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Tutta la famiglia si muoveva all'unisono, i piedi calzati in scarpe eleganti sulla pavimentazione lisciata dal tempo. 

Il sole tardivo di settembre si mostrava più vivace del solito, tanto che la madre si copriva il volto con un cappellino orlato di pizzo d'Orleans e un vezzoso ombrellino teso da stecche di balena. 

"Emma, abbassa la falda del cappello" suggerì la nutrice alla figlia che, un metro avanti a lei, avanzava a falcate tanto ampie quanto nervose. "Non vorrai le lentiggini sulle gote?". 
"Mamma, ti prego, non è il momento" sbuffò la giovane donna. 
"Lasciala in pace" sogghignò il padre. "La nostra bimba ha ben altri pensieri oggi" e, presa sotto braccio la consorte, la costrinse ad accelerare il passo per stare dietro le lunghe leve della ragazza. 

Arrivati davanti all'istituto, un inserviente venne loro incontro, "Prego, signorina, la stanno aspettando". Ed Emma, lanciato un ultimo sguardo a genitori e fratelli, varcò l'uscio per poi sparire, immediatamente inghiottita da un gruppo di abiti scuri e baffi a torciglione. 

Il percorso fino a quel momento era stato lungo e impegnativo ma Emma, un passo dopo l'altro, aveva raggiunto tutti gli obiettivi prefissati, fino all’ultimo. Lei, a differenza, della maggior parte delle sue coetanee aveva goduto e godeva dell'appoggio incondizionato della sua famiglia. Di suo padre, su tutti. Suo padre che la portava ai cantieri e che trattava lei come i suoi fratelli. Padre che credeva in lei, nella sua intelligenza, nella sua capacità di raggiungere ogni meta, a dispetto di tutti, prima di tutte. 

La famiglia, dopo aver salutato l'avvocato Palmieri e il dottor Valli, genitori di due dei colleghi di Emma, prese posto sugli scranni centrali. Tutti in fila, padre, madre e fratelli, attendevano emozionati il gran momento. 

La commissione togata entrò poco dopo. La sessione iniziò. Uno dopo l'altro gli studenti presentarono la propria tesi. Quando fu il turno di Emma, il padre e la madre si tennero per mano, gonfi di orgoglio. I fratelli sorrisero tutto il tempo, compiaciuti dal successo raggiunto dalla ranocchietta che, fin da piccola, li seguiva ovunque, non volendo mai essere lasciata indietro. 

"Signorina Emma Strada", si sentì al momento della proclamazione "la commissione, considerato il curriculum degli studi da Lei compiuto e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova finale la votazione massima". Un momento di esitazione. "Per l’autorità conferitami la proclamo Ingegnere Civile". 

E, dalla platea, furono applausi eleganti ma calorosi. 

Lei strinse la mano alla commissione e ai colleghi, poi si girò a sorridere al padre. Che orgoglio.

Emma Strada – figlia di Ernesto Strada, ingegnere abile e uomo progressista –, il 5 settembre del 1908, presso l’Istituto Superiore Politecnico di Torino, venne proclamata ingegnere. Massimo dei voti, terza del suo corso, fu la prima ingegnere donna d'Italia e una tra le prime d'Europa.


Un altro dei miei racconti pubblicati sul quotidiano online TorinOggi.
Racconti in cui eventi davvero avvenuti nella mia città si michiano con la leggenda popolare e la mia fantasia.

Buona lettura...

La sera, l'aria di aprile, era ancora freddina e Maria aveva avvolto la figlia che teneva in braccio in uno spesso scialle. 
Giovanni, che le camminava accanto, stringeva la mano del loro primogenito di 5 anni appena compiuti.

"Dove andiamo papà?" chiese il piccolo. 
"Al circo" 
"E chi è Circo?" 
"Uno spettacolo da restare a bocca aperta!" 
"Davvero????" 
"Si sì" 
E il bimbo sorrise con gli occhi pieni di curiosità e i piedini che macinavano veloci sullo sterrato. 

Intanto, mentre il tendone si riempiva di curiosi per il grande evento, i cavalli battevano gli zoccoli nervosi sul terreno e gli artisti si preparavano nei carri. 
William s'impomatava i baffi e, con alcune forcine, fermava saldamente il suo bel cappello. 
"Tatanka, are you ready, sei pronto?"

Continua sul sito ufficiale del giornale...
Lampioni innamorati (foto di Vallesilvia17)

In occasione di San Valentino (sì, qualche giorno fa) per la mia rubrica su TorinOggi (Storie sotto la Mole) ho scritto un racconto dedicato a un coppia torinese. 

Una coppia come tante, potrebbero essere i nostri genitori o anche i nostri nonni, che hanno percorso la vita e la città tenendosi per mano e facendo delle gran passeggiate.

Buona lettura!

Luisa e Marco s'incontrarono per la prima volta a scuola. La scuola elementare Federico Sclopis in via del Carmine 27. Non erano nella stessa classe perché allora maschi e femmine stavano ancora divisi. 

Lei aveva solo sette anni quando una compagna dispettosa le strappò il nastro dai capelli. Lui ne aveva 9 e, per non farla tornare a casa in lacrime, rincorse la ladruncola per tutta piazza Statuto e alla fine recuperò il mal tolto. Luisa lo ringraziò disegnando un fiore sulla polvere della strada. 

Quando la scuola venne bombardata, entrambi dovettero interrompere gli studi. Marco li riprese poco dopo. Luisa, invece, rimase a casa rassettare e cucire con la madre. 

Marco amava la geografia. "Quando ci sposiamo ti porto a Parigi" le disse quando andarono per la prima volta a passeggiare al parco del Valentino.

Continua...

L’immagine, che ritrae il parco del Valentino sotto la neve, è opera di Uccio “Uccio2” D'Agostino


Il 13 gennaio del 1985 l'Italia fu coperta dalla neve. A Torino non si registrarono dei veri e proprio record ma, noi bambini sabaudi dell'epoca, quella nevicata ce la ricordiamo ancora. Ed, io, per festeggiare l'anniversario ne ho scritto un racconto su TorinOggi.
Buona lettura!


Erano finite da poco le vacanze natalizie, il presepe era stato smontato e messo al sicuro in cantina, mentre un rametto di vischio restava ancora appeso al lampadario dell'ingresso. 

Io ero appena tornato da scuola e, dopo aver mangiato di corsa, mi ero precipitato in cameretta a giocare con uno dei doni che Gesù Bambino mi aveva lasciato quell'anno, una macchinina telecomandata che era una vera bomba! 

"Vai a fare i compiti!" mi aveva inseguito mia madre, entrando in camera con le mani sui fianchi e l'aspetto minaccioso. Solo a quel punto avevo alzato lo sguardo e l'avevo visto, l'avevamo visto entrambi. Il cielo si era fatto bianco. Io lasciai perdere la macchinina e appiccicai la faccia al vetro della finestra. Mamma mi fu subito accanto, “È arrivata anche qui" la sentii dire.

Continua...


Questa settimana, per il quotidiano online TorinOggi, ho trasformato in un breve racconto una voce che gira da sempre tra i portici della mia città: una volta, nei numerosi sotterranei presenti tra i diversi palazzi del potere, un gruppo di alchimisti tentò di generare la pietra filosofale. Andò bene? Probabilmente no.

Buona lettura...

Da anni ormai, un ristretto gruppo di alchimisti si ritrovava nel ventre della città per compiere i propri esperimenti. 

Trascinavano su e giù per le scale pesanti tomi, delicati alambicchi ed enormi calderoni, si confrontavano e cercavano di aiutarsi l'uno con l'altro per trovare, al fine, l'agognata soluzione. 

Al capo di questa schiera di dotti si trovava Mastro Giovanni Dal Capofino. Un uomo dalla candida barba lunga fino i piedi e la schiena curva. Egli aveva dedicato l'intera vita a un unico scopo, il cui raggiungimento gli pareva ogni giorno più vicino. 

"È quasi giunto il momento", diceva ormai con molta frequenza ai suoi colleghi, "ancora poco, anzi pochissimo e saremo al fin in grado di creare la pietra filosofale". "Saremo ricchi", rispondevano entusiasti i più giovani. "Il Regno lo sarà", diceva Giovanni. "Vivremo per sempre". "E il Regno vivrà".

Continua...


Torna la mia rubrica sul quotidiano online TorinOggi: Storie sotto La Mole. Racconti ispirati ai millemilioni di leggende ambientate a Torino.

Questa settimana è la volta di quel torinese che trasformò la sua casa in una reggia grazie al gioco del Lotto e a una rondinella.

Buona lettura!

Una porta nuova.
"Il dottor Caramagna, ha vinto al lotto" diceva la dirimpettaia.

La pittura fresca.
"Caramagna ha indovinato i numeri un'altra volta" bisbigliavano le lavandaie con i panni in bilico sulla testa.

Cento e più candele.
"10, 14, 59,67,90... Tutti e cinque i numeri ha preso" raccontava il fornaio con la faccia sporca di farina e l'animo di gran invidia.

Un tappeto arrivato da lontano.
"Cinque volte"
"Cosa?"
"Le ho contate, ha vinto cinque volte dall'inizio dell'anno" sussurrava la perpetua all'orecchio dell'acquaiolo.

Un vaso da Venezia, dei piatti dal Regno dei Borboni, un trumeau dall'altra parte delle Alpi.
"Ormai si è fatto una casa come quella di un conte" borbottava il parroco.

Continua...

Questa volta il mio racconto su TorinOggi non parte da Sotto la Mole ma decisamente più in là.

Ero al fiume con i miei animali quando li vidi per la prima volta. Attraversavano il paese guardando in giro curiosi e conversando tra loro con parole a me ignote. Avevano la pelle scura, i capelli ricci e gli occhi neri come il carbone. 

I bambini li guardavano curiosi, gli uomini impugnando i loro strumenti di lavoro, le donne attraverso le finestre, ben nascoste nelle capanne. 

Io all'epoca ero solo un ragazzo e in me la curiosità ebbe la meglio sulla paura. Mi avvicinai, mentre il più piccolo dei miei vitelli mi seguiva fedele come un cane. 

In questo gruppo di forestieri dall’aspetto esotico, se ne distinguevano alcuni dagli abiti preziosi. Uno di loro, invece, aveva l'aria familiare e fu a lui che mi accostai.

Continua...
Per il mio periodico racconto su TorinOggi, questa volta non ho scelto una leggenda locale ma mi sono ispirata ai miei ricordi d'infanzia. Ricordi che sono miei e di tanti, tantissimi bambini vissuti tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80.


Un’estate qualsiasi a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80. 
31 luglio. 10 di sera. 
Quartiere Mirafiori. 
FIAT. Corso Tazzoli. Porta 1. 

Gli operai escono di corsa dal secondo turno. Sono uomini e donne pronti a godersi le meritate vacanze.

Alcuni trovano già la famiglia ad attenderli fuori. Gli uomini: il portapacchi carico di valige, i bambini che saltellano eccitati sul sedile posteriore, le mogli indaffarate tra panini farciti e uva già lavata. Le donne: i mariti pronti al volante con il termos pieno di caffè. 

“Papà”, sbadiglia Marco in pigiama e scarpe da ginnastica. 
“A che ora arriviamo da nonna?” 
“Domani” risponde il padre, già diretto verso la tangenziale. 
“Ti ho preso anche il cuscino, dormi tesoro”, gli accarezza il viso la madre, sporgendosi in dietro senza l’intralcio della cintura di sicurezza, il cui obbligo è ancora da venire. 

Continua...


Continua la mia raccolta dei "misteri" torinesi. Li trovo, li trasformo in racconto e li scrivo su Torino Oggi. 

Questa volta si tratta del fantasma di una donna dal cuore spezzato.

Buona lettura.


Elena Matilde: la sposa infelice di via delle Orfane. 
Uno dei fantasmi più conosciuti della città di Torino è quello che si aggira per i corridoi di Palazzo Barolo
Quando quella mattina mi sposai in duomo, mai avrei pensato che la mia vita sarebbe finita così. 

Mi ero messa il vestito più elegante che avevo, non era nuovo ma l'avevo messo una sola volta. "Perché fare inutili sprechi?" aveva detto papà e io gli avevo dato retta, ovviamente. Poi la mamma mi aveva appuntato una sua spilla preziosa sui capelli. "Questa te la regalo" mi aveva sussurrato con tenerezza.

A me non importava nulla dell'abito, usato o meno, l'importante era indossarlo per sposare il mio amato Gerolamo. Cugino e promesso sposo praticamente dalla culla, mi ritrovai di fronte a lui e al vescovo con il cuore che mi batteva all'impazzata. Il mio amore era così elegante, e così dolce con quel suo sorriso complice da ragazzino
.

Continua... 



Continua la mia rubrica periodica sul quotidiano online TorinOggi: Storie sotto la Mole. Racconti dedicati alle leggende di Torino. Questa volta è il turno di Nostradamus e della sua leggendaria visita in città. 
Il medico entrò nella sala seguito da un servitore sollecito. Avvolto nella sua palandrana scura incuteva una certa naturale reverenza e altrettanta curiosità. Era stato chiamato dalla Francia ed accolto con tutti gli onori dovuti a un uomo della sua fama. 

Attese seduto su una comoda poltrona. Su un tavolino un bicchiere di vino e dei piccoli dolci. “Desiderate altro?” chiese il servitore. Lui si limitò a un cenno di diniego con il capo. Troppo preso com'era da alcuni fogli che teneva sulle ginocchia e leggeva e rileggeva. Una parte delle sue Profezie, ancora in essere.

Continua...

La 127 verde prato arrancava su per la collina. Giovanni era andato al Sant’Anna a prendere Lucia e il loro piccolino appena nato.

La strada era scivolosa a causa della neve caduta pochi giorni prima, spifferi di aria gelida entravano nell'abitacolo, mentre le ombre si allungavano e il sole si preparava a tramontare.

Lucia, stretto il piccolo in una copertina, tremava per il freddo ma anche per la paura, "Sarà una brutta notte" disse fissando il tetto della villa che s'intravedeva più su lungo la strada ...

Continua...

La splendida foto è di Alessandro Bonvini, CC BY 2.0.
E il mio racconto continua sulle pagine di TorinOggi.
Io, ogni due settimane, racconto Torino. La racconto proprio. Scrivo racconti dedicati alla città, alla sua storia e a i suoi miti. E cosa c'è di più mitologico del gianduiotto?

L'atmosfera in città era mogia. Il meraviglioso profumo proveniente da tutte le pasticcerie era sempre meno forte.
"Potremmo fare i cioccolatini più piccoli" proponeva il garzone di bottega.
"Più piccoli?"
"Sì, più piccoli sono e meno cacao ci vuole"
"Non sarebbe una soluzione, purtroppo. I nostri clienti vogliono riempirsi la bocca con vere prelibatezze, non stuzzicarsi l'appetito con piccolezze che finiscono prima ancora che ne abbiano apprezzato il sapore" rispose Michele Prochet, abile cioccolataio ammirato in tutta la città.
"Ha ragione, Maestro. Accidenti a quel nano prepotente francese, è tutta colpa sua!"
Il brevilineo francese in questione era nientepopodimeno che Napoleone Bonaparte. 

Continua...

Continua il mio sodalizio con il quotidiano TorinOggi.

Rio de Janeiro, 2 dicembre 1940. Giulia osservava il profilo del marito, mentre lui era intento a leggere chino sulla scrivania. I capelli, negli ultimi anni, gli si erano fatti più radi ma il suo spirito era rimasto sempre lo stesso, non era stato cambiato da nessuno degli incredibili avvenimenti che avevano caratterizzato gli ultimi 24 anni della sua vita.

Era il 1916 inoltrato, vivevano ancora a Verona, quando era arrivata a casa loro quella lettera. Quella lettera maledetta che li avrebbe separati per la prima volta nella loro vita e che rischiava di tenerli distanti per sempre. Loro che si conoscevano fin da bambini. Loro che si erano sposati giovanissimi e avevano sempre condiviso tutto.

“Richiamato in servizio”. Era questo ciò che diceva la missiva. Il Regno richiamava in servizio il professor Giulio Canella. La Grande Guerra continuava sanguinosa e il fronte richiedeva sempre nuovi uomini. "Promettimi che tornerai" gli aveva chiesto lei sulla porta. "Se Dio vorrà", le aveva risposto lui.

Giulio era partito, lasciandola a casa giovane e già madre di due bimbi. Il tempo era passato, la guerra era finita. Vicini, amici e parenti erano tornati, chi tutto intero, chi ammaccato, chi con i piedi in avanti. Giulio però no.

“Disperso sul fronte Macedone, a seguito di un'imboscata sulla collina di Bitola”, si leggeva nei documenti ufficiali. "Disperso, che è persino peggio che morto, non ti puoi neanche rassegnare", dicevano tutti. "Disperso, posso continuare a sperare" pensava Giulia.

E la sua speranza, contro ogni logica e buon senso, venne soddisfatta il 6 febbraio del 1927. Quando vide il viso del suo amore sulle pagine di un giornale. “Chi lo conosce?” chiedeva la didascalia.

Continua...


Vi svelo un segreto: sulla mia libreria troneggia un ritratto di Dickens. Ogni volta che comincio un laboratorio di scrittura con un nuovo gruppo lo mostro, e racconto il suo modo di "gestire" e considerare i personaggi dei suoi racconti. 
Quindi lo leggo, lo amo e lo considero un punto di riferimento.

Dovendo scrivere un racconto natalizio ambientato a Torino ho deciso di giocare, prendere il suo Canto di Natale e trasferirlo sotto la Mole.
Una dichiarazione d'amore a Dickens, un esercizio di stile, un gran divertimento.

Buona lettura!

Il vecchio Pietro Taccagni stava tornando a casa. La città era ricoperta da un sottile strato di neve e l'aria era gelida. Ma a lui non importava, dato che il suo cuore era più freddo ancora, così come la sua anima. 
Le finestre dei palazzi svelavano scene di famiglie festose e alberi addobbati. "Che ci troveranno tutti in questa festa?" si chiedeva tra sé e sé l'anziano commerciante. "E che avranno da festeggiare? Più sono poveri e più gioiscono, manica di folli! Il Natale non è altro che un giorno di scadenze quando non s'hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un'ora più ricchi!" borbottava, profondamente infastidito dal fatto che, ogni anno, i suoi dipendenti pretendessero di stare a casa per le feste. “Pigri, vogliono fare la bella vita a mie spese!” ringhiava a denti stretti. Poi, lanciando uno sguardo in tralice alla Mole, illuminata da giorni per l'occasione, "Che spreco di soldi e watt!", gridò e prese a camminare reggendosi al bastone.
Continua...


BUONE FESTE!!!!

“Dove sei? Vieni qua!” urlava al culmine della rabbia il tesoriere del Re, passando da una stanza all'altra della sua ricca dimora. 

Era fuori di sé dalla rabbia. Aveva svolto il suo lavoro fedelmente per dieci anni e ora veniva accusato di furto. “Un ladro? Lui? Ma come si permettevano?” Tutto ciò che aveva preso, tutto il denaro che aveva sottratto gli apparteneva. Di diritto. Lui lavorava duramente. Lui meritava una giusta ricompensa. Ecco cos'era: solo una ricompensa, non un furto. 

Ma, evidentemente, quel “bamboccio del Re” era stato malconsigliato. Qualche invidioso gliel'aveva messo contro e ora lui, il tesoriere, rischiava di perdere ogni cosa. “Confisca di tutti i suoi beni” diceva l’ordine reale. Tutti i suoi beni. Compresa la sua dimora, la splendida villa nel parco. 

“Dove sei? Vieni qua!” le guardie bussavano alle porte ma lui non aveva tempo di rispondere, doveva cercare lei. Josephine, la sua amata. Gli avrebbero tolto tutto ma non lei. “Tu verrai con me!” le aveva urlato e lei aveva scorto nello sguardo di lui l'inizio della follia e, per questo, era corsa a nascondersi...

Continua...


"C'è la fila", disse frate Elmo rivolto al suo confratello Pasquale Baylòn. 
"Cosa?" 
"C'è la fila. Si vogliono far tutte confessare da te. Eppure non sei mica tanto bello" concluse ridendo mentre don Baylòn si avvicinava alle donne in attesa. 
Tra queste c'era Maria la sposina, Sara che voleva il terzo pupetto da un po', e persino Marta, la perpetua di Don Carlo. 

Frate Pasquale Baylòn era arrivato dalla Spagna da pochi mesi. All'inizio aveva faticato a farsi apprezzare dai fedeli, un po' a causa del carattere riservato dei torinesi, un po' a causa delle difficoltà con la lingua, un po' a causa del gratuito sospetto riservato spesso agli stranieri. Le persone non si fidavano di lui e, quando venivano al convento, per una confessione o un semplice consiglio, preferivano aspettare ore che si liberasse qualcun altro, piuttosto che dare retta allo "spagnolo". 

Le cose erano proseguite così per settimane e il frate, essendo un uomo molto saggio, si era limitato a mettersi nelle mani del Signore e attendere che, col tempo e la pazienza, qualcosa mutasse. E il Signore, dal canto suo, una mattina aveva ricambiato tanta fiducia mandandogli in visita la povera Bettina...

Continua...


I più attenti di voi lo sanno, da un paio di mesi scrivo racconti sulle leggende torinesi. Finora ero partita da leggende conosciute per poi farne una mia versione, questa volta invece la storia l'ho inventata di sana pianta. Poldo e Dorabella sono un parto della mia fantasia.
Ed ecco la loro storia...

"Sono stanca di aspettare", diceva Dorabella, battendo il piedino nervoso sul selciato.
"Non sono ancora pronto", borbottava Poldo, passandosi la mano tra la folta barba.
"Io sto sfiorendo nell'attesa che tu ti senta sufficientemente maturo".
"Abbi pazienza cara, è che sono ancora così giovane."
"Guarda che la barba ti sta già diventando grigia, giovanotto."
"Ma che dici?" si allarmò Poldo, correndo a ispezionare il suo riflesso nella vetrina dell’elegante Caffè.
"Oh santo cielo, tu non sei giovane, sei solo un balengu!"

Si svolgeva, più o meno così, ogni pomeriggio l'appuntamento tra Dorabella e Poldo, fidanzati da una vita senza l'ombra del progetto di un futuro matrimonio.
"Come sei bella Dorabella mia, quando ci sposeremo..."
"Ma quando? Quando???" chiedeva lei esasperata.
"Il giorno che saremo tutte e due sotto lo stesso tetto..." la guardava con occhi sognanti lui.
"Ma quando? Quando???" chiedeva lei... e andavano avanti così ormai da anni. In centro li conoscevano tutti e li guardavano incuriositi. Erano uno spettacolo interessante: due tanto innamorati che, però, passavano il tempo a punzecchiarsi. Non potevano fare l'uno a meno dell'altra ma lei aveva sempre i capelli dritti dal nervoso e lui era terrorizzato dall’idea del matrimonio. E così passeggiavano sotto i portici e lungo le piazze di Torino tra un continuo tubar e pugnar, pugnar e tubar. 

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"Scappa scappa!" si sentiva urlare per le strade del villaggio. Il drago era nuovamente sceso dalle montagne appuntite e, spiegando le sue grandi ali squamose sopra la pianura, sputava fuoco su case e animali.

Gli abitanti, vittime delle sue scorribande da molti mesi, avevano ormai imparato a prevedere il suo arrivo grazie al cambiamento del vento. Appena l'aria calda cominciava a spazzare i prati, loro correvano a cercare riparo dentro le acque del grande fiume Padus. Si mettevano a mollo, in quella che ormai era diventata per loro fonte di vita e di salvezza, portando con sé le proprie bestie spaventate. E lì restavano, a battere i denti dal freddo, fino a quando il drago non si stancava di far danni e riprendeva quota verso il suo nido tra le montagne.

Poi, zuppi ma vivi, facevano ritorno a casa. Alcuni sospiravano di sollievo nel trovarla ancora integra, altri urlavano di disperazione di fronte a un mucchio di cenere...

Continua su TorinOggi...


Era stato un viaggio lungo, da San Pietroburgo fino a Torino. Lui, Aleksandr Michajlovič Beloselskij, sonnecchiava cullato dal dondolio della carrozza. Lei, Barbara Jakovlevna Tatisjtjeva, invece lasciava che gli occhi le si riempissero delle bellezze della nuova città.

Osservando gli edifici dalle linee pulite ed eleganti, lei si ritrovò a pensare a quando lui l’aveva chiesta in sposa. Ormai quasi sei anni prima, si era inginocchiato ai suoi piedi, le aveva baciato le mani candide e le aveva giurato "Ti farò vedere il mondo, uscire da questo palazzo per conoscere mille altri luoghi". Lei si era emozionata a quelle parole. Lui la conosceva. Lui sapeva quanto soffrisse una vita priva di libertà e curiosità, chiusa nella ricca dimora di famiglia con l’unica possibilità di farsi raccontare dagli altri cosa succedesse davvero nel mondo.

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È con una gran quantità di orgoglio e di molesta euforia che vi presento un mio nuovo progetto: Storie sotto la Mole. 
Una nuova rubrica ospitata dal quotidiano online Torino Oggi. Per questo giornale già svolgo il ruolo di redattrice cultura, e infatti ho anche condiviso alcuni articoli su questo blog, ma in questo caso si tratta d'altro. 

Sguazzavo nel mare di Gallipoli, lontana da casa, quando ho avuto l'idea: scrivere racconti dedicati alle storie, vere o leggendarie, che appartengono alla mia sabauda città. Se c'è qualcosa che mi piace fare è scrivere racconti, se c'è un luogo che amo particolarmente è proprio Torino. Quindi ho lanciato la proposta e questa, con mio sommo gaudio, è stata accettata. 

Oggi è il numero 0, l'esordio di questa nuova avventura e, per scaramanzia e buon auspicio, questo racconto è tutto una dolcezza...

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