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Da quando siamo a Madrid arrivo a sera così stanca da non riuscire a riposare. E di notte, comunque, fa un caldo maiale.
Mi giro e mi rigiro tra le lenzuola come un porceddu sardo. Destra, sinistra, sinistra, destra, testa sopra, testa sotto, con cuscino, senza cuscino. Dividere il letto con me deve essere una delizia. Ma sono fortunata, e chi si dovrebbe lamentare fa spallucce, pat pat sui ricci, e sopporta con calma zen.

Abbiamo bisogno di un giorno a ritmo ridotto prima del viaggio di ritorno. Di un giorno in cui non si corra. Un giorno in cui si passeggi.
Shopping è la risposta.
Ma mica shopping qualunque. Tsk! Con quali banali creature credete di avere a che fare?
Vinili. Andiamo a caccia di vinili.
Eduardo, il nostro padrone di casa-guru, ci dà un paio di dritte e noi passiamo ore a scartabellare tra polvere e copertine, in un mondo molto nerd e altrettanto affascinante.
Che sia ben chiaro, io non sono una collezionista, io non sono un'esperta, no, niente di tutto ciò. Io sono solo una che  va a rimorchio di un appassionato-collezionista dei dischi dei Beatles e, dovendo fare di necessità di virtù, decido che il mio souvenir di questa vacanza sarà un vinile da incorniciare. Quale? Lo saprò quando lo vedrò.

E così cerco tra i 45 giri. All'inizio cerco qualcosa di vecchio e italiano e m'imbatto in Modugno, Cecchetto, Pappalardo, Carrà, Albano, Celentano, Pavone. Tutta roba che avrebbe anche un suo perché, ma le cui orride copertine mettono a dura prova il mio senso estetico e l'amore che provo per le mura del mio appartamento. Ok che il vintage va di gran moda, ok che ciò che una volta era sfigato adesso è cool, ok un sacco di altre belle cose, ma io non me la sento di tenermi Cecchetto in soggiorno. Non ce la posso fare.
Quindi, abbandonata la musica italiana, mi getto sulle colonne sonore internazionali. E da queste ho molte più soddisfazioni, talmente tanta da finire con lo struggermi nell'indecisione tra diversi film, per poi scegliere di portarne a casa non uno, ma ben due: un 45 giri e un 33.  Ne agevolo le deliziose immagini.




Una volta fatti gli acquisti, passeggio per Madrid tronfia nella mia nuova condizione di detentrice di vinili iberici, quando il destino beffardo decide che sono troppo di buon umore e gioca crudelmente con me.
Eduardo ci consiglia una passeggiata lungo il fiume, a lui piace tanto. A noi un po' meno, molto molto meno.
La passeggiatina è lunga come la quaresima, il clima è quello della foresta tropicale e, inoltre, che si sappia, la vista lungo il Manzanarre non è nulla di memorabile. Noi, comunque, arriviamo fino in prossimità del Palazzo Reale e da lì c'inoltriamo nel centro. Che ideona! Per l'ora successiva (o forse più) camminiamo in salita, con una pendenza del 99%. Le salite madrilene già le abbiamo ampiamente sperimentate ma nulla ci ha preparato a una tortura medievale simile. Non mi stupirei se mi dicessero che la pianta urbana della città sia stata disegnata dalla Santa Crudele Inquisizione. Sempre e solo in salita, qualunque sia la direzione che scegliamo, non c'è modo di uscirne illesi. Voglio delle scale mobili! Voglio uno skylift! Voglio la mamma!
Finalmente raggiungiamo una fermata della metro, non prima di aver avuto la visione di un paio di santi, due beati e, per la par condicio, quattro dei pagani.

Domani si parte. E io, disidratata e sfranta, riesco persino a dormire.

Continua...
Il giorno dei musei.
Bisogna solo decidere quali.
Ci consultiamo con Eduardo che, oltre all'imperdibile Prado, ci consiglia il Reina Sofia. Noi vorremmo dargli retta, vorremmo sul serio, ma il destino si oppone. Per caso passiamo davanti al CentroCentro e ne veniamo letteralmente risucchiati.

Cos'è il CentroCentro? Se non siete stati a Madrid nell'ultimo anno probabilmente lo ignorate. Poveri sciocchini. Mi sto bullando e pavoneggiando dandomi arie da grande donna di mondo? Sì, lo sto facendo.
CentroCentro è il vecchio palazzo della Posta, appena ristrutturato e trasformato in sede di mostre e punto d'incontro per la città.
Noi ci entriamo quasi per caso e per due ore giriamo tra le immagini di un'esposizione dedicata a fotografi sudamericani. Un'esperienza intensa, suggestiva, originale, inquietante. Impossibile rimanere indifferenti. Ah, quasi dimenticavo, completamente gratuita.

Al CentroCentro sono anche disponibili grossi tavoli, per studiare, lavorare e approfittare della rete wifi. Il tutto rigorosamente aperto a tutti. Un luogo dei sogni per i freelance, gli studenti e gli scrittori.
Uno spazio silenzioso, moderno, ordinato, ricco di buonissime vibrazioni.
Ne esco a fatica, mi ci trasferirei. 
Consigliatissimo.
Se siete da quelle parti fateci un giro. Rappresenta il perfetto matrimonio tra architettura moderna e non. Spazio per cultura, curiosità, creatività. Grembo protettivo nel mezzo del caos urbano.

Dopo questa piacevole scoperta ci buttiamo nel Prado. E vi restiamo agli arresti domiciliari per quasi 5 ore.
Volete la verità? Alla fine la sensazione non è "Oh che esperienza meravigliosa", ma più "Lo dovevamo fare, l'abbiamo fatto, ora passiamo oltre." 
Sarà che (Diomiperdoni!) non sono una grande appassionata di Goya, ma altri musei europei, magari meno conosciuti, mi hanno emozionata molto di più. Ci tornerei solo per perdermi ancora nella sublime follia di Bosch, o per ammirare una seconda volta la mostra temporanea dedicata a Picasso. Perché vedere le sue opere dal vivo dà sempre un lieve friccicore allo stomaco, una sensazione di sassolino messo nella metaforica saccoccia delle cose  da fare almeno una volta nella vita.

Comunque, la giornata ci ha sfiancato, al Reina Sofia ci andremo nella prossima vita. Ma non  rinunciamo a un altro viaggio nel meraviglioso mondo delle Tapas. Questa volta ci buttiamo sul turistico sfacciato ma irresistibile: andiamo al mercato di San Miguel con le sue mille scelte. Ci abboffiamo di mini hamburger, crocchette di baccalà e soprattutto spiedini di olive. Olive con formaggio, olive con pescetti, olive con prosciutto, olive con cipolline. Ancora, ancora e ancora. Oh sì sì sììììì... aaaaahhhhhhh...

Le olive spagnole conquisteranno il mondo e noi saremo loro umili servi.

Continua...
Sveglia all'alba. Anzi, prima dell'alba.
Partenza. Direzione: Madrid.
Ci lasciamo la Francia, i paesi baschi, Biarritz, il mare alle spalle.
Puntiamo verso l'entroterra.

Attraversiamo il nulla per molto tempo, saltuariamente salutati da inquietanti sagome di tori. A Los Angeles hanno piantato la celebre scritta "Hollywood". In Spagna hanno messo i tori. Grandi, neri, vagamente inquietanti. Cioè, il primo no, il primo è folcloristico, il primo ti fa dire "Figo, stiamo proprio raggiungendo il cuore della vera Spagna". Ma al terzo inizi a chiederti cose tipo "Ma questi che vogliono? Ma perché li hanno messi? Ma ce l'hanno con noi?"

A metà mattinata finalmente arriviamo alle porte di Madrid. La vediamo da lontano. Un popolatissimo e brulicante tappeto di vita. E' grande e moderna. A pelle ci piace molto. 
Poi la dobbiamo attraversare da nord a sud, per raggiungere finalmente la stanza che abbiamo prenotato. E doverci fare 40 minuti di tangenziale ci piace un poco meno. Ma ormai l'avrete capito: ci lamentiamo facilmente ma, per fortuna, ci entusiasmiamo con altrettanto slancio.

Arrivati, ci accoglie il padrone di casa: Eduardo. Un mito. Regista teatrale impegnato nella traduzione di una pièce. Ad aiutarlo nell'impresa una sua amica attrice. Ci presentiamo anche noi "Io sono un comedian. Lei è una blogger".
Insomma, in quella casa, uno con un lavoro normale manco a cercarlo col lanternino!

Presi dalla smania di visitare tutto e subito, svuotiamo rapidamente i bagagli e ci buttiamo immediatamente nella città.
Di Madrid tutti mi avevano detto "Fa caldo, caldissimo", ma tutti avevano taciuto circa la vera iattura di questa, per altri versi, meravigliosa città: le salite! Madrid è in salita, sempre e comunque. Qualunque parte del centro si voglia visitare c'è sempre da scarpinare disperatamente. Noi, però, non ci facciamo scoraggiare e alle 11 siamo già per strada.

Dopo millemilioni di giri, dopo km e km, dopo ettolitri di liquidi persi, dopo aver scoperto le tartarughe di Atocha, dopo esserci persi tra viuzze sguelfe/caratteristiche/olaborsaolavita, dopo aver passeggiato per le piazze principali, dopo aver ammirato il palazzo reale (da fuori) e la cattedrale (pure da dentro), dopo aver preso fresco all'ombra del Don Chisciotte, dopo tutto questo, guardiamo l'ora e scopriamo che "...sono solo le 15???" "Ma noi con questo ritmo moriamo!"
Così ci diamo una regolata, torniamo a casa di Eduardo e ci facciamo un pisolino. Il rito della siesta non è una pigra abitudine, ma una fisiologica necessità quando si è immersi in certi climi. 

Poche ore dopo, rinfrancati nel corpo e nello spirito, investiamo in un salvifico biglietto della metro e torniamo in centro per la sfida tapas. E questa volta ne usciamo vincitori. Mangiamo quelle che, a mio insindacabile giudizio, si possono considerare le migliori tapas di Madrid. Lo facciamo in un posto scrauso e semplice, che presto scopriamo essere sia una nota meta turistica (indicata nelle guide) sia un apprezzato punto di ritrovo per la gente del luogo. Sto parlando di "Casa labra", dove fu fondato il partito socialista spagnolo e dove si possono mangiare le migliori crocchette di baccalà della capitale. E a me il baccalà neanche piace. Ciò, per farvi capire quanto buone devono essere!

Continua...
Dopo tre giorni sempre in giro optiamo per un tranquillo pomeriggio in spiaggia. Ci portiamo il minimo indispensabile: teli mare e 10 euro a testa. Poco inclini all'abbronzatura ci buttiamo subito in acqua. Giochiamo con le bonariamente aggressive onde di Biarritz. "Splash!""Spruzz!" "Spataplash!" "Arisruzz". Due otarie felici che, appena tornate a riva, non trovano più nulla. Tutto sparito: gli asciugamani, le scarpe e, soprattutto, gli occhiali da vista. Echecazzo! Procediamo con la perlustrazione ossessiva di ogni centimetro quadrato di spiaggia. Le persone sono accalcate l'una sull'altra. Nulla ci sembra familiare. Avevamo pochi punti di riferimento prima di tuffarci e quei pochi, comunque, non riusciamo a ritrovarli. Passa il tempo. La striscia di sabbia diventa sempre più piccola. Dopo mezz'ora realizziamo l'orrore e l'errore: l'alta marea. Non sappiamo se a portarci via tutto sia stata l'acqua o qualche poveraccio. Il risultato non cambia: siamo in costume, scalzi, e dobbiamo farci mezz'ora di strada a piedi per tornare a casa. E, problema più grave, io sono senza occhiali e non vedo una mazza. Domani andiamo a Madrid e io sono la cieca di Sorrento. Poi, però, accade il miracolo. Quando, afflitti e scoraggiati, ci apprestiamo ad andarcene, due persone ci notano, intuiscono il motivo del nostro avvilimento e fanno partire il passaparola. E' tutto là. La nostra roba è tutta là. Sull'ampio corrimano della scalinata che porta verso la strada. Asciugamani, soldi, scarpe e occhiali. C'è tutto. Zuppo e pieno di sabbia. Ma tutto affettuosamente custodito da una famiglia francese, che aspettava solo qualcuno che ne rivendicasse la proprietà.

"Io amo questa gente"
"Anch'io"

Continua...
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