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Un modo come un altro per stimolare la propria fantasia, trovare l'ispirazione e buttare giù una di quelle storie che, senza saperlo, avevamo già dentro di noi?
Prendere spunto da ciò che ci circonda, per quanto ovvio possa sembrare.

Per sempio, oggi è l'8 dicembre e cosa si fa per tradizione l'8 dicembre nelle case italiane? Si allestono gli addobbi natalizi, si mettono in fila i pastorelli del presepe e si litiga con le lucine dell'albero. E non m'importa niente che ormai i panettoni si trovano al supermercato già a settembre o che molti di voi tengano su tutto l'ambaradan da novembre a febbraio, io sono una tradizionalista, e che cavolo!

Quindi per il ventunesimo, nonché penultimo, esercizio del Laboratorio Condiviso di Scrittura ispiratevi a questo momento. Scrivete qualcosa che abbia al centro gli addobbi natalizi. Siate sdolcinati o caustici, nostalgici o spietati, siate Agatha Christie o Eduardo De Filippo.
Questo sarà oggettivamente uno dei natali più strani di sempre, facciamo che almeno sia molto ispirante.

Avete tempo fino a domenica 20 dicembre alle ore 12 per consegnare la vostra "creatura".

Vi anticipo già che l'ultimo esercizio vi sarà assegnato prima di Natale ma vedrà la luce online all'inizio del prossimo anno. Perché questo Laboratorio per me è stato un grande dono e voglio che porti un po' di gioia anche all'inizio del 2021. Direi che ne abbiamo tutti un gran bisogno!

E ora non posso che augurarvi buon lavoro, sia per gli addobbi che per il Laboratorio.

Tipo di testo: racconto, poesia, monologo, dialogo, quello che vi pare...
Lunghezza testo: dai 500 ai 5000 caratteri.
Email: janecole@live.it.
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura.
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno.
Scadenza per far pervenire il testo: domenica 20 dicembre 2020, ore 12.

Volete leggere tutte le Storie nate da questo esercizio? Le trovate qui.


Tre suggerimenti per questo mese: uno da nerd, uno carico di stupidera ed infine uno bellissimo tutto piemontese. Siete pronti?

Se amate Star Wars, idolatrate Baby Yoda e siete abbastanza fortunati da avere il cellulare giusto, la LucasFilm, in collaborazione con Google, vi regala The Mandalorian AR Experience su Google Play, un giochino di realtà aumentata tutto dedicato a The Mandalorian, appunto. Potrete vedere Baby Yoda seduto sul vostro salotto o il Mandaloriano che si fa la doccia nel vostro bagno. Vi basterà scaricare l'app a questo link. Divertiteti anche per me voi che potete, io non ho il cellulare giusto...

Su Netflix trovate, invece, We are the Champion, una folla serie televisiva, un po' documentario un po' Real Time TV. In ogni episodio viene raccontata una mitica sfida che avviene in un qualche angolo del mondo occidentale: dai mangiatori di peperoncini piccanti negli Stati Uniti ai cani ballerini in Italia. Una scemenza dopo l'altra, con quella capacità di ipnosi sullo spettatore tipica dell'incidente in autostrada. Solo un episodio, a modo suo, si salva, il primo. Solo una tradizione, per quanto folle, è veramente irresistibile, la corsa dietro il formaggio della collina dei Cooper, in Inghilterra. L'inglesissima Cheesrolling in cui uomini e donne britannici, a diversi stadi di ubriacatura, si buttano giù per una collina, sbatacchiando come bambole di pezza da un dosso all'altro. Tu li guardi, mentre tutti esaltati rincorrono una forma di formaggio, pensi alla Regina Vittoria, all'Impero e ti fai delle grasse risate. Consiglio di accompagnare la visione con un boccale di birra e una forma di formaggio, of course.

Per finire, un consiglio preziosissimo che però è destinato solo ai piemontesi, che gli altri mi perdonino.
È partito il primo dicembre il progetto speciale Segnale d'Allarme – Smart Watching. 
Di che si tratta? Ve lo spiego partendo dall'inizio.
Segnale d’allarme è la trasposizione in realtà virtuale de La mia Battaglia, un’opera – portata in scena da Elio Germano – che parla alla e della nostra epoca. Un film fatto per essere fruibile nelle sale con l'utilizzo di visori AR che permettono una visione immersiva.
Ora che le sale sono chiuse lo spettacolo non si arrende e, caparbio, decide di arrivare direttamente a casa, con lo Smart Watching, appunto. 
Gi spettatori potranno vederlo in tv direttamente dal divano di casa propria. E i visori? Quelli possono essere ritirati presso alcune librerie di Torino e del Piemonte, il cui elenco trovate a questo link.
In particolare, per le date dal 7 al 12 dicembre trovate costi e spiegazioni dettagliate qui.

Per questo 2020 è tutto, i prossimi consigli saranno datati 2021.
Questo post è stato un parto. 
Sarebbe dovuto uscire lunedì o, al massimo, martedì, ma sono stata travolta dalle cose da fare, ho dovuto (o mi hanno fatto) scegliere le priorità e, quindi, questa splendida raccolta di storie vede la luce solo oggi, venerdì. Era ora! 

Noi partecipanti al Laboratorio Condiviso di Scrittura  ci siamo ispirati a una foto di William Eggleston (questa qua) e ne abbiamo tirato fuori racconti e poesie.

Il Laboratorio è ormai agli sgoccioli, a pensarci mi viene un po' di tristezza e tanta tanta riconoscenza nei confronti di coloro che hanno partecipato, ci hanno creduto, e hanno avuto la generosità di regalare le loro bellissime storie. Ma è ancora presto per gli addii. Per ora, buona lettura!



Ella reggeva
sigaretta e dialogo,
attendendo il momento
per voltarsi

Il momento giusto
per mostrare
i falsi diamanti
tra i capelli

Ma di certo
il tutto stonava
con l'ambiente:
perle e fast food

Perché sono qui,
ella pensava
mentre egli beveva
il suo caffé

Almeno qui,
non come al Ritz,
si può fumare
senza dar scandalo.

Beppe Carta



La prima volta che la presi in mano, non mi fece un bell’effetto. La mia nuova Leica aveva il corpo squadrato, freddo, era difficile da afferrare. Misi allora l’occhio al mirino, inquadrai fuori dalla finestra. Che luce incredibile, ragazzi. Potevo distinguere nitidamente i sassolini dell’asfalto, uno ad uno. Vedevo le impronte lasciate dalle gocce di pioggia sul parabrezza dell’auto di mio padre. 
“Allora, che te ne pare, ragazzo mio?” 
Mi fissava, fumando la pipa. Noi due non andavamo molto d’accordo, a quei tempi. Mio padre era molto preoccupato per le mie velleità artistiche, temeva che interrompessi definitivamente gli studi. Ci avevo provato già un paio di volte, era sempre riuscito a convincermi. Quel regalo era un altro tentativo di rabbonirmi. “Scatta i tuoi rullini in spiaggia il sabato pomeriggio e finisci l’università” Era il messaggio implicito di quel regalo inatteso. 
“Bella, p. Grazie davvero”. 
Solo che a me non interessavano le ragazze in bikini. E neppure i paesaggi al tramonto, con i riflessi del sole sull’acqua increspata. Disprezzavo quella roba. Amavo i dettagli. Bidoni della spazzatura rovesciati sul marciapiede, gatti randagi che annusavano lische di pesce, un uomo fermo al semaforo che alzava le braccia al cielo, la bocca spalancata. Le pieghe smeraldo della gonna della bibliotecaria. I colori attorno a me, ovunque, saturavano lo spazio, pulsavano nell’aria, vibravano nelle mie ossa. Volevo questo, dalla vita, catturare la carne del tempo. 

Ovviamente, avevo lasciato il college. Mia madre aveva pianto una notte intera, mio padre si era chiuso nel suo dolore e non mi rivolgeva più la parola. Mia sorella Lizzi si era affacciata alla porta della mia camera: 
“L’hai fatta grossa, stavolta, eh? Papà non te la farà passare liscia.” 
“Non preoccuparti, domani levo le tende” 
La bolla rosa di chewing gum le era esplosa in faccia. 
“Fai schifo” le avevo detto. 
“Mai quanto te. Dici che mi permetteranno di trasferirmi in camera tua?”

Sentivo il corpo della Leica premere sulle mie gambe. Nella notte, i fari dell’autobus accecavano di bianco le case della pianura, accese da piccole finestre gialle, in cui probabilmente famiglie come la mia si stavano preparando per la cena. 
“Vuoi bere, ragazzo?" 
Il mio vicino era un uomo gigantesco, con un ingombrante cappello da cowboy di feltro rosso. La bottiglia che stringeva in mano si stava svuotando con una certa rapidità. 
“No grazie, signore, non bevo”. 
L’ uomo aveva riso di gusto: 
“Per il momento” 
“Come, signore?” 
“Per il momento non bevi, ragazzo, ma hai un’aria talmente stranita e preoccupata che un goccetto ti farà bene, dammi retta. E non preoccuparti per questa” indicando la bottiglia “ne ho un’altra bella piena nella mia sacca”. 
Fu una notte memorabile, la prima vera sbronza della mia vita. La mia esistenza galleggiava davanti ai miei occhi, e mi sembrava tutto così importante, bello, pregno di senso. Stavo spiegando al cowboy i miei progetti: 
“Perché vedi, quello che mi interessa davvero è fare il fotografo. I colori, anche se a nessuno piacciono perché dicono che non sono così importanti. Ebbene, per dio, per William il sottoscritto, lo sono.
William vuole catturare la carne del tempo. O della vita? Ora non ricordo bene… accidenti, amico mio, tu mi capisci perfettamente” 
Le tenebre si stavano dileguando, le stelle nel cielo si spegnavano una ad una, l’azzurro intenso dell’alba mi dava la vertigine, fatto sta che mi sentivo davvero dio all’inizio della creazione, un uomo grande, che poteva cavalcare il suo futuro. 
In lontananza, tra gli intrecci delle rotaie delle ferrovie, oltre l’orizzonte, i capannoni e i primi quartieri assonnati, mi apparve il ronzante profilo della mia vita nuova, il mio cuore pulsante: New York City.

“Mi ha sempre colpito questa foto della nuca della donna. Mi potrebbe dire come ha deciso di fare il fotografo?" 
Questa domanda me la fanno sempre, ogni volta che mi intervistano. Cerco sempre di cambiare discorso. 
“È stato un caso, come avviene quasi sempre per gli scatti migliori, come lei mi insegna. Mi trovavo in un ristorante di lusso, probabilmente era Broadway, mi trovavo lì per una cena con un vecchio amico, non stavo lavorando, quando improvvisamente la vidi, mi colpì immediatamente, non saprei spiegarle il motivo” 
L’intervistatore cela uno sbadiglio, fingendo di grattarsi il naso. I racconti del vecchio William, che ha un piede già nella fossa, devono essere una grande scocciatura. Ogni tanto scruta il suo aggeggino multicolorato, in attesa, chissà, di qualche messaggio più interessante dei miei racconti del passato, quando c’erano ancora le pellicole. 
“Come mai un’inquadratura così insolita, per quei tempi?” 
Il ragazzo sembra molto orgoglioso di questa sua affermazione, mi sta dimostrando di conoscere la storia della fotografia, anzi, la preistoria. 
“Non saprei. Mi ha colpito la sua acconciatura, la delicata simmetria, la grazia e lo splendore che emanava il retro di questa creatura deliziosa. Tutto qui.” 
“E la donna, come l’ha presa?” 
“Che io l’abbia fotografata di spalle? Oh, lei non lo ha mai saputo. Era una perfetta sconosciuta”. 

Leslie spinge lentamente la mia sedia a rotelle, con cura, per evitarmi dolorosi sobbalzi. 
“Allora, com’è andata la tua intervista?” 
Anche se inizia a fare freddo, ci siamo concessi una passeggiata in giardino. L’inverno è alle porte. Leslie si inginocchia, mi copre con dolcezza i piedi gonfi con un plaid, leggo la preoccupazione negli occhi, fingo di non accorgermene. Mi soffermo piuttosto sulla sua nuca. Oramai i suoi capelli sono tutti bianchi, e meno folti. Continua a farsi quelle acconciature incrociate, dal basso verso l’alto, e usa dei fermagli per fissarli in geometrie complicatissime, inverosimili. La prima volta che l’ho vista, di spalle, è stato un colpo di fulmine. A lei non l’ho mai confessato, ma mi sono invaghito prima del suo didietro. Non credo la prenderebbe bene. 
Perché, quando l’ho vista di spalle, ho immediatamente pensato: ecco, questa è la carne del mondo. O era la carne del tempo? Accidenti, mi confondo sempre. 

Barbara Fiore 




Certo tu penserai che ho cominciato anche io! 
Chi lo avrebbe mai detto? 
I gesti ripetuti e i vizi comuni, 
non sono mai stati il mio forte. 
Forse saresti soddisfatto. 
Ma no! Che dico!? 
Saresti compiaciuto. 

Fuori tempo massimo 
sono diventata come volevi... 
La decisione sofferta 
di lasciare che i capelli si facessero argento, 
l'ho fatta con te. 
Tutto sembrava procedere nella direzione segnata. 
Niente dava l'idea del tracollo. 
Solo qualche subdola sensazione sotto le unghie. 

Apparentemente, in un istante, 
hai fatto la tua dichiarazione plateale, 
con un pubblico ristretto. 
E non sei più tornato in scena. 

Forse non sei mai neanche uscito dal tuo camerino, 
dove potevi giocare a cambiarti le maschere, 
raccontandola a te stesso. 

Oggi ho fatto spazio al collo, 
come si addice ad una ballerina tardiva. 
L'ho fatto per le perle, che terrò per me, 
perché i porci volanti non sanno cosa farsene. 

Indosso come promemoria tre cristalli nello chignon. 
Tre medaglie che brillano per fare luce 
su questi miei nuovi primi passi. 

Chi sta davanti a me, sostiene il suo gesto 
con la mano del cuore. 
Ed io gli faccio da specchio, 
giocando con timore. 

Sirena Aliena




Una luce illumina la tela con stampata sopra la foto. La tela è posizionata sopra un cavalletto nel centro del palco. 

Voce fuori campo femminile 

Ehy, voi! 
Ma cosa guardate? Me? Vi vedo, che mi fissate! 
Lo so che siete curiosi di saperne di più. Chi sono? Cosa sto facendo? 
Volete vedermi in faccia? Provate. Girate, girate intorno al vostro schermo, al vostro telefono, al vostro computer. Cosa vedete? 
(breve pausa di silenzio) 
Niente. 
(scoppio di risa – risata di pancia) 

Geniale, il mio amico William (Eggleston n.d.r), ho sempre apprezzato il suo umorismo. 
Chi sono? Sono una persona NOR-MA-LE. Ho il mio lato luminoso, visibile. Ed il mio lato “altro” che non voglio svelare. No, no, non lo voglio proprio far vedere. Sia benedetto il mio William. 
(breve pausa di silenzio) 
(voce scocciata) Siete ancora tutti lì? Sempre a fissarmi? 
(breve pausa di silenzio) 
Lo so per certo che siete curiosi. 
(si sente lo scatto di un accendino) 
Buio. 

(Voce fuori campo maschile) Il Lato luminoso. 
(Sopra un telo al lato destro del palco viene proiettato un video. Una donna di schiena che cucina. Improvvisamente appare un uomo, che la bacia su una guancia e se ne va.) 

(Voce fuori campo maschile) Il Lato oscuro. 
(Sopra un telo al lato sinistro del palco viene proiettato un altro video. Si vede da dietro la capigliatura sciolta della donna, la testa leggermente piegata indietro ed appoggiata su un muro ribassato. Sul lato opposto uno specchio, chiaramente un bagno di un locale, in cui è riflesso un uomo, di schiena, accovacciato.) 
Buio. 

Luce sulla foto iniziale. 
Voce fuori campo femminile 
(Triste) Ebbene, vi è piaciuta la storia che vi ho raccontato? 
Vi ho raccontato la verità, tutta la verità. 
(breve pausa di silenzio) 
Oppure no? 
(scoppio di risa – risata di pancia -
si sente lo scatto di un accendino) 
Buio. 

Marianna Palmerini




Ero così assorta dai miei pensieri che quasi non sentii Edoardo che mi parlava. 
- Giulia, ci sei?! Hai ascoltato tutto?! Vuoi aggiungere o cambiare qualcosa?! 
- No caro, tutto corretto, risposi sorridendo. 

Edoardo era una caro amico oltre che il mio notaio. 
Era un bell'uomo. 
Non ci avevo mai fatto caso prima, 
probabilmente perché lo conoscevo da quando eravamo bambini o forse perché quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei visto. 

- Bene, allora se non hai ripensamenti lo mando in stampa. Oggi la segretaria ha preso il pomeriggio libero e devo controllare che non si inceppi nulla, dammi qualche minuto. 

Tornai ai miei pensieri. 
Il testamento era pronto, solo da firmare. 
Avevo lasciato tutto a mia sorella e ai suoi tre figli. 
Ad Anna la casa in città e a Manuela quella al mare. 
A Francesco la piccola azienda tessile. 

Lavorava con me già da qualche anno,si occupava dei fornitori, dei dipendenti e delle spedizioni coadiuvato dai vari capo reparto. Era sicuramente in grado di prendere le mie veci. 

A mia sorella il conto bancario, i vari investimenti e i gioielli. 

Avevo avuto una vita piena, nessun rimpianto, o almeno niente di importante. 
Non mi ero mai sposata, non mi interessava farlo, né tantomeno avere figli. 

Mi ero sempre permessa tutto quello che mi piaceva. 
Viaggi, ristoranti di lusso, case, un'azienda che godeva di ottima salute, tanti amici con cui uscire o da invitare a cena. 
Ma sopratutto mi ero dedicata alla mia passione. 

Volare! 

Da bambina passavo interi pomeriggi con la testa all'insù per scorgere il passaggio degli aeroplani, invidiando i piloti che si godevano la maestosità del cielo infilandosi tra le nuvole. 

Ricordo come fosse ieri il mio primo volo da solista con il Cessna 172 e il mio istruttore che ogni volta mi diceva che ero troppo bassa nella discesa. 

Poi d'un tratto mi intristii al pensiero di come il tempo scorra velocemente. 

Non potevo permettermi ripensamenti. 

Uscita dallo studio sarei andata in hangar, avrei tirato fuori il mio Stearman, controllato i livelli di olio e carburante, le tele delle ali e il movimento degli alettoni. 
Tolto il copri pitot e salita a bordo. 
Messo in moto al minimo per scaldare il motore. 
Temperature ok. 
Prova motore ok. 
Prova magnete ok. 
Rullaggio e partenza. 

Prima di uscire di casa avevo controllato l'orario delle EFFE MERIDI per non lasciare niente al caso.

Avrei volato per un paio d'ore facendo qualche piccola acrobazia; looping, otto cubano, vite e poi mi sarei rilassata godendomi il tramonto sul mare. 
Il carburante sarebbe finito poco prima che facesse buio e avrei planato dolcemente fino a inabissarmi.

Non potevo e non volevo permettere a uno stupido cancro di farmi lasciare questo mondo attaccata a un respiratore. 
Dal momento che, secondo i medici, mi rimaneva solo qualche mese di vita, volevo anche decidere quando sarebbe stato il mio ultimo giorno. 

In quel mentre rientrò Edoardo. 
- Fatto, non ti rimane che firmare il testamento, disse ad alta voce quasi volesse scuotermi dai miei pensieri. 

Mise il documento firmato in una cartelletta, spense il computer, sistemò la scrivania mentre io tiravo fuori dalla borsa il pacchetto di Chesterfield, ne sfilai una per metà, l' avvicinai a Edoardo e gli dissi: 
- Ho un appuntamento inderogabile ma prima ci fumiamo insieme l'ultima sigaretta ?  

Antonella Carta



Per ogni perla una lacrima versata 
da piangere piano o piangere forte, 
ma mai da piangere in pubblico, sfacciata, 
nasconditi in casa, chiudi tutte le porte 

Di perle ne porto due giri, con orgoglio, 
arrivata alla mia età non ne faccio mistero 
le ho piante tutte anche senza un motivo vero 
ed ora mi è rimasto solo il cordoglio. 

Nel mio cuore porto il ricordo del mio compianto marito 
e tra le mani accolgo ancora chi lo uccise, 
la accosto alle labbra con il movimento di rito 
Mi ricordo ancora la prima volta che me la accese 
la sigaretta della stessa marca che poi lo vide seppellito 

Un giro di perle lo piansi per lui, 
e in fondo fu giusto, fu lui ad avermelo regalato 
ma non lo amai mai, 
perché mi costrinse a dedicarmi al suo colletto inamidato 

Una vita costretta da passare in cucina, 
una vita di ‘sì’ e ‘grazie’ da brava bambina 
Una vita fatta di doveri e mai gioie 
eterni silenzi e laceranti noie 

Signore e signori io son la moglie perfetta, 
il modello classico con la targhetta ancora intatta 
La notte piangevo per tutto ciò che avrei potuto fare 
di giorno sorridevo e contavo le ore 

Ora sono libera, ma senza prospettiva 
mi avveleno il cuore pensando a tutto ciò che mi serviva 
alla carriera mai partita 
alle risposte schiette 
che ho ingoiato con la stessa disinvoltura con cui aspiro da queste sigarette 

Perché se mi hanno insegnato bene ed istruito 
su come essere moglie e a volte a farmi anche da marito 
ho imparato che a farlo bene, a modo loro, veramente ad applicarsi 
una donna, per soffrir meno, fa prima ad impiccarsi. 

Marina Alice Cibin





Le servo il caffè tutti giorni da almeno un mese. Dove sia stata per tutti questi anni non ne ho idea. Probabilmente si è nascosta ed ora che è libera, che il viso invecchiato è la migliore delle maschere, ora può tornare ad andare in giro per le strade di questa Los Angeles che le ha dato tanto ma le ha tolto anche di più.

Ci ho messo un po' a riconoscerla, il viso è pieno di rughe, ma quegli occhi, quel sorriso sono sempre uguali. Inizialmente pensavo di avere le traveggole, colpa di mio padre e di tutti quei film che mi faceva vedere da piccina. Mia madre era gelosa ma come si fa ad essere gelose di una dea? Una dea la si ammira e basta. 

Chissà come ha fatto a far credere una cosa e invece a scivolar via di nascosto quel 4 agosto del '62? L'avranno aiutata. Ma chi? Non ho il coraggio di chiederlo, ho paura che se sapesse che l'ho riconosciuta non si farebbe vedere mai più. E quindi la osservo, la servo e la coccolo come la più cara delle clienti. 

"Sarà solo una che le somiglia" mi ha detto mio marito l'altra sera. Ma che ne sa lui? Lui non l'è stato accanto, non ha sentito il suo profumo che si mischiava a quello del caffé, non ha osservato la piega perfetta delle guance solo un po' appesantita dagli anni.

Lei si è lasciata invecchiare felice e contenta, non ha neanche un ritocchino ma ha conservato un po' di genuina vanità. Porta i capelli sempre acconciati con cura, le unghie laccate e al collo una collana di perle grosse come sassi.

Spesso con lei c'è anche un uomo che la guarda con occhi tanto innamorati da far tenerezza, lei gli dedica i suoi sorrisi più dolci ma niente di più. Gli uomini si innamoreranno sempre di lei, fino alla fine, non ci si può far niente.
"Si sono innamorati in tanti" mi dice, leggendo i miei pensieri mentre le rabbocco la tazza. "Ma mi ha amata davvero solo uno"
"Il giocatore di baseball?" mi lascio sfuggire incuriosita.
Per un attimo ci guardiamo negli occhi, entrambe sorprese, lei di esser stata riconosciuta, io di esser stata tanto sciocca da averglielo fatto capire.

Trattengo il fiato. Lei mi sorride.
Poi paga il conto e si alza per uscire. 

"Tre rose ogni giorno" mi sussurra prima di andare via. "Chissà se meritavo tanto?"
"Sì" dico alle sue spalle curve "Sì, non ne dubiti mai. Le hanno dato tanto ma mai abbastanza".

Jane Pancrazia Cole


Torna la mia rubrica sul quotidiano online TorinOggi: Storie sotto La Mole. Racconti ispirati ai millemilioni di leggende ambientate a Torino.

Questa settimana è la volta di quel torinese che trasformò la sua casa in una reggia grazie al gioco del Lotto e a una rondinella.

Buona lettura!

Una porta nuova.
"Il dottor Caramagna, ha vinto al lotto" diceva la dirimpettaia.

La pittura fresca.
"Caramagna ha indovinato i numeri un'altra volta" bisbigliavano le lavandaie con i panni in bilico sulla testa.

Cento e più candele.
"10, 14, 59,67,90... Tutti e cinque i numeri ha preso" raccontava il fornaio con la faccia sporca di farina e l'animo di gran invidia.

Un tappeto arrivato da lontano.
"Cinque volte"
"Cosa?"
"Le ho contate, ha vinto cinque volte dall'inizio dell'anno" sussurrava la perpetua all'orecchio dell'acquaiolo.

Un vaso da Venezia, dei piatti dal Regno dei Borboni, un trumeau dall'altra parte delle Alpi.
"Ormai si è fatto una casa come quella di un conte" borbottava il parroco.

Continua...




Arte chiama arte. Creatività chiama creatività in un circolo virtuoso di cose belle.

Con questo spirito ho scelto l'esercizio di questa settimana del Laboratorio Condiviso di Scrittura. La fonte d'ispirazione questa volta sarà una foto ma non una foto qualunque, uno scatto di William Eggleston.

Questa è l'immagine. A voi la storia.
Una storia da raccontare in qualsiasi forma preferiate: un racconto, un monologo, un dialogo, una poesia, fate voi.

Partecipate al Laboratorio, durerà solo fino alla fine dell'anno, ormai gli esercizi rimasti sono pchissimi.

Per chi non lo sapesse, il laboratorio è gratuito ed aperto a tutti, potete partecipare anche ad un solo esercizio. Massima libertà.

Per qualsiasi domanda contattatemi sul blog o sui social, cercherò di rispondervi il prima possibile.

Tipo di testo: racconto, poesia, monologo, dialogo, quello che vi pare... 
Lunghezza testo: dagli 800 agli 8000 caratteri. 
Email: janecole@live.it. 
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura. 
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno. 
Scadenza per far pervenire il testo: domenica 29 novembre 2020, ore 23. 

Volete leggere tutte le Storie nate da questa foto? Le trovate qui.
Questa volta i partecipanti al Laboratorio Condiviso di Scrittura hanno avuto a loro di sposizione una sola cosa, semplice, essenziale, una parola: CartoAmante.

Cosa ne hanno fatto?
Leggiamolo!




Il commissario si svegliò con il familiare dolore alla spalla destra, frutto di una ferita di guerra. Si era ormai rassegnato al fatto che questo dolore lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Probabilmente là fuori stava piovendo. Quando aprì gli scuri del suo piccolo appartamento, il cortile era lucido di pioggia; grosse gocce cadevano sulla piccola corte alla periferia di Milano. Cerchiò il giorno sul calendario, come faceva d’abitudine. Era il 22 novembre 1971. Mise la caffettiera sul fuoco, riflettendo sul fatto che al suo paese, in Calabria, le mattine erano molto differenti. 

I suoi pensieri furono interrotti dallo squillare del telefono. Non è mai un buon segno quando chiamano a quest’ora del mattino. “Commissario Baselga”, rispose al terzo squillo. Ormai era abituato a rispondere così, anche quando lo chiamava la sua anziana madre che lo prendeva bonariamente in giro per questo. 

“Commissario, hanno trovato un cadavere in Brera”, dissero dall’altra parte del filo. Non aveva mai capito perché a Milano si dicesse “in Brera” e non “a Brera”, ma dopo tanti anni passati nella grigia metropoli ci aveva ormai fatto il callo. “Arrivo subito”, replicò. Prese nota dell’indirizzo, si vestì in fretta e bevve in un solo sorso il caffè ormai freddo. 

L’appartamento era piccolo ma accogliente, arredato con classe. Le eleganti tende chiuse, i mobili di buona fattura erano ordinatamente disposti con molto gusto. L’unica nota stonata era quel ragazzo in canottiera con quattro fori di proiettile nel petto, riverso sul tappeto del soggiorno. Doveva avere non più di venticinque anni, con un fisico decisamente atletico, i tratti del volto delicati ma con una nota di asprezza che doveva piacere molto alle donne. Il suo vice stava guardando i documenti trovati su un vuotatasche all’ingresso. 

“Buongiorno commissario, la vittima si chiamava Pietro Cusimano, ventitre anni. Ucciso con quattro colpi di piccolo calibro da media distanza, nessun segno di effrazione né di lotta all’interno dell’appartamento. La vittima doveva conoscere il suo assassino. Il rigor non si è ancora manifestato, dev’essere morto da non più di due ore”. Il commissario rimase stupito dalla quantità di informazioni; il suo vice era un tipo molto sveglio, e non mancava occasione di dimostrarlo; la sua cultura e l’esperienza erano stati molto utili in tanti casi risolti da entrambi. “Grazie, vado a sentire i vicini. Quattro colpi di pistola in piena notte non passano inosservati”. 

Le portinaie sono sempre una fonte di molte utili informazioni così il commissario si diresse subito da lei; inoltre, era la portinaia che aveva chiamato la polizia. 

“Sì commissario, vi ho chiamati io”, confermò la portinaia, una donna bassa e molto robusta con un marcatissimo accento brianzolo, “mi stavo alzando per portare fuori la rumenta, fuori era ancora buio. Ho sentito un forte botto ed ho pensato che qualche giovanotto disgraziato volesse far prendere paura ai cani. Poi mentre uscivo ho visto quattro donne molto eleganti uscire dal portone. Che belle pellicce che avevano! Ho sempre detto a mio marito che ne volevo una ma lui è uno spilorcio e non ha mai voluto comprarmela!”. Il commissario la interruppe: “Un solo colpo? È sicura?”. La donna riprese con rinnovato entusiasmo: “Sì! Un forte botto, come un PUM! Di un petardo!”. 

Il commissario si prese una pausa per riflettere, poi riprese: “Mi dica delle donne”. La donna rispose con sicurezza: “Erano quattro, molto eleganti, con la pelliccia ed i gioielli in bella vista. Mi è sembrato strano che quattro donne così eleganti uscissero da qui a quest’ora del mattino, ma da quando è arrivato Pietro era un viavai di donne molto eleganti e un po’ su d’età, se capisce cosa intendo. A me quel ragazzo non la raccontava giusta, no no! Un gran bel ragazzo, per carità, ma come poteva permettersi un appartamento in Brera facendo il cartomante?”. Il commissario aggrottò la fronte: “Cartomante?”. 

“Sì, il cartomante!”, proseguì la donna “È arrivato qui otto mesi fa, tutte le mattine sul tardi scendeva nel marciapiede qui davanti e allestiva il suo banchetto. Poi al pomeriggio tornava a casa e spesso arrivavano delle donne la sera. Qualcuna usciva la mattina presto, altre restavano un paio d’ore e poi andavano via. Ne ho riconosciute un paio, sa? Le ho viste insieme ai loro mariti alla “prima” della Scala, non me ne perdo una. Resto lì fuori insieme a mio marito e le vedo passare. Vorrei andarci anch’io alla prima della Scala, ma mio marito è così spilorcio, sapesse!” 

“Mi dica delle donne che ha riconosciuto”, la incalzò il commissario. Lei rispose: “Una è la moglie di quell’industriale dell’acciaio, ha un cognome tedesco, ma non me lo ricordo. L’altra è la figlia di quel banchiere famoso che è morto un paio d’anni fa e che ha sposato un banchiere. Certa gente i soldi ce li ha nel sangue”. La donna accennò un sorriso maligno al commissario il quale la ringraziò e la congedò.

Non fu difficile rintracciare le quattro donne grazie alle fotografie prese dai rotocalchi alla “prima” della Scala dell’anno prima ed alle preziose informazioni fornite dalla portinaia e da altri testimoni che avevano visto le donne al banchetto del cartomante, identificandone quattro come le principali indiziate. Il commissario convocò le quattro donne in commissariato per una chiacchierata informale relativa alla vicenda che tutti i giornali avevano chiamato “l’omicidio del cartomante”. Le donne furono messe in quattro stanze separate e gli interrogatori iniziarono. 

Il commissario era famoso nell’ambiente per la sua capacità di far confessare i sospetti semplicemente parlandoci. Non fu difficile per lui farle parlare, così abituato a persone molto più dure di quattro donne spaventate e confuse. Una volta che le donne ebbero capito che ormai la verità stava venendo a galla, confessarono tutto provando sollievo nel potersi levare quel peso dal petto. 

Tutta la vicenda fu presto ricostruita. Le quattro donne avevano conosciuto Pietro il cartomante al suo banchetto, anche se lo conoscevano come “Gianni il magnifico”. Tra un giro di tarocchi e una lettura della mano, Pietro le aveva abbindolate, le aveva fatte innamorare ed era diventato il loro amante fisso, anche se nessuna sapeva delle altre. Col tempo le quattro si erano innamorate di lui ed avevano cominciato a riempirlo di regali. Dapprima piccole cifre extra al compenso di cartomante, ma poi erano arrivati i regali più consistenti: vestiti, orologi e addirittura l’appartamento nel quale era stato ritrovato morto, nel quale si era trasferito andandosene da uno squallido monolocale a Quarto Oggiaro, regalatogli dalla più facoltosa delle quattro che aveva timore ad andare in un quartiere così malfamato. In quei quaranta metri quadrati si consumavano gli incontri più intimi, anche se lui insisteva a chiamarlo “il mio studio”. 

Col tempo, le richieste di tempo da parte delle quattro si erano fatte sempre più insistenti e per Pietro era diventato sempre più difficile tenere segrete le sue relazioni alle ignare donne, finché era successo l’irreparabile. Pietro era stato scoperto nel suo “studio” da un’amante mentre era appartato con un’altra e ne era scaturito un violento litigio. Pietro, vistosi scoperto, aveva convocato le quattro per un chiarimento. 

All'interrogatorio, tutte e quattro le donne dissero la stessa cosa; una volta arrivate e messe di fronte al fatto compiuto, avevano estratto le pistole dalle loro eleganti borsette e avevano fatto fuoco. Tutte e quattro contemporaneamente, come se si fossero messe d’accordo. Questo spiegava come mai la portinaia e tutti gli altri avessero sentito un colpo solo. 

I giornali scrissero per settimane della vicenda gettando nel panico la “Milano bene”. Le eleganti e discrete sale da tè di Via Montenapoleone si svuotarono dei prestanti giovanotti, le eleganti signore stettero maggiormente in casa. Ma il tempo fece lentamente dimenticare lo scandalo del cartomante di Brera e tutto ricominciò come se non fosse mai successo nulla. 

Beppe Carta



Nel nostro mazzo di carte regnava sempre l’armonia: impensabile, visto che eravamo tutte donne. Ci chiamavano Sibille. Dopo di noi, tutti ci hanno copiato in ogni modo ed in tutto il mondo. 
La nostra padrona è stata la prima a scoprire il nostro talento. Quale sarebbe? Il nostro talento non è altro che raccontare storie improvvisate. 
La padrona riusciva a fare la domanda giusta al timido spettatore / richiedente e noi ci sbizzarrivamo.
Per esempio, Sibilla la Vecchia ha un talento particolare per fare l’imitazione della paura; Sibilla la scappata di casa riesce sempre a inserire l’elemento di disturbo della storia; Sibilla la trasformista ha probabilmente milioni di maschere sotto il tappeto, cambia faccia e personaggio ogni volta. E così via, siamo una comunità di 52 carte. 
Magicamente, ogni nostra combinazione, coordinata con la lettura della padrona, rispecchiava in qualche modo la realtà! Siamo magiche e preziose! 
Nei nostri annali ricorderemo sempre quando riuscimmo a scoprire dove si nascondeva il famoso Mostro di Parigi, pluri-assassino che uccideva fanciulle che ritornavano a casa da sole la sera. 

Ma ad un certo punto, come in tutte le storie, ci fu una rottura. Arrivò lui, il Re. 
Veniva chiamato il Re come soprannome per sue particolari doti amatorie. Non solo aveva la corona, ma in un certo campo era il Re. 
Si mischiò casualmente con noi una sera che la padrona era andata a giocare a ramino a casa di alcuni amici. Sibilla la sola si ritrovò questo corteggiatore assiduo sempre vicino, dietro o davanti nel mazzo, dovunque. E a lei, che si chiamava la sola e non la solitaria, bastò poco per iniziare ad apprezzare. Non si sentiva più relegata ad un bordo del mazzo, aveva qualcuno con cui condividere i suoi racconti e le sue storie. E noi, la comunità, non le servivamo più. 
Tanto che ogni tanto, spariva. 
Succedeva che la nostra padrona continuasse a fare le domande giuste, ma le nostre storie non tornavano più. Ci mancava un pezzo. 
Ogni volta che spariva e riappariva, Sibilla la Sola, meno riuscivamo a parlarci, a chiamarla. Addirittura chiamarla Sibilla, come noi, era troppo. Fu un attimo iniziarla a chiamare, con disprezzo, “Quella lì, la Cartoamante del Re”. 

La padrona si accorse di qualcosa. Sempre più spesso riceveva reclami da parte dei clienti. 
Ma non aveva tempo per riflettere troppo. Eravamo in guerra e Napoleone l’aveva contattata per chiedere aiuto su una delle più importanti campagne, in Belgio. 
Dalla nostra padrona venne fuori che Napoleone sarebbe potuto stare tranquillo, non avrebbe trovato nessuna offensiva dell’esercito britannico, soprattutto sulle piane del Belgio meridionale. 

Niente, è passato tutto agli annali, non solo nostri, come la battaglia di Waterloo. 
Abbasso il Re. 

Marianna Palmerini





Stefania aveva sempre un'aria triste, in tre anni che eravamo vicine di casa non l'avevo mai vista sorridere. 
Ci scambiavamo il saluto e niente più. 
Quella sera però mi preoccupai seriamente. 
Urla e oggetti sbattuti sul pavimento non mi facevano pensare niente di buono, infatti dopo pochi istanti, sentii sbattere la porta con violenza e una voce di uomo che imprecando andava via. 

"Elisa, non sono affari tuoi" dissi tra me e me, ma poi la preoccupazione dell'improvviso silenzio mi fece decidere a controllare che fosse tutto a posto. 

Bussai alla porta di Stefania e una voce strozzata dal pianto mi chiese : "Chi è?" 

"Elisa, la tua vicina di casa!" 

Provai un'immensa tenerezza, era così fragile nel suo pigiama di seta grigio perla. 
Era minuta ma ben proporzionata, sempre in ordine e profumata, un po la invidiavo, io ero quasi perennemente in jeans e scarpe da ginnastica. 
Mi raccontò dei continui litigi e dei tradimenti del suo fidanzato, del desiderio di maternità mai realizzato, del suo negozio di estetica creato con tanti sacrifici ma anche della voglia di scappare lontano e ricominciare a vivere. 

Parlammo tutta la notte alternando pianti a risate irrefrenabili e fu così che diventammo amiche. 

Ci vedevamo quasi ogni giorno a pranzo al bar accanto al suo negozio e molto spesso anche la sera visto che era tornata a essere libera dopo quella sera. 

Quel giorno a pranzo era in forte ritardo così andai a vedere cosa fosse successo ed entrando vidi una scena assurda e ridicola al tempo stesso. 
A penzoloni dal soffitto vidi spuntare delle gambe fino a metà busto. 
Corsi di sopra rapidamente e lei era lì con la faccia paonazza intenta a far leva con le braccia per tirarsi fuori da quella situazione. 
"Oddio, sei la mia salvezza!!!" 
La tirai su con non poca fatica. 
Scoppiammo a ridere
"Ha ceduto un pezzo di soppalco", mi dice cercando di trattenere le risa. "Ero lì da almeno 10 minuti!
 Avevo visto che stava iniziando a sgretolarsi ma ho sempre rimandato, oggi ha ceduto sotto il mio peso. Ho bisogno di un muratore o qualcuno che si occupi di cartongesso. Vorrei fare qualche lavoretto per migliorare il negozio, oltre che a sistemare il soppalco, ovviamente".

Mi ricordai di mia cugina che, qualche mese prima, aveva fatto fare dei piccoli lavori di restauro nella casa in campagna, così mi feci dare il numero della ditta che aveva assunto. 
Il giorno dopo si presentò lui, l'uomo del cartongesso, soprannominato da noi "George" per l'evidente somiglianza con Clooney. 
Non riuscivamo a togliergli gli occhi di dosso e a parlucchiare come due adolescenti alla prima cotta. 
Danilo, questo era il suo nome, ovviamente sapendo di piacere iniziò a fare il cascamorto… con entrambe. 
Questo particolare però lo scoprii qualche giorno più avanti. 

I lavori al negozio di Stefania andarono avanti per qualche giorno, era un continuo spostare pareti da un punto all'altro. 
Lì per lì non capivo poi un giorno ebbi l'illuminazione. 

Era venerdì pomeriggio uscii prima dall'ufficio, ero a un passo dall'ingresso quando, dalla vetrina, li scorsi abbracciati e intenti a baciarsi. 

Non mi videro così me ne andai arrabbiata. 

Io e Danilo avevamo iniziato a frequentarci e mi aveva raccomandato di non dire nulla a Stefania. 
"Sai credo di piacerle, non vorrei farla star male", mi aveva detto. 

Così feci, stetti zitta anche se questo segreto mi sembrava assurdo. 
Era evidente che il "nostro amico George" aveva fatto lo stesso discorso anche a lei. 

Non sono una tipa vendicativa ma questa cosa mi aveva fatto infuriare così presa dalla rabbia decisi di attuare il mio piano. 
Una notte mi vestii, andai sotto casa di Danilo e con un cacciavite rigai tutta la fiancata della sua macchina. 

Il giorno dopo tornai in negozio sperando di ritrovarli in intimità per sputare fuori tutto il veleno che avevo in corpo. 

Quando arrivai Danilo stava scendendo da un furgoncino che, sulle fiancate, a grandi caratteri portava la scritta: SI ESEGUONO LAVORI DI MURATURA, CARTONGESSO E IMBIANCATURA 
Un sospetto si insinuò nella mia mente. "La macchina che avevo sfregiato di chi era?" 

Entrammo insieme da Stefania che ci venne incontro sorridente. 
Lui, George, invece era visibilmente contrariato. 
"Stanotte un vandalo ha rigato la macchina di mia moglie". 

"Moglie?!?!" dicemmo in coro Stefania ed io. 
 Lui continuò come se non ci avesse sentito: "In tutta la via solo la sua macchina, una 500 nuova di pacco, l'avrete vista, venivo con la sua perché il mio furgone era dal meccanico. Ti ho portato la fattura, se puoi saldare il prima possibile mi fai un piacere, sai ora devo far riverniciare tutta la macchina per togliere il danno".

Andò via e quella fu l'ultima volta che, sia io che Stefania, lo vedemmo. 

Era giunto il momento di raccontarle tutto, dai miei incontri segreti con Danilo alla sera che, presa dalla rabbia, sfregiai per errore la macchina della moglie. 

A quel punto a gridare vendetta eravamo entrambe. 

Così, la stessa notte munite di un cacciavite a testa andammo a rigare il furgone del traditore. 
Io la fiancata destra e lei la sinistra. 

Perché due buone amiche si dividono tutto. 

Antonella Carta 



“Buongiorno”, disse lei allegra. 
“Ciao” disse lui accostandosi al tavolino tondo della donna. 
“Lei è un nuovo cliente? È qui per farsi leggere le carte, vero? Prego si sieda, che ho giusto qualche ora senza appuntamenti.” 
“In realtà non sono un nuovo cliente, sono un vecchio cliente” disse l'uomo sedendosi lentamente. 
Gli occhi della donna si dilatarono leggermente e per qualche battito di ciglia sembrarono assenti, persi a cercare di ricordare il suo precedente incontro con quell’uomo. Infine, piccole rughette sul viso della donna le disegnarono un sorriso condiscendente. 
“È impossibile, ricordo le storie di tutte le persone a cui faccio le carte, io e lei non ci siamo mai visti”
L'uomo la guardò immobile per qualche secondo, l’espressione indecifrabile, poi anch’esso sfoggiò un sorriso dolceamaro e le rispose. 
“Hai ragione, non puoi ricordarti di me, perché vengo dal futuro” 
“Dal futuro? Cosa intende dire scusi?” Sgomento misto a curiosità trasudavano da quegli occhi simili a quelli di una bambina, ma gentilmente incorniciati dal viso di donna con lunghi capelli biondi, acconciati in un precisissimo e anacronistico frisé. 
“Che noi un giorno ci incontreremo, tu mi farai le carte moltissime volte, conoscerai molto bene la mia storia” 
“Ma è incredibile, com'è possibile. E perché dovrebbe essere venuto qui dal futuro, qualcosa che le ho detto si è avverato ed è venuto qui a dirmelo? È orse arrabbiato?” La donna sembrava spaventata ma allo stesso tempo catturata dalla conversazione come mai prima d'ora, si sporgeva in avanti e scrutava il viso dell'uomo con insistenza cercando una qualche somiglianza con i visi archiviati nella sua mente. 
“Tutt’altro, sono venuto a farti un regalo, tu mi hai raccontato la mia storia e io ora sono venuto a raccontarti la tua” disse l'uomo senza scomporsi, con profonda calma. 
Ormai la donna fremeva di curiosità e un sorriso iniziava ad intravedersi sul suo volto, accesosi alla parola 'regalo' e pronto a brillare. 
“Troverai un bel lavoro, come maestra di scuola media” 
“Che bello, io adoro i bambini!” 
“Infatti ti sposerai con un impiegato di banca, e avrete un figlio maschio a cui vorrai un bene dell’anima. Il suo nome sarà Tommaso” 
“Ma è un nome splendido!” 
“Certo perché lo sceglierai tu Paola” disse l'uomo con tenerezza. 
Gli occhi della donna trasognati si persero per qualche istante ad immaginarsi nel suo futuro, con in grembo il suo bambino, e una leggerissima lacrima le scese sulla gota sinistra. 
Ella però la scostò velocemente e tornò concreta a guardare l'uomo con gioia. 
“Che bel regalo che mi hai fatto” poi fece una pausa, guardò alle spalle del suo interlocutore per poi avvicinarsi ulteriormente a lui e aggiungere sottovoce: 
“Ma quel ragazzo che si è avvicinato poco fa, e che sta dritto lì dietro, è con te?” 
“Ah sì, lui. È qui per proteggermi, è un bravo ragazzo, i miei viaggi nel passato sono spesso molto dolorosi” 
“È la tua guardia del corpo? Ma allora perché torni, se è così doloroso?” 
“È più forte di me, era scritto nelle carte” 
“Ah le carte, posso farti le carte? Vorrei così tanto ringraziarti, mi hai detto delle cose bellissime! Sono così felice” Sul volto della donna un sorriso caldo e avvolgente, occhi luccicanti di una nuova luce. 
“Non ho più tempo, temo di dovermene andare” 
“Torna a trovarmi allora! È stato bello conoscerti. Ciao anche a te guardia del corpo!” 
Il ragazzo in piedi alle loro spalle ebbe un sussulto e le rivolse un sorriso timido, quasi commosso. 

“Papà perché hai dovuto farlo, non è già abbastanza doloroso ogni volta sentirle fare le carte?” 
“Ma non lo vedi che è così felice ora?” L’uomo che era rimasto impassibile fino a quel momento mostrò al figlio gli occhi lucidi e le mani tremanti. 
“Sono contento di essere venuto con te, non sei in grado di guidare in questo stato” disse il ragazzo apprensivo appoggiando una mano sulla spalla del padre. 
“Ogni volta penso che non mi farà sentire così, e ogni volta mi sbaglio. L'unica cosa che non capisco è perché non le hai voluto parlare” disse l'uomo al ragazzo. 
“Cosa avrei dovuto dirle, vedere che non mi riconosce è troppo doloroso. E domani si sarà già dimenticata tutto, che senso ha spiegarle” disse serio il ragazzo. 
“Tommaso, ti avrebbe abbracciato se le avessi detto chi eri invece di startene lì impalato in disparte”
“Magari settimana prossima, oggi proprio non me la sentivo” 

“Buongiorno Signor Baranzelli! È venuto a trovare Paola con suo figlio? Oh, ma che bel giovanotto!”
“Buongiorno Clara, cercavamo proprio lei prima di andarcene. Come sta andando? Eravamo così preoccupati di cambiarle struttura, ma sembra contenta.” 
“Oh, si è ambientata proprio bene, sa? Quando ha visto quel tavolino tondo è impazzita e ha detto che era il posto perfetto per lei. Lei mi aveva avvertito della sua mania per le carte e allora le ho messo una tovaglietta di pizzo ed era felicissima. Ora non fa altro che fare le carte a tutti, si è proprio calata nel personaggio” disse la rubiconda infermiera, carica di cartelle cliniche. 
“Sì, ho notato che ormai pensa di essere una cartomante di professione, ma ha sempre amato fare le carte a parenti ed amici. È così strano che le sia rimasto solo quello, forse perché lo faceva fin da ragazza.” Disse l'uomo sommessamente. 
“Sì, parlandoci mi è stato subito chiaro che sia convinta di avere poco più di vent'anni, e che aspetti che la madre la venga a prendere in bicicletta, che gioia. Ma tutti la amano qui alla clinica, fa le carte a tutti, e a me, che mi vede sempre, me le fa più volte al giorno.” 
“Mi spiace che debba sopportarla” 
“Ma cosa dice! Come le dicevo tutti la amano, è così fresca e gioiosa quando fa le carte. Quando sente le storie degli altri si illumina e accetta qualsiasi cosa le venga detta. Ha fatto le carte a donne che non si ricordavano nemmeno il loro nome, ma è riuscita a metterle a loro agio. Non fa altro che diffondere un po’ di amore in questo posto, e dio solo sa se ce n'è bisogno.” 
“Sono lieto di sentirglielo dire, a rivederla allora, alla prossima settimana” 

Marina Alice Cibin



Io di mestiere faccio la cartomante. Ricevo abusivamente in uno scantinato a Beinasco, un infelice anonimo dormitorio alle porte di Torino. La mia professione è nata per caso. Fin da bambina indovinavo le cose, specialmente durante i giorni del ciclo. La mia pelle diventava un ricettacolo di sensazioni, mille aghi mi oltrepassavano il cuore e diventavano gomitoli di percezioni confuse, vedevo figure nell’ombra, sentivo canzoni mai sentite prima e poi sbam, la visione. 

La signora Cassolari aveva perso un braccialetto d’oro e piangeva nella cucina, mentre mia madre cercava inutilmente di consolarla: 
“Madre santa, è un regalo della buonanima di mia suocera, mio marito mi spaccherà la faccia”.
“Nell’armadio, nella tasca della vestaglia” 
“Che?” avevano detto mia madre e la signora Casolari, all’unisono. 
Beata Vergine, era vero! Letizia Casolari aveva nascosto i sui tesori prima delle vacanze, ma se ne era dimenticata! 
Io come facevo a saperlo? Niente, semplicemente avevo visto l’armadio che si spalancava nella mia testa, i cappotti impacchettati nel cellophane, le camicette inamidate e infine la vestaglia di lana scozzese, avvolta in una luce dorata. 

La voce si era sparsa e nel giro di un po’ di tempo mi ero conquistata una certa fama. Mia madre mi aveva comprato dei libri sui tarocchi e un bel mazzo di carta, affermava che un po’ di scena mi avrebbe favorito. 
Avevo smesso di andare a scuola, la mattina mi svegliavo tardi, facevo colazione davanti alla tivù e poi provavo i giochi con le carte. Ogni tanto arrivava una cliente e ci chiudevamo in cucina. 
Dopo un po’ di tempo mia madre aveva affittato uno scantinato che si era liberato vicino ai garage, aveva confezionato delle tende azzurre e comprato due poltroncine dell’Ikea. 
Lei aveva ripreso il pieno possesso della sua cucina, io avevo aumentato la mia fama in tutta Beinasco e dintorni. 

Vorrei dirvi che il mio lavoro non è così appassionante come forse vi immaginate. Le clienti hanno sempre le stesse esigenze: amore, soldi, vendetta. Le mie sedute sono a buon prezzo e la mia clientela è monotona nei suoi bisogni trascendentali. Però, ascoltando tutta quella materia umana, mi sono fatta le mie idee sul mondo, la vita, la morte. Ho un bel bagaglio di esperienza, anche se sono così giovane. 

Ad un certo punto, mi è venuta voglia di ricominciare a studiare. Ho preso il diploma tre anni in uno, tanto me lo posso permettere con i proventi della mia professione. Mia madre ha disapprovato, ma io sono la fonte di sostentamento della famiglia e alla fine si è rassegnata. Mi sono iscritta all’università, Filosofia. Dopo cinque anni di lettura dei fatti altrui, ho deciso di allargare i miei orizzonti, approfondire la conoscenza della mente al di là del bene e del male. Al mattino mi alzo presto e corro in facoltà. Sono contenta, dentro di me percepisco una forza inusitata, una velleità a me sconosciuta. Non disprezzo quello che faccio nello scantinato, anzi, mi sono raffinata nel linguaggio e cerco di dare i dei responsi più sottili e articolati alle mie clienti. Alcune di loro non capiscono, ma io mi impegno per distoglierle dalle loro fissazioni, anche se loro tornano inevitabilmente al nocciolo della questione: 
“Si, va bene, ma Ignazio me le fa le corna o no?” 
Io le accontento, non mi piace deluderle. 
Fisso il volto della donna che mi siede di fronte, osservo le sue rughe, noto un piccolo brufolo dalla punta giallastra sul bordo della bocca impiastricciata di rosa. Mi viene un’irrefrenabile voglia di schiacciarlo. 
“Si bisogna far uscire il pus” 
“Bastardo, questa me la paga”. 

Ora vorrei dirvi che quello che c’è tra il professor Renato Bandi, mio docente di filosofia teoretica e me, è vero amore, ma non sono così ingenua, dopo tutti questi anni di esperienza sul campo. La mia professione mi è di immenso aiuto. Ciò non toglie che io sia rimasta ammaliata dalla sua lucidità intellettuale, dai suoi maglioncini di cachemire beige, su cui amo strofinare la guancia quando lo abbraccio forte, dalle sue mani affusolate che mi sollevano il mento per guardarmi nel profondo degli occhi. Insomma, sono caduta ai suoi piedi come una pera cotta. Mi incanta il suo senso di rispetto per la mia essenza femminile mentre mi slaccia il reggiseno. Nell’ appartamento tutto grigio e bianco, luminosissimo, affacciato sul parco, tra una lezione e l’altra, l’amore del professore mi avvolge e io mi ammanto di lussuria, risplendo come una regina. 
“come sei bella” mi dice “vorrei fermare questo istante per l’eternità” 
“che ore sono? Oddio com’è tardi, devo scappare!” 
“amore, non mi hai ancora detto che lavoro fai”
“un giorno te lo dirò”. 
Chissà che cosa immagina, rifletto, mentre torno a Beinasco sul mio autobus di linea, che ci mette un’eternità prima di giungere a destinazione. Fantastico, mi spingo in là con i miei sogni fino a prevedere che mi trasferirò. Dove? Ma nella bellissima casa di Renato, tra i suoi libri e le sue piante rampicanti. Il nostro nido d’amore. 

“vorrei sapere di Salvatore, se mi tradisce. L’ho beccato più volte che telefonava di nascosto e buttava giù quando mi avvicinavo…” 
“Chi?” 
“Come chi? Ma Salvatore! Oggi sei distratta, Solange, come mai?” 
Mi vedo nello scantinato con il mio nome d’arte e mi sento improvvisamente ridicola, inutile e depressa.
“Scusami tanto, Carmela, oggi non è giornata, mi sento poco bene, torna domani, mi sento un po’ stanca e le carte non mi stanno aiutando” 
“ma che hai, non ti ho mai visto così” 
“No, non è niente, passerà, abbi pazienza”. 
Sono due settimane che Renato non si fa vedere né sentire. 

Renato, come vi state tutti immaginando, mi ha lasciata per un’altra. Mi correggo, non ha avuto questo coraggio, è svanito nel nulla come fanno i tanti Salvatori e Ignazi che ho conosciuto tramite le mie affezionate clienti. Credo che si sia imboscato con la nuova allieva prediletta, una ragazza dai capelli rossi alta almeno un metro e settantacinque. Non servono le carte, basta un po’ di buonsenso, e di pettegolezzi raccolti nei corridoi dell’università. 
Intanto io mi sto per laureare con degli ottimi voti e sto progettando di lasciare lo scantinato per altre vie, magari un master all’estero. 
Sono un po’ preoccupata per le mie clienti, non credo che la prenderanno bene, anche se ho pensato che, giacché sono tutte dotate di smartphone, posso senz’altro impiantare delle consulenze su internet. 
Ho deciso di fare una sorpresa a Renato: gli ho inviato una cartolina di quelle che aveva preparato mia madre per farmi pubblicità. La grafica è dozzinale, si intravede la figura in penombra di una ragazza con i capelli ricci, il seno prominente, una sfera di cristallo su un tavolino ricoperto di stelle. Una scritta dorata completa la scena: “Solange, risolve i tuoi affari di cuore e di denaro. Consultala a Beinasco, pressi centro commerciale”. 
L’ho firmata sul retro: saluti dalla tua cartoamante preferita. 
Vediamo se avrà il coraggio di consultarmi. Perché, questo è certo, prima o poi toccherà anche a lui di ricevere, come si dice a Beinasco, una tramvata in faccia. 

Barbara Fiore


La mia analista l'ha scritto oggi per la prima volta sul suo taccuino. Sono stati sufficienti pochi minuti perché la diagnosi fosse finalmente chiara. Chiara e tonda, scritta in stampatello e sottolineata su quelle pagine ruvide, gialle, grammatura 80, aroma di castagne nel sottobosco di Castellamonte. 

Deve esser cominciato tutto prima ancora che io lo possa ricordare. Avevo già 3 o quattro anni quando mia madre mi sorprese per la prima volta con la faccia spiaccicata su un libro di fiabe illustrate. Iniziata la scuola fu la volta di sussidiari e quaderni. Invece di fare i compiti stavo lì, con i libri contro il muso, io a fare il ripieno di un panino cartaceo. 

All'inizio pensarono solo che fossi una bambina un po' particolare poi, visto che il mio curioso comportamento continuava, presero a portarmi da un medico all'altro. Le ipotesi diagnostiche che si alternarono negli anni furono, nell'ordine: narcolessia, miopia, ipotensione da vago ipersensibile, sindrome dello studente pigro, morbo della faccia pesante, virus della fronte appiccicosa, disfunzione comportamentale alquanto imbarazzante, detta DCAI. Tutte teorie nessuna certezza. Io cercavo di spiegare il motivo del mio comportamento ma gli adulti, genitori e dottori, mi accarezzavano bonari il capo e poi tornavano a parlottare tra loro. 

Avevo circa 10 anni quando, stanca di esami del sangue, radiografie e martelletti sulle ginocchia, decisi di farmi furba, o quantomeno più circospetta. Niente più musate a libri e quaderni. Niente più annusate rapite ad agende timide. Niente. O meglio, niente quando sapevo di essere vista. I miei genitori pensarono felici che fossi guarita. Che la loro strana figlia non fosse più così strana. 

Trascorsi un'adolescenza apparentemente serena anche se, dentro di me, cresceva il dubbio che avessi davvero qualcosa di sbagliato, che fossi davvero malata. 
Per questo motivo oggi, all'età di 19 anni, dopo tre anni di paghette messe religiosamente da parte, mi sono presentata nello studio della dottoressa. Ho letto il suo annuncio in rete. "Psicologa, psicanalista, esperta di vizi ma non giudicante", diceva il banner. 

Appena sedutami di fronte a lei, le ho spiegato dettagliatamente il mio problema, il mio vizio, la mia debolezza. "Annuso la carta. Quella dei libri, delle agende e dei quaderni. Ci immergo la faccia e sto lì a respirare. L'ho sempre fatto. Mi tranquillizza, mi rende felice, mi fa sentire a casa. Non è necessario che siano libri o quaderni miei. Mi hanno già buttato fuori da 2 biblioteche, 5 librerie, e il reparto cartoleria di diversi centri commerciali. Non credo che sia la colla della rilegatura, con la carta da parati non ho lo stesso effetto, ci ho provato." 
"mmmm" ha risposto la dottoressa scrivendo sul proprio taccuino col mezzo sorriso di chi la sa lunga. 
"mmmm cosa?" 
"mmmm mi è tutto chiaro"
"ha capito che cos'ho?"
"ma certo, non è poi così raro" 
"e può farmelo passare?" 
"oh cielo no, e perché mai dovrei?" 

Jane Pancrazia Cole

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Buongiorno a tutti dalla Zona Rossa!
Di nuovo chiusi in casa, siamo pieni di tempo libero da utilizzare in maniera proficua. Quindi, dopo aver impastato la prima pizza del secondo lockdown, tornate qua a leggere i miei suggerimenti per questo Novembre 2020. Cose da fare, vedere, leggere, ascoltare comodamente dal proprio abusato divano.

Il web pullula di siti, profili, pagine che trattano di libri. Perché consigliarvene uno invece di un altro? Perché a quest'uno collaboro anch'io (in maniera molto sporadica, onestamente). Si tratta del collettivo dei Russi, nato – da un'idea di Enza Spinapolice – da facebook per poi approdare anche su un blog. Un gruppo di lettori forti e un po' pazzi, dai consigli di lettura mai scontati.
Potete trovare le recensioni dei Russi di "Parla della Russia" sul sito e anche tanto altro sulla loro (nostra) pagina Facebook. 
Seguiteci, leggeteci, leggete!

Qualcuno di voi conoce gli Slim Dogs? Io li conoscevo di fama ma non li avevo mai seguiti molto. Un gruppo di videomaker romani molto prolifici anche su youtube o, meglio, un gruppo di youtuber che sono stati ingrado di farne una professione anche al di fuori della rete. Ultimamente sono diventata dipendente dalla loro rubrica "Come ca**o hanno fatto?" dove spiegano tutti i segreti dietro la realizzazione delle scene più interessanti e assurde del cinema. Ormai ho deciso: se rinasco voglio fare l'esperta di effetti speciali, effetti visivi e pure scenografa di colossal. Ecco.

In piena pandemia tendiamo a scordarci gli altri problemi di questo pianeta. Male, molto male. La state facendo ancora la differenziata, nevvero?
Comunque, vi consiglio un modo per divertirvi e rinfrescarvi la memoria. 
Michela Leonardi – donna di scienza, in gambissima e amica mia – si è inventata un gioco tutto nuovo che si chiama Climate Change. Potete scaricare il file e stamparvi a casa board game, carte e segnalini, oppure giocarci direttamente online. Gratis.

Infine, per gli appassionati di scrittura ho due consigli: The catcher, il magazine della Scuola Holden che trovate su Medium; e, ovviamente, il mio Laboratorio Condiviso di Scrittura con un esercizio tutto nuovo.

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Pensavate che i consigli fossero finiti qui? In realtà lo pensavo anch'io ma un minuto prima della pubblicazione mi sono imbattuta in questo video ADORABILE! Quindi, ora, con l'ultimo regalo al volo per questo mese vi saluto. Ridete, state sereni ma, soprattutto, state attenti.

Un abbraccio, molto virtuale, a tutti!

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Da quando ho inziato quest'avventura del Laboratorio Condiviso di Scrittura (ufficialmente lo scorso gennaio ma nella mia testa poco prima di Natale) ho preso a raccogliere idee per gli esercizi in una nota sul cellulare. Esercizi classici, cose lette in giro, cose inventate di sana pianta, ispirazioni estemporanee. E, a proposito di ispirazioni estemporanee, parecchi mesi fa ho sentito una parola, credo durante uno spettacolo d'improvvisazioen teatrale, l'ho sentita ed ho pensato: questa sarebbe perfetta per il Laboratorio!

Consideratela un titolo, la protagonista o una semplice remota ispirazione, fatene un po' ciò che volete, sentitevi liberi come l'aria, io ve la lascio qui, ve l'appoggio qua sul blog, la parola è CartoAmante. Non deve neanche essere presente nel vostro testo ma, leggendolo, io devo pensare "eccola là, CartoAmante!" 

Scrivete un racconto, una poesia, un monologo, un dialogo, ciò che più vi aggrada. Stupitemi come solo voi sapete!

Tipo di testo: racconto, poesia, monologo, dialogo, quello che vi pare... 
Lunghezza testo: dagli 800 agli 8000 caratteri. 
Email: janecole@live.it. 
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura. 
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno. Scadenza per far pervenire il testo: domenica 15 novembre 2020, ore 12.

Volete leggere tutti i Racconti nati da questo esercizio? Li trovate qui.
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