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Oggi voglio dedicare un piccolo post, con qualche curiosità, alla storia per bambini per eccellenza: Il Meraviglioso Mago di Oz. 

Un libro che uscì nel 1900, scritto da Frank L. Baum e illustrato da W.W. Denslow. 

La storia ebbe subito successo, tanto che Baum decise di cavalcarne l'onda, scrivendo numerosi episodi successivi e realizzando anche due musical teatrali, uno più fedele al libro originale, un altro invece destinato a un pubblico più adulto, dove la storia di Dorothy venne trasformata in una satira della società e della politica del tempo. 

Ma Baum non fu certo l'unico che cercò di trarre più profitto possibile dalla storia e dal successo del mago di Oz. Infatti, quando lui venne a mancare, diversi autori presero in prestito la sua opera per realizzarne dei sequel.

In tutto si contano una quarantina di episodi successivi al libro originario, di cui solo meno della metà scritta da Baum stesso. 

Ovviamente ci sono state anche tantissime trasposizioni. Tra queste la più famosa rimane quella del 1939: il film con Judy Garland nei panni di Dorothy. Una trasposizione abbastanza fedele ma con qualche differenza fondamentale rispetto all'opera originale. Ad esempio, le mitiche scarpette rosse indossate dalla Garland, avrebbero dovuto essere color argento per essere uguali a quelle del libro, ma la produzione decise di prendersi questa licenza poetica poiché delle scarpe scarlatte avrebbero sicuramente fatto più effetto sul grande schermo e in Technicolor. Anche il finale venne leggermente modificato: nel film Dorothy si sveglia e scopre che tutto ciò che le è successo è stato solo un sogno, nel libro invece la bambina torna dagli zii dopo aver vissuta un'avventura in un mondo sicuramente straordinario ma realmente esistente. 

Io, personalmente, che ho una certa età, ricordo con grande tenerezza sia la serie animata giapponese degli anni'80, sia l'episodio di Saranno Famosi in cui Doris Schwartz si addormentava e sognava di vestire i panni della piccola Dorothy. Qualcuno di voi ne ha memoria?

Una riflessione semplice semplice. 

Bellezza porta bellezza, creatività porta creatività. 

Poche cose mi esaltano come le idee altrui, le opere altrui, gli esempi di creatività degli altri che mi riempiono di gioia e fiducia nell'umanità. 

Se poi queste idee, queste opere d'ingegno, vengono stimolate da una mia idea, un mio stimolo, allora non mi esalto soltanto, ma festeggio, mi inorgoglisco, mi riempio cuore ed ego. 

È questo il caso, ad esempio, dell'opera di una persona che sta partecipando al mio Laboratorio di Scrittura via Newsletter. Io avevo dato un semplice esercizio di scrittura a tempo: un incipit e dieci minuti per scrivere, scrivere, scrivere senza pensare e poi, eventualmente, a tempo finito, correggere, riordinare, dare un senso. 

Lei, perché di una lei si tratta, ha realizzato un flusso di coscienza dal caos controllato, che va dalla filosofia all'arte, quella di Wayne Thiebaud in particolare, con tanto di immagini a illustrarne i concetti. 
Una tesina, in pratica. Che, come le ho già detto, conserverò con cura. 

"Come le linee di Thiebaud, camminiamo uno accanto all’altro per un po’, poi ci scontriamo, ci mescoliamo, ci dimentichiamo il nostro colore, ma andiamo dritto fino a che la tela ce lo permette", scrive.  

La creatività porta creatività. 
Guardatevi intorno, scrivete, disegnate, create, non necessariamente per gli altri ma prima di tutto per voi stessi, quanta gioia ne trarrete!

 


Se si amano i libri e la lettura non si possono scordare le prime storie, i primi volumi, le prime pagine che le nostre dita bambine hanno sfogliato. 

Non sapevo ancora leggere quando mia madre cedette a una mia richiesta. Io indicai i volumi al sicuro lassù nella libreria e lei ne scelse uno, mi fece sedere e me lo aprì in grembo. I libri erano una cosa da grandi e già questo me li rendeva speciali. E poi quello era uno spettacolo, pieno di foto e disegni. Era uno dei volumi dei Quindici, enciclopedia per bambini popolarissima tra la fine degli anni '60 e la fine degli '80, un must have di tutte le famiglie dell'epoca. 
Ho passato la mia infanzia a sfogliare quelle pagine, tracciare col dito le illustrazioni, esaminare le foto, leggere tutto con attenzione, imparando a memoria i miti greci come le regole del "fai da te", la storia degli uomini come le fiabe. Un'avventura meravigliosa e ogni volta diversa. 

Appena imparai a leggere, iniziai anche a dare un'occhiata ai libri di mia sorella, più grande di me di 8 anni. In realtà non ne aveva molti, non amando particolarmente la lettura, ma ne aveva alcuni che attirarono immediatamente la mia attenzione. Non era tanto per i bei disegni in copertina o per i titoli interessanti, quanto per il nome dell'autrice: Rossana Guarnieri. Nessuno nella mia famiglia si chiamava Rossana, nessuna tra le miei amiche si chiamava Rossana, nessuna in tutta la mia scuola si chiamava Rossana. E, come se non bastasse, la maggior parte delle persone si dimenticavano o storpiavano il mio nome, facendomi diventare all'occasione Rosanna o Rossella. Una tortura! Ma nella mia cameretta scoprii che al mondo c'era un'altra Rossana e che addirittura scriveva libri, libri con protagoniste ragazzine. Un sogno. 
Ricordo in particolare la storia di una ragazzina timidissima che superava questo suo problema grazie a un corso di teatro, e quella di un'altra che andava in campeggio con i genitori e finiva bloccata in una grotta con alcuni amici, tra cui uno slanciato svedese. Queste mie letture quindi spiegherebbero, tra le altre cose, perché ho sempre amato il teatro e i ragazzoni nordici. 

Infine, ero alle elementari quando la mia maestra ci disse di andare in biblioteca o in libreria, scegliere un libro, leggerlo e poi raccontarlo alla classe. Io andai alla cartoleria sotto casa. Il negoziante cercò di convincermi a comprare un romanzo la cui protagonista era una principessa/duchessa boh, non so, una giovane nobile di qualche tipo. Ma i miei occhi si fissarono su un libro dalla copertina gialla e rigida, il titolo blu mi pareva irresistibile.
"E questo?" chiesi.
"Questo? Veramente è più da ragazzi..."
"Voglio questo!" decisi.
Era "Dalla Terra alla Luna" di Jules Verne.
Che avventura pazzesca fu quel mio viaggio spaziale!

I numerosi traslochi, da allora fino ad adesso, mi hanno fatto perdere traccia di tutti quei libri colorati, i miei primi libri, ma gli splendidi ricordi legati a quelle scoperte rimangono ancora dentro di me e non si affievoliscono con il tempo, anzi.

Tutta la famiglia si muoveva all'unisono, i piedi calzati in scarpe eleganti sulla pavimentazione lisciata dal tempo. 

Il sole tardivo di settembre si mostrava più vivace del solito, tanto che la madre si copriva il volto con un cappellino orlato di pizzo d'Orleans e un vezzoso ombrellino teso da stecche di balena. 

"Emma, abbassa la falda del cappello" suggerì la nutrice alla figlia che, un metro avanti a lei, avanzava a falcate tanto ampie quanto nervose. "Non vorrai le lentiggini sulle gote?". 
"Mamma, ti prego, non è il momento" sbuffò la giovane donna. 
"Lasciala in pace" sogghignò il padre. "La nostra bimba ha ben altri pensieri oggi" e, presa sotto braccio la consorte, la costrinse ad accelerare il passo per stare dietro le lunghe leve della ragazza. 

Arrivati davanti all'istituto, un inserviente venne loro incontro, "Prego, signorina, la stanno aspettando". Ed Emma, lanciato un ultimo sguardo a genitori e fratelli, varcò l'uscio per poi sparire, immediatamente inghiottita da un gruppo di abiti scuri e baffi a torciglione. 

Il percorso fino a quel momento era stato lungo e impegnativo ma Emma, un passo dopo l'altro, aveva raggiunto tutti gli obiettivi prefissati, fino all’ultimo. Lei, a differenza, della maggior parte delle sue coetanee aveva goduto e godeva dell'appoggio incondizionato della sua famiglia. Di suo padre, su tutti. Suo padre che la portava ai cantieri e che trattava lei come i suoi fratelli. Padre che credeva in lei, nella sua intelligenza, nella sua capacità di raggiungere ogni meta, a dispetto di tutti, prima di tutte. 

La famiglia, dopo aver salutato l'avvocato Palmieri e il dottor Valli, genitori di due dei colleghi di Emma, prese posto sugli scranni centrali. Tutti in fila, padre, madre e fratelli, attendevano emozionati il gran momento. 

La commissione togata entrò poco dopo. La sessione iniziò. Uno dopo l'altro gli studenti presentarono la propria tesi. Quando fu il turno di Emma, il padre e la madre si tennero per mano, gonfi di orgoglio. I fratelli sorrisero tutto il tempo, compiaciuti dal successo raggiunto dalla ranocchietta che, fin da piccola, li seguiva ovunque, non volendo mai essere lasciata indietro. 

"Signorina Emma Strada", si sentì al momento della proclamazione "la commissione, considerato il curriculum degli studi da Lei compiuto e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova finale la votazione massima". Un momento di esitazione. "Per l’autorità conferitami la proclamo Ingegnere Civile". 

E, dalla platea, furono applausi eleganti ma calorosi. 

Lei strinse la mano alla commissione e ai colleghi, poi si girò a sorridere al padre. Che orgoglio.

Emma Strada – figlia di Ernesto Strada, ingegnere abile e uomo progressista –, il 5 settembre del 1908, presso l’Istituto Superiore Politecnico di Torino, venne proclamata ingegnere. Massimo dei voti, terza del suo corso, fu la prima ingegnere donna d'Italia e una tra le prime d'Europa.

Comprato per caso a un paio di Saloni del Libro fa, il "Circo della Notte" è rimasto in attesa nella mia libreria per un po'. Poco tempo fa mi sono finalmente decisa a iniziare la lettura. 

Si tratta di un fantasy ambientato tra la fine del '800 e l'inizio del '900, tra l'Europa e gli Stati Uniti. Il centro delle vicende è, ovviamente, un circo. 

Non leggevo un fantasy da almeno una decina di anni e questo è stata una piacevole scoperta. O meglio, che sia chiaro, la trama scricchiola un po' e le ultime 50 pagine sono alquanto deludenti ma Erin Morgenstern, l'autrice, è riuscita comunque a conquistarmi. 

Dimostra un talento raro nel creare l'atmosfera, nel far viaggiare il lettore in un ambiente magico, retrò ed estremamente affascinante. Ho letto gran parte del libro ad alta voce, tale era la mia passione per la sua scrittura e il piacere di sentirla risuonare. 

Si tratta di un'opera prima di un'artista visuale e la sua capacità di creare ambienti immaginifici è innegabile. Spero proprio che continuerà a scrivere creando nuovi mondi e luoghi fantastici. 

Ribadisco, questo libro ha più di un difetto, ma la fascinazione che riesce a creare durante il percorso è cosa rara. 
Consigliato.
Una delle regole base della scrittura: "Mostra non dire - Show, don't tell". 
Non scrivere "Tizio è infelice" ma mostramelo attraverso le sue scelte, i suoi atteggiamenti, il modo in cui tratta gli altri. 

Una regola talmente basilare da essere considerata da alcuni (molti?) ormai superata e superabile. 

Io sono dell'idea che le regole basilari sia necessario conoscerle e anche saperle applicare. Solo a quel punto si possono fare scelte stilistiche diverse, anche rivoluzionarie. 

Come amo dire, e ora mi autocito in un attacco di ego ipertrofico, "Pensate a Picasso!".
La figura di Lidia Poët ultimamente è diventata molto popolare grazie a una serie su Netflix ma, non per darmi delle arie, io le dedicai un racconto più o meno un paio di anni fa. Quel che si dice: precorrere i tempi!

Eccola la storia di Lidia secondo me: 

"È successo, è passata!" gridò Luisa, la nipote prediletta, precipitandosi nello studio di zia Lidia. "Quanta agitazione" commentò la donna, sfilandosi gli occhialini che portava in bilico sulla punta del naso. 
"Ma non sei contenta? È una vita che aspetti che questa ingiustizia sia sanata". 
"È vero" sorrise la donna, "ma che io sia dannata se gli darò la soddisfazione di vedermi agitata. Agitate, umorali, troppo sensibili, a loro piace vederci così, come dei cuccioli iperattivi da vezzeggiare, sgridare e, soprattutto, tenere al loro posto"
"Capisco ma da oggi il tuo posto sarà quello che ti compete, finalmente"
"Vero cara, non avrei potuto dirlo meglio… e ora stappiamo lo spumante che ad esser compassata ci penserò domani!"

Il giorno dopo dallo studio dell'avvocato Poët, fratello di Lidia, partii una piccola spedizione – formata da parenti, amici e nipoti –, alla cui testa camminava spedita Lidia stessa, elegante, con i capelli perfettamente acconciati e un filo di perle a sottolinearne la femminilità. 

Il segretario alzò lo sguardo stupito quando vide presentarsi davanti allo sportello quel gruppo vario e numeroso. 
"Desidera?" chiese a Lidia. 
Lei, tirando fuori dalla borsa tutti i documenti che sapeva necessari, si limitò a dire: "Nulla, solo il posto che mi spetta", provocando l’ilarità dell’affezionata nipote. 

Era il 1919 e Lidia Poët, all'età di 65 anni, poteva finalmente rientrare e, questa volta, rimanere nell'Ordine degli avvocati. 

Laureatasi a Torino il 17 giugno 1881, svolto il praticantato e superato l’esame di abilitazione alla professione forense, Lidia Poët aveva chiesto ed ottenuto l’iscrizione all’Ordine. Prima donna in Italia. Ma veloce com’era stata ammessa era anche stata estromessa, con gran soddisfazione delle voci scandalizzate che, nel frattempo, si erano levate nella penisola e non solo. 

ll Procuratore Generale del Re, infatti, aveva impugnato l’iscrizione della Poët con motivazioni che ora tutti troveremmo risibili. Le donne, tra le altre cose, vennero giudicate troppo pure per mischiarsi con le faccende triviali del tribunale e troppo schiave della moda per mantenere il giusto decoro. E nessuno, allora, giudicò il Procuratore stesso troppo prevenuto per permettersi un giudizio obiettivo. 

Lidia, nonostante l’espulsione dall’Ordine, continuò a fare il suo lavoro, almeno in parte, ad occuparsi dei clienti, redigere documenti, lasciando però che li firmasse il fratello, le cui giacche classiche, ovviamente, non rischiavano di arrecare imbarazzo alla toga. 

Nel 1919, però, la legge numero 1126 ammise finalmente le donne all’esercizio delle libere professioni e Lidia Poët divenne la prima donna d’Italia, iscritta all’Ordine degli avvocati. L’Ordine di Torino, per la precisione. Un orgoglio per lei e per la città.
Oggi voglio parlarti di un mio progetto a cui lavoro da un po' e a cui tengo moltissimo: il Laboratorio d'Autore. 

Negli anni ho organizzato laboratori di scrittura dal vivo, via skype, via zoom e perfino via social! Questa volta, però, ho deciso di studiare qualcosa di diverso, un progettino di cui, onestamente, vado un bel po' fiera: il Laboratorio d'Autore, un laboratorio di Scrittura via Newsletter. 

Ci sarà un invio ogni due settimane, per 4 mesi a partire dal primo marzo 2023. 
In ogni newsletter troverai teoria, esercizi, curiosità e ispirazioni. Ci sarà dunque da leggere, ascoltare, guardare e imparare. E, ovviamente, scrivere, scrivere, scrivere. 

Inoltre, iscrivendoti alla newsletter, avrai libero accesso anche a 4 incontri di gruppo via Zoom, uno al mese, dove ci ritaglieremo un momento per guardarci in faccia, scrivere, scambiarci opinioni e impressioni. 

Infine, tutti gli iscritti alla newsletter potranno entrare a far parte di un gruppo privato su FB, un angolo sempre aperto, per scambiarsi idee e confrontarsi sui diversi esercizi e sugli argomenti trattati nei vari invii della newsletter. 

Oltre a tutto ciò, potrai inviarmi i tuoi racconti via email, io li leggerò con attenzione e ti manderò un feedback che spero potrà esserti il più utile possibile.

Il costo di tutto ciò a me pare alquanto contenuto, si tratta di 50 euro per tutto il pacchetto.

Se ti ho già convinto, puoi iscriverti direttamente a questo link: https://ko-fi.com/s/f192d022e9.

Altrimenti rimango a tua disposizione per qualsiasi domanda. Puoi scrivermi qua sotto in un commento o via email a laboratoriodautore@gmail.com.

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