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Tutta la famiglia si muoveva all'unisono, i piedi calzati in scarpe eleganti sulla pavimentazione lisciata dal tempo. 

Il sole tardivo di settembre si mostrava più vivace del solito, tanto che la madre si copriva il volto con un cappellino orlato di pizzo d'Orleans e un vezzoso ombrellino teso da stecche di balena. 

"Emma, abbassa la falda del cappello" suggerì la nutrice alla figlia che, un metro avanti a lei, avanzava a falcate tanto ampie quanto nervose. "Non vorrai le lentiggini sulle gote?". 
"Mamma, ti prego, non è il momento" sbuffò la giovane donna. 
"Lasciala in pace" sogghignò il padre. "La nostra bimba ha ben altri pensieri oggi" e, presa sotto braccio la consorte, la costrinse ad accelerare il passo per stare dietro le lunghe leve della ragazza. 

Arrivati davanti all'istituto, un inserviente venne loro incontro, "Prego, signorina, la stanno aspettando". Ed Emma, lanciato un ultimo sguardo a genitori e fratelli, varcò l'uscio per poi sparire, immediatamente inghiottita da un gruppo di abiti scuri e baffi a torciglione. 

Il percorso fino a quel momento era stato lungo e impegnativo ma Emma, un passo dopo l'altro, aveva raggiunto tutti gli obiettivi prefissati, fino all’ultimo. Lei, a differenza, della maggior parte delle sue coetanee aveva goduto e godeva dell'appoggio incondizionato della sua famiglia. Di suo padre, su tutti. Suo padre che la portava ai cantieri e che trattava lei come i suoi fratelli. Padre che credeva in lei, nella sua intelligenza, nella sua capacità di raggiungere ogni meta, a dispetto di tutti, prima di tutte. 

La famiglia, dopo aver salutato l'avvocato Palmieri e il dottor Valli, genitori di due dei colleghi di Emma, prese posto sugli scranni centrali. Tutti in fila, padre, madre e fratelli, attendevano emozionati il gran momento. 

La commissione togata entrò poco dopo. La sessione iniziò. Uno dopo l'altro gli studenti presentarono la propria tesi. Quando fu il turno di Emma, il padre e la madre si tennero per mano, gonfi di orgoglio. I fratelli sorrisero tutto il tempo, compiaciuti dal successo raggiunto dalla ranocchietta che, fin da piccola, li seguiva ovunque, non volendo mai essere lasciata indietro. 

"Signorina Emma Strada", si sentì al momento della proclamazione "la commissione, considerato il curriculum degli studi da Lei compiuto e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova finale la votazione massima". Un momento di esitazione. "Per l’autorità conferitami la proclamo Ingegnere Civile". 

E, dalla platea, furono applausi eleganti ma calorosi. 

Lei strinse la mano alla commissione e ai colleghi, poi si girò a sorridere al padre. Che orgoglio.

Emma Strada – figlia di Ernesto Strada, ingegnere abile e uomo progressista –, il 5 settembre del 1908, presso l’Istituto Superiore Politecnico di Torino, venne proclamata ingegnere. Massimo dei voti, terza del suo corso, fu la prima ingegnere donna d'Italia e una tra le prime d'Europa.


Un altro dei miei racconti pubblicati sul quotidiano online TorinOggi.
Racconti in cui eventi davvero avvenuti nella mia città si michiano con la leggenda popolare e la mia fantasia.

Buona lettura...

La sera, l'aria di aprile, era ancora freddina e Maria aveva avvolto la figlia che teneva in braccio in uno spesso scialle. 
Giovanni, che le camminava accanto, stringeva la mano del loro primogenito di 5 anni appena compiuti.

"Dove andiamo papà?" chiese il piccolo. 
"Al circo" 
"E chi è Circo?" 
"Uno spettacolo da restare a bocca aperta!" 
"Davvero????" 
"Si sì" 
E il bimbo sorrise con gli occhi pieni di curiosità e i piedini che macinavano veloci sullo sterrato. 

Intanto, mentre il tendone si riempiva di curiosi per il grande evento, i cavalli battevano gli zoccoli nervosi sul terreno e gli artisti si preparavano nei carri. 
William s'impomatava i baffi e, con alcune forcine, fermava saldamente il suo bel cappello. 
"Tatanka, are you ready, sei pronto?"

Continua sul sito ufficiale del giornale...
Lampioni innamorati (foto di Vallesilvia17)

In occasione di San Valentino (sì, qualche giorno fa) per la mia rubrica su TorinOggi (Storie sotto la Mole) ho scritto un racconto dedicato a un coppia torinese. 

Una coppia come tante, potrebbero essere i nostri genitori o anche i nostri nonni, che hanno percorso la vita e la città tenendosi per mano e facendo delle gran passeggiate.

Buona lettura!

Luisa e Marco s'incontrarono per la prima volta a scuola. La scuola elementare Federico Sclopis in via del Carmine 27. Non erano nella stessa classe perché allora maschi e femmine stavano ancora divisi. 

Lei aveva solo sette anni quando una compagna dispettosa le strappò il nastro dai capelli. Lui ne aveva 9 e, per non farla tornare a casa in lacrime, rincorse la ladruncola per tutta piazza Statuto e alla fine recuperò il mal tolto. Luisa lo ringraziò disegnando un fiore sulla polvere della strada. 

Quando la scuola venne bombardata, entrambi dovettero interrompere gli studi. Marco li riprese poco dopo. Luisa, invece, rimase a casa rassettare e cucire con la madre. 

Marco amava la geografia. "Quando ci sposiamo ti porto a Parigi" le disse quando andarono per la prima volta a passeggiare al parco del Valentino.

Continua...

L’immagine, che ritrae il parco del Valentino sotto la neve, è opera di Uccio “Uccio2” D'Agostino


Il 13 gennaio del 1985 l'Italia fu coperta dalla neve. A Torino non si registrarono dei veri e proprio record ma, noi bambini sabaudi dell'epoca, quella nevicata ce la ricordiamo ancora. Ed, io, per festeggiare l'anniversario ne ho scritto un racconto su TorinOggi.
Buona lettura!


Erano finite da poco le vacanze natalizie, il presepe era stato smontato e messo al sicuro in cantina, mentre un rametto di vischio restava ancora appeso al lampadario dell'ingresso. 

Io ero appena tornato da scuola e, dopo aver mangiato di corsa, mi ero precipitato in cameretta a giocare con uno dei doni che Gesù Bambino mi aveva lasciato quell'anno, una macchinina telecomandata che era una vera bomba! 

"Vai a fare i compiti!" mi aveva inseguito mia madre, entrando in camera con le mani sui fianchi e l'aspetto minaccioso. Solo a quel punto avevo alzato lo sguardo e l'avevo visto, l'avevamo visto entrambi. Il cielo si era fatto bianco. Io lasciai perdere la macchinina e appiccicai la faccia al vetro della finestra. Mamma mi fu subito accanto, “È arrivata anche qui" la sentii dire.

Continua...


Questa settimana, per il quotidiano online TorinOggi, ho trasformato in un breve racconto una voce che gira da sempre tra i portici della mia città: una volta, nei numerosi sotterranei presenti tra i diversi palazzi del potere, un gruppo di alchimisti tentò di generare la pietra filosofale. Andò bene? Probabilmente no.

Buona lettura...

Da anni ormai, un ristretto gruppo di alchimisti si ritrovava nel ventre della città per compiere i propri esperimenti. 

Trascinavano su e giù per le scale pesanti tomi, delicati alambicchi ed enormi calderoni, si confrontavano e cercavano di aiutarsi l'uno con l'altro per trovare, al fine, l'agognata soluzione. 

Al capo di questa schiera di dotti si trovava Mastro Giovanni Dal Capofino. Un uomo dalla candida barba lunga fino i piedi e la schiena curva. Egli aveva dedicato l'intera vita a un unico scopo, il cui raggiungimento gli pareva ogni giorno più vicino. 

"È quasi giunto il momento", diceva ormai con molta frequenza ai suoi colleghi, "ancora poco, anzi pochissimo e saremo al fin in grado di creare la pietra filosofale". "Saremo ricchi", rispondevano entusiasti i più giovani. "Il Regno lo sarà", diceva Giovanni. "Vivremo per sempre". "E il Regno vivrà".

Continua...


Torna la mia rubrica sul quotidiano online TorinOggi: Storie sotto La Mole. Racconti ispirati ai millemilioni di leggende ambientate a Torino.

Questa settimana è la volta di quel torinese che trasformò la sua casa in una reggia grazie al gioco del Lotto e a una rondinella.

Buona lettura!

Una porta nuova.
"Il dottor Caramagna, ha vinto al lotto" diceva la dirimpettaia.

La pittura fresca.
"Caramagna ha indovinato i numeri un'altra volta" bisbigliavano le lavandaie con i panni in bilico sulla testa.

Cento e più candele.
"10, 14, 59,67,90... Tutti e cinque i numeri ha preso" raccontava il fornaio con la faccia sporca di farina e l'animo di gran invidia.

Un tappeto arrivato da lontano.
"Cinque volte"
"Cosa?"
"Le ho contate, ha vinto cinque volte dall'inizio dell'anno" sussurrava la perpetua all'orecchio dell'acquaiolo.

Un vaso da Venezia, dei piatti dal Regno dei Borboni, un trumeau dall'altra parte delle Alpi.
"Ormai si è fatto una casa come quella di un conte" borbottava il parroco.

Continua...
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