatrice". Ma, onestamente, non so se questo dipenda da un livello tecnologico non ancora raggiunto, da mancanza di abilità tecniche dei responsabili o da penuria di fondi. Non è ho la più pallida idea.

Il giudizio, comunque, resta positivo. Il film è da vedere.
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