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"Sarai l'ultima tra di noi a trovare casa, ma vedrai che sarai quella a trovare il posto migliore"
Con queste profetiche parole Eli si congedò.

Io rimasi da sola a leggere l'annuncio. Rispondeva ad ogni mio desiderio: giusto il quartiere, perfetto il periodo, onesto l'affitto.
Questa era la mia ultima occasione.
Da un lato avevo la nanetta odiosa; dall'altro il gattaro-serial killer; di fronte, splendente, una perfetta via d'uscita.

Il giorno dopo mi recai all'appuntamento.
Il palazzo era il classico vecchio edificio della Berlino est: scrostato e trascurato, ma deliziosamente bohemienne.
Venni accolta da Anja, la proprietaria tedesca e Marije, la coinquilina olandese.
La prima a gennaio sarebbe partita per trascorrere qualche mese in un'università brasiliana e voleva affittare la sua stanza dal primo di gennaio al 15 aprile. Mentre parlava del Sud America nei suoi occhi non si leggeva tanto l'entusiasmo accademico, quanto quello per le lunghe spiagge bianche e soprattutto per gli scultorei ragazzi carioca strizzati in micro costumini.
La seconda era una studentessa erasmus, olandese di nascita, svizzera d'adozione ed australiana da parte paterna. Carina e simpatica, per mettermi a mio agio dichiarò di saper parlare un po' d'italiano. In realtà risultò subito chiaro che sapesse dire solo quattro parole in croce, ma io apprezzai comunque l'impegno.

L'appartamento era fantastico, la camera meravigliosa, Anja gentile, Marije uno zuccherino.
Era decisamente tutto troppo bello per essere vero.
Le probabilità che una tale fortuna potesse capitare a me erano scarsissime.
"In quanti hanno già visto l'appartamento?", leggasi "Che posto occupo in graduatoria? Sono almeno nella top 100?"
"Nessuno, sei la prima. Abbiamo appena messo l'annuncio."
"Io avrei un po' di fretta. Quanto ci vorrà per sapere qualcosa?", leggasi "Ditemi subito che preferireste essere morse da un coguaro piuttosto che affittare la stanza a me e togliamoci il pensiero!"
"Se vuoi te lo diciamo subito: per noi vai bene tu."
"Danke", leggasi "Alleluia, Alleluia, Alleeee-luia"

Marije ed io avremmo diviso per tre mesi e mezzo un appartamento da sogno in Marienburgerstrasse a Prenzlauerberg.

Eli, la profetessa romana, aveva avuto ragione.

Continua...

Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14
Scontenta per la posizione periferica dello studentato, a Novembre compilai il modulo di rinuncia alla mia camera. Dal momento della consegna avrei avuto un mese a disposizione prima di dover andarmene.
30 giorni per trovare l'appartamento dei miei sogni, 30 giorni per cercare un nuovo posto dove stare, 30 giorni per non finire a dormire sotto un ponte.
30 giorni possono essere tanti o pochissimi.
Carica di ottimismo, ma anche di una certa ansia, mi imbarcai nella ricerca della mia nuova casa.

Lo scopo era quello di trovare una stanza in una WG (alloggio diviso tra più adulti, studenti o meno), in un bel quartiere e ad un prezzo ragionevole.
La concorrenza era agguerrita, le offerte (decenti) inferiori alle domande, l'impresa ardua.
Fatica, frustrazione e scoramento sarebbero stati i miei fedeli compagni per alcune intense settimane.

Ogni sabato mattina mi recavo in edicola a comprare i giornali specializzati, spulciavo tutti gli annunci, selezionavo le proposte più interessanti e poi telefonavo per prendere appuntamento. Il momento topico della conversazione era sempre lo stesso:
"Wie ist die Adresse?"

"Sbaragnaustrasse"

"Eh???"

"Superkazzolenstrasse"

"Wasssssss?"
Erano pochissime le volte in cui capivo l'indirizzo al volo, spesso dovevo chiedere lo spelling ed in alcuni imbarazzanti e penosi casi neanche ciò era sufficiente. Allora mi armavo di stradario e pazienza e, andando per tentativi ed assonanze, alla fine risolvevo il mistero e risalivo al nome esatto della via. Un' acuta detective? No, semplicemente una ragazza disperata e caparbia.

Nel giro di un paio di settimane vidi molti appartamenti.
Quelli migliori venivano presi d'assalto da orde di giovani. Ci ritrovavamo in fila, come all'ufficio di collocamento o ad un provino per il Grande Fratello. Non eravamo noi a "giudicare" la casa, ma i futuri coinquilini a decidere se noi eravamo all'altezza del giaciglio offertoci.
Quelli peggiori erano ovviamente molto meno ambiti. Del resto non c'è da stupirsi che non ci fosse la fila per accaparrarsi un sottoscala caro quanto un attico, per godere la gioia di un' ottantenne come coinquilina, o per provare le brezza di vivere tra simpatici spacciatori ed amichevoli Naziskin.

Alla fine, dopo settimane di appuntamenti e molte delusioni, le opzioni vagamente accettabili rimaste a mia disposizione erano solo due. Potevo scegliere se vivere con "Rosemary' s Baby" o lo "Psycho Brother".

Il primo alloggio si trovava nel mio quartiere preferito: Prenzlauerberg (ora entrato a far parte del distretto di Pankow). Vitale polo di attrazione per artisti e giovani provenienti da tutto il mondo, pieno di Caffè, negozi colorati e ristorantini etnici.
Guardai le strade ed i palazzi limitrofi con commozione, iniziai a salire le scale con una rinnovata speranza, bussai alla porta con il cuore gonfio d'attesa. Dopo un secondo l'uscio si aprì, io sfoderai il migliore dei miei sorrisi, ma davanti a me non trovai il tipico fricchettone berlinese o l'ennesimo studente Erasmus, bensì una bambina.
Una bimba con il viso imbronciato e lo sguardo rabbioso.
I miei futuri coinquilini sarebbero dovuti essere un padre single, giovane e belloccio, e la di lui figlioletta, con l'aria dolce e rassicurante della protagonista de L'Esorcista.
Mentre il papà mi mostrava l'appartamento, l'adorabile frugoletto mi lanciava sguardi carichi d'odio.
Mentre sedevamo tutti intorno ad un tavolo, l'angioletto tentava di prendermi a calci.
Mentre parlavamo di affitti e spese, la fetente lillipuziana precisava che: "Io questa in casa non ce la voglio!"
La camera da affittare era enorme e bella, l'alloggio fantastico, il quartiere il meglio che io potessi desiderare, ma l'idea di convivere con la bimba posseduta dallo dimonio mi frenava assai.

Me ne andai con un vago "Mi faccio sentire io" ed affranta arrancai verso la mia ultima destinazione: l'appartamento dello Psycho Brother.
Il quartiere era periferico, quasi quanto quello dello studentato, e l'edificio un casermone in pieno stile sovietico. Una tristezza infinita.
Ad aspettarmi trovai un ragazzo alto e smilzo, proprietario dell'immobile; una ragazza coreana, che si era appena aggiudicata l'ultimo posto decente disponibile, lasciando a mia disposizone uno sgabuzzino con lucernaio; tre gatti piscioni e lo Psycho Brother, fratello del proprietario, chiuso a doppia mandata nella propria stanza perché "preferisce stare per i fatti propri" , "non ama gli estranei" ed "è un po' strano, ma tranquillo".

La casa era carina, ma la brutta posizione, le dimensioni della mia camera e soprattutto la presenza dello strano figuro di cui sopra, mi facevano intravedere terribili quadri futuri. Che andavano dall'obbligo di dividere il mio misero giaciglio con i tre gatti piscioni fino al mio accoltellamento sotto la doccia ad opera dello Psycho Brother.



La mia calda ed accogliente stanzetta a Schlachtensee non mi era mai parsa così bella e sicura.

Tornai a casa terribilmente scoraggiata e, mentre affogavo i dispiaceri in un thè alla cannella, qualcuno bussò alla mia porta:
"Ciao Jane"
"Ciao amichetta Eli"
"Com'è andata la ricerca?"
"Un disastro"
"Non ti preoccupare, ho trovato questo numero sulla bacheca di Fisica. E' l'appartamento perfetto per te!"

Continua...

Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13
La sera che lo conobbi fu un vero e proprio colpo di fulmine.
Io rimasi affascinata dai soffici capelli biondi, dai grandi occhi azzurri e dal sorriso magnetico.
Anche lui vide qualcosa di speciale in me, non so se fu la chioma selvaggia, le morbide curve da femmina mediterranea o l'aria dolce e remissiva.
Agli iniziali sguardi carichi di sottintesi, seguirono ben presto i fatti. Lui, passionale ed irruento, mi strinse tra le sue forti braccia fino a togliermi il respiro, mi leccò voluttuosamente la faccia e mi atterrò sul divano fra grasse e soddisfatte risate.
Quando ormai pensavo che non sarei sopravvissuta a tanto entusiasmo, dalla televisione giunse la più celestiale delle melodie: "E' l'ora dei Teletubbies! E' l'ora dei Teletubbies!"
Il piccolo pannolinato iperattivo, mollata la preda, si accucciò in mistica contemplazione di fronte all'apparecchio televisivo ed io, strisciando via dalla stanza, riuscì a mettermi in salvo.

Quella sera un quesito prese forma nella mia riccia testolina: "Cos’hanno i Teletubbies che io non ho?"
Di fronte a questi pupazzoni colorati un duenne, dotato dell'accelerazione di una pallina da flipper e dell'energia di un reattore nucleare, si chetava immediatamente, ma lo stesso soggetto, al cospetto della mia sola anonima presenza, sembrava sotto l'effetto di una flebo di caffeina. Perché?
I Teletubbies divennero i miei nuovi idoli, i miei nuovi punti di riferimento, i miei nuovi guru.
La mia decisione era presa: li avrei studiati, li avrei amati, li avrei compresi ed infine sarei diventata una di loro!

Dopo un lungo ed estenuante lavoro sull'argomento, consistito nella visione di numero UN episodio (i 25 minuti più lunghi della mia vita), ho estrapolato le caratteristiche principali dei quattro colorati imbecilli.

1) Un enorme culone.
E su questo aspetto, non per vantarmi, ma sono già un bel pezzo avanti. Del resto essere vergognosamente ingrassata avrà pure i suoi vantaggi. Se non bastasse il morbido posteriore, sono dotata anche di notevoli maniglie dell'amore e di un orgoglioso davanzale. E scusate se è poco!

2) Un'antenna sulla capoccia.
Ne basta una? Principianti! La mattina, prima di pettinarmi, non ho solo un'antenna, ma anche un paio di parabole sul testone.


3) Un pessimo gusto per gli accessori.
Questo mi costa più fatica ma, se è per la causa, lo farò. Tirerò fuori quella borsetta verde con le paillettes che mi fu regalata 3 anni fa. Quella non è brutta, è proprio inguardabile.




4) Una lentezza esasperante. 
 Perfetto! Io di secondo nome in realtà non faccio Pancrazia ma Bradipo.

5) Un entusiasmo infantile, eccessivo, quasi patologico per qualsiasi stupidaggine.  
 Infantile? Eccessivo? Patologico? E che problema c'è? Ce l'ho. Ce l'ho. Ce l'ho.

La prossima volta che io ed il piccolo Attila ci incontreremo non mi farò più cogliere impreparata. Mi basteranno un pigiamone rosa, l'oscena borsa a tracolla ed i capelli più spettinati del solito per sedare il pargolo.

Almeno spero.
Può capitare che ti arrivi un'email da uno sconosciuto.

Può capitare che tale sconosciuto ti chieda il permesso di utilizzare un tuo post in un suo libro.

Può capitare che tu creda che il suddetto sconosciuto sia un pazzo mitomane, ed invece poi ti renda conto che è proprio uno scrittore. Uno scrittore vero, che scrive libri veri, con lettori veri.

Può capitare che ti ritrovi in libreria, con un libro nuovo tra le mani, a leggere incredula le tue parole, il tuo nome e l'indirizzo del tuo blog.

Può capitare che il tuo ego cresca a dismisura.

Può capitare. Ed è una gran goduria.

Il libro è: "101 modi per combattere il tuo nemico acquisito: tua suocera" di Francesco Cagno, Newton Compton Editori.

E quando mi ricapita?
Da qualche tempo avrete notato un nuovo banner su queste pagine, quello di Donne Pensanti.
Un'iniziativa, nata grazie a Panzallaria, che si pone come obiettivo quello di lottare "contro lo sdoganamento della mignottocrazia", cercando (cito direttamente dal sito)
donne e uomini che abbiano qualcosa di significativo da raccontare sulla percezione del femminile in Italia.
...donne che: lavorano, fanno figli, non li fanno, non lavorano perché, hanno scelto di rimanere quando potevano andarsene, hanno scelto di andarsene quando potevano rimanere, sono precarie, non lo sono, hanno subito discriminazione o ne sono vittime oggi.
...testimonianze maschili sui medesimi argomenti. Il punto di vista dell’altra parte, di coloro che non accettano l’idea merceologica della donna che sembra essere di gran moda oggi, nel nostro Paese.

Anch'io, nel mio piccolo, ho cercato di contribuire con un vecchio racconto, che i lettori più "stagionati" ricorderanno, e che per l'occasione è stato leggermente modificato.

Perché non partecipate anche voi?

Donne Pensanti.
Ciccio e Jane saranno ad Udine.



Jane sta attendendo la partita con la compostezza e la sobrietà che la contraddistinguono in questi frangenti.


Pe-Pe
Pe-Pe-Pe-Pe
Pe-Pe
Pe-Pe-Pe-Pe
Pe-Pe
Pe-Pe-Pe-Pe
Pe-Pe

A E I O U Y
A E I O U Y

Brigitte Bardot Bardot
Brigitte beijou beijou

Ay Ay Caramba Ay Ay Caramba

Eh meu amigo Charlie
Eh meu amigo Charlie
Charlie Brown
Charlie Brown

Ecco. Appunto.

"Se non fosse per lo snobbismo dei premi letterari, Moccia meriterebbe di vincere un Premio Strega od un Campiello"
Alfonso Signorini.
(Verissimo, 14 novembre 2009)
LAmicaMeri ed io ci conosciamo da diciotto anni.

LAmicaMeri ed io siamo cresciute assieme.

LAmicaMeri ed io siamo sempre state l'una il sostegno dell'altra nei momenti difficili e l'una la complice dell'altra nei momenti felici.

Così diverse eppure così simili.
Terra io, aria lei.
Concreta io, spirituale lei.
Occidente io, oriente lei.
Mai in contrasto, ma sempre pronte a confrontarci.

Un rapporto così forte è quasi impossibile da scalfire. Quasi.

Come potrò guardare LAmicaMeri con gli stessi occhi con cui la guardavo prima?
Come potrò ascoltarla con la stessa attenzione con cui l'ascoltavo prima?
Come potrò abbracciarla con lo stesso affetto con cui l'abbracciavo prima?
Come potrò ora che ho scoperto che è una fan di GIACOBBO.

Ma vi rendete conto?

G-I-A-C-O-B-B-O
G-I-A-C-O-B-B-O  
G-I-A-C-O-B-B-O

E' proprio vero che non si conosce mai nessuno fino in fondo.
Che amarezza.
Qualche post fa avevo accennato rapidamente ad un misterioso figuro, appassionato di politica e storia italiana, rispondente al nome di Fumiki.
E' giunto il momento che gli dedichi la giusta attenzione, poiché il personaggio merita. Eccome se merita.

Dopo i primi giorni di assestamento allo studentato, iniziai a notare un ragazzo schivo e silenzioso che si aggirava sul mio stesso piano, cucinava nella mia stessa cucina e si lavava sotto la mia stessa doccia.
Io lo salutavo con un garrulo "Hallo", mentre lui rispondeva con un formale e volutamente distante "Guten Morgen".
Tale siparietto venne a ripetersi per giorni, ma io non mi arresi, la sua freddezza non mi fece desistere ed alla fine ebbi la meglio. Una mattina all'ennesimo algido saluto risposi con un sorriso ed una tazzina di caffè fumante. Lui ricambiò con una zuppa liofilizzata.
Seduti alla stessa tavola iniziammo a parlare e raccontarci.
Fu così che nacque un'amicizia.

Fumiki era giapponese e studiava economia.
Dimenticate il tipico giovane nipponico occidentalizzato, buffo e fissato con i congegni elettronici.
Lui proveniva da una famiglia umile, era nato e cresciuto in una zona rurale e cercava di costruirsi un futuro grazie all'impegno e al talento negli studi.
Anche a Berlino seguiva un regime di vita molto spartano, la sera non usciva quasi mai, sfuggiva la confusione e, se c'era abbastanza silenzio nell'Haus 17, lo si poteva sentire suonare lo shakuhachi chiuso nella propria stanza.
Era serio ed a tratti persino cupo. Educato, ma a volte scostante.

Fumiki era pieno di pregiudizi nei confronti degli studenti Erasmus,"una massa di festaioli ubriaconi", e gli italiani, "frivoli, pigri e inaffidabili".
Cercò a lungo di collocarmi in queste due categorie, ma con grande disappunto scoprì che io sballavo tutte le sue ottuse certezze. Uscivo spesso, ma non tornavo ubriaca. Facevo tardi, ma mi svegliavo presto ogni mattina. Mi divertivo, ma frequentavo l'università regolarmente.
Alla fine dovette ammettere che forse non ero io a rappresentare chissà quale rara eccezione, ma lui ad essere parecchio prevenuto.
Dovette arrendersi al fatto che anche i festaioli hanno un cervello e che gli italiani non si alzano a mezzogiorno.

Io e Fumiki parlavamo di tutto: dalla storia italiana alla cultura giapponese, dalla religione all'ecologia, dai cartoni animati alla cucina.
Lui amava il Risorgimento e mi faceva mille domande a cui spesso io, ignorante come una capra, non sapevo rispondere.
Io mi infuriavo per la caccia alle balene: orrida pratica che lui collocava tra le antiche tradizioni ed io tra le barbarie da cancellare.
Lui si stupiva dei cartoni animati nipponici, più o meno lascivi od espliciti, che in Italia venivano considerati adatti ai bambini, e neanche la mia assicurazione di una rigida censura lo rasserenava.
Io lo aiutavo a preparasi la carbonara, ma poi inorridivo scoprendo la sua intenzione di mangiarsela il giorno dopo per colazione.

Fumiki ogni tanto diventava un poco strano, ma mentre io imputavo questo suo comportamento alle diversità culturali, le mie amiche mi dicevano più o meno così: "Ma guarda che quello ce stà a provà".
Ed oggettivamente tutti i torti forse non li avevano.
Le sue attenzioni nei miei confronti col passare del tempo divennero sempre più simili a quelle di un uomo per una donna e non di un amico per un'amica.
Ogni scusa era buona per farmi un regalo, piccoli pensieri di poco valore, ma che sottolineavano il suo affetto nei miei confronti. Una fetta di torta portatami nella lavanderia a gettoni dove stavo facendo il bucato, un festone di origami fatto da tantissime meravigliose gru colorate, una tazza di Glühwein(*) da dividere in due e una targa in ottone da attaccare alla porta del mio nuovo appartamento(**), solo per citarne alcuni.

Forse per troppa timidezza o per la consapevolezza che ci dividesse un'insormontabile montagna di differenze culturali, Fumiki non disse mai niente di diretto circa i suoi sentimenti ed io ignorai sempre, più o meno consciamente, tutti i segnali indiretti.

La storia rimase così. Sospesa. Perfetta per essere ricordata a distanza di anni con un sorriso e tanta tenerezza.

Continua...

(*)La versione tedesca del Vin Brulè
(**)La ricerca della nuova casa sarà argomento del prossimo post.

Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12
La sera prima della partenza
Jane: "Perché stai mettendo il Tom Tom in valigia?"

Ciccio: "Così lo usiamo per girare Venezia."

J: "A piedi?"

C: "Si."

J: "Ok. Perfetto. Disfa pure la tua parte di bagagli."

C: "Cosa???"

J: "Tu a Venezia non ci vieni."

C: "Perché???"

J: "Io in giro con te ed il navigatore non ci vado: mi vergogno!
Piuttosto ti mollo e scappo col tuo migliore amico."

C: "Uffa, quante storie. Non lo porto, ma se ci dovessimo perdere ti riterrò l'unica responsabile!"

J: "Guarda che andiamo a Venezia, mica nella foresta Amazzonica!"


Dopo una notte disturbata dalla digestione di una mastodontica frittura di pesce
Jane: "Quando mi hai svegliata perché ti sentivi poco bene, mi sono molto preoccupata"

Ciccio: "L'ho notato.
Eri così turbata che ti sei riaddormentata in 5 secondi netti."

J: "Vabbè. Insomma. Ero stanca. E poi mica eri grave.
Sei ancora vivo, no?"


All'Harry's Bar
Ciccio: "Questo è un posto mitico: l'ha frequentato Hemingway e ci hanno inventato il Bellini"

Jane: "Hemingway era un noto alcolizzato ed ha bevuto ovunque. Se fosse ancora vivo ce lo troveremmo anche nel baretto sotto casa!
Ed il Bellini, onestamente, non mi sembra questa grande invenzione"

C: "Comunque il prezzo è abbastanza onesto"

J: "Un affarone! 30 euro per due Bellini ed una scodellina di olive.
E non ci sono neanche gli stuzzicadenti per prenderle!"

C: "Vabbè, ma ormai siamo qua, quindi godiamocela."

J: "Certo. E non ci alzeremo fino a quando non avremo mangiato fino all'ultima oliva!!!"

Venezia è la magnificienza di piazza San Marco, la magia del tramonto sulla laguna, l'imponenza del Palazzo Ducale, i riflessi dei vetri di Murano, i colori delle case di Burano, la fredda eleganza delle boutique internazionali, l'antico calore delle botteghe ed il fascino delle osterie piccole come scrigni.


Venezia è la visione romantica di un poeta, il progetto di un architetto folle, lo sfondo perfetto per una storia ancora da scrivere.


Venezia è in Italia, ma potrebbe essere da qualsiasi altra parte, in qualsiasi altro paese e persino su qualsiasi altro pianeta.

Venezia appartiene a tutti ed a nessuno.

Venezia per tre giorni è stata nostra.

(Le foto sono di Ciccio)
In questi pochi giorni di assenza mi sono persa molti post interessanti.

Ross ha compiuto gli anni.
La mia guerriera preferita ha spento 22 candeline ed io, clamorosamente in ritardo, le faccio tantissimi auguri!!!!

Alessandra ha avuto l'onore di vedere da vicino nientepopodimeno che John Kirwan.
Ciò ha scatenato la mia legittima invidia. Anch'io avrei fatto la mia porca figura sugli spalti di Varese con tanto di felpa rossa e ricci al vento, ed invece mi dovrò accontentare dei miei soliti sogni pseudo erotico rugbistici.
Per la cronaca, l'ultima volta è stato il turno di un ignudo Mirco Bergamasco. E quando dico ignudo, intendo proprio ignudo.
Ignudo come mamma Bergamasco l'ha fatto.
Ovviamente, anche questa volta, mi sono svegliata prima che il fattaccio si consumasse.
Tutti gli anni di catechismo hanno distorto per sempre il mio inconscio e rovinato irrimediabilmente la mia vita onirica.
Che amarezza.

Sun mi ha fatto credere per due minuti di essersi completamente bevuta il cervello.
Per un attimo ho pensato che l'arguta ed acida blogger avesse lasciato il posto ad una novella e sdolcinata Giulietta.
Non che la cosa sia di per sé negativa, ma io ho una certa età e cambiamenti tanto radicali mi dovrebbero essere comunicati con anticipo e delicatezza, altrimenti potrebbero anche essermi fatali.
Quindi Sun, la prossima volta, mettiti una mano sulla coscienza.

La Volpe ha presentato alla rete il nipotino: il tenero Volpacchiotto.
Un latin lover in erba a cui la famiglia sta tentando, inutilmente, di tarpare le ali.
Vola Volpacchiotto, vola e sbaciucchia in libertà.
Jane e Ciccio sono con te!

Mario continua il percorso che lo porterà di fronte alla Santa Inquisizione prima, ed al rogo poi.
Io, da amica premurosa quale sono, mi sto attrezzando con estintori e cartelli di protesta, tipo "Giù le mani dal Notaio Mannaro" o "Libero Notaio in libero Stato".

Eppi, dopo aver combattuto e vinto la propria personale battaglia contro il cambio di stagione ed un armadio riottoso, ha trovato il tempo per omaggiarmi con codesto francobollo. E' proprio il caso di dire che "è il pensiero quello che conta".
Io, nel ringraziarla, ne faccio a mia volta dono a lei e a tutti i blogger sopracitati.

Non l'avevate capito che era un premio-meme?
Ebbene si, lo è.
Tornando tra le montagne ho trovato il nuovo elenco telefonico di Trento.
Sulla copertina troneggia quest'immagine.
Mi piace molto.
Ma non porterà un po' sfiga?

Vi avverto fin d'ora, miei fedeli lettori, che se dovesse ripetersi un inverno come quello dell'anno scorso dovrete sorbirvi decinaia e decinaia di post a carattere meteo-lamentoso.
Sappiatelo.
Non vorrete mica lasciarmi da sola a pedalare sulla famosa bicicletta?


Immagine di Andrea Pregl.
Al telefono.

Ciccio: "Quando torni mia principessa? Questa dimora è vuota senza di te."

Jane: "Come sei dolce mio cavaliere dall'armatura scintillante. Soffri molto per la mia assenza?"

Ciccio: "Si, il cuore mi duole e sospiro guardando il tuo ritratto."

Jane: "Ma cosa ti manca di più? Dischiudimi il tuo animo."

Ciccio: "Mi manca tutto.
Mi manchi tu.
Mi manca... mi manca... mi manca..."

Jane: "Cosa amore mio? Non indugiare. Esprimiti liberamente."

Ciccio: "Mi manca soprattutto il tuo rompermi costantemente le pa##e."

Da quando divido la mia vita con Ciccio mi sento come Beatrice.
Anzi no.
Come Silvia.
Anzi no.
Come la fidanzata di Vito Catozzo.
Ecco, così.
Io detesto quando mi si dice:
"Hai voluto la bicicletta e ora pedala"

Quant'è stupida quest'espressione?
Quant'è irritante?

Anche se una determinata situazione l'ho scelta volontariamente, ciò non mi priva del sacrosanto diritto di lamentarmi.
E poi magari io pensavo di andare a fare una semplice scampagnata e mi sono ritrovata sul Passo del Pordoi, sotto la grandine, con le ruote sgonfie ed una carogna di trecento chili sulle spalle.

Se mi confido, mi apro, ti parlo dei miei disagi, il minimo che mi aspetto da te, amico mio, e che tu metta in moto quei quattro neuroni addormentati che hai nella capoccia e ti sforzi di rispondermi con qualcosa di più che un banalissimo modo di dire del cazzo.

Ho voluto la bicicletta, ma non ho mica il sedere incollato al sellino.
Quasi quasi ora scendo e te la tiro dietro!
Ecco. Ora mi sento meglio.
...in un paesino di montagna.

Costei, tornando a casa di sera, a piedi, da sola, per una strada poco illuminata non avrà paura di essere scippata, aggredita o fatta a pezzi da un pericoloso serial killer.
Ma guarderà con preoccupazione ogni ombra ed ogni angolo buio, perché ormai nella sua mente malata e melodrammatica avrà sviluppato il timore di essere aggredita da un orso.
E a poco varranno le rassicurazioni di fidanzato e amici che "gli orsi raramente scendono così tanto di quota", che "adesso hanno cibo in abbondanza tra i boschi" e che "alla nostra altitudine fa ancora troppo caldo".
Ella avrà comunque paura di incappare in un plantigrado anarchico, ingordo e amante dei climi miti.

* * * * *

A forza di stare tra i monti, Jane non riesce più a guardare con serenità il faccino giallo di Winnie the Pooh, ed anche negli occhioni dolci di Bear, l'Orso nella Grande Casa Blu, le sembra di cogliere un lampo crudele ed omicida.

Si, Jane forse è un tantino paranoica.

Restare sveglia fino alle 2:30 per colpa di un'ulcera bastarda.
Strisciare fuori dal letto alle 6:30.
Riuscire a mettersi in strada nel traffico impazzito di una giornata di pioggia.
Arrivare al lavoro già sfatta.

Avere a che fare con la numerosa e varia umanità che costituisce i donatori di sangue.
Dallo scorbutico al lumacone.
Dal sessantenne giovane-dentro che vuole donare dritto su un piede solo, al ventenne terrorizzato che esige la presenza della mamma che gli tenga la manina.
Dall'esile ragazza che ha scritto in fronte "mi sentirò male entro 2 minuti" alla possente signora con le braccia da camionista e le vene nascoste sotto 10 centimetri di morbidosa ciccia.
Questo è il mio habitat naturale, mi ci trovo bene, mi ci muovo con sicurezza: ignoro il maleducato, tengo a bada il provolone, sono inflessibile con il supereroe, coccolo il pauroso, cullo l'acciughina e mi affido all'esperienza e al c#lo per beccare le vene balorde.
Sono professionale, efficiente e cordiale.

La mattinata sta per finire, vedo il traguardo, mi rilasso.
Ma entra lui.
Giovane e gentile.
Mi sorride, si siede sulla poltroncina e attende.
Io gli chiedo di togliersi la felpa, lui obbedisce.
Io preparo le provette e sistemo la sacca sulla bilancia.
Per la prima volta guardo il suo braccio.
C'è Mussolini.
Sopra il braccio.
Mussolini.
Braccio.
Benito.
Il ragazzo educato e carino ha il faccione di Mussolini tatuato sull'avambraccio interno.
Un tatuaggio enorme, impossibile da ignorare.

Che faccio?
Lo prendo a testate?
Lo vampirizzo direttamente dalla giugulare?
O lo mollo là e me ne torno a dormire?

Niente di tutto ciò.
Il mio viso non tradisce nessuna reazione. Nascondo la sorpresa, la stizza ed il rimprovero. Forse sollevo un po' il sopracciglio sinistro, ma per il resto sono una maschera impenetrabile.
La mano è ferma e leggera.
Prima passo il cotone e poi prendo l'ago.
Prima disinfetto il faccione e poi buco l'elmetto.
Ho disinfettato il faccione di Mussolini.
Ho bucato l'elmetto di Mussolini. In quanti possono dirlo senza paura di smentita?

Mi viene un po' da ridere, ma riesco a trattenermi.
Prelievo finito.

Il donatore è contento: non ha sentito niente.
Io sono contenta: questo è materiale da post.
Benito un po' meno: è dispiaciuto per l'elmetto.
Novembre 2007




Dicembre 2007




Ottobre 2009



La mia testa è piemontese, anzi torinese.
A Torino sono nata ed a Torino ho sempre vissuto.
Torino è masticare il cicles, svoltare nel controviale e togliere le macchie dai vestiti con la conegrina.
Torino è il bicerin alla Consolata e la cioccolata calda da Fiorio.
Torino è l'autunno mite con le foglie dorate e l'inverno freddo con la bisa che ti ghiaccia la faccia.

Il mio cuore è siciliano.
I miei genitori vengono da Lercara Friddi, in provincia di Palermo.
I miei nonni erano di Lercara.
I miei bisnonni pure ed i miei trisavoli anche.
La Sicilia è NonnoA, che non ho mai conosciuto e che è mancato poco prima che tutta la famiglia si trasferisse al Nord.
La Sicilia è l'infanzia di mia madre.
La Sicilia è i miei capelli ricci ed i miei fianchi da donna.
La Sicilia è la Cuccia mangiata il 13 dicembre.
La Sicilia è dire a Ciccio che è "camurruso", perché non esiste nessun'altra parola in italiano altrettanto efficace.
La Sicilia è la mia famiglia.

In questi giorni la Sicilia piange ed io con lei.
L'ingresso del digitale terrestre in CasaCole risale all'aprile scorso.

Le SorelleCole recarono in dono un minuscolo, inoffensivo ed elementare decoder, che venne prontamente posizionato accanto al televisore.
Ai genitori furono fornite poche e semplici indicazioni per ridurre al minimo le possibilità di errore e rendere poco traumatico l'impatto della novità tecnologica.

Tutto è filato liscio fino a quando PapàCole non si è imbattuto per caso in Rai Sport Più, un canale che per 24 ore al giorno trasmette solo sport, con una particolare predilezione per le discipline più astruse e di nicchia, dalla corsa coi sacchi al tamburello, dal tiro alla fune al torneo di freccette, dal ping pong dell'oratorio alla finale di Briscola di Villa Arzilla.
Ormai da qualche mese a questa parte, ogni volta che è a casa, il capo famiglia si piazza davanti alla tv a rivestire i panni di giudice, arbitro, commentatore, telecronista o tifoso a seconda dell'ispirazione del momento.

MammaCole non l'ha presa benissimo.
Non ha ancora deciso se chiedere il divorzio o soffocare il coniuge nel sonno.
Anche lei si affiderà all'ispirazione del momento.
Ciccio mi ha confidato che, anche quando non sono con lui, mi sente vicina.
Non è romantico?
No.

Ciccio entra in casa con le scarpe inzaccherate ed una vocina isterica nella sua testa gli ricorda: "Attento al tappeto, sciagurato!"
Ciccio si scofana una teglia di lasagne e la stessa vocetta lo rimbrotta: "Vergognati: sei a dieta!"
Ciccio schiaccia troppo l'acceleratore e la signorina del Tom Tom acquista improvvisamente un sospetto strascico piemontese: "Ti dispiacerebbe andare un po' più piano? Neeeee"

La cosa più grave non è che il mio fidanzato senta le voci, ma che lui veda in me il suo personale Grillo Parlante.
Il personaggio più saccente, scassaballe ed antisesso della letteratura mondiale.

Son soddisfazioni.
Un pigro sabato pomeriggio.
Un bambino legge ad alta voce mentre il papà, severo ed intransigente, corregge gli errori di pronuncia e sottolinea le incertezze.
La madre si trova in un'altra stanza, in altre faccende affaccendata.

La donna è sovrappensiero quando viene sorpresa dalla voce del marito che, lasciato il figlio ai suoi compiti, fa capolino sulla soglia: "Entro?"
"No"
"Entro e chiudo la porta?"
"Nooooo"
"Ma come no?"
"No!"
"Neanche una sveltina???"

Situazioni del genere si verificano in tutte le famiglie.
Conversazioni di questo tipo avvengono spesso, in particolar modo tra le coppie che si trovano a dover conciliare una sana e soddisfacente vita sessuale con la presenza di figli più o meno piccoli.

La particolarità del momento sopra descritto non sta quindi nel quadretto familiare, banale nella sua normalità, ma nella posizione in cui si trovava chi ve lo ha appena raccontato.
Jane era fuori dalla porta con il ditino ad un millimetro dal campanello.
Scioccata dall'orrore di essere stata brutalmente ed involontariamente catapultata nell'intimità dei suoi vicini acidi e bacchettoni.
E sconquassata dall'assoluta, incontrovertibile, dilaniante, disperata necessità di rotolarsi a terra dal ridere.

(Jane ha tante qualità, ma non il super udito. Sono la porta ed i muri ad avere la consistenza della carta velina)

(Sottotitolo: La sociologa pazza che alberga in Pancrazia) 

Vivere all'estero, anche solo per pochi mesi, ti fa comprendere un paese e la sua gente in maniera molto più profonda di qualsiasi vacanza, guida o documentario. 

Mi avevano presentato Berlino come la città dei single e dei gay. Mi trovai nel regno degli adolescenti che slinguazzano in ogni dove e dei genitori con pargoli al seguito. 

Imparai ben presto che i tedeschi respirano molto bene dal naso e sono affetti da un esibizionismo cronico: non esiste panchina, autobus, tram o metropolitana senza una coppia intenta in una funambolica pomiciata pubblica. E più pubblico c'è, meglio è. Ma ad attirare la mia attenzione furono soprattutto i bambini. 

Fin da piccoli i germanici sono diversi da noi. E fanno paura. 

I bimbi tedeschi sono fatti di gomma. Indistruttibili nel corpo e nello spirito. Li ho visti superare la barriera del suono, pedalando come pazzi sulle loro biciclette. Li ho visti appendersi ai sostegni della metropolitana, dondolandosi come glabri scimpanzé. Li ho visti tentare di spiccare il volo, lanciandosi da ragguardevoli altezze. Ho visto fare tutto ciò sotto l'occhio vigile di genitori dotati dell'autocontrollo di un monaco buddista, che si limitavano ad ammonirli con un pacato: "Così ti fai male". Mentre io trattenevo a stento la madre ansiosa, ossessiva e scassaballe che alberga in ogni donna italiana, e che avrebbe voluto urlare: "OHMARONNAAAA!!!ATTENTO, CHE TI FAI MALEEEE!!!" Puntualmente i piccoli kamikaze si schiantavano a terra e, trattenendo le lacrime, sopportavano a testa alta e senza batter ciglio il sintetico rimbrotto materno: "Te l'avevo detto." 

I bimbi tedeschi hanno lo stomaco foderato d'amianto. Mangiano qualsiasi cosa, a qualsiasi ora, in qualsiasi condizione. Li ho visti con il biberon in una mano ed un wurstel nell'altra. Li ho visti ciucciare avidi l'olio da patatine strafritte. Li ho visti divorare cheesburger con la rapidità di piraña bulimici. Li ho sentiti emettere dolci ruttini degni di un camionista bulgaro. Queste piccole idrovore, alimentate seguendo i dettami di un nutrizionista pazzo, invece di essere ricoverate per una bella lavanda gastrica, crescono grandi e forti. In grado di digerire anche la peperonata alle 6 del mattino. 

I bimbi tedeschi non esistono. Quegli angeli biondi in giro nei parchi o a passeggio nelle loro carrozzine non sono bambini, ma adulti molto molto molto bassi. Io l'ho sospettato per mesi e ne ho avuto la certezza una mattina in metropolitana. Quel giorno mi trovai seduta di fronte a due esemplari dall' età apparente di 6 e 4 anni ed assistetti allibita ad una conversazione degna di due linguisti in erba.
Il Piccolo: "T-i-e-rgarten. Che significa?" 
Il Grande: "È una parola composta: Tier-Garten. Giardino degli animali." 
IP: "Ma allora Zoologischer Garten?" 
IG: "La stessa cosa: giardino degli animali" 
IP: "Ma com'è possibile? Sono due parole diverse." 
IG: "Tiergarten è tedesco, mentre Zoologischer Garten deriva dal greco." 
IP: "Aaaah, capito."
HAo capito? Ma cosa diavolo hai capito? Avrai 4 anni!!!

Non so quando, non so come, ma è ovvio che prima o poi i tedeschi riproveranno a conquistare il mondo e stavolta ci riusciranno.
Paura, eh? 

Continua... 
Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11

Quel che si dice: aver poche idee, ma chiare.

Adoro Linus: innocente, sensibile e disarmante.


A soli 10 anni imparai come un uomo doveva guardare una donna. Con amore, dolcezza, ma anche rispetto ed ammirazione.
A chi può capitare di camminare tranquillamente per strada e ritrovarsi bagnata dalla testa ai piedi?

A chi può capitare di rimanere vittima dell'inconsapevole attentato di un'attempata signora, distratta sbrigativa ed anche un po' rimbambita?

A chi può capitare di transitare di fronte al portone della suddetta ottuagenaria nel momento in cui costei ha deciso di gettare sul marciapiede l'acqua saponata con cui ha appena lavato i pavimenti?

A chi può capitare se non a me?
Nonostante la batosta, nonostante i piccioni affetti da dissenteria, nonostante la tentazione di concedermi ore di compiaciuta autocommiserazione, io sto cercando di risollevarmi.
Sto cercando di ripartire.
Sto cercando di riappropriarmi della mia vita.

Sono una donna forte e so che supererò anche questo momento, ma tutto ciò sarebbe più facile se il fato non continuasse ad accanirsi contro di me.
Se gli dei non mi spernacchiassero.
Se almeno qualcosina ricominciasse a girare per il verso giusto.

Ed è per questo che oggi, 8 settembre, mi chiedo perché?

Perché non mi è ancora arrivato il catalogo dell'IKEA?

Perchéééééééé??????????????


(Post ispirato, per il secondo anno consecutivo, da Simone)
Giugno 2009.
Jane si era adagiata su una soffice nuvola rosa.
I piedini nudi affondati nella paciosa morbidezza del nembo cumuliforme.
I ricci scompigliati da una brezza leggera.
Un gruppo di fringuelli a cantare per lei dolci melodie.

Ella aveva finalmente raggiunto l'equilibrio tanto a lungo cercato.

Luglio 2009.
Jane si è ritrovata a terra.
Spiaccicata sull'asfalto.
Con la netta sensazione di essere stata investita da un camion, uno schiacciasassi, un carro armato ed infine, per non farsi mancare nulla, un bambino obeso in triciclo.
I fringuelli canterini se la sono svignata, lasciando il posto a disgustosi piccioni incontinenti.

Ella, sotto shock, ha passato un mese a chiedersi: machecazzoèsuccesso?


Settembre 2009.
Jane è ancora stesa a terra.
Ogni tanto le cose vanno meglio.
Ogni tanto peggio.

A cadere rovinosamente ci si mette un attimo, ma è decisamente un'operazione più lunga e faticosa rimettersi in piedi.
L'idea di questo post risale a maggio.
Tra correzioni, modifiche e rimaneggiamenti queste poche righe hanno rischiato la cancellazione definitiva più di una volta.
Ma, superata la mia rigida censura e l'implacabile autocritica, è giunta l'ora che questo mio caparbio figliastro veda la luce.
Siate magnanimi.



"La Posta del Cuore(?!?)"

Nel corso della mia vita ho maturato una certa esperienza in fatto di uomini. Non è mica da tutti poter vantare tra i propri ex: un fedifrago compulsivo, un filosofo depresso ed un tedesco pazzo. Ci vuole applicazione e talento per collezionare personaggi di tal fatta.

La voce si deve essere sparsa e ultimamente molti visitatori arrivano su queste pagine in cerca di risposte.
Risposte da me.
Poveracci.

Orfani di Susanna Agnelli non crucciatevi, ora che la sorella dell'Avvocato vi ha lasciati, ci penserà Pancrazia ad elargire perle di saggezza.

Un uomo perché ci prova con tutte anche se è impegnato?
Non ti ha insegnato niente la mamma? L'uomo è cacciatore!
Ma non è il caso di piangere e tanto meno di strapparsi i capelli: esiste un'ottima soluzione per ovviare al problema.
No, non consiste nel trovarsi un uomo fedele e innamorato. Scendi dal pero Giulietta dei miei stivali!
No, non è sufficiente neanche trovarsi un uomo dalla moralità ferrea. Il senso di colpa è un concetto profondamente sopravvalutato.
Il trucco è banale nella sua semplicità: bisogna trovarsi un uomo pigro. Tanto pigro. Una via di mezzo tra Homer Simpson e un bradipo.
Il broccolamento richiede un certo impegno psicofisico e quindi avere un compagno allergico alla fatica è un'ottima base di partenza per evitare di collezione più corna di una cesta di lumache.
Purtroppo esiste sempre l'eventualità che egli si imbatta in una donna particolarmente intraprendente (leggasi zoccol@) pronta a farsi trovare già sbucciata e comodamente adagiata tra le lenzuola.
In questo caso consiglio di rassegnarsi al destino crudele e, prima di andarsene via sbattendo la porta, limitarsi a prendere a randellate i due fornicatori.

"Il fascino dell'uomo maturo?"
Vi risparmierò l'abusato esempio di Sean Connery. Più che maturo ormai abbondantemente frollato.
Salterò a piè pari il brizzolatissimo George Clooney. Precipitato dall'Olimpo di Hollywood per diventare "Quello che esce con la Velina".
Per ovvie ragioni, ignorerò quel raffinato gentiluomo, esperto nel low profile, che risponde al nome di Flavio Briatore.
Non rimane che il mio Ciccio. Ma è superfluo che vi spieghi perché mi piace tanto: ormai anche voi lettori lo adorate.

Ho perso la testa per uno più giovane
Brava!
Demi Moore, Madonna e Cher fanno scuola.
Ma mi duole ricordarti che quei maledetti giovani corrono veloci e non sono facili da acchiappare.
Urge quindi un allenamento intenso e mirato. Oppure un lazo.
Per quelle senza scrupoli consiglio un bel giavellotto. Forse un metodo di caccia un po' cruento, ma decisamente di grande effetto.
Tre settimane fa mi sentivo estremamente creativa. Decine di meravigliosi post ribollivano dentro di me: l'Erasmus, la mia infanzia, le esilaranti vicende di CasaCole, la televisione, la pubblicità, etc etc...

Mi sono appuntata tutto, aspettando di avere qualche ora da dedicare al blog. Ma ora che sono più libera tutte quelle idee appaiono meno brillanti e molto più opache, tutti quegli spunti sembrano fiacchi e praticamente improponibili.

Che fare?
Buttarsi sulla musica.

Mentre io cerco di superare il blocco della blogger, godetevi Paolino.
Che ne vale sempre la pena.
Un sabato d'ottobre la Kneipe dello studentato s'inventò "L'Oktoberfest in ritardo".
Il locale era stata addobbato con festoni bianco-azzurri (i colori della Baviera) e riempito con centinaia di ragazzi a vari stadi di ubriacatura.
Quella fu la sera in cui venne coniata l'evocativa espressione "depravazione alcolica".
Ma quella fu soprattutto la sera in cui Sissi, Eli e la sottoscritta svoltammo.
Stufe di vedere sempre le stesse facce, mollammo la festa da poveracci e puntammo verso il centro.

Non ci importava che avremmo impiegato 40 minuti per andare e che al ritorno il Nachtbus ci avrebbe lasciato lontane da Schlachtensee, costringendoci a camminare in piena notte per una strada semibuia, fredda e deserta.
Il nostro posto era tra locali e confusione, non in un quartiere mal servito privo di qualsiasi attrattiva.
Il nostro Erasmus ce l'eravamo guadagnate ed ora avevamo il sacrosanto diritto di godercelo.

Mentre eravamo in attesa alla fermata del bus vedemmo avvicinarsi un gruppo di giovani, anche loro appena usciti dal pub.
C'era il gemello buono di Draco Malfoy.
Biondissimo e snello che tentò un infruttuoso approccio con la sottoscritta.
No, non era brutto.
No, non facevo la preziosa.
Ma i problemi di comunicazione mi rendevano particolarmente timida. Il mio tedesco zoppicante per i primi mesi limitò un po' la mia vita sociale e soprattutto quella sessuale. Non per niente decisi di iscrivermi a ben due corsi di tedesco contemporaneamente.
Pensavate davvero che l'avessi fatto solo per l'università?
Mafatemiilpiacere!

C'era il tipo ubriaco come una cucuzza.
Camminava incerto, sbandando ad ogni passo, con le palpebre semichiuse e l'aria di chi fosse in procinto di vomitare e stesse solo decidendo sulle scarpe di chi.
Sissi, con il suo 42 di piede, era sicuramente quella più in pericolo.

Ed infine c'era lui: il belloccio.
Si avvicinò alla cartina esposta sotto la pensilina e sentenziò lapidario:
"We're in the middle of f#cking nowhere!"

Con una sola frase era riuscito a sintetizzare settimane di nostre lamentele circa l'infelice posizione dello studentato.
Con una sola frase si era guadagnato il nostro incondizionato affetto.

Si chiamava Ben ed era inglese.
Un ragazzo carino, ma non troppo. Quel tipo di bellezza britannica rassicurante e non eccessiva.
Un manager con una carriera ben avviata, ma l'anima dell'adorabile pirla cazzaro.
Quel tipo di persona che prima è l'anima della festa, ma poi beve troppo e perde i sensi su una cassapanca e resta a dormirci sopra per tutta la notte.
Ma anche quel tipo di persona tanto sensibile da percepire il tuo cattivo umore prima degli altri e da fare di tutto per strapparti un sorriso.
Come dite? Non esiste uno così?
Evidentemente non avete mai incontrato Ben.
Una figura mitologica: metà John Belushi e metà Ricky Cunningham.

Il nostro Erasmus non sarebbe più stato lo stesso.

Continua...


Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10
Io detesto lasciare i libri a metà.

Delle volte mollare il colpo sarebbe la scelta migliore: un atteggiamento sano, maturo ed equilibrato.
Non c'è da stupirsi, quindi, che io faccia così tanta fatica a fare una scelta di questo tipo.

Ci sono tre libri che ormai da anni mi guardano severi dall'alto della libreria. Io non li nascondo, non li regalo, ma li tengo in bella mostra a costante rimando del grave torto che sto facendo loro.

"Der Wanderchirurg" di Wolf Serno lo posseggo dal tempo in cui condividevo la mia vita con il celeberrimo Ex Pazzo.
Il di lui padre ebbe il delicato pensiero di farmi dono di questo romanzo, in cui si narrano le vicende di un chirurgo ramingo nel 1500.
816 pagine. In tedesco.
Nel caso vi fosse sfuggito lo ripeto: 816 pagine.
Io parlo tedesco. Io leggo in tedesco. Io scrivo in tedesco. C'è stato un periodo della mia vita in cui io SOGNAVO in tedesco.
Ma un tomo di tali dimensioni mi ha stroncata sul nascere. Ho provato ad iniziarlo, sperando di appassionarmi immediatamente, superando in scioltezza il blocco iniziale. Ma così non è stato.
Se avessi letto una paginetta al giorno, 5 giorni alla settimana, riposandomi per Natale, Pasqua ed anche 2 settimane ad agosto, a quest'ora l'avrei già finito da tempo. Ma io non sono una persona così lungimirante, o semplicemente neanch'io sono così disturbata da impormi una tale tortura.
E così Der Wanderchirurg sta li, con una cartolina incastrata tra pagina 15 e pagina 16.
Mi osserva dalla copertina. E più mi guarda e meno mi vien voglia di sapere le gesta di questo cacchio di chirurgo. Che avrà mai fatto di tanto speciale? Applicava sanguisughe ed incideva bubboni?
Ma chissenefrega! L'ho detto. Mi sono sfogata. Ora mi sento meglio.

La seconda opera letteraria "abbandonata" rappresenta l'incontrovertibile dimostrazione del fatto che io sia una pazza scriteriata, particolarmente portata a complicarsi l'esistenza.
Non si spiegherebbe altrimenti il mio insano "progetto" di coprire le lacune liceali riprendendo nientepopodimeno che "La Divina Commedia". Rileggendola tutta con tanto di analisi del testo e note a margine.
Non dico quanto presto mi sia arenata, perché mi vergogno.
Ma prima o poi la finirò, dovessi metterci anche 10 anni. Vabbè facciamo 20.

Il terzo libro?
Sta li da quando, poco più che bambina(*), mi rigirai tra le mani questa bellissima copertina verde con intarsi dorati.
Quando accarezzai quei fogli sottili, che parevano sciogliersi fra le dita.
Quando decisi che sarebbe stato molto edificante, molto educativo, molto interessante leggere la Bibbia.
Tutta.
Qualcuno è mai andato oltre la genesi?
Io no. Ovviamente.

(*)Si, lo so: ero una bimba ben strana.
PapàCole è un uomo di una volta.

E' stato contadino in Sicilia, muratore in Germania ed operaio a Torino.
Ora fa volontariato cinque giorni alla settimana, organizza circoli per anziani e spazi espositivi per giovani.
Conosce il valore del lavoro e della fatica, ama la concretezza e la semplicità, detesta i fronzoli.

Ma siamo nel 2009 ed anche gli uomini come PapàCole si adeguano.
"Ma chi ha fatto questa foto?
E' orribile: sembro grassissimo!"

Evidentemente anche dentro un uomo tutto d'un pezzo come PapàCole si nasconde un vanesio tronista.

Se lo becco a sistemarsi le sopracciglia chiedo il disconoscimento!

(I "padri anzianotti" sono fonte di inesauribile ispirazione. Vi consiglio questo post di Sun).

E da voi?
C'è crisi?


Il viaggio.

Sabato, 1.30 am.
Sorella, Cognato e Jane, pieni di entusiasmo e buoni propositi, partono in direzione dell'Umbria, luogo dove si terrà il matrimonio di uno dei tanti cugini Cole.
La strada è sgombra, il cielo sereno e l'umore ottimo.

Dopo qualche ora i tre iniziano a dare segni di cedimento.
SorellaCole cade in un sonno a intermittenza, in cui alterna momenti di completo abbandono a risvegli repentini e fastidiosi
"...ronf ronf ronf...sono sveglia, sono sveglia, sono sveglia!...ronf ronf ronf...amore mi raccomando: non dormire!...ronf ronf ronf...ti faccio compagnia io, eh?...ronf ronf ronf..."

Jane passa la notte ad imbottirsi di Coca Cola e salatini. All'alba ha acquistato due kg ed almeno una decina di tic nervosi.
CognatoCole sopporta stoicamente la moglie molesta e la cognata isterica e si ripromette di non passare mai più tante ore da solo con entrambe.


L' arrivo.

Il piano diabolico dei tre sciagurati consiste nell'arrivare in mattinata, mollare i bagagli in albergo e correre a visitare le innumerevoli meraviglie dell'Umbria.
In realtà, dopo aver attraversato mezza Italia in piena notte ed essere giunti a destinazione alle 7, i tre svengono sui propri giacigli, morti dal sonno ed assolutamente indifferenti a qualsiasi proposta socio-artistica-culturale che non includa un riposino.


Il Pomeriggio.

Un'allegra combriccola di cuginiCole si dirige a Gubbio, dove trascorre un'ora in un parcheggio a pagamento, aspettando che il diluvio, improvvisamente scatenatosi, abbia fine.
La vana attesa viene condita dagli aggiornamenti meteo forniti da Ciccio, anch'egli in arrivo per l'occasione.

"Sono a Perugia: grandina!"
"Sono a Gualdo: piove a dirotto, non vedo niente, vado ai 20 all'ora!"
"Sono a Fossato: voglio la mamma!!!!"



La Cena.

Tutta la famiglia Cole si riunisce intorno ad un enorme tavola.
Ciccio viene scaraventato per la prima volta in mezzo a questa pazza, rumorosa, simpatica e variegata umanità.
Gli bastano 5 minuti per farsi amare da tutti.
Jane è una donna felice.


Il giorno del matrimonio.

Vengono assunte millemilioni di calorie.
Jane, individuata un'invitata con il suo stesso abito, la elimina e ne nasconde il cadavere dietro le bomboniere.
Ciccio fa troppe fotografie alle smandrappone amiche della sposa e per questo viene condannato a dormire per una settimana sul pavimento.
Porco!
SorellaCole si lascia travolgere dai balli di gruppo. I suoi parenti più prossimi prima fingono di non conoscerla e poi l'addormentano tramite lancio di freccia avvelenata.
Dulcis in fundo, uno dei cuginiCole chiede a Ciccio
"E voi quando vi sposate?"
Il pingue fidanzato, per evitare di rispondere, si butta a terra fingendosi morto.


Lunedì.

Dopo essere riusciti finalmente a visitare la bella Gubbio, tutti i Cole si avviano ognuno per la propria strada.

Ciccio e Jane tornano assieme, felici e innamorati, sui monti trentini.
Nonostante le foto alle smandrappone.
Porco!
Come gli ex insistenti che periodicamente si rifanno vivi.
Come Iva Zanicchi nuovamente seduta al Parlamento Europeo.
Come i peperoni qualche ora dopo averli mangiati.
Abbassi un attimo la guardia e loro ti si ripropongono.

La si credeva relegata alle foto in bianco e nero delle mamme, ai film della Loren o alle cantanti britanniche tanto talentuose quanto svalvolate.
E invece no: lei era in attesa, pronta a rinascere dalle proprie ceneri.

La Cofana è tornata!

Non so se andremo davvero in giro tutte conciate come delle novelle Moira Orfei, ma evidentemente le ditte produttrici di lacca ci contano. Altrimenti non si spiegherebbe la necessità di mortificare due bellezze come quelle di Bar Rafaeli e Penelope Cruz con queste terribili impalcature.



Per delle acconciature così ci sarà bisogno di un condono?
Da quasi dieci mesi conduco una vita dissociata: metà del mio tempo lo trascorro in Trentino, l'altra metà in Piemonte.
Se all'inizio soffrivo un po' l'isolamento montano e la mancanza di stimoli socioculturali, ora patisco maggiormente la routine torinese.

Ormai sono affetta da un grave sdoppiamento della personalità.

Sulle dolomiti sono carica di energia: mi divido tra l'ambulatorio, lo studio e la casa con l'efficienza e l'operosità di una formichina.
Nei pochi attimi liberi mi reinvento cameriera e arredatrice con sorprendenti risultati.
Nonostante la stanchezza, ho un sorriso radioso, la pelle morbida ed i capelli lucenti e setosi.

In terra sabauda perdo il buonumore e la voglia di fare.
La mia pelle invecchia di dieci anni in mezza giornata, i capelli prendono la consistenza della lana infeltrita ed il sorriso si trasforma in un ringhio sinistro.

Da cosa potrà dipendere questa curiosa patologia che mi ha colpita?

a)L'altitudine.
Forse discendo da una famiglia di sherpa ed il mio organismo rende meglio ad alta quota.

b)L'amore.
La vicinanza di Ciccio mi alleggerisce ogni fatica.

c)Mamma e Papà Cole.
Superati i trent'anni la convivenza, anche se part time, con i propri genitori è contro natura e psicologicamente deleteria.

Voi che dite?
C'è chi ha la suocera presente, ossessiva e soffocante.
E si lamenta.

C'è chi ha la suocera perennemente assente.
E si lamenta.

C'è chi ha la suocera che adora e vizia i nipotini.
E si lamenta.

C'è chi ha la suocera che ignora i nipotini.
E si lamenta.

C'è chi ha la suocera indipendente, competitiva ed ipercritica.
E si lamenta.

C'è chi ha la suocera imbranata.
E si lamenta.

Io ho la suocera che ama Berlusconi.
Che dovrei dire, eh?
Maestra E. sognava di trascorrere la propria vecchiaia leggendo i tuoi libri. Te lo ricordi, Jane?

Assolutamente no.
Ma non potrò mai dimenticare quando il mio professore di italiano mi raggelò con un: "Lei non sa proprio scrivere signorina Cole."

Una brillante carriera da romanziera è stata stroncata da una crudele memoria selettiva.
Una serie di meravigliosi best seller non vedranno mai la luce a causa di un professore un poco stronzo.
La facciona di Moccia troneggia nelle vetrine della Feltrinelli al posto del mio adorabile visino per colpa del destino beffardo.

Per fortuna c'è il blog per sfogare l' incontinenza verbale e gli attacchi di incoercibile stupidera.

Jane oggi ha conosciuto Rabb-it.
Il mondo virtuale e quello reale si sono uniti, permettendo a due donne che non si erano mai viste prima di passare qualche ora assieme, chiacchierando come se si conoscessero da tempo.

Jane oggi ha incontrato Elastigirl.
L'ha guardata con adorazione, l'ha ascoltata rapita, ha riso ad ogni sua battuta, le ha stretto la mano e si è sentita completamente cretina.
Avere di fronte una persona di cui sai tante cose, mentre lei ignora anche il tuo nome, dà una certa sensazione di straniamento.

Jane oggi ha parlato con la favolosa Tata Lucia.
La vostra blogger, messa di fronte al proprio mito televisivo, non sapeva se piangere, ridere o buttarsi in ginocchio in adorazione.
Per fortuna è riuscita a darsi un contegno e si è limitata a farsi autografare un libro.

Nonostante la pioggia battente, gli autobus impazziti ed un fastidioso mal di testa, Jane si dichiara completamente soddisfatta del pomeriggio appena trascorso.
Dopo l'agghiacciante plastico della villetta di Cogne.

Dopo essersi aggirato tra i terremotati e le macerie d'Abruzzo come un vampiro pronto a succhiare fino all'ultima goccia di dignità ai propri concittadini.

Ieri Bruno Vespa ha dedicato l'ennesima puntata al delitto di Garlasco, con la teatrale e assolutamente inutile presenza di una bicicletta in mezzo allo studio.

Quando pensi che abbia raggiunto il fondo, lui è in grado di stupirti: prende una pala e si mette a scavare.
Poco prima della mia partenza per Berlino, mammaCole venne colpita da uno dei suoi frequenti ed inopportuni attacchi da "chioccia psicopatica":
"E se io e papà venissimo con te in Germania? Solo i primi giorni, giusto per aiutarti?"

Io declinai gentilmente l'allettante proposta:
"Ma sei matta?"

E anche papàCole catalogò l'ideona di mia madre come: follia momentanea da ansia per l'imminente distacco.

Per farla stare tranquilla le proponemmo un viaggio in terra teutonica a novembre: sarebbero venuti a trovarmi per sincerarsi delle mie condizioni e portarmi tutte le cose che, nel frattempo, avrei sicuramente scoperto di aver dimenticato.

Quando andai a prenderli all'aeroporto, facemmo fatica a riconoscerci tra noi.
Loro, in mezzo ai tedeschi, mi sembrarono ancora più bassi del solito.
Ed io ero ormai mimetizzata con la popolazione indigena, essendo passata dallo stile "Lady Marian dei Gianduiotti" a quello "Meg Ryan Dei Poveri" ed avendo cominciato ad abbinare colori e vestiti in maniera del tutto casuale.(*)

Berlino accolse i miei genitori come, due mesi prima, aveva accolto me. Con lo smarrimento dei bagagli.
Trascorremmo due ore tra l'ufficio della Swissair ed il deposito degli oggetti smarriti: palleggiati tra una ragazzetta svizzera, simpatica come una forma di groviera andata a male, ed una coppia di operai tedeschi, decisamente più gentili, ma altrettanto disinformati. Quando ormai avevamo perso ogni speranza riuscimmo a rientrare in possesso delle valigie e, soprattutto, del mio lettore cd che tanto mi era mancato fino ad allora.

Per i tre giorni successivi, vestendo i panni della guida turistica, scorrazzai i miei genitori per tutta la città.
Per prima cosa li portai allo studentato dove, nel giro di cinque minuti, conobbero i miei vicini più surreali:
il misterioso ragazzo coreano che, causa insormontabili problemi di lingua, parlava poco e solo con pochi eletti;
il "professore" vietnamita, docente momentaneamente prestato all'Europa, che custodiva nella propria camera la strumentazione sufficiente per procedere indifferentemente alla fusione a freddo, alla costruzione di uno shuttle o alla preparazione dei tortelli di zucca;
il cinese ipercinetico, strabordante così tanto entusiasmo ed energia vitale, da essere considerato dai più molesto o semplicemente molto strano;
e "laDonnaFantasma", ragazza di ignota provenienza, che usciva dalla propria stanza solo per riempire un bollitore in cucina e poi, veloce com'era venuta, tornava a rinchiudersi in camera. Senza proferire parola alcuna e senza alzare lo sguardo dal pavimento.

Dopo essersi assicurati che non dormissi sotto un ponte e che non condividessi la mia vita con spacciatori, terroristi o serial killer, i miei genitori furono pronti per il tour de force che avevo preparato per loro.
Il tempo era poco e le cose da vedere tante.
Iniziammo con il Mauermuseum, dove potemmo osservare i numerosi e sorprendenti reperti che testimoniano i tentativi di fuga attraverso il muro.
Proseguimmo con la Nuova Sinagoga che, oltre ad essere il più grande luogo di culto ebraico in terra tedesca, è un edificio di una bellezza disarmante.
Godemmo di una suggestiva vista della città dalla cupola del Duomo.
Ci perdemmo tra le mille sale del Pergamon-Museum, dove sono raccolte imponenti opere monumentali e la riproduzione dell'uomo dei miei sogni: Attalo. (Voi non avete idea di quanto sia bello visto dal vivo!)
Passeggiammo davanti al Reichstag: il parlamento dall'avveniristica cupola trasparente.
Restammo incantati di fronte alla Porta di Brandeburgo, a cui nessuna fotografia potrà mai rendere giustizia.
E ci arrampicammo per la mitica Siegessaule, che con i suoi 285 gradini mise a dura prova la resistenza psicofisica di papàCole.

Dimostrando che lo spirito di adattamento è un tratto genetico, durante la loro breve permanenza berlinese i coniugi Cole, tra una scarpinata e l'altra, riuscirono anche a stringere amicizia con una coppia spagnola, ospite nel loro stesso albergo, e con un panettiere che aveva un negozio nelle vicinanze. Quale lingua utilizzassero per comunicare mi è tuttora oscuro.

*(promemoria: ricordarsi di bruciare tutte le foto che mi ritraggono bionda e procedere all'eliminazione fisica sistematica di tutti coloro che sono stati testimoni di quel buio periodo del mio look)

Continua...

Prologo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9


Il giorno di Pasqua CuginoA, SorellaCole e Jane hanno fatto una cosa che non facevano da tanto: si sono ritagliati del tempo solo per loro.
Niente mariti, niente fidanzati, niente mogli: solo loro tre, come quando erano piccoli. Quando Jane era una bimbetta di quattro anni, con la testa piena di ricci e le guanciotte tonde; quando CuginoA, di poco più grande, sfoggiava delle orecchie con cui avrebbe potuto sfidare Dumbo in una gara di volo; quando SorellaCole, ancora preadolescente, era solo un pallido abbozzo della splendida ragazza che sarebbe diventata in seguito.
I tre marmocchi adoravano il telefilm di Batman, quello con il protagonista più pingue che palestrato, le scenografie di cartapesta ed i combattimenti esilaranti.
Amavano così tanto lo show da cercare di reinterpretarlo a loro modo. Cugino A., in piena sindrome da maschio alfa, si auto eleggeva uomo pipistrello. SorellaCole, in qualità di "donna" del gruppo, esigeva per sé il ruolo di Batgirl.
Jane, la più piccola del trio, veniva costretta dagli altri due a rivestire i panni di Robin. Personaggio minuto e sfigato, la cui unica funzione era quella di cacciarsi nei guai.

In occasione di questa rimpatriata i tre compagni di giochi, ormai troppo cresciuti per entrare nelle calzamaglie da supereroi, hanno preferito un passatempo molto più banale: sono andati al cinema.

Dopo aver incrociato le pellicole in programma, con le sale più vicine ed i gusti personali, la loro scelta è caduta su la commedia di Carteni: “Diverso da chi?”
Un film divertente, soprattutto nella rappresentazione del mondo della politica, con i giochi di potere, le primarie farlocche, il centrosinistra sempre sull’orlo dell’autodistruzione ed il centrodestra sfacciatamente populista.
Meno riuscita la parte in cui la vicenda pubblica lascia lo spazio a quella privata: la trama tende a sfilacciarsi un po’, il ritmo ne risente ed Argentero non risulta all'altezza del ruolo, non riuscendo a dare spessore al proprio personaggio, ma riducendolo a tratti all'ennesima macchietta gay.
Promossi, invece, Nigro e la Gerini.
Nel complesso 102 minuti gradevoli, arricchiti dalla buona compagnia ed una confezione extra di pop corn.

Ora vi saluto: io ed i miei compari dobbiamo correre a salvare il mondo!
Tutto ebbe inizio con un innocuo viaggio a Padova insieme a Bortolami. L'Italia del rugby era in crisi e noi decidevamo di fondare una nuova squadra con l'obiettivo di garantire un futuro alla palla ovale azzurra.

Due settimane fa fu la volta dell' Ex Pazzo. Il crucco aveva aperto un blog ed era diventato famosissimo scrivendo centinaia di post improntati al dileggio della di lui ex fidanzata: io.

Mercoledì scorso, in un crescendo surreale e preoccupante, godevo di una cena con annessa piacevole conversazione in compagnia di quell'ominide che risponde al nome di Fabrizio Corona.

Per finire, l'altra notte mi sono ritrovata seduta ad un convegno del Popolo delle Libertà con l'imperatore Silvio che pontificava dal palco ed io, in mezzo agli altri, a bermi ogni parola in religioso silenzio e composta rassegnazione.

Nell'attesa che il mio inconscio riacquisti l'equilibrio (evidentemente) perduto, mi affiderò alle flebo di caffè: meno dormo e meglio è.

(Foto tratta dal sito de La Repubblica )
Ciccio è interista.
Jane juventina.

Ciccio ama il calcio.
Jane preferisce il rugby.

Sabato sera i due innamorati andranno allo Stadio Olimpico di Torino a vedere il "derby d'Italia": juventus-inter.

Ciccio è agitato come un bambino alla vigilia di Natale.
Jane un po' meno.
C:"Mi porto la macchina fotografica e pure il binocolo"
J:"Io potrei portarmi qualcosa da leggere"
C:"Ma come? Non sei contenta? Non sei eccitata?"
J:"'nsomma"

Jane qualche mese fa andò a vedere la nazionale di rugby e, come ben ricorderete, allora era decisamente più impaziente.
Perché?
Ma come perché? E ve lo devo pure spiegare?
(Sergio Parisse, meraviglioso capitano della nazionale italiana di rugby: bravo e bello)

(Zlatan Ibrahimovic, attaccante dell'inter: bravo e basta)

Non c'è paragone. No no.
Nel 1976 in Friuli viveva un ragazzotto dinoccolato, con una simpatica faccia da schiaffi, poca voglia di studiare e molta di correre dietro alle ragazzine.
Una sera, mentre giocava a calcio con gli amici, un boato sordo squarciò l'aria e la terra gli tremò sotto i piedi.

Nei giorni successivi vide solo distruzione e morte. E quando una scossa di assestamento particolarmente forte lo colse nel sonno, non ebbe la prontezza di cercare riparo, ma si accucciò sotto le coperte, convinto che fosse giunto anche il suo momento.
Ma così non fu.

Quel ragazzino è cresciuto ed ora è un uomo. Il mio.
No, non sono scappata ai Caraibi.
No, non mi hanno rapita gli alieni.
No, non mi è esploso il PC. Anche se ultimamente sta dando preoccupanti segni di insubordinazione.

In questo periodo latito dal mio e dai vostri blog a causa di una gravissima e cronica mancanza di tempo.
Peccato, avrei vari argomenti interessanti di cui parlarvi:
la suocera che vorrebbe farmi il bagno nell'acqua santa;
Tutankamon, il collega infermiere, simpatico come un gatto attaccato alle mutande e vitale come una mummia egizia;
e la sorprendente mammaCole che, rassegnatasi all'idea di avere Ciccio come genero, ha deciso di farmi il corredo. Aiuto!!!

Per ora dovrete "accontentarvi" di una delle cose più carine che offre la TV in questo periodo: "La storia minima dell'arte" di Natalino Balasso.

Originale e divertente.

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