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"Ogni volta che mi gridava contro, ogni volta che mi strattonava, ogni volta che mi offendeva, ogni volta che mi lasciava perché non rispecchiavo i suoi canoni intellettuali, colpevolizzavo me stessa", Anna racconta così la sua storia di abuso psicologico, nel quarto episodio del podcast True Colors.

In questo episodio potrete ascoltare: la testimonianza di Anna attraverso la voce di Olivia Manescalchi; le riflessioni di Giustiniano La Vecchia; le letture di Francesca Melis e Gianni Gaude; i brani composti e interpretati da Mario Rosini.

Spotify: https://bit.ly/LaStoriaDiAnnaPod

Spreaker: https://www.spreaker.com/user/giustiniano/puntata-4-anna

True Colors è ideata e prodotta da Giustiniano La Vecchia e Gianni Gaude, con la collaborazione di Mario Rosini, Francesca Melis e Rossana Rotolo (me medesima).

Con True Colrs vogliamo contribuire e sostenere la Fondazione Villa Gaia di Isa Maggi, una casa per ospitare donne vittime di violenza. 
Se sei interessata o interessato a contribuire alla nascita di Villa Gaia dona su: 
Fondazione Villa Gaia C/C Banca Etica 
IBAN: IT54G0501801600000016908485 

Noi crediamo molto in questo progetto, se ci credi anche tu, per favore condividi!

"Da parte sua c’era il desiderio di un controllo totale sulla mia vita. Non potevo più uscire, né con le mie amiche, né con le mie sorelle o semplicemente con i miei parenti. Anche una semplice spesa con mia madre poteva essere motivo di recriminazioni. Iniziò a controllare i km che percorrevo in macchina e pretese di sapere le password della mia posta elettronica. Ogni aspetto della mia esistenza era vagliato da lui, nulla doveva sfuggirgli." 

La mania del controllo, questo è uno degli aspetti che più emerge dalla storia di Irene. La protagonista del terzo episodio del podcast True Colors.

Il progetto – a cui collaboro anch'io – nato per raccontare le storie di ordinaria violenza in Italia e in tutto il mondo, contrastare gli stereotipi di genere e promuovere il diritto per le donne a una vita senza violenza.

Il podcast è disponibile su due piattaforme: 

SPOTIFY⁣⁣⁣ https://open.spotify.com/episode/14Wwo84QWVkphjTZ0DtJlE?si=6PDGUnGbTxGu7RvdMeLuSA

SPREAKER https://www.spreaker.com/user/11403710/true-color-puntata-3-mix

True Colors sostiene la Fondazione Villa Gaia di Isa Maggi. 
Se volete contribuire alla nascita di Villa Gaia, una casa per ospitare donne vittime di violenza, potete donare su: 
Fondazione Villa Gaia Onlus 
IBAN: IT54G0501801600000016908485 

Buon ascolto.

Noi crediamo molto in questo progetto, se ci credi anche tu, per favore condividi!

Siamo ormai verso la fine di luglio e il Laboratorio Condiviso di Scrittura si prende una meritata vacanza. Ma non temete, ho preparato per voi i compiti da fare o, meglio, un solo compito da fare.

Vi ricordate i bei tempi andati quando la maestra vi lasciava come compito il diario delle vacanze? Un quadernetto da riempire di pensieri, descrizioni delle vostre avventure al mare, dei giochi con gli amici, dei lunghi viaggi in auto con mamma e papà? Ecco, anche io quest'anno vi lascerò da fare il diario delle vacanze ma non ci vorrà un quaderno intero, basterà una pagina.

Una pagina da riempire con ciò che preferite: cronache o fantasie. Una giornata sugli scogli liguri, un litigio col fidanzato mangiando una piadina, una traversata in traghetto verso la Grecia. Scrivete ciò che vi pare, che sia vero o di pura fantasia. Avete massima libertà, cioè, quasi. In effetti c'è una cosa che vi chiedo: scrivetelo come se foste un bambino o una bambina di 9 anni. Non sarà un problema, no?

Avete tutta l'estate per farlo, o quasi. La scadenza per questo esercizio è fissata per domenica 6 settembre alle ore 12.

Buone vacanze e scrivete, mi raccomando!

Tipo di testo: diario personale. 
Lunghezza testo: libera. 
Email: janecole@live.it. 
Oggetto: laboratorio condiviso di scrittura. 
Specificare nel testo dell’email se volete restare anonimi o meno, se volete essere taggati (su FB) o meno. Scadenza per far pervenire il testo: domenica 6 settembre 2020, ore 12.

Volete leggere i Diari nati da questo esercizio? Li trovate qui.

Ci lasciamo l'amata New York alle spalle e partiamo per la capitale, mezzo scelto: treno.

Mentre marito sonnecchia, io studio la guida e scopro che Washington è nata dal nulla, progettata sulle sponde del fiume Potomac per essere la grande capitale di una grande nazione. Scopro anche che, a parte le zone centrali e più prestigiose, non è certo famosa per la sua sicurezza. Infine che, data la sua posizione geografica, d'estate ci fa un gran caldo, con un clima definito addirittura, tropicale. "Esagerati!" penso io.

Arriviamo a Washington: fa un caldo porco!

Il nostro albergo si trova nella zona delle ambasciate. Alla reception, oltre l'acqua, ci sono i pop corn disponibili per gli ospiti. L'acqua c'era anche nell'albergo di New York ma i pop corn, i pop corn?!? Magari non lo sapete ma poche cose al mondo mi piacciono quanto i pop corn. Cioè, per farvi capire, tra una ciotola di pop corn e una stecca di cioccolato, io vado per la ciotola; tra una ciotola di pop corn e una di gelato, io vado per i pop corn; tra una ciotola di popcorn e un piatto di bucatini all'amatriciana io vado... beh io vado per i bucatini, non esageriamo ora!

Comunque quest'albergo, elegante e colorato, con questa mossa di marketing-coccola mi conquista subito. Come la signora alla reception, tanto carina ed educata, che parla, parla, parla. Noi annuiamo. Abbiamo capito tutto, più o meno. Poi saliamo in ascensore, schiacciamo il pulsante del nostro piano. L'ascensore non parte. Rischiacciamo. Nulla. Iniziamo a brontolare "Ecco, tutto figo, ma l'ascensore è rotto, che cazzari". Sale un altro ospite. Ci guarda. Noi lo guardiamo. Lui ci riguarda. Noi lo riguardiamo. Lui ci guarda un'altra volta. Noi sorridiamo, fingendo sicumera ma ormai la nostra espressione è universalmente catalogabile come "Non ci stiamo capendo un cazzo". Lui la riconosce quindi prende la tessera della sua stanza, l'inserisce in una fessura e schiaccia un pulsante. L'ascensore parte. Ops!
"La prossima volta ascolta quello che dicono alla reception, invece di trafficare col cellulare" sibilo a marito.
"La prossima volta ascolta tu, invece di fiondarti sui pop corn" risponde lui, mentre io già mi pento di non averne mangiati altri "Dici che ne posso prendere anche quando usciamo o pare brutto?"

Washington è un grande museo a cielo aperto, una celebrazione alla grandissima dei grandi Stati Uniti. C'è il monumento dedicato a Thomas Jefferson, una sorta di tempietto laico; quello famosissimo a Lincoln, dove lui ti guarda dall'alto con il suo storico cipiglio; la Casa Bianca, che si guarda da lontano, mooolto lontano; il Campidoglio, incredibilmente maestoso; il muro per i caduti in Vietnam, con tutti i nomi incisi e i registri consultabili per trovare il proprio caro perduto; le statue per quelli in Corea, ritratti proprio come se fossero in missione nella natura fitta; e poi, ovviamente, l'obelisco dedicato a George Washington. Quello di Indipendence Day, oltre che di altre migliaia di film catastrofici. Tanto che mentre lo guardo il mio primo pensiero è: "Siamo nel posto peggiore al mondo nel caso ci sia un'invasione aliena, speriamo che vada tutto bene". 
Va tutto bene. 
Ci sono solo due piccoli problemi, insignificanti, che ci danno noia durante i pochi giorni trascorsi nella capitale: lo spazio e il tempo. Ossia i km da percorrere tra un'attrazione e l'altra, e le variabili quanto estreme condizioni meteorologiche.


Washington, come dicevo, è stata costruita dal nulla per essere una capitale, per essere un luogo di celebrazione. Quindi in centro città hanno pensato bene di realizzare il National Mall, un parco enorme punteggiato dai grandi monumenti eretti in onore degli uomini che hanno fatto grande la nazione: presidenti, padri della costituzione e soldati caduti in battaglia. Quindi tutto ciò che vi ho nominato precedentemente, e molto altro, si trova spalmato all'interno di questo parco. Monumenti distantissimi l'uno dall'altro, raggiungibili solo tramite eterne camminate sotto il sole cocente. Ed ecco il secondo problema: a Washington cammini come un dannato sotto un sole che ti uccide e, se non c'è il sole, c'è un'afa che ti soffoca, preludio crudele di una pioggia torrenziale, che arriva a breve sbatacchiando l'ombrellino – che con tanto amore ti sei comprata a New York – come una foglia al vento.

Il punto più alto, o più basso, della fatica lo raggiungiamo al Cimitero nazionale di Arlington, che io insisto per visitare per poter vedere la tomba di John Fitzgerald Kennedy. Là turisti, americani e non,  strisciano per le verdi colline, punteggiate da migliaia di lapidi bianche, e mentre sopraffatti dall'umidità sudano come ramarri, perdendo l'80% dei liquidi corporei, iniziano a considerare la morte come una liberazione più che una condanna. Mi rendo conto che è altamente irrispettoso pensarlo all'interno di un cimitero ma vi chiedo di apprezzare quanto meno l'onestà di questa mia cronaca.
Al contrario, stiamo un gran bene al National Air and Space Museum, museo dell'aviazione e dello spazio, dove si entra gratis e si va dai fratelli Wright fino agli shuttle. Perché noi, bambini negli anni '80, apparteniamo a quella generazione che ha sognato, almeno una volta nella sua vita, di diventare astronauta.

Washington è una città davvero strana, imponente ma con angoli importanti di povertà, un'esibizione di forza e potere che non è in grado di nascondere, ma anzi esalta, le contraddizioni della nazione. Ricchi e poveri. Multilaureati e analfabeti. Americani e immigrati. 
Vedi il Campidoglio e ti rendi conto che questo paese era destinato ad essere quello che è diventato, ne aveva i mezzi ma, soprattutto, l'ambizione. Qual è la prima versione del sogno americano? Il sogno di una nazione di dominare il mondo. O di "esportare la democrazia", come tanto piace dire a loro. Washington è un'affascinante celebrazione con i suoi lati oscuri. Una città in grado di raccontare molto della complessa nazione che rappresenta.

Dopo due giorni rifacciamo le valige. Domani ci aspetta la macchina che abbiamo noleggiato per cominciare la parte on the road del nostro viaggio.

Continua...

Prologo, Partenza, New York – Prima Parte, New York – Seconda Parte

E tu sei mai stato a Washington? Condividi!

È disponibile la seconda puntata della serie di podcast alla cui realizzazione sto partecipando anch'io. Insieme a Giustiniano La Vecchia, Gianni Gaude, Mario Rosini e Francesca Melis.

Protagonista di questo episodio è Viola, la cui storia ci è raccontata dalla voce di Monica Battifollo. La storia di un amore tossico che ti toglie tutto, anche il rispetto di te. E che solo un amore ancora più grande, quello per la propria figlia, è riuscito a sconfiggere e a mostrare per quello che era: violenza e sopraffazione.

Potete ascoltare il podcast su 

SPREAKER https://www.spreaker.com/user/giustiniano/true-colors-seconda-punt-viola

SPOTIFY https://open.spotify.com/episode/1BWr3JGkESpekiFec8KB16

True Colors sostiene la Fondazione Villa Gaia di Isa Maggi. Se volete contribuire alla nascita di Villa Gaia, una casa per ospitare donne vittime di violenza, potete donare su: 
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Un libro, una trasmissione televisiva, un cantante, qualcosa che leggiamo, vediamo, ascoltiamo con passione, pur essendo consapevoli della sua oggettiva scarsa qualità artistica/intellettuale. Questo è un guilty pleasure. Qualcosa che in teoria non ci dovrebbe piacere ma che ci piace. Ce ne vergognano pure ma ci piace, ci piace tanto. 

Una debolezza.

Qualcuno di voi, ad esempio, si sarà letto tutti i libri di Stephenie Meyer. Vi vedo, vergognatevi! Io no, io mi sono vista tutti gli episodi di Glee. In streaming, uno dietro l'altro, quando avevo già quasi quarant'anni, tra l'altro.

Conoscete Glee, no? Il telefilm americano andato in onda dal 2009 al 2015. Una serie che aveva sì tante bellissime canzoni, magistralmente interpretate da giovani talenti, ma pure una sceneggiatura che di puntata in puntata, di stagione in stagione, perdeva di qualsiasi senso logico, deragliando completamente dalla quarta in poi. Insomma, storie ridicole con una grande colonna sonora. Mi sono vista tutto Glee con devozione, dalla prima all'ultima puntata, decidendo d'ignorare le assurdità delle situazioni e l'odiosità di gran parte dei protagonisti. Ma rotolandomi gioiosa negli eccessi pop barocchi di cui Ryan Murphy è tanto capace. Pure quando la storia non aveva più senso, pure quando Tina sembrava posseduta dallo demonio, io non ho mai mollato. E, a pensarci bene, potrei riguardarmelo tutto da capo, anche oggi, con la medesima soddisfazione.

Infatti, ancora adesso, quando vado in giro con gli auricolari, nella mia playlist le canzoni di Glee non possono mai mancare, in una celebrazione tutta Broadway, adolescenza e paillette che non mi lascia mai indifferente.

In questi giorni è mancata tragicamente una delle protagoniste del telefilm. Un'altra, sarebbe da aggiungere, data la quantità di tragedie che hanno colpito il cast durante e dopo la lavorazione.  Naya Rivera è morta giovane e in una maniera particolarmente drammatica, come se passar a miglior vita a soli 33 anni non fosse già abbastanza drammatico di per sé. Vi risparmio i dettagli della vicenda che potrete facilmente trovare online e che, sono pronta a scommetterci, finiranno per diventare un film per la tv.

Ed è proprio a causa di ciò che è successo che ho preso coscienza di una cosa: la maggior parte di quelle che ritengo le interpretazioni feticcio di quella trasmissione, le canzoni che più ascolto, sono state tutte interpretate proprio dalla Rivera, che non aveva la voce potente di Amber Riley e non era la protagonista come Lea Michele, ma aveva sicuramente talento da vendere, un sex appeal invidiabile e una grande intensità.

Quindi ora lo condivido con voi, perché il talento vero è un piacere, senza colpa.



Il tredicesimo esercizio del Laboratorio Condiviso di Scrittura è una celebrazione del potere della sintesi e della capacità di scegliere con cura le parole.

Tante piccole storie. C'è chi ne ha scritta solo una, chi qualcuna in più, chi tutta una serie per raccontare punti di vista diversi del medesimo evento.

Siete curiosi?
Buona lettura!



Alla fine andarono tutti via. 
Vincenzo Scalfari



Lei parlava inglese. 
Lui bolognese. 
Al telefono lui parlò di lei. 
Bella, bionda, dalle tette statuarie e le lunghe gambe. 
"What did you tell them?" 
"Oh, mess at work, nothing special". 

*******
Il gabbiano ruppe un'ala. 
E fu subito piccione.

Lucia Del Chiaro

 

Al rientro in ufficio, Zineb mi si era avvicinata, sconsolata, mostrandomi prima il palmo di una mano, poi tre dita dell’altra. Otto. 
Io, allora, tristemente, le avevo mostrato, alzandolo, il palmo di una mia mano ed in più un dito dell’altra: sei. 
I chili presi durante il lockdown. 

*******

Io ero lì. 
Aspettavo oramai da un tempo lunghissimo, che a me sembrava un millennio, il cibo. 
Ululavo al cielo per tutta la mia fame ed il dolore, dando colpi alle sbarre tutta la notte, invocando la pietà dei vicini, ma anche per svegliare quegli stessi infami che il cibo lo avevano. 
Avevo pregato, disperato, perché qualcuno apparisse dal nulla con un vassoio di pane, oppure di patate al forno o addirittura di prosciutto cotto e uova! 
E, invece, all’improvviso, quella mattina, piovvero polpette. 

********

6:28: movimento di gancio – lancio la merenda nel cestino del piccolo Andrea. 
6:30:29: lancio nel paniere del panino di mio marito! 
Uno scricchiolio. 
6:45: Andrea – apro finestra. 
6:50: Francesco – bacio del buongiorno. 
Altro scricchiolio. “Le termiti?” 
8:07 Andrea accompagnato a scuola. 
Non muovo più il braccio sinistro?
8:31 a lavoro. 
No, sono ad un passo dalla porta del lavoro. 
8:32 – sono in ritardo! 
Provo a spostarmi, ma sono diventata un burattino di legno! Cado. 
Mi sono rotta. 

********

Una lotta fratricida era in atto: chi sarebbe arrivato a terra prima? 
Scommesse, digrigni, lanci di resina tra famiglie vicine. 
Spiegateglielo voi che dipende dalla gravità. 

Si sta come 
D’autunno 
Sugli alberi 
Le Foglie.

*******

Ho messo la maionese nel ragù della nonna

Marianna Palmerini 



Una sola tela. 
E qualche avanzo di colore già preparato: un po’ di marrone, poco giallo, un poco più di verde, pochissimo giallo. 
Speriamo che venga a trovarmi, e mi porti qualcosa. 
Théo arrivò. 
Con sé aveva del blu. 
Lo salutò e andò via. 
Vincent iniziò a dipingere. 
E la terra si coprì di iris.

********

Vincent. 
L’Olanda, la Francia. 
La luce, il colore, il buio. 
Zac.

Maria Paola Pennetta 



I passi alle spalle la raggiunsero. 

*******

L'Adozione
"Voglio lui" disse la bimba. 
"wof" rispose Garibaldi. 

*******

Il treno partì. 
Lucia no. 
Marco attese.
Invano.

Jane Pancrazia Cole



Mentre camminava lentamente dietro l’auto lussuosa predisposta per contenere il suo triste carico, la vedova si scoprì ad accennare un lieve sorriso. Si ricompose, sperando di non essere stata notata. Se solo avessero saputo in quali circostanze suo marito si era trovato esanime sul letto, forse avrebbero sorriso anche loro. O forse no. Con lo sguardo basso accompagnò suo marito fino al cimitero, adagiato dentro una bara in una lussuosa auto scintillante. 

*******

La cognata lo chiamò con la voce rotta dal pianto. Il fratello era morto sul letto, ma la vedova suscitò in lui contrastanti emozioni. L’aiutò a ricomporre il corpo del fratello poi la strinse in un abbraccio consolatorio. Le erezioni in quella stanza divennero due. Forse quel leggero sorriso che aveva visto sulla vedova camminando di fianco a lei era dovuto a quello che lui stesso stava pensando? Una piccola speranza si insinuò nel suo animo, misto alla vergogna ed al senso di colpa. 

********

La vecchia signora sulla sedia a rotelle seguiva il corteo, spinta dalla badante sudamericana che era sempre così servizievole e gentile. Sua figlia le aveva detto che il marito era morto di un infarto improvviso, ma lei non le aveva creduto: un uomo così sportivo sempre attento alla cultura del suo corpo non poteva morire così. E provò un po’ di invidia per la fortuna che era toccata alla figlia, al contrario di lei e del suo povero Ugo, che era sempre stato freddo e distaccato. 

*******

Giovanni inserì la prima marcia ridotta del carro funebre. Una splendida autofunebre su base Maserati Ghibli, 3 litri V6 gran lusso, velocità massima 349 chilometri l’ora ed una mostruosa coppia di 700 Nm. Ed a lui toccava inserire la prima ridotta, con una velocità massima di 5 chilometri l’ora. Tutto questo era decisamente frustrante, era sicuro che sarebbe piaciuto anche al morto farsi un bel giro in pista, anche se dentro una bara. Il suo sogno di sempre. 

*******

Con la pala ancora sporca in mano, Filippo pensava che questo fosse uno degli aspetti peggiori del suo lavoro: vedere delle persone piangenti seguire una bara nel suo ultimo viaggio. Ma è ancora peggio quando il morto era un tuo amico, compagno di carte e di belle serate. Ricordò quella sera in cui avevano bevuto entrambi, cosa strana per il suo amico che era sempre così attento al suo corpo, ed erano finiti a baciarsi furiosamente nel retro del locale. Una lacrima scorse sul suo volto. 

*******

Don Mario procedeva dietro al carro funebre recitando preghiere e pensando che un uomo così onesto e retto fosse merce rara. Lo aveva visto tutte le domeniche a messa, diventando prima il suo confessore poi suo amico. La sua morte lo aveva colpito nel profondo, e quando vide un leggero sorriso sul volto della vedova si accigliò, facendogli perdere il filo delle preghiere. Pensò con stizza che a questo mondo le persone ciniche fanno uno sgarbo a Nostro Signore. 

*******

La vista dall’alto regalava un bel colpo d’occhio: il carro funebre seguito dal prete, i parenti e tutti gli amici. “Peccato”, pensò quando l’auto imboccava il vialetto del cimitero, “mi sarebbe piaciuto vivere ancora qualche anno per godere ancora quello che la vita mi aveva regalato”. Vide il sorriso della moglie, e non potè fare a meno di pensare che fosse stato davvero un bel modo di andarsene, mentre facevano sesso. Era sicuro che lo stesse pensando anche lei.

Beppe Carta

La Quinta Strada dove si scoprono cose nuove ad ogni angolo, inclusa la cattedrale di San Patrizio, bella, imponente e con la follia tutta americana di un distributore automatico di acqua santa. Non mi fate quell’aria sconvolta: in fondo si tratta solo della versione più moderna e molto più igienica delle nostre acquasantiere. 

Il Rockefeller Center che regala uno degli scorci più tipici, cinematografici e natalizi. Ma è giugno quindi niente albero e niente pista di pattinaggio, ciccia! 

La Sesta Strada dove c'imbattiamo nella fiera dello street food. No, non è un'arguta metafora, c'è proprio la fiera dello street food. Che se c'è una cosa di cui la città non avrebbe bisogno è proprio la fiera del cibo di strada, essendo già ogni giorno il regno dei carretti calorici. Sempre siano lodati! 

Le stradine con le case belle di mattoni rossi, le scale antincendio e l'ingresso con 4 o 5 gradini. Una foto e "sembra la casa dei Robinson", una foto e "sembra la casa della Tata" , una foto e "la casa di Friends dove sarà?" "E il Central Perk?" "Guarda che il Central Perk non esiste" "Stai scherzando???" 

L'Upper East Side, ricco ricco ricco, lungo lungo lungo e pure in salita... Dipende da che lato lo prendi, ovviamente. Noi da quello sbagliato, ovviamente. 

Le tavole calde con i bicchieroni d'acqua gratuiti e i piatti carne e contorno "Regular o Big?". Tu ordini "regular" e se ne arrivano con una porzione sufficiente per 5, togliendoti la fame per 48 ore ma non la curiosità su quanto cavolo possa essere grande il piatto “Big”. 

Il palazzo dove viveva John Lennon, il ricordo di John Lennon ai confini del parco e il parco. Il park, Central Park, dove ti sdrai sull'erba e dimentichi di essere in città, dove guardi il lago e pensi che vorresti rimanere a New York per sempre, dove una cantante a piedi nudi si fa accompagnare dai musicisti ed è tutto così perfetto che tu quasi ti commuovi. 

Il Memorial dell'11 settembre in superficie e poi, in profondità, il museo dedicato alla tragedia. Ogni parola in più sarebbe superflua. 

Il ponte di Brooklyn dove una coppia di sposi giapponesi si fotografa. Lei ha l'abito bianco e il velo, lui lo smoking. Saranno due pazzi? Saranno sue sposi veri? Nel dubbio ci fermiamo tutti a immortalarli a nostra volta e i ciclisti spietati quasi ci abbattono come birilli. Ma sopravviviamo arriviamo dall'altra parte e ci godiamo quel gioiello che una volta era Broccolino mentre ora, gentrificato e rivoluzionato, è il mio quartiere dei sogni dove trasferirsi per sempre. Dove si fanno delle foto pazzesche con ponti sullo sfondo, dove ci si perde in un mercatino tra artisti, vecchie palle di baseball e figurine dei giocatori come quelle che si scambiavano i bambini nei film di una volta. Mentre un bambino di adesso pizzica i piedi di marito con il monopattino e la madre ci chiede scusa e si genuflette mortificatissima. 


Perché a New York ovviamente ci stanno pure le persone, gli americani, i newyorkesi, mediamente molto più educati di noi italiani, tutto uno scusa e un grazie e un prego. Molto più espansivi di noi torinesi. Che, in effetti, non ci vuole moltissimo. Marito, complice le magliette da nerd e l'aspetto yankee, attacca bottone con chiunque. O meglio, chiunque, attacca bottone con lui. Tv e cinema spesso descrivono i newyorkesi come freddi e maleducati, bah sarà, con noi non lo sono affatto. Rispetto a noi, invece, una cosa è uguale uguale: attraversano la strada da kamikaze arroganti, ignorando sfrontatamente i semafori. Questo fa tanto casa ma io, nonostante l’assicurazione sanitaria faraonica che abbiamo deciso di sottoscrivete prima della partenza, preferisco aspettare il verde eh. 

Times Square che è sempre piena di gente, di giorno e di notte. Turisti, cabarettisti e attori. Cerchiamo la fila per comprare i biglietti per gli spettacoli di Broadway. La troviamo. Abbiamo almeno 40 persone davanti. Una ragazza ci passa un volantino dove sono indicati tutti i punti vendita a Manhattan, scopriamo che oltre a questo che ne sono altri due meno centrali. Ci riproviamo il giorno dopo in uno di questi due. Abbiamo 4 persone davanti. Scegliamo di andare a vedere Chicago. Le attrici cantano ballano e recitano, le ballerine cantano recitano e ballano. I musicisti musicano. Mai vista tanta perfezione in scena. Un orologio svizzero dal cuore pulsante e passionale. Meraviglia. Tra un atto e l'altro passa il ragazzo con vivande e snack. A glass of wine, ordina un tizio a pochi posti da noi. Gli viene consegnato un pinot grigio in un bicchierone di cartone per la bellezze di 30 dollari. Il tizio, per la cronaca, non fa un plissé sentendo il prezzo. Noi. Marito ed io, invece, pianifichiamo di spacciare Tavernello per Barolo e di mettere su un business milionario. 

Lo sport nazionale, il baseball. Andiamo nel Bronx a vedere i New York Yankees. Contro i Tampa Bay. I primi asfaltano i secondi. Kevin Costner saluta alla kiss cam. E noi orgogliosi sfoggiamo cappellino e maglietta, partecipando ad un rito collettivo fatto di gioia e cibo. 

Il Lincoln Center con l'Opera, il balletto e la Juilliard – pazzesca scuola di arte, musica e spettacolo. Ed è subito: “se rinasco faccio la ballerina”. La cantante no, perché neanche in un'altra vita riesco ad immaginarmi intonata.

Continua...

Prologo, Partenza, New York – Prima Parte

Ormai lavoro nell'ambito della scrittura e della comunicazione da mooolti anni. Ho partecipato a numerosi progetti che ho amato e che mi hanno resa fiera. Quello di cui vi parlo oggi è il più recente.

Ho contribuito alla realizzazione di un nuovo podcast. Il titolo è True Colors, l'argomento trattato: la violenza sulle donne.

Storie di (terribile) ordinaria violenza in Italia e in tutto il mondo, raccontate da donne per le donne, per sensibilizzare il mondo maschile e le nuove generazioni. Per contrastare gli stereotipi di genere nella società e promuovere il diritto per le donne a una vita senza violenza.

In questo primo episodio, Grazia Biondi si racconta attraverso la voce di Patrizia Giangrand, inoltre si possono ascoltare le riflessioni di Giustiniano La Vecchia, le letture di Francesca Melis e Gianni Gaude, e i  meravigliosi brani interpretati da Mario Rosini.

Il podcast è disponibile su due piattaforme:

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True Colors sostiene la Fondazione Villa Gaia di Isa Maggi. Se volete contribuire alla nascita di Villa Gaia, una casa per ospitare donne vittime di violenza, potete donare su: 
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Buon ascolto.


È arrivata ufficialmente l'estate e, soprattutto, è arrivato prepotentemente il caldo. Quindi, i miei primi consigli per questo luglio 2020 non possono che essere: state all'ombra, non uscite nelle ore più calde della giornata e, soprattutto, bevete molto. Ok, con il momento stupideraStudioAperto ho dato, e ora posso passare ai consigli quelli veri, più interessanti e, magari, un attimo più ricercati. I miei consigli su cosa fare, vedere, ascoltare in questo luglio 2020. 
Ecco che si comincia, prendete appunti! 

È partito il 23 giugno ma continuerà per tutto luglio: Salto Notte, l'estate del Salone Internazionale del Libro in diretta ogni martedì alle 22:30 sul sito salonelibro.it. Chiacchiere e libri dai luoghi della cultura di Roma, Milano e, naturalmente, Torino. Il prossimo appuntamento è per martedì 7 luglio.
https://www.salonelibro.it/ita/il-salone/chi-siamo/salto-notte
https://www.salonelibro.it/ita/

Ho appena visto un documentario su Netflix, si intitola Disclosure, e mi sento di consigliarvelo caldamente. Parla della rappresentazione dei transessuali nei media e di ciò che significa per i giovani  spettatori transessuali. L'assunto di partenza è questo: oltre l'80% degli americani non conosce personalmente neanche un transgender, ciò significa che molti imparano a conoscere le persone trans dai modi in cui vengono rappresentate nei film e in TV. Ciò vale per i giovani transgender stessi e vale sicuramente anche per l'Italia con numeri presumibilmente simili. 
Mi spiego meglio: immaginate di essere un bambino/ragazzino/bambina/ragazzina che non si sente nel corpo "giusto", che sa di voler essere altro. Questo bambino presumibilmente non conosce dei transessuali, non ha nessuno con cui confrontarsi o identificarsi, e dove lo cerca?  Nei media. E cosa trova? Fino a pochissimi anni fa trovava SOLO transessuali che si prostituivano, che si prostituivano e venivano trucidati (CSI e via dicendo c'hanno campato per anni con storie così), oppure che trucidavano a loro volta (vi ricordate Buffalo Bill del Silenzio degli Innocenti?). Non esisteva una rappresentazione "normale". I transessuali venivano rappresentati come vittime, molto spesso, o come carnefici squilibrati. Ora le cose stanno cambiando, per fortuna, ma c'è ancora moltissima strada da fare. 
Guardate questo documentario, davvero, dedicate un'ora e mezza a un punto di vista che non sia il vostro, non potrà farvi che bene.
https://youtu.be/ysbX6JUlaEc 

E, a proposito di bambini che osservano il mondo, io ho trascorso metà della mia infanzia sul divano di Stefania. Chi era Stefania? La parrucchiera di mia madre. A quei tempi non si prendevano appuntamenti, si arrivava e ci si metteva in attesa. E così tra l'attesa, la tinta e il taglio, io ho trascorso numerosissimi sabati pomeriggio della mia età dell'oro seduta sul divano in velluto del negozio di Stefania. Ore passate a leggere, prima i vari topolino, poi, finiti quelli, tutti i giornaletti di gossip dell'epoca. Insomma sono cresciuta a botte di Diana, Carolina e Sarah Ferguson. Crescendo, poi, i gusti si sono un po' raffinati e alla passione per il gossip reale si è sostituita quella per la storia delle casate reali, Windsor in testa. Tutto questo per dire cosa? Per dire che, se vi è preso un colpo di fronte allo spettacolare diadema di Eugenie, se aspettate con ansia la prossima stagione di The Crown, se non vi siete perso uno dei film dedicati ad Elisabetta I o a Maria Stuarda – piangendo per la Scozia ma sognando di essere Elisabetta–, allora seguite su Facebook, ma soprattutto su Instagram, Marina Minelli, esperta di Royal, storica e scrittrice che parla del passato e del presente delle casate, oltre che della storia di tiare, spille e brillocchi grandi come pagnotte!
https://www.facebook.com/MarinaMinelliroyalblogger/
https://www.instagram.com/marina_minelli_/

Ma non avevamo detto che è estate? Sì, e quindi bisogna godere anche dell'aria fresca e, a tal proposito, di cose da suggerire in tutta la penisola ce ne sarebbero a bizzeffe, e per questa volta ho scelto Arte Sella, una grande esposizione di arte contemporanea all'aperto, nei boschi e sui prati della Val di Sella presso Borgo Valsugana, in Trentino. Un luogo magico che riunisce la magnificenza della natura con il genio creativo dell'uomo. Aperto tutti i giorni dalle alle 10 alle 19. Tutte le informazioni le trovate sul sito http://www.artesella.it/it/.

Sono giunta alla fine, e ho deciso di chiudere i consigli di questo mese con uno che riguarda la mia città e i mie amici. In particolare due miei amici che vivono di teatro e al teatro hanno dato e danno tantissimo ogni giorno. Sono Mauro Stante e Franco Abba, direttori, proprietari, padri del magico Piccolo Teatro Comico di via Mombarcaro 99/B a Torino. C'è una bella notizia: il Piccolo Teatro finalmente riapre, sono stati mesi difficili, non fatevi trovare impreparati, tornate ad occuparne le sedioline e a razziarne il buffet! Domani, venerdì, ci saranno i Mammuth, mentre sabato il Quartetto C'Era con Stefano Gorno.
https://www.facebook.com/piccoloteatrocomico/ 
https://www.facebook.com/events/599414034023341/
https://www.facebook.com/events/369627677573548/
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