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Del '94 ricordo Sacchi,...

Buuuuuuuuuuuu! Basta! Non se ne può più!

...ehi cos'è questo rumoreggiare in sala? Cosa c'è che non va?
Aspettate un attimo, non agitatevi, mollate quegli ortaggi, lasciatemi spiegare.
  
Sì, lo so che l'Italia è stata eliminata.
Lo so che a molti di voi, adesso, non frega nulla del Mondiale.
E a molti, probabilmente, fregava poco anche prima.
Ma io di  questi post ora che ne faccio?
Non vorrete mica che li butti?
Sappiate che non ci riesco. Sono tutti lì, tra le bozze, in ordine. Mi fanno tenerezza, non posso cliccare su "elimina". Non ne ho la forza!

Facciamo così, troviamo un compromesso, io li pubblico e voi, se proprio ciò vi fa stare meglio, li ignorate.
Contenti voi.
Contenta io.
Contenti tutti.
Siamo d'accordo?
Allora proseguo, eh?
Grazie.

Del '94 ricordo Sacchi, che odiavo con raro trasporto. Fastidioso, spocchioso, presuntuoso, e un'altra decina di caratteristiche negative che terminano in "oso". Mettete voi quelle che preferite.
L'intera squadra, in realtà, non risvegliava la mia simpatia. Tanto che vidi l'infelice finale facendo i compiti delle vacanze. Può esistere una dimostrazione di disinteresse maggiore di questa?
E per fortuna ero disinteressata perché, altrimenti, non mi sarei mai ripresa da quel rigore!

I Mondiali del '90 sono una pietra miliare nella mia vita.
Rappresentano la gioia e il dolore.
Soprattutto il dolore.

Ricordo la "favola" di Schillaci e l'orgoglio siculo di mia madre. Ricordo "Ciao", la più brutta mascotte che mente umana abbia mai concepito. E ricordo pure "Notti magiche", quell'inno che a tutti ha sempre fatto schifo, ma che tutti conosciamo a memoria.

Ma non dimentico, soprattutto, quella maledetta semifinale, quella contro l'Argentina, quella che spezzò i nostri sogni di gloria.
Alla fine mi ritrovai piangente e arrabbiata davanti alla tv. Giovane adolescente, con gli ormoni in subbuglio, che versava copiose lacrime e minacciava di morte Maradona. No, non sto esagerando, lo volevo proprio uccidere. Non tutta la squadra sudamericana, solo lui. Avevo anche elaborato un complesso piano: sarei andata a Napoli in treno e l'avrei fatto fuori con un coltello da cucina. Uno di quelli seghettati, che gli altri non tagliano.

E pensare che anni dopo, molti anni dopo, avrei avuto quale miglior amico un uomo che espone le foto di Diego come santini. Il destino delle volte è proprio curioso.

Ma, bando alle ciance, è giunto il momento. Non fate i timidi. Siate spudoratamente nazional popolari!
Vi vergognate? Va bene, comincio io:

" Forse non sarà una canzone a cambiare le regole del gioco, ma voglio viverla cosi quest'avventura senza frontiere e con il cuore in gola..."

Del 1986 ricordo poco. Solo che venimmo eliminati presto e che quel sorcio di Platini si fece beffe di noi. Perché, da che mondo e mondo, i francesi quando vincono riescono ad essere più fastidiosi perfino di quando perdono.

Avevo nove anni, facevo danza classica, e quell'anno feci il saggio al Teatro Massaua.
Ora è un cineplex e una sala bingo. Con delle insegne esterne che farebbero la loro porca figura persino a Las Vegas.
Quanta amarezza.



Il mio rapporto con il calcio ha avuto i suoi alti e i suoi bassi.
Grande passione giovanile, cocente delusione dell'età adulta.
Ora è poco più di un rumore di fondo nella mia bacheca facebook, un fastidioso brusio da far tacere con un click.

Ma il Mondiale no. Il Mondiale è altra cosa.
Il Mondiale è un appuntamento che ogni quattro anni porta con sé ricordi ed emozioni. Segna il cambiamento di un paese, la vita di una famiglia, ed il passaggio attraverso le diverse fasi dell'esistenza.

Il primo che ricordi è quello del 1982.
Avevo solo 5 anni e per la finale ci riunimmo tutti dagli zii.
C'erano confusione, urla, e poi quel tizio in televisione. Quel tizio che correva, correva e gridava. Sul momento non capii se fosse felice o disperato, e cercai i volti dei grandi per avere una risposta. Erano tutti in piedi, ridevano e si abbracciavano. Loro erano contenti. Anche lui doveva esserlo.
Quel tizio era Tardelli.

Ricordo che nella confusione mio cugino Marco, che ai tempi era un pupo di due anni legato come un salame al passeggino, mi strappò la piccola bandiera dell'Italia dalle mani, rompendo con un sonoro TAC! la minuscola asta a cui stava attaccata. Io prima cercai di strangolarlo poi, impeditami l'impresa dal resto della famiglia, reagii con una crisi di pianto inconsolabile. A riportare la pace ci pensò, contro ogni previsione ed episodio precedente, il collerico zio Nino. Egli si affrettò a compiere le dovute riparazioni, presumo con il legnetto di un ghiacciolo (li chiamavo stick allora), e a rendermi così nuovamente felice.

Grazie a tanta solerzia, potei festeggiare adeguatamente durante il tragitto del ritorno a casa. Per strada c'erano confusione, clacson, e il mio piccolo tricolore esposto fuori dal finestrino di mia madre. Eravamo sulla nostra 127 verde. Senza finestrini posteriori, cinture di sicurezza, o seggiolini per bambini.

Era un'Italia incosciente ed innocente. Gli anni più brutti sembravano messi definitivamente alle spalle. Avevamo Pertini, Toto Cutugno e Paolo Rossi. Non desideravamo di più.

Positivo. Un'altra volta.
Vengo squalificato a vita dalle competizioni internazionali.
Sono Ben Johnson.
(1993)
Siamo tutti e tre sul divano.
Mamma, papà ed io.
Assistiamo al miracolo. Il Miracolo sul ghiaccio.
(1980)
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