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Io non lo so se sia una storia vera, l'ho trovata ripetuta in diversi siti online ma, ovviamente, potrebbe essere un'invenzione che, col passare del tempo, ha preso le sembianze della verità. 

Ora ve la racconto e sarete voi a decidere se crederci o meno. 

Innanzitutto, ve lo ricordate Indovina Chi? 
Quel gioco degli anni 80' che spopolava ovunque. Le facce dei personaggi erano conosciute da tutti, come il fatto che, se ti capitava una donna o un tizio senza capelli, non c'era possibilità alcuna che tu vincessi la partita. 

Ecco, sembrerebbe che a ideare questo gioco sia stata una coppia: Ora e Theo Coster. 
Lei, Ora, era molto brava a disegnare e, infatti, si occupò della grafica dei personaggi. 
Ora, tra le altre cose, per arrotondare collaborava con la polizia, facendo identikit di ricercati. E qua entriamo nella leggenda. Parrebbe, infatti, che, per sfornare i 24 personaggi del gioco, abbia preso a modello la realtà, partendo proprio dai ricercati. Quindi, tra quelle faccette, tra quei cappellini e quegli sguardi depressi si nasconderebbero delinquenti ma anche poliziotti e figure di spicco della comunità.

In pratica, a guardarli bene, i 24 soggetti sarebbero persone vere, con storie vere, alcune anche drammatiche. Ed è da questo che ho avuto l'idea per un nuovo esercizio di scrittura. Una nuova ispirazione per inventare una storia.

Qua in foto trovi alcuni dei personaggi più iconici e a questo link tutti gli altri. 

Tom, Robert, Claire, Anita. Scegli uno di loro e scrivi la sua storia. Vittima o carnefice, detective o sindaco, trasformati in biografo e racconta la storia che si nasconde dietro un'innocua caricatura.

Durante la mia vacanza parigina, per la prima volta, ho fatto un giro nella libreria Shakespeare & Co. 

Per chi non lo sapesse, si tratta di una libreria notissima, a pochissimi passi dalla cattedrale di Notre Dame, specializzata in letteratura in lingua inglese. Frequentata nei tempi andati da personaggi quali Ernest Hemingway e James Joyce, è diventata prima una meta obbligata per i lettori accaniti, ora più probabilmente una trappola per turisti. 

Io, in quanto lettrice e turista, ho ovviamente deciso di andarci. 

Ecco, Shakespeare & Co. sarà anche una trappola per turisti amanti della lettura, ma chi se ne frega? È una gran bella trappola! 
Un dedalo di sale e salette, un piano superiore delizioso, dove accomodarsi, importunare il gatto francese che ti guarda con quella tipica espressione da felino scocciato, sedie e divanetti dove sedersi a leggere, angoli appartati, macchine da scrivere e poi libri, libri, libri. 

Troppo affollata? Certo. 
Deliziosa? Absolutely! 

In questo trionfo di letteratura e comfort vecchio stile, mi sentivo orgogliosa mentre mi dirigevo verso la cassa con un solo libro tra le mani: “A Shakespeare Motley”, un viaggio illustrato attraverso il vocabolario shakesperiano, da “Actor” a “Zodiac” passando per “Hands”. Mi sentivo in gamba, avevo resistito alle sirene del consumismo. Sì, stavo acquistando un giocattolino letterario per appassionati spendaccioni, ma solo uno. Ero brava. Solo uno. Ecco, così pensavo avvicinandomi alla cassa, fino a quando non l’ho visto, proprio lì, civettuolo e irresistibile. “Orgoglio e pregiudizio”. Preziosa copertina rigida. Versione illustrata. In francese. Maledetti, maledetti maghi del marketing. Me l’hanno messo accanto alla cassa! Vabbè, però sono stata brava, comunque sono uscita da quella trappola per turisti topi di biblioteca con due soli libri. E una deliziosa shopper in tela. Non giudicatemi.

In un rovente maggio, a Torino è tornato il Salone del Libro. 

E, nonostante un torcicollo devastante che da qualche giorno mi fa indossare uno sciccosissimo collare, Marito ed io abbiamo affrontato il clima tropicale e siamo andati a fare un giretto al Lingotto. 

È stata la visita più rapida nella mia personale storia delle visite al Salone, andare in giro rigida come uno stoccafisso ha ridotto il piacere e quindi i tempi, ma ciò non ci ha impedito di tornare a casa con un discreto bottino. 

Dal Libraccio: 
- I Beatles – tutte le canzoni,
perché Marito è un grande appassionato dei ragazzi di Liverpool, 
- Il libro dei personaggi letterari di Fabio Stassi e Scrivere di Anne Lamott, 
perché io ho il feticcio della lettura, della scrittura e di tutto ciò che ci gira attorno. 

Da Sui Generis, Another Country di Julian Mitchell, perché è la casa editrice de Il Morandazzo e Marito e io ne conosciamo l'abilità nella scelta, la passione nel lavoro e l'innegabile mazzo che si fa da 7 anni a questa parte. 

E, infine, da Sefirot, Fabula Deck for Kids, perché non solo lavoro con loro ma sono una grande fan dei loro progetti. E sicuramente presto mi darò alla sperimentazione anche con questo prodotto dedicato ai bambini, perché in fondo, nonostante gli acciacchi da ottuagenaria, sono ancora una fanciullina. 
Incriccata ma fanciullina.

Perché sulle copertine di Harry Potter troneggia il nome J.K. Rowling e non Joanne Rowling? 

Non ve lo siete mai chiesto? 
Non importa, ve lo spiego lo stesso. 

Fu un’idea dell’editore che voleva camuffare un po’ il fatto che l’autrice fosse una donna. Prese questa decisione, convinto che gli autori uomini vendessero più delle donne e anche che, una storia che aveva come protagonista un ragazzino maschio, fosse destinata a essere letta solo da ragazzini maschi che, a loro volta, avrebbero preferito un autore maschio. 
Maschio l’ho già detto? 

In realtà, alla fine, Harry Potter si è rivelato un successo editoriale e culturale senza precedenti. Le vicende del maghetto sono state lette da ragazzini, ragazzine, adulti, bambini, anziani. E tutti ormai lo sanno, J.K. è Joanne, una donna. Che, tra l’altro, non ha nessun secondo nome: quella K di J.K. è un omaggio alla nonna Katherine. 
Un’altra donna, ovviamente.

Dopo Palais de Tokyo, più emozionante fuori che dentro, l’immancabile Louvre e la splendida Versailles, che giro canticchiando tutto il tempo “Grande festa alla corte di Francia c’è nel Regno una bimba in più…”, perché posso essere oltremodo molesta, chiedetelo a mio marito! 

Dicevo, dopo questi ultimi giri, è ora di lasciare Parigi e tornare a casa. 

Lasciare una Parigi soleggiata, bella e gentile. Dove i francesi parlano tranquillamente inglese (lo giuro) e i ragazzi si offrono di aiutarti a portare la valigia sulle scale della metro. 
Sarò strana io ma tutte le mie esperienze in Francia, dal sud al nord, dagli anni ’90 ad adesso, sono sempre state caratterizzate dall’incontro con persone sorridenti, educate e lontane millemiglia dallo stereotipo del francese snob. 
Sarà fortuna o il retaggio sabaudo che mi porto dietro, chi lo sa? 

Ma comunque, sempre, vive la France!

Pensieri sparsi emersi negli ultimi due giorni.

A Parigi chi annaffia le piante lo fa senza timidezza alcuna.  
Passeggi, pensi che stia iniziando a piovere e poi scopri che no, non è il meteo fetente ma il tizio tre piani più su che dà l'acqua ai gerani. 
Una, due, tre volte, in diversi giorni e diversi quartieri della città. L'esperienza empirica pare suggerire che i parigini se ne fottano di chi passa sotto i loro balconi. Difficile stabilire se si tratti proprio d'indifferenza o addirittura di sadismo.

Al museo d'Orsay, di fronte all'autoritratto di Van Gogh, i turisti vengono colti dal medesimo disturbo del comportamento che caratterizza i turisti di fronte alla Gioconda. Non guardano il quadro ad occhio nudo, non sia mai! Si mettono in fila e poi lo fotografano, ignorando volutamente l'esperienza diretta per una brutta documentazione da dimenticare nel proprio cellulare.

Parigi è invasa da enormi orsi di peluche. 
Mi sono documentata: il fenomeno pare aver avuto inizio del 2018. Li trovi seduti ai tavoli dei ristoranti o nelle vetrine dei negozi. Impossibile non amarli con trasporto. 

Gli studenti della Sorbonne hanno le stesse facce e fanno le stesse pause pranzo di tutti gli studenti universitari del mondo. Il che, ne converrete con me, è di gran consolazione. 

Il Croque monsieur meriterebbe di essere importato anche in Italia. Non sarò l'unica a pensarlo? 

Ps: non metto foto illustrative ma questa perché mi piace.

Ieri abbiamo dedicato la giornata a una boulangerie, un mercatino delle pulci e il centre de Pompidou. 

La prima per fare una colazione dolce al volo, alla faccia dei ristoranti vietnamiti. 

Il secondo, quello di Saint-Ouen per la precisione, perché Marito potesse sfogare la sua passione per i vinili. Abbiamo passato le ore tra antiquariato, arte contemporanea, modernariato, un cacciatore di autografi, un collezionista di puffi, poster di moda, tappeti e poi mille milioni di rivenditori dischi. 
Mentre Marito ampliava orgoglioso la sua collezione, io gironzolavo tra i mobili con Edith Piaf di sottofondo e i proprietari che mi salutavano "Bonjour Madame" "Au revoir Madame". Che c'è poco da fare, il "Madame" francese ti fa sentire subito Catherine Denueve, mentre il nostro "Signora" fa millenaria a cui cedono il posto in autobus. 

Il Centre de Pompidou è stata la nostra meta pomeridiana. 
Marito e io, durante i diversi viaggi, abbiamo sviluppato una collezione di musei di arte moderna e contemporanea che abbiamo molto amato, alcuni scoperti per caso altri con cognizione di causa. Come il Berardo a Lisbona e il Mass Moca in Massachusetts, per dirne due. Quindi non ci siamo potuti esimere da una visita al Pompidou per poi svaligiarne lo shop. Perché io non lo so se esistono le anime gemelle o cose così, ma trovare qualcuno con cui condividere le stesse passioni e scegliere senza difficoltà le stesse mete in vacanza è di certo una gran cosa.

Ieri abbiamo iniziato la giornata con una colazione francese... In un ristorante vietnamita. 
Il cappuccino faceva schifo e il conto era una rapina a mano armata, ma chi l'avrebbe mai detto! 

In compenso il pain au Chocolat era buono. Quello è sempre buono. Amo i francesi e la loro relazione passionale col burro. 

Ieri era domenica e pure il primo maggio, musei e molte attrazioni erano chiuse, e così noi ci siamo lanciati in una passeggiata lungo la Senna. 
Km dichiarati dalla guida: 16. 
Km percepiti da noi: all'anima chitemmuort! 

Dopo tutta la scarpinata che, comunque, per la cronaca, è stata molto bella, Marito e io abbiamo deciso di tornare in camera un paio d'ore per riprenderci. 
"Tu riposi e io lavoro" gli ho detto con fastidiosa sicumera. 
Un minuto dopo stavo russando come uno scaricatore di porto alcolizzato. 

Abbiamo chiuso la serata con un giro tra le viuzze del quartiere latino fino all'imponente Notre Dame, ancora parecchio acciaccata ma sempre affascinante. E di sera ancora di più! 

Poi, con questi 30 000 passi in saccoccia siamo nuovamente svenuti in camera. 
"Non sopravviveremo" ha detto Marito, un secondo prima di perdere i sensi. 
"Forse ma moriremo con dei glutei di marmo!" gli ho risposto io.

Sono tornata a Parigi dopo 20 anni dalla mia prima visita. 
All'epoca faceva freddo e feci il viaggio di ritorno con la febbre a 40 e le placche in gola, resa completamente inabile dagli spietati germi francesi. 

Questa volta fa caldo ma lungo i tunnel della metro si creano delle gallerie del vento, che levati proprio. Inoltre, è ancora in corso una pandemia mondiale quindi... chissà se questa volta tornerò! Ma voglio essere ottimista: Parigi è bella come sempre ed è ora di godersela.

E d'imparare a farsi i selfie come si deve.
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