Rossella Urru è stata rapita dal campo profughi Saharawi di Rabuni la notte tra il 22 e il 23 ottobre scorsi. Insieme a lei sono stati presi anche due cooperanti spagnoli: Ainhoa Fernandez de Rincon e Enric Gonyalons.
Rossella lavora da due anni in Algeria, coordinando un progetto che si occupa di rifornimenti alimentari nel campo, con particolare attenzione ai bisogni specifici di donne e bambini.
Lei è laureata in Cooperazione Internazionale con una tesi proprio sul popolo Saharawi.
Non è una sprovveduta. Ha trasformato la sua grande passione, la sua grande voglia di fare, in un lavoro difficile, pericoloso ma estremamente utile, che sicuramente la riempie d'orgoglio e soddisfazione.
Io di Rossella so questo e poco altro, come tutti voi del resto.
Ma, guardando le sue foto, ho cercato di intuirne il carattere e i sentimenti. Guardando quelli occhi neri come pozzi e quel sorriso sereno, ne ho percepito l'amore per la sua missione, l'entusiasmo e la voglia di mettersi in gioco, darsi da fare, fare ciò che si deve, senza tanti fronzoli. Semplicemente.
Rossella sembra una ragazzina ma è una donna. Una donna in gamba rimasta vittima, come tanti altri, dei giochi di potere, delle battaglie intestine di una terra mai pacificata.
Per mesi in Italia non si è più parlato di lei. I media l'hanno ignorata. La sua era una notizia noiosa, senza pruriginosi particolari o risvolti macabri. Ma negli ultimi giorni, per fortuna, il silenzio si è fatto meno assordante e le voci hanno cominciato a levarsi.
Le nostre sono voci flebili e nulla possono sul piano internazionale. Ma sono voci sincere e decise che vogliono alzare l'attenzione, vogliono mandare un messaggio di affetto fino al deserto e, semplicemente, vogliono far sentire la famiglia di Rossella meno sola.
Noi ci siamo, siamo con voi, siamo orgogliosi di questa donna che ci rappresenta con il sorriso e la concretezza.
Liberate Rossella. Sono in molti ad avere bisogno di una donna come lei. Noi, la sua famiglia, e i profughi Saharawi.
Questo post rientra nell'iniziativa Blogging Day per Rossella Urru.
Rossella lavora da due anni in Algeria, coordinando un progetto che si occupa di rifornimenti alimentari nel campo, con particolare attenzione ai bisogni specifici di donne e bambini.
Lei è laureata in Cooperazione Internazionale con una tesi proprio sul popolo Saharawi.
Non è una sprovveduta. Ha trasformato la sua grande passione, la sua grande voglia di fare, in un lavoro difficile, pericoloso ma estremamente utile, che sicuramente la riempie d'orgoglio e soddisfazione.
Io di Rossella so questo e poco altro, come tutti voi del resto.
Ma, guardando le sue foto, ho cercato di intuirne il carattere e i sentimenti. Guardando quelli occhi neri come pozzi e quel sorriso sereno, ne ho percepito l'amore per la sua missione, l'entusiasmo e la voglia di mettersi in gioco, darsi da fare, fare ciò che si deve, senza tanti fronzoli. Semplicemente.
Rossella sembra una ragazzina ma è una donna. Una donna in gamba rimasta vittima, come tanti altri, dei giochi di potere, delle battaglie intestine di una terra mai pacificata.
Per mesi in Italia non si è più parlato di lei. I media l'hanno ignorata. La sua era una notizia noiosa, senza pruriginosi particolari o risvolti macabri. Ma negli ultimi giorni, per fortuna, il silenzio si è fatto meno assordante e le voci hanno cominciato a levarsi.
Le nostre sono voci flebili e nulla possono sul piano internazionale. Ma sono voci sincere e decise che vogliono alzare l'attenzione, vogliono mandare un messaggio di affetto fino al deserto e, semplicemente, vogliono far sentire la famiglia di Rossella meno sola.
Noi ci siamo, siamo con voi, siamo orgogliosi di questa donna che ci rappresenta con il sorriso e la concretezza.
Liberate Rossella. Sono in molti ad avere bisogno di una donna come lei. Noi, la sua famiglia, e i profughi Saharawi.
Questo post rientra nell'iniziativa Blogging Day per Rossella Urru.
I miei lettori più antichi e attenti se ne ricorderanno: nel mio passato, ricco di ex fidanzati e grandi amori, fa bella mostra di sé una relazione durata quattro anni con un ragazzo tedesco.
Fin da subito io venni accolta con affetto e gentilezza da tutta la sua famiglia. Dalle sue bellissime sorelle, dalla sua timida madre, e dal suo esuberante padre. Da tutti, anche dai suoi nonni. I nonni paterni.
Herbert ed Edeltraut avevano entrambi i capelli candidi, gli occhi trasparenti, e la pelle sottile e stropicciata.
La signora Edeltraut vantava i medesimi difetti di tutte le nonne del mondo. Era impicciona e sempre troppo ansiosa. Io le piacevo perché ero ordinata, educata e non chiassosa. Inoltre ero amata dal suo nipote preferito, e ciò bastava a pormi ad un livello superiore, dotata di chissà quali peculiari virtù.
La signora Edeltraut era gentile ma non particolarmente simpatica.
Nonno Herbert invece era spiritoso e pieno di vita. Quel genere di uomo anziano che dice alla moglie bacchettona "Lascia in pace i ragazzi, sono giovani!"
Il suo sogno era un viaggio in moto oltre confine a ritrovare il proprio borgo natio, situato ormai in territorio polacco.
La prima volta che lo incontrai mi disse: "Sei di Torino? Io sono stato a Torino" "Davvero?" "Sì, tanto tempo fa, durante la guerra."
Me lo disse vestendo il suo completo di lino bianco sotto un caldo sole estivo. Non aggiunse altro ed io cambiai discorso imbarazzata.
Nonno Herbert mi accolse nella sua famiglia con slancio. Io divenni la sua quinta nipote e lui divenne il mio quinto nonno. Quando venne a mancare lo piansi come avevo pianto gli altri e, ancora adesso, penso a lui come penso agli altri.
Mi piacerebbe raccontarvi che fu un eroe, che nascose un ebreo in cantina o che si oppose al regime. Ma mentirei. Il mio quinto nonno visse quella Germania accettandone e condividendone le regole. Ed io ho accetto di amarlo nonostante questo.
Non ci sono giustificazioni. Non ci sono spiegazioni. Non gliel'ho mai chieste. Non sarebbe stato in grado di darmele.
Esiste sempre un'alternativa, seppur dolorosa e difficile, lui semplicemente non la scelse.
Nonno Herbert mi ha insegnato che le persone normali, le persone gentili, le persone simpatiche possono rendersi complici di terribili nefandezze. Ed è anche per questo che noi tutti, noi normali, noi gentili, noi simpatici, noi "che al posto suo non l'avremmo mai permesso", dobbiamo continuare a ricordare l'orrore ogni anno e ogni giorno.
Chiunque può caderci, chiunque può decidere di chiudere gli occhi, per proteggere i propri cari, per proteggere se stesso o semplicemente perché è molto più facile.
Ognuno di noi deve vigilare sugli altri e soprattutto su di sé. Ogni giorno deve essere il giorno della memoria.
Fin da subito io venni accolta con affetto e gentilezza da tutta la sua famiglia. Dalle sue bellissime sorelle, dalla sua timida madre, e dal suo esuberante padre. Da tutti, anche dai suoi nonni. I nonni paterni.
Herbert ed Edeltraut avevano entrambi i capelli candidi, gli occhi trasparenti, e la pelle sottile e stropicciata.
La signora Edeltraut vantava i medesimi difetti di tutte le nonne del mondo. Era impicciona e sempre troppo ansiosa. Io le piacevo perché ero ordinata, educata e non chiassosa. Inoltre ero amata dal suo nipote preferito, e ciò bastava a pormi ad un livello superiore, dotata di chissà quali peculiari virtù.
La signora Edeltraut era gentile ma non particolarmente simpatica.
Nonno Herbert invece era spiritoso e pieno di vita. Quel genere di uomo anziano che dice alla moglie bacchettona "Lascia in pace i ragazzi, sono giovani!"
Il suo sogno era un viaggio in moto oltre confine a ritrovare il proprio borgo natio, situato ormai in territorio polacco.
La prima volta che lo incontrai mi disse: "Sei di Torino? Io sono stato a Torino" "Davvero?" "Sì, tanto tempo fa, durante la guerra."
Me lo disse vestendo il suo completo di lino bianco sotto un caldo sole estivo. Non aggiunse altro ed io cambiai discorso imbarazzata.
Nonno Herbert mi accolse nella sua famiglia con slancio. Io divenni la sua quinta nipote e lui divenne il mio quinto nonno. Quando venne a mancare lo piansi come avevo pianto gli altri e, ancora adesso, penso a lui come penso agli altri.
Mi piacerebbe raccontarvi che fu un eroe, che nascose un ebreo in cantina o che si oppose al regime. Ma mentirei. Il mio quinto nonno visse quella Germania accettandone e condividendone le regole. Ed io ho accetto di amarlo nonostante questo.
Non ci sono giustificazioni. Non ci sono spiegazioni. Non gliel'ho mai chieste. Non sarebbe stato in grado di darmele.
Esiste sempre un'alternativa, seppur dolorosa e difficile, lui semplicemente non la scelse.
Nonno Herbert mi ha insegnato che le persone normali, le persone gentili, le persone simpatiche possono rendersi complici di terribili nefandezze. Ed è anche per questo che noi tutti, noi normali, noi gentili, noi simpatici, noi "che al posto suo non l'avremmo mai permesso", dobbiamo continuare a ricordare l'orrore ogni anno e ogni giorno.
Chiunque può caderci, chiunque può decidere di chiudere gli occhi, per proteggere i propri cari, per proteggere se stesso o semplicemente perché è molto più facile.
Ognuno di noi deve vigilare sugli altri e soprattutto su di sé. Ogni giorno deve essere il giorno della memoria.
Gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà.Sciascia, ne "Il giorno della civetta", divideva impietosamente l'umanità in cinque categorie.
Che vergogna.
Non avrei potuto desiderare un compleanno migliore. Oggi, appena sveglia, ho ricevuto la notizia della felice conclusione della vicenda di Hambtamu. Ritrovato sano e salvo alla stazione di Napoli.
Un bellissimo tredicenne imbarcatosi in un'avventura più grande di lui che, per fortuna, è stato rintracciato e riportato dalla propria famiglia.
Caro Hambtamu,
ti parlo come parlerei a mio nipote.
Ti parlo come forse un giorno, quando sarà anche lui un piccolo uomo, dovrò parlargli sul serio.
La tua confusione è figlia della tua età e della tua storia. Il tuo desiderio è legittimo e comprensibile. Ma non sottovalutare mai più chi ti ama come ti ama la tua famiglia.
Non conosco i tuoi genitori ma conosco la loro storia. Conosco la tua storia. Conosco la nostra storia. Ed è per questo che sono certa che la tua mamma ed il tuo papà sono pronti ad ascoltarti, appoggiarti ed accompagnarti lungo il tuo viaggio.
Non aver paura di chiedere aiuto, chi ti ama è in grado di sorprenderti.
Con affetto,
la tua amica Pancrazia
Un bellissimo tredicenne imbarcatosi in un'avventura più grande di lui che, per fortuna, è stato rintracciato e riportato dalla propria famiglia.
Caro Hambtamu,
ti parlo come parlerei a mio nipote.
Ti parlo come forse un giorno, quando sarà anche lui un piccolo uomo, dovrò parlargli sul serio.
La tua confusione è figlia della tua età e della tua storia. Il tuo desiderio è legittimo e comprensibile. Ma non sottovalutare mai più chi ti ama come ti ama la tua famiglia.
Non conosco i tuoi genitori ma conosco la loro storia. Conosco la tua storia. Conosco la nostra storia. Ed è per questo che sono certa che la tua mamma ed il tuo papà sono pronti ad ascoltarti, appoggiarti ed accompagnarti lungo il tuo viaggio.
Non aver paura di chiedere aiuto, chi ti ama è in grado di sorprenderti.
Con affetto,
la tua amica Pancrazia

Risale a solo una settimana fa il post in cui ricordavo Francesco Azzarà e la sua condizione di sequestrato. Post in cui mi ripromettevo di riprendere questa vicenda almeno una volta a settimana: in modo da poter, nel mio piccolo, mantenere viva l'attenzione.
Oggi avevo intenzione di scriverne ancora. Volevo dare il giusto risalto al commento lasciatomi da Ross e segnalarvi anche ciò che aveva scritto Lumaca a 1000 sul proprio blog.
E invece, a quanto pare, non ce ne sarà bisogno.
Francesco è stato liberato!
Qua si piange, si ride e ci si autoconvince di portare un po' fortuna.
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