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È giorno fatto, quando D. decide finalmente di alzarsi. 

Beve un sorso di caffè freddo ed esce di casa.
Non chiude la porta.
Non la accosta nemmeno.

Il cielo è di un azzurro perfetto, i fiori nelle aiuole sono al massimo del loro splendore, una leggera brezza rende la temperatura ideale.

D. passeggia tranquillamente lungo i viali, con un libro sotto il braccio.
Poi si stende sotto un albero.

“Il tempo aveva perso la sua qualità pluridimensionale. Per Robert Neville esisteva soltanto il presente; un presente basato sulla sopravvivenza quotidiana, scandito dall’assenza di picchi di gioia o abissi di disperazione. Sono a un passo dallo stato vegetale, pensava spesso”. (*)
Legge ad alta voce, quando una mela si stacca dal ramo per cadergli a pochi centimetri. Un rumore secco, un evento piccolo e inaspettato che attira la sua attenzione. Ha fame e se ne ricorda in quel momento, quindi afferra il frutto e vi affonda i denti. Il succo zuccherino gli riempie la bocca ed un piccolo rivolo gli scivola lungo il mento. D. si pulisce svogliatamente con la mano, per poi infilare le dita tra le labbra e succhiare il dolce nettare. Sarebbe una sensazione piacevole se solo riuscisse a goderne.

“Devo cenare” – dice a nessuno, e s’incammina verso un supermercato.
Fa lo slalom tra le corsie e sceglie una lattina di carne in scatola.
Passa dalla cassa.
Non paga.

Sale con tranquillità le scale e raggiunge il suo appartamento.
Prepara la tavola: un piatto, una forchetta, un bicchiere d’acqua.
La carne e la gelatina gli si sciolgono in bocca.
Pulisce il piatto con cura, non rimane neanche una briciola.
Poi beve l’acqua fino all’ultimo sorso.

La radio è muta.
La televisione accesa dichiara “l’interruzione dei programmi”.
Così era questa mattina, così ieri, così l’altro ieri.

Così un anno fa, per la prima volta, quando D. si svegliò e si accorse di essere solo. Solo in casa, solo sul pianerottolo, solo nel palazzo, solo nell’isolato, solo nel quartiere, solo in città, solo nel paese, solo sul pianeta. Ha trascorso gli ultimi 360 giorni a cercare qualcun altro. A piedi, in bici, in auto, ha attraversato tutte le strade che ha potuto raggiungere senza trovare nessuno. Nessun uomo, nessuna donna, non un bambino su un’altalena, non un cane che sonnecchiava all’ombra, non un passerotto sopra un ramo, non un ratto in mezzo all’immondizia, non uno scarafaggio in un angolo buio, non una zanzara attirata dal suo odore. Niente e nessuno.

Il mondo è una scatola vuota a sua disposizione. Ogni cosa al suo posto, non come se gli altri se ne fossero andati mentre dormiva, ma come se nessuno avesse mai abitato la terra prima del suo risveglio. Un enorme plastico fatto di piante vere, fiumi che scorrono, supermercati da svuotare, teatri con camerini ordinati pieni di costumi che nessuno pare avere mai indossato. D. ha cercato qualcuno e qualcosa. Ma non ha trovato alcuna compagnia, né risposta.

Si alza dal tavolo, sparecchia e ripone tutto con cura. Poi va in bagno e apre l’acqua della vasca. Nel frattempo si spoglia, prima slaccia l’orologio, poi le scarpe, si sfila la t-shirt, si toglie jeans, calzini e slip. S’immerge.

Appoggiata al bordo di ceramica c’è una lametta. D. l’ha messa lì cinque giorni fa, appena di ritorno dal suo viaggio. Aveva ancora bisogno di alcuni giorni. Un’ultima flebile speranza. Ma ora tutto è pronto, tutto è deciso.

Un taglio al polso destro. Profondo.
Uno al sinistro. Altrettanto.

L’acqua cambia immediatamente colore. D. appoggia la testa al bordo e attende. Mezz’ora dopo il suo corpo si affloscia e scompare sotto la superficie. Piccole bolle affiorano. Una, due, tre, e poi più nulla.

Il mondo è vuoto. Ora. Completamente.

 _ Esperimento XY00254 concluso
Specie: Homo sapiens sapiens
Durata: 365 giorni terrestri
Metodo anticonservativo scelto: rescissione vasi sanguigni arti superiori
Avvio esperimento XY00255 _

Fine

(*) tratto da Io sono leggenda (I Am Legend) di Richard Matheson 

Questo racconto e molto altro, scritto da me e soprattutto da tanta altra bella gente, lo trovate su 22 Pensieri, la rivista mensile che raccoglie parole e immagini di un gruppo di impavidi e bellissimi figuri!


Mettiamo subito le cose in chiaro: la filosofia l'ho studiata solo al liceo e non l'ho mai amata, per niente!

La mia professoressa era un'attempata figura dall'aspetto innocuo e l'animo satanico, un essere millenario che rifiutava la pensione in favore della tortura e dell'abbattimento morale dei giovani a lei affidati. Tanto colta quanto faziosa, tanto preparata quanto arida, se non fosse stata un'insegnate di filosofia avrebbe potuto fare un personaggio del Trono di Spade. Un drago.

Non stupisce dunque che, tra me e l'augusta materia, non sia mai scattato amore, amicizia, e neanche un barlume di vago interesse.

Poco tempo fa, però, mi è capitato tra le mani un libretto curioso: "Il prof. K. e la scoperta della bellezza". Il K. del titolo è Kant, e il romanzo racconta un processo a suo carico, senza giudice ma con una giuria popolare e tanti testimoni, tra cui la sensuale Professoressa Ragione, che irretisce come una sirena, e il muto Professor Senso, che percepisce tutto ma non è in grado di raccontarlo al mondo. E già da questi due esempi è facile comprendere il tono del racconto. 

Una storia veloce, leggera, ricca di trovate interessanti. Un romanzo capace di parlare di filosofia anche a quelli come me, quelli che partono con chilate di pregiudizi, pessimi ricordi e bassissima propensione all'ascolto.

Un libro da leggere se non avete mai amato la filosofia o se avete sempre amato la filosofia. Da leggere se avete studiato o volete studiare la filosofia. Da leggere e far leggere se insegnate filosofia e avete l'aspetto innocuo ma l'animo satanico, o viceversa.

Il prof. K e la scoperta della Bellezza
Emanuele Rainone
Edizione Sui Generis
Vi ricordate quando segnalavo interessanti realtà online? Blog, web serie, eventi e così via? Ecco, oggi lo rifaccio. Oggi riciccio fuori questa rubrica per consigliarvi un profilo instagram speciale: torqui_tax di Michele.
A scanso di equivoci, vi avverto subito, lui è amico mio. Ma mica vi ho mai segnalato profili di altri miei amici, no? E allora fidatevi. Se lo faccio questa volta, vuol dire che ne vale la pena. Conosco Michele, online e offline, ormai da un bel po'. Con lui ho girovagato per Milano e pure per Torino. Con lui ho mangiato pizza in via Po e panini con la mortadella a Venaria. Con lui ho ballato in metropolitana e chiacchierato fino allo sfinimento nella mia casa appena inaugurata. Di Michele apprezzo la penna arguta e i mille personaggi che è in grado di creare. Di Michele conosco la sensibilità che tiene al sicuro sotto montagne di ironia e finta noncuranza.

Il suo non è un banalissimo profilo instagram pieno di belle foto. No, è qualcosa di più e di diverso. Un percorso. Un racconto. Micro scampoli della sua bella Verona raccontati attraverso gli occhi suoi e le vicende dei suoi amici (maggiordomi) immaginari. Non aspettatevi fuochi d'artificio, sovraesposizioni e rivelazioni pruriginose, ma verità, verosimiglianza  e sorrisi spontanei.

Andate a dare un'occhiata e seguitelo: una boccata d'aria fresca e originalità in tanta laccata noia.

https://www.instagram.com/torqui_tax/


Causa tendinite pervicace e malevola, sono stata costretta 5 giorni al totale allettamento.
"Si alzi solo per andare in bagno" ha ordinato il medico, senza lasciare adito ad interpretazione alcuna.
E così sono rimasta sdraiata a dormire sul materasso, sdraiata a fissare il soffitto sul materasso, seduta a lavorare col portatile sul materasso, seduta a sospirare lamentosa sul materasso. E, seppur  consapevole che le disgrazie sono altre, permettetemi di dire che la faccenda è stata alquanto fastidiosa. Ma mentre io mi abbrutivo sotto le coltri, intorno a me gli altri si muovevano solerti e utili. Una su tutti: Madre Cole.

Io odio dipendere dagli altri. Cioè, lo so che, in generale, non piace a nessuno ma io non ne faccio una questione d'indipendenza e orgoglio, o almeno non solo. A me infastidisce soprattutto la posizione scomoda in cui un rapporto di dipendenza, seppur momentaneo, ti mette. La riconoscenza è un sentimento nobile ma anche una gabbia. Non guardatemi con quell'aria di rimprovero ma apprezzate, al contrario, la mia sfacciata sincerità.

Io, in occasione di questa domenica di maggio, lo devo dire. Devo confessare che, all'ottava volta che mia madre, giunta in mio soccorso,  aveva da ridire su uno qualunque degli aspetti della mia gestione casalinga, io desideravo ancora dirle "Grazie madre per essere venuta qui ad occuparti di me e del  mio domicilio" (non sono mica un arido mostro) ma desideravo anche,  e con altrettanto se non superiore ardore, tirarle dietro una delle due stampelle che usavo per deambulare verso il bagno.
"Uh quanta roba da lavare" criticava e a me iniziava a salire la carogna.
"Ma perchè tieni le pentole così? Aspetta che le metto a modo mio. Ecco, molto meglio" stravolgeva e a me si risvegliava la gastrite.
"La tua dispensa è troppo disordinata, che ci fanno gli spaghetti accanto al riso?" sgridava e io tentavo di afferrare la stampella appoggiata al cassettone.
Ma poi lei mi rimboccava le coperte, portava il minestronecomepiaceame e mi comprava le briosche dal bar sotto casa. Io allora mi chetavo, mollavo la stampella e mi sentivo pure un poco in colpa per i sentimenti precedenti. Ma solo un po', eh.

C'è questa ingiusta regola non scritta per cui, se mi stai facendo un favore, io non posso dire niente, sospirare, alzare un sopracciglio. Devo accettare tutto passivamente, sorridente e, se possibile, esibendo anche uno sguardo di devozione di cristiana ispirazione. Io devo accettare con tutto il pacchetto anche e soprattutto la sgradevolezza del samaritano, le diverse opinioni e la pesantezza. E secondo me, chi ti fa il favore, in quel momento un po' se ne approfitta, conosce il suo potere e lo esercita. Tutti siamo corsi in aiuto di qualcuno almeno una volta nella vita e tutti, un po', ce ne siamo approfittati. "E  pensare che gli sto facendo un favore... che ingrato" abbiamo  pensato quando abbiamo ritenuto il nostro gesto non sufficientemente apprezzato. Aprezzamento che può variare, a nostro insindacabile giudizio, da un sorriso sincero all'anima del primogenito di chi abbiamo aiutato.

Non fate segno di no con la testa, non ci crede nessuno, l'avete fatto e lo fate anche voi e, se credete di no, è solo perché non ve ne siete mai resi conto. Questo fa di voi degli inconsapevoli non degli innocenti. Anzi, per quanto mi riguarda, l'inconsapevolezza è un aggravante!
"Io ti faccio un favore, io comando, tu ringrazia e taci,  puzzone!" è il sottotesto che guida certi scambi. Scambi meravigliosi, la cui unica alternativa sarebbe essere soli al mondo senza l'aiuto di nessuno, ma pur sempre scambi. Ricordiamoci la gratitudine ma smettiamo di lucidare tronfi le nostre aureole.

Ora vi saluto, devo andare a fare gli auguri a mia madre e a ringraziarla perché senza di lei non ce l'avrei mai fatta in questi giorni. Prima però vado a rimettere in disordine la dispensa, che a me piaceva di più com'era prima.

Tanti auguri alla mamme e ai benefattori... tanta pazienza a tutti gli altri.
I mei lettori più affezionati se ne ricorderanno. Gli altri no.

Per una paio d'anni, il mio socio Sergio Sasso ed io, abbiamo girato per le vie di Torino alla ricerca di storie da raccontare. Ispirati dal fantastico progetto Humans of New York, abbiamo sviluppato il nostro Humans-Torino. Sergio fotografava, io intervistavo. 

Quest'esperienza si è ormai conclusa, perché anche le cose belle finiscono,  il gioco è bello quando dura poco, chi da sé fa per tre, tanto va al gatta al lardo, sopra la panca la capra campa, tre tigri contro tre tigri, e un elefante dondolava sopra un filo di ragnatela... dicevo, il progetto si è concluso ed io mi sono detta: "ci sono due anni di lavoro, incontri e vita in quella pagina facebook, vuoi mica che tutto questo resti solo nelle volubili mani di Mark Zuckerberg?" 
"Eh no!" mi sono risposta.

E così ho deciso che ogni settimana pubblicherò qua, a casa mia, alcune delle storie raccolte nel tempo.
Vi piace l'idea? Ma certo che vi piace.
E allora cominciamo subito.

Se penso a Humans Torino penso a lei. Ai suoi occhi dolci e a quella leggera smorfia. Penso a lei che ci raccontò una piccola grande lotta interiore con una sincerità e una naturalezza che mi colpirono allora e mi colpiscono ancora.


Sangue egiziano. 
Cultura italiana.

"Cerco di avere una mentalità aperta, di comprendere e accettare. Ma fatico a rapportarmi con le mie radici egiziane.
Il problema è la cultura musulmana ed il ruolo che lascia alle donne.
Studio comunicazione interculturale e sogno di fare la mediatrice. Ma sono io stessa la prima che deve superare limiti e pregiudizi"
Far valere tutto e il contrario di tutto 

Stabilire delle regole e poi contraddirle. Pubblicare interi romanzi e lasciare a metà brevi racconti. Descrivere con dovizia di particolari episodi di vita familiare ma fare i criptici con quella sentimentale. Parlare di mille amori e di nessuno. Seguire l’attualità e poi tuffarsi in un modo fantasioso slegato dalla realtà. Passare da un blog personale, a uno dedicato alla letteratura, per finire col dedicarsi al teatro e allo spettacolo locale. Mollare tutto. Ricominciare da capo. 
Questa è la ricetta di Radio Cole. 

L’insuccesso è assicurato ma il divertimento anche.
Scrivere post a puntate e poi lasciarli a metà

Prima fu il romanzo d’appendice, poi i radiodrammi, infine soap opera e telefilm. 
Il pubblico adora le storie a puntate. Spasima per un finale sospeso che spinga ad attendere trepidante l’episodio successivo. Si affeziona ai personaggi e alle loro vicende. 

Un blog personale, di per sé, è già tutto questo. Se poi al blog si aggiungono vicende private o racconti inventati, narrati a spizzichi e mozzichi, l’effetto calamita del lettore è assicurato. A meno che...
A meno che non vi chiamate Jane Pancrazia Cole e siate affetti da un’inspiegabile fascinazione per l’autodistruzione e l’autosabotaggio. 

Fate come me, iniziate a scrivere storie a puntate, a raccontare vacanze a puntate, viaggi metaforico-esistenziali a puntate. E poi diluite sempre di più i post fino a mollare il tutto a metà. Per pigrizia. Per penuria d’ispirazione. Per semplice sadismo. Fate così e i lettori non solo vi abbandoneranno, ma vi schiferanno proprio, vi augureranno le peggio punizioni divine e toglieranno il saluto a voi e a tutti i vostri familiari fino all’ottava generazione. E voi potrete dichiararvi con soddisfazione e orgoglio: blogger sconosciuti e pure un poco stronzi. 

E nel caso non vi venisse in mente nessuna vicenda da utilizzare per torturare i vostri lettori, non temete, ci penso io a darvi utili suggerimenti! Buttatevi sui generi più gettonati: love and trip. Inventatevi un nuovo fidanzato e una fantomatica proposta di matrimonio. E poi interrompete senza dare spiegazioni. Millantate un viaggio coast to coast negli Stati Uniti. Scrivete 10 post solo su biglietto, passaporto, valigia e viaggio verso l’aeroporto. E poi sparite nell'oblio, per riprendere dopo poco tempo a scrivere di tutt'altro, con una nonchalance da navigate carogne. 

I lettori soffriranno e vi odieranno. Voi brinderete compiaciuti alla vostra inutile, e per questo motivo ancora più succosa, cattiveria.  Prosit!
Non stare mai sul pezzo

Il blogger serio tiene un occhio al blog e l’altro alle news. Il blogger professionista sa quali sono gli argomenti di tendenza e li asseconda. Il blogger destinato all’immortalità crea lui stesso le tendenze.


Il blogger snobbettino, di nicchia, e pigro ignora e sbertuccia gli argomenti più gettonati. Lo fa volutamente. In uno sfoggio di orrore da motore di ricerca, talmente contorto e profondo da necessitare a sua volta una lunga trattazione. Ho deciso, il mio prossimo libro s’intitolerà “Pancrazia e la sua fuga costante dagli algoritmi di Google”. 

Il film del momento? Il libro sulla bocca di tutti? Il personaggio più chiacchierato? Tranne rarissimi casi, non ne parlo mai. In realtà sono un’esperta di gossip e ho un’abilità particolare nel trattenere le informazioni inutili e frivole. Se solo dessi sfogo alla mia vera natura potrei farmi chiamare PancraziaCostume&Società o Pancrazia4000. Ma la mia missione da blogger sconosciuta ne risentirebbe troppo. Il mio blog potrebbe essere invaso da lettori curiosi. Che orrore!
Un cedimento di un paio di post e potrei trovarmi nell’Olimpo delle Divinità della Rete: Pancrazia la dea della blogpopolarità. Che scempio! Che tristezza! Che fallimento! Tranquilli, sarò forte: il successo non mi avrà! Né ora, né mai. 
Io le tendenze non le cavalco. Lascio che siano loro ad asfaltare me.
Scrivere post dispersivi senza mai arrivare al punto 

Che forma dovrebbe avere un articolo pubblicato sul web? Ad albero rovesciato.
(Vedasi graziosa immagine esplicativa)

Bisogna partire subito dalla base, dalla ciccia, dal tronco e, solo in un secondo tempo e non necessariamente, perdersi nelle diverse diramazioni dell’argomento. 

Il lettore della rete ha fretta, non ha tempo né voglia di seguirvi lungo le strade tortuose dei vostri mille ragionamenti, vuole capire dalla prima riga "di che state a parla'". Se non viene accontentato, c’è il rischio che già alla seconda si stufi e non finisca mai di leggere il post. Che senso ha perdere tempo a scrivere qualcosa di meraviglioso se tanto quel qualcosa meraviglioso non viene mai letto fino alla fine o, peggio, neanche fino a metà? 

Un post di successo non deve essere troppo lungo e deve essere chiaro fin da subito. Ok? Ok. 
E secondo voi come scrivo io, Pancrazia chi, custode di tutti i segreti per non sfondare? Io mi perdo in millemilioni di preamboli. Godo fisicamente nel portare a spasso il lettore per la landa del dubbio, nel vederlo barcollare per la strada sterrata della confusione, nel condurlo, dopo mille peripezie, ad abbeverarsi alla fonte del “aaaahhh ma allora era questo l’argomento”. 

Io, regina del “voglio farvi venire l’esaurimento ma con tanto affetto”, considero un punto d’onore, una medaglia al valore, un premio alla carriera, il confondere il lettore per interi paragrafi per poi arrivare solo alla fine alla soluzione del mistero, alla pietra angolare del “Ecco che stava a dì!” 
Io scrivo per l'altrui fastidio. E ne vado fiera.
Non parlare mai dei fatti propri

C’è poco da fare, potete essere anche i migliori blogger su piazza, scrittori da far impallidire Dostoevskij, penne sagaci da far cadere in deliquio quella carogna del mio professore d’italiano delle superiori, ma verrete sempre surclassati da chi parla dei fattacci propri. Che lo faccia a rutti, scorregge e grammatica incerta, poco importa: niente attira più lettori come un post in cui il blogger di turno apre cuore e impermeabile.

Amore, sesso e corteggiamenti funzionano sempre. Sempre e comunque.

Non è un caso che la blogosfera, soprattutto quella a tinte rosa, sia piena di menti brillanti che, per non sbattersi troppo, raccontano quasi esclusivamente gli interessanti sviluppi all’interno delle loro mutande. Minimo impegno e massima resa. Il telefilm Sex and the City ha chiuso i battenti da anni, ma l’effetto pruriginoso “donne che parlano di sesso” è ancora vivo e vegeto.

Non ci credete? Ha funzionato persino con me! Certo, ho cercato di dare un taglio più ironico e molto meno sessuale, ma la serie dei post Pancrazia and the city ha avuto un successone. Lettori e commenti inaspettati. Numero di visualizzazioni assolutamente sproporzionato.
Ogni tanto pubblico un post di questo tipo, mi rotolo come un maiale nel fango colpevole della notorietà, e poi riabbraccio l’oblio fino alla prossima secsi elaborazione.

Su, non fate i timidi, correte a farvi i fattacci miei, prima che Netflix mi chieda i diritti di Pancrazia and the city! 
Non avere una frequenza regolare nella pubblicazione dei post

I lettori di blog sono come bambini. Hanno bisogno di regole, orari definiti, rassicurante routine. 
Al lettore medio piace trovare spesso post appena sfornati. Il lettore medio fa le fusa come un micetto se può leggere qualcosa di nuovo ogni giorno, tutti i giorni. Tutti i giorni tranne il week end: perché anche il lettore medio, ringraziando il cielo, il week end c’ha di meglio da fare! 

Pubblicate lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì. Verrete ripagati da fedeltà e incondizionato amore. Magari pubblicate pure allo stesso orario. E poi bruciate all’inferno della notorietà! 

Oppure fate come me: pubblicate quando capita. Il sabato, la domenica e poi nulla per dieci giorni. Due post il lunedì, uno il venerdì e poi svanite nell’oblio per una settimana. Il martedì, il giovedì…insomma, avete capito, fate come vi pare! Fate tutto e il contrario di tutto basta che confondiate il lettore. Che lo trasformiate da dolce pargolo appagato a piccolo indemoniato isterico. 

Il contatore delle visite s’inchioderà per mesi e voi sarete i sovrani incontrastati di un Regno deserto. Lunga vita ai blogger incostanti!
Non avere una linea, un ordine, un progetto editoriale 
Non organizzare i post o gli argomenti. Non inventare rubriche a scadenza settimanale, mensile, o annuale. Non corteggiare i lettori con imperdibili appuntamenti fissi. No. No. E poi no! L’ho già scritto e lo ribadisco. Il lettore non deve essere viziato ma maltrattato, confuso, deluso. Egli deve collegarsi al blog senza avere la più pallida idea di cosa lo attenderà.
Non temete, se all’inizio l’effetto sorpresa potrà provocare una qualche ingiustificata fascinazione, nel giro di poco tempo tale effetto sparirà, per lasciare spazio al legittimo fastidio fino al delizioso disinteresse.

Volete essere un blogger sconosciuto?
Dimostrate il vostro menefreghismo nei confronti di chi vi segue facendo sempre a capoccia vostra nel modo meno prevedibile, organizzato e sensato possibile. Non seguite una linea editoriale e, ancora meglio, vantatevi spesso di questa condotta. All’inizio potrà sembrare difficile ma poi, con impegno e devozione, vedrete che finirete col prenderci gusto. Migliorerete. Capirete da soli i picchi raffinati di tali misantropici comportamenti, come l’abbandonare rapidamente e con orrore gli argomenti che richiamano sul vostro blog un numeroso pubblico, o non occuparsi mai della notizia del giorno.

La nicchia deve essere il vostro regno! Ma, mi raccomando, non arredatela. Qualche pazzo che voglia condividerla con voi rischiate di trovarlo comunque. Lasciatela così, spartana, buia e polverosa.
Un blogger d’insuccesso, è un blogger solo e malmostoso. Siatelo anche voi!


In attesa di legger la quarta regola "per non diventare una blogger famosa", perché lo so che vi state divertendo quasi quanto me e siete curiosi come delle scimmie. Dicevo, in attesa di leggere la quarta regola "per non diventare una blogger famosa", leggetevi l'ultimo numero di Vingt-Deux Pensées.

Una rivista dove trovate di tutto e di più, anche e SOPRATTUTTO un mio nuovo FANTASTICO racconto ( umiltà, che???).

Una pazza allegoria dal titolo SGNAPPAMPERO, a pagina 40 del pdf, ma 35 della rivista. Eh????? Se aprite il link vi sarà tutto più chiaro, abbiate fede.

 Cliccate QUI e buona lettura!
Evitare come la peste qualsiasi argomento di successo

Non c’è bisogno di essere degli esperti di web, comunicazione o blog per capirlo. Basta navigare la rete per due minuti per rendersi conto che gli argomenti più gettonati sono: maternità, cucina e moda. Non necessariamente in quest'ordine.

Le mamme hanno invaso internet qualche anno fa con la loro scorta di pannolini, cacche e aneddoti divertenti. Perché, bisogna dire la verità, sti nanetti profumati di borotalco sono buffi e fanno ridere. Tali blogger sanguisughe non devono fare altro che osservarli e riportarne le gesta. Sì, insomma, queste ottengono il massimo del risultato con il minimo sforzo. Maledette!
Oggettivamente fanno molta più fatica quelli/e che cucinano. Devo inventarsi/copiare/variare un piatto. Realizzarlo. Impiattarlo. E fotografarlo nel modo più cool possibile. Non è dato sapere se poi lo mangino o ci avvelenino i vicini, ma almeno lo sbattimento è innegabile. 
Ma le più preferite tra le preferite sono loro: le fashion blogger. Queste si alzano la mattina, accocchiano abiti a caso, cercano improbabili location, schiavizzano fidanzati-fotografi con la personalità di un geco, e si fanno immortalare. Ogni santissimo giorno.

Che sia l’esperienza comune della maternità, che sia la passione condivisa per lo spignattamento, che sia il desiderio, neanche tanto recondito, di vivere agiatamente non facendo una mazza. Questi tipi di blog hanno sempre molto seguito. Quindi, se volete essere una blogger di nicchia (leggasi fallita sconosciuta) evitate accuratamente questi tre settori. Che è vero che ormai sono saturi, ma non sia mai che la sfiga si accanisca su di voi e vi tocchi l’onta del successo. Che vergogna!
Scegliete qualche altro argomento o, meglio ancora, come faccio io non scegliete proprio. Più gli argomenti del blog sono vari e imprevedibili, più il sito è di tipo “generalista”, e più il processo di affezione del lettore è difficoltoso. Nessuna monopassione, nessuna emulazione, nessun processo identificativo. Confondete il lettore, deludetelo, parlate di cinema una volta e poi mai più per mesi, anche anni se necessario. Scrivete un racconto ogni eclissi solare. Raccontate dei fatti vostri, ingolosite la platea e poi tiratevi indietro ritrose.

Insomma, dovete avere un solo obiettivo: l’esaurimento nervoso dello sventurato che s’imbatte sulla vostra pagina. Egli non si deve affezionare, non vi deve voler bene. Egli, più vi legge, più deve desiderare di dar fuoco alla vostra auto. Tanto a voi che ve ne frega? I blogger poveracci la macchina neanche ce l’hanno!

Dare al proprio blog un nome di cui nessuno capisca il senso 

Evitare come la peste quei nomi evocativi che chiariscano immediatamente quale sia l’argomento del sito. Il lettore non deve fare neanche un poco di fatica? Non deve sperimentare l’amara sensazione delle aspettative disilluse? Non deve abbeverarsi al calice della delusione? 
Che banalità quei blog che parlano di maternità è hanno il termine “mamma” nel titolo. Che noia quei blog “Cucina di…” che dispensano ricette e suggerimenti culinari. Che sfoggio di mancanza di fantasia quelle pagine che hanno nella propria intestazione evidenti richiami cinematografici e, infatti, orrore(!), parlano proprio di cinema. 

Ma volete mettere quanto sia meglio un nome tipo, che so io, Radio Cole? Che eleganza, che mistero, che insensatezza. Uno legge Radio Cole e pensa “Toh il sito di una radio” e invece no! Uno legge Radio Cole e pensa “Toh una web radio”, col cavolo! Uno legge Radio Cole e pensa “E vabbè sarà un blog in cui si parla di musica”, ma quando mai! Sul mio blog, non per vantarmi, di musica ho sempre parlato poco, anzi pochissimo. Il mio è un blog generalista dove si trattano gli argomenti più vari a mio giudizio e discrezione. Il buon senso avrebbe voluto un nome del tipo “Il diario di Pancrazia”, “Le avventure di Jane”, “Le chiacchiere di JPC”. Ma io del buon senso non ho mai saputo che farmene!

Ma allora perché proprio Radio Cole? Semplice, quand'ero piccina, mia sorella maggiore ricevette in dono uno stereo. Lei lo ignorò, io me ne innamorai. A stregarmi fu soprattutto la radio e, in particolare, gli speaker. Quelli dalla voce calma e saggia, calda e avvincente, così diversa dalla mia, a suo modo affascinante, "gallina strozzata con la zeppola". Cosa avrei dato per poter essere anch'io una di loro. M'immaginavo all'interno della MIA stazione radiofonica privata, come un'imperatrice egocentrica e delirante. M'immaginavo mentre, senza dover rendere conto a nessuno, mettevo solo la musica che piaceva a me, parlavo solo delle cose che interessavano a me, e filosofeggiavo profondamente senza contraddittorio alcuno. Awww la dittatura ideologica, che dolce nettare! Quindi, molti anni dopo, di fronte alla schermata di Blogger che pretendeva di essere compilata, questo mio vecchio sogno riaffiorò e diede vita a Radio Cole. La mia stazione radiofonica personale, dove scrivere di tutto ciò che mi passava per la testa, in maniera del tutto anarchica, disorganizzata, e allegramente disordinata. 

Ma giungiamo ordunque ai preziosi consigli. Volete aprire un blog di cucina? Perché non provate con “La biblioteca di Patty”? Volete dedicarvi alla moda? Niente di meglio di “Le mani in pasta!” Volete scrivere di libri? E allora non posso che consigliarvi un fuorviante “Un tuffo nell’armadio”. Il lettore deve faticare, deve vagare confuso tra aspettative e scoperte, a un passo dall’esaurimento nervoso. Perché? E che ne so! Ma così è più divertente!

Continua...
Ad aprirsi un blog, diventare un fenomeno di costume e fare millemilioni di fatturato son capaci tutti. Ma ad aprirsi un blog, scriverci con devozione per anni, e rimanere comunque un’emerita squattrinata sconosciuta ci vuole un talento speciale. Io, non per vantarmi, questo talento ce l’ho e, nella mia immensa generosità, ho scelto di condividerlo con voi.

Magari siete quel tipo di persona che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Magari siete quel tipo di persona che raccoglie simpatia e consensi anche solo alzandosi dal letto. Magari siete dei vincenti naturali. Ecco, voi sventurati, avete sicuramente bisogno del mio aiuto. Voi rischiate di aprire un blog e svoltare. Una cosa tanto banale quanto volgare. Il successo è per i pigri! A scartavetrarsi le gonadi con lo struggimento dell’insoddisfazione ci vuole impegno. Non è roba per tutti! Ma per molti sì!
Quindi non spaventatevi. Ce l’ho fatta io, ce la potete fare anche voi! Vi basterà seguire questo dettagliato vademecum.

Regola numero 1 
Scegliere un Nickname complicato e di cui nessuno capisca il senso 
Avete presente? Qualcosa tipo Jane Pancrazia Cole.
Orribile, nevvero? Sì. Non per vantarmi. Ma, sì.
Lo elaborai, ormai molti anni or sono, con tanta tantissima attenzione.
Partì tutto da Cole. Cognome tratto da una saga letteraria opera di Noah Gordon. Uno scrittore americano molto conosciuto. Conosciutissimo. Dappertutto. Dappertutto tranne che in Italia, dove non è particolarmente popolare. La mia fu una scelta consapevole. Volevo un cognome che fosse legato alla letteratura ma non fosse troppo ovvio. Missione compiuta.
Cole non è ovvio. Per niente. Molti sono convinti che si scriva Col, altri che si pronunci Cole (con la “e” finale bella aperta), alcuni pensano che sia un sofisticato omaggio a Nat King Cole, altri uno più pop a Cheryl Cole. Tutti brancolano nel buio dell’ignoranza e io rido soddisfatta dal mio tetro angolo imbottito dell’incomprensione autoinflitta.

Ma senza l’inspiegabile accoppiata di nome e secondo nome, il mio destino avrebbe potuto comunque essere diverso. Sarei potuta diventare la sexy Cole, l’opinion leader Cole, la social Cole. Orrore! Destino ingrato prontamente evitato grazie all’incongruo abbinamento di Jane e Pancrazia. Potrebbe mai venirvi in mente qualcosa di più sgraziato? No, a voi no. E, infatti io che ci sto a fare? Che ci sta a fare questa guida? A guidarvi, appunto. Ecco alcuni esempi che vi possano essere d’ispirazione per il vostro futuro da blogger anonimo. Lucy Eustacchia Martìn, Sophie Genoveffa Trotter, e per gli uomini James Abbondio Trueba, Nick Gerundio Zosimov.
Le combinazioni possono essere infinite. Il risultato unico e inevitabile: la sgradevolezza!

Domani la seconda regola...


N.d.A: i più fedeli di voi potrebbero riconoscere il pezzo. Infatti lo pubblicai molto tempo fa, ma senza un seguito. Ora i seguiti sono pronti e quindi riposto tutto da capo.


Il dottor Rossi andava avanti e indietro per la propria stanza: "Accidenti a quella cretina! Mi ha fatto perdere un casino di tempo! Lo sapevo, avrei dovuto chiamare la tizia divorziata con due figli, un poco stagionata ma almeno non avrebbe fatto tutte queste storie. E invece sta zoccoletta mi si è messa a fare la Madonnina infilzata!" 

"E quindi tu saresti un'esperta di serpenti?" chiese Alan ad Alida. 
"Beh, diciamo di sì. Anche se il vero talento era mio zio. Io, però, non per vantarmi, ho sempre avuto un certo particolare feeling coi pitoni" 
"Scherzi?" 
"No, non scherzo affatto, e guai a voi se ve ne uscite con qualche battuta idiota!" 
"No è che noi avremmo un problemino, una sciocchezza, ma tu potresti forse, nel caso, dimostrando grande generosità, esserci d'aiuto..." 

"Una notte già pagata e sto qua da solo come un cretino, ma è l'ultima volta che mi faccio fregare! È uno schifo, la gente non ha più voglia di lavorare! Hanno perso tutti lo spirito di sacrificio!" 

"Un pitone? Ne siete sicuri?" 
"Sì, l'abbiamo visto" 
"Era per questo che eri conciato in quel modo?" 
"Sì" rispose imbarazzato Ivan. 
Alida trattenne il respiro, serrò le labbra e, miracolosamente, riuscì a non scoppiare a ridere. 
"Beh, io una mano ve la darei anche, ma solo in cambio di un piccolo piacere" 

"Soldi buttati per una cretina. E com'è scappata. Di cosa aveva paura? Quel mezzo cesso, neanche se lo meritava un tipo come me" continuò a brontolare il dottor Rossi, prima di togliersi i vestiti, piegarli ordinatamente, e infilarsi sotto la doccia. 

"Non ci posso credere: ti sono bastati la federa di un cuscino, il bastone di una scopa e due minuti dentro quella stanza. Non ti sei neanche spettinata!" si stupì Alex. 
"Wow sei un vero talento!" si complimentò Ivan. 
"Grazie, ma adesso mantenete la promessa" chiese Alida con un mezzo sorriso che sapeva di lucida determinazione.

Il dottor Rossi da sotto la doccia non sentì nulla. 

Non sentì i tre che confabulavano al di là della sua porta. 
"Stacchiamo la luce!" 
"Non se ne parla proprio" 
"Aspettiamo che vada a dormire" 
"Ma sono solo le 7" 
"Shhhhh silenzio. Non sentite?" 
"Cosa?" 
"L'acqua. E' sotto la doccia. Vado" 
"Aspetta!" 
Alida scivolò dentro. Silenziosa e rapida raggiunse la porta del bagno, l'aprì appena, appoggiò la federa a terra e, veloce com'era venuta, uscì dalla stanza e si mise in attesa in corridoio. 

Uno. 
Due. 
Tre. 
Tre secondi dopo, e un nudo, bagnato e urlante dottor Rossi si precipitò fuori dalla doccia, uscì dalla stanza, corse lungo il corridoio, si scapicollò giù per le scale, attraversò l'atrio, raggiunse il marciapiede e... 
"Frena!" urlò l'appuntato Cazzaniga. E la volante inchiodo' poco prima dell'impatto. 
"Capo?" 
"Sì?" 
"Che ci fa un uomo nudo in mezzo alla strada?" 
"Non lo so, ma accidenti quant'è brutto!" 

 Fine. 
  
Prima Parte 
Seconda Parte 
Terza Parte 
Quarta Parte
Alida andò a sbattere contro un muro, un muro morbido ed urlante. "Un astronauta" penso' un attimo prima di cadere a terra e sbattere la testa. Pochi secondi dopo si ritrovò sdraiata in mezzo al corridoio. Sopra di lei, ad osservarla, due paia d'occhi.
"Cazzo che botta!" disse Alex. "Stai bene?" le chiese Ivan.

L'accompagnarono amorevolmente alla reception, la fecero accomodare su un divanetto in ecopelle color cagotto colerico, e le offrirono un bicchiere d'acqua.
"Scusami, non ti ho vista arrivare, andavo un po' di corsa" si giustificò Ivan.
"Non importa, è stata colpa mia. È sempre colpa mia" si sminuì Alida. E cominciò a piangere. Per cinque minuti. 300 secondi di lacrime da una parte e silente imbarazzo dall'altra.

"Forse è il caso che ti portiamo al pronto soccorso" azzardò Alex.
"No, non preoccupatevi, vado a casa"
"Ma hai preso una bella botta e sei sconvolta"
"No, davvero, non è colpa della botta, ma di quello stronzo!"
"Rossi?"
"Già"
"Avete una storia?"
"Ma che storia e storia? Avevo un colloquio di lavoro!"
I due la guardarono, aprirono la bocca, ma poi scelsero di tacere.
"Sì, lo so cosa state pensando. Un colloquio in un residence..." 
"No" "Ma figurati" "Cioè" "È normale"
"No che non è normale! Non è normale, e io sono una cogliona! Ho bisogno di lavorare e speravo bastasse un sorriso e una minigonna. Non che la cosa sarebbe stata meno avvilente, ma le bollette non si pagano con la dignità! Quello invece mi ha messo le mani addosso. E ha fatto bene! Avrà pensato fossi una puttana, perché solo una puttana può trovarsi in una situazione così. Ma neanche quello sono riuscita a fare!" e giù di nuovo lacrime.

Ci vollero altri cinque minuti perché si ricomponesse. Smise di piangere, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca, si soffiò rumorosamente il naso, "Ora è meglio che vada" disse alzandosi dal divano.
"Ma no, dai, rimani ancora un po', lo vuoi un caffè?" le propose Alex.
Quindi, bevendo l'intruglio della macchinetta, Alida comincio' a raccontarsi. Aveva così tanto bisogno di sfogarsi che parlò a lungo e di tutto, anche della propria famiglia. "Il fratello minore di mio padre ha lavorato per anni al circo. Faceva l'addestratore di serpenti. Non che li sapesse davvero addestrare. Nessuno ne è capace. Ma ne sapeva prevedere le reazioni. I suoi spettacoli erano fantastici. Quelle bestie danzavano tra le sue mani"
"Parli sul serio?"
"Sì"
"Serpenti?"
"Sì"
"Serpenti? Serpenti?"
"Sì, cosa c'è che no va?"
"Nulla, continua pure"
"Comunque la passione di mio zio era talmente grande da essere contagiosa.  Da ragazzina ho lavorato per tre estati di fila in un rettilario. Facevo tante cose, ero così promettente all'epoca. Ho studiato biologia, ma nel mio paese non c'erano prospettive, e mi sono trasferita in Italia con la speranza di convertire la laurea e prendermi un bel Master in erpetologia. Ma i soldi non bastavano ed è andato tutto a rotoli. Non so come, non so quando, ma improvvisamente non ho avuto più prospettive! Davanti a me non c'era più un futuro radioso, e neanche un futuro nuvoloso, ma solo un muro, grigio, di cemento armato e altissimo. È terribile non vedere più una strada davanti a sé, si finisce in un posto così"
"Già" confermò Ivan, "si finisce intrappolati in un posto così"

Continua...

Prima parte
Seconda parte
Terza parte


Il giovane cineasta prese il passe-partout e si recò verso la stanza di Luca Bertoli. Arrivato davanti alla porta fece un bel respiro e... 
"Vado prima io" sentì alle sue spalle, "se ti dovesse succedere qualcosa sarebbe un gran casino, non lavori neanche qui!" 
Alex si girò e vide Ivan. Indossava una strana armatura fai-da-te. Aveva razziato tutti i cuscini dal magazzino, e se li era legati attorno al corpo con del nastro isolante. Poi, a concludere l'opera, si era messo in testa il casco della moto. 
"Fico! Sembri un incrocio tra RoboCop e Marshmallow Man" 
Ivan, così bardato, entrò per primo. Alex dietro di lui. L'uno terrorizzato. L'altro eccitato. Timidamente prima, ma sempre più spavaldamente dopo, esaminarono a fondo la stanza. Partendo da un'occhiata sommaria, finirono col guardare persino dentro l'armadio e sotto il letto. Ad ogni secondo che la ricerca progrediva infruttosa e sicura, il loro ego lievitava sfacciato. Si sentivano due coraggiosi esploratori. Esploratori di moquette selvagge e abat jour amazzoniche. 
"Hai visto? Era solo uno scherzo cretino!" esclamò Ivan, esibendo un sorriso soddisfatto. Che qualcuno avrebbe visto, se non fosse stato celato dal casco ancora saldamente calato in testa. 
"Forse, ma manca ancora il bagno" gli fece notare Alex. E, per le ragioni di cui sopra, nessuno vide il sorriso di Ivan che tornava ad essere una smorfia di paura. 
Fecero scivolare lentamente la porta a scrigno, allungarono i colli per affacciarsi guardinghi e, finalmente, lo videro. Era lì, raggomitolato sotto il lavandino. Affascinante a modo suo. Ivan e Alex trattennero il respiro per un attimo. Poi, quando il pitone cominciò a srotolarsi e scivolare lungo il pavimento, tirarono fuori in una sola volta tutto il fiato che avevano nei polmoni e scapparono urlando come due aquile impazzite. 
Gino, da parte sua, sospirò di solitudine e riprese posto sotto il lavabo. 

"Buongiorno, la stavo aspettando, prego si accomodi" le fu risposto dal sorriso untuoso e Alida entrò. La stanza era minuscola e al centro troneggiava un letto. Lei si sentì subito a disagio e pensò di girare i tacchi, quando il dottor Rossi le indicò una piccola scrivania sotto la finestra. 
"Mettiamoci al tavolo così mi racconta delle precedenti esperienze lavorative", le disse gentile. E lei raccontò. Raccontò dell'inutile laurea, del call center, del negozio. Raccontò con la coda dell'occhio sempre fissa al letto. 
"Bene, è evidente che è una donna in grado di darsi da fare. Bene. Molto bene.  Ma la vedo un po' tesa, perché mai?" 
"Beh..." 
E lui intercettò lo sguardo di sbieco rivolto all'ingombrante talamo. 
"Oh no, ma cielo, cosa avrà mai pensato? Non crederà che io? Siamo qua perché mi sono appena trasferito in città e non amo parlare di lavoro in mezzo alla confusione, in un bar, per esempio, ma se ciò la fa sentire più a suo agio" disse alzandosi. 
"Ma no, ma no, ci mancherebbe" si allarmò Alida, temendo di averlo offeso e che la sua insicurezza le stesse facendo perdere la prima buona occasione lavorativa dopo anni. 
"Bene" si sentì rassicurato lui. 
E lei riprese a snocciolare conoscenze ed esperienze lavorative precedenti. 
Continuò fino a quando non le sentì. All'inizio furono un impressione, un sospiro. Poi un brivido, un sospetto. Infine una spiacevole certezza. Le dita della mano sinistra del dottore stavano risalendo la gamba destra di Alida. Dal polpaccio verso il ginocchio. 
Lo stupore, si trasformò in repulsione. Il sorriso di lui tornò ad essere della sua specifica viscidezza. La repulsione si abbandonò alla vergogna. Le labbra di lui vennero umettate dalla sua stessa puntuta violacea lingua. 
La vergogna si mischio' alla rabbia, Alida di alzò di scatto, rovesciò la sedia e scappò in corridoio. La bocca di lui prese la perfetta forma circolare dello stupore. 

"Stupida stupida stupida" si biasimò, piangendo e correndo, fino a quando non venne interrotta. Da un muro. 

 Continua... 

Prima Parte 
Seconda Parte

"Un pitone. Il suo pitone. Ah, ma non ci dobbiamo mica preoccupare, è un cucciolo"
"Oh cazzo!"
"Sta tranquillo, sarà solo uno scherzo cretino!"
"Dici? A me quel Bertoli lì non è mai sembrato un gran mattacchione. Un tipo strano sì, ma un burlone no. C’hai presente? Sempre sulle sue, pallido come un morto, e con quell’abbigliamento da chierichetto. Una specie di Norman Bates friulano. Ecco, da un tipo così, ci si può aspettare di tutto"

I due trascorsero i minuti successivi ad arrovellarsi circa la questione.
Ivan era convinto fosse uno scherzo, o meglio preferiva non prendere minimamente in considerazione l'idea che nel residence ci potesse essere davvero un pitone. Questa era la modalità standard con cui affrontava tutti i problemi: la negazione. Aveva paura di rimanere senza soldi? Smetteva di guardare l'estratto conto. Sospettava che la fidanzata avesse un amante? Avvertiva con largo anticipo prima di tornare a casa. Temeva di essere bocciato a un esame? Il giorno dell'appello non si presentava, non rispondeva al telefono e, in casi estremi, si fingeva morto. Del resto questo approccio alla vita gli aveva sempre dato grandi soddisfazioni, perché cambiarlo? Il suo conto era in rosso, la fidanzata era scappata col suo migliore amico, e la laurea appariva un miraggio lontano.
Alex, d'altra parte, intravedeva finalmente la grande occasione che stava aspettando da tempo. E l'eccitazione inebriava i suoi sensi fino a renderlo coraggioso o incosciente, come mai prima di allora. "Dobbiamo andare a controllare" disse.
"Assolutamente no!"
"E perché no? Hai paura?"
Il giovane cineasta ce la stava mettendo proprio tutta per provocare e costringere all'azione Ivan, quando una voce sottile richiamò l'attenzione di entrambi.


"Buongiorno" disse loro una giovane donna dai lunghi capelli castani e gli occhi severi.
"Buongiorno" rispose Ivan cercando di darsi un contegno.
"Avrei appuntamento con il dottor Rossi"
"Ah, sì, certo, la sta aspettando. Primo piano, stanza 4"
"Grazie"
 E la videro allontanarsi a passi spediti e spalle rigide.


Una volta raggiunte le scale, Alida rallentò,  affrontando ogni scalino con fatica. Le ginocchia sembravano non volersi piegare. Sapeva che sarebbe stato difficile, ma sperava non così tanto. Da quando il negozio di scarpe aveva chiuso, lei non era più riuscita a trovare un lavoro decente. E da due anni arrancava tra mille occupazioni senza futuro. Quella mattina, però, finalmente sembrava essersi aperto uno spiraglio. Una sua ex collega le aveva procurato il contatto di un tizio che aveva bisogno di un'assistente. "Giovane, bella presenza e tanta voglia di lavorare", queste le richieste. "Basta che fai la carina con lui ed il posto sarà tuo", queste le indicazioni. Alida non aveva ribattuto, per non far la parte dell'ingrata. Ma poi, da sola a casa, si era rigirata a lungo quel biglietto da visita tra le mani. "Fare la carina? Ma quanto carina?" si era chiesta, temendo la risposta. Partita dal rifiuto categorico, era passata al dubbio probabilistico, per  raggiungere mestamente l'inevitabile compromesso. Si era raccontata rassicuranti menzogne e, infine, aveva composto il numero del dottor Mario Rossi. Lui l'aveva invitata ad un colloquio per il pomeriggio stesso, tanto era ansioso d'incontrarla e di darle questa grande opportunità.

Arrivata davanti alla porta numero 4, Alida fece un profondo respiro. Poi bussò.
"Buongiorno, la stavo aspettando, si accomodi", le fu risposto un attimo dopo dal solito sorriso untuoso in giacca e cravatta.

Alla reception, intanto, Alex e Ivan continuavano a discutere su quale fosse la giusta strategia da applicare. La negazione o l'azione?
"Vuoi davvero che un pitone gironzoli indisturbato per il residence?"
"Qua non c'è nessun pitone!"
"Ne sei sicuro?"
"Qua non c'è nessun pitone!"
"Dovremmo andare a controllare"
"Qua non c'è nessun pitone!"
"Ok, vado io"


Continua...

Prima Parte.

"Frena!" urlò l'appuntato Cazzaniga. 
E la volante inchiodo' poco prima dell'incrocio. 

Dodici ore prima, dal poco distante Residence San Paolo, era uscito Luca Bertoli, rappresentante e commesso viaggiatore di Udine. Era a Torino per lavoro e pensava che ci sarebbe rimasto per un bel po' ma, un'improvvisa emergenza alla sede principale della ditta, l'aveva costretto a ripartire quella mattina in tutta fretta. Così tanta da non avere neanche il tempo di portare ogni cosa con sé. 
"Dovrò scrivere alla direzione ed avvertirli, non vorrei che spaventassero Gino"  pensava sull'auto con cui stava andando in stazione. 

Ivan vide la Smart a noleggio allontanarsi dall'ingresso, proprio nel momento in cui stava per cominciare il turno. Tutto sommato non gli dispiaceva il suo lavoro, gli dava il tempo di pensare. Pensare a cosa fare della propria esistenza. A 31 anni bivaccava ancora all'università, teneva sulla scrivania libri che non apriva mai, e guardava gli altri vivere. 
Salutò il collega che aveva fatto la notte, si sfilò il piumino, prese posto dietro il bancone della reception, e cominciò quella che prometteva essere una giornata come tutte le altre. 

Un'ora dopo fu Alex a varcare la soglia del San Paolo. 
"Ohi" disse. 
"Ohi" rispose Ivan. 
"Come va? Successo qualcosa d'interessante?" 
"Qua non succede mai niente, dovresti arrenderti" 
"Mai! Sono sicuro che proprio tra queste mura troverò la trama perfetta per il mio film!" disse con voce ferma e incrollabile certezza Alex. Aveva ventidue anni e frequentava il residence ogni mattina da almeno sei mesi. Era mosso dalla convinzione che per il diploma alla scuola di cinema avesse bisogno di una grande idea. Idea che sicuramente avrebbe trovato tra le storie che s'intrecciavano in quelle stanze, su quella moquette, lungo quei corridoi. 

La mattinata passò monotona e priva di eventi, e il pomeriggio sembrava destinato a seguire lo stesso destino. "Qua è un mortorio" sbadiglio' Ivan. Quando arrivò il primo cliente della giornata. Era un uomo di media altezza, con un cappotto a quadrettoni, un discutibile completo color beige anni settanta, e un parrucchino che sembrava pronto per mettersi a miagolare da un momento all'altro. 
"Buongiorno" disse, appoggiando la sua 24 ore per terra. 
"Buongiorno" 
"Avrei bisogno di una stanza libera per tutto il giorno. Anzi, no, facciamo anche la notte. Una stanza con un bel letto matrimoniale" chiese con un sorriso tanto umidiccio e ambiguo da ridefinire in un secondo il concetto di 'viscido'. 
"Certo, abbiamo la stanza 4 al primo piano, se mi lascia i documenti la registro, lei intanto può già andare su" disse Ivan porgendogli le chiavi. 
Il cliente fece per andare, ma poi ebbe un ripensamento e tornò sui suoi passi: "Senta," disse, "tra un'ora dovrebbe venirmi a trovare una ragazza. Mi raccomando me la mandi su subito" concluse, strizzando un occhio e riproponendo l’inquietante sorriso. 

"Ecco, quello ha sicuramente una storia da raccontare" commentò Alex, appena il cliente se ne fu andato. 
"Mario Rossi" lesse Ivan, "Beh, il nome non è molto interessante" 
"Ma i capelli sì!" 
"Ah certo, su quelli ci potresti girare una trilogia!" 

Dlin. Un segnale acustico annunciò l'arrivo di un'email. Ivan, con la sua solita flemma, cliccò  sull'icona a forma di busta e lesse. 
E rilesse. 
E lesse ancora. 
"Che scherzo cretino!" sbotto' alla fine.
Luca Bertoli, come si era ripromesso, aveva scritto alla direzione del residence per avvertire che, nei due giorni in cui sarebbe stato assente, la sua stanza sarebbe stata comunque occupata. 
"E chi è sto Gino?" chiese Alex spiando lo schermo.

Continua...
Sono tornata, perché questa è casa mia e proprio non riesco a rinunciarci.
Sono tornata, perché tutte le volte che qualcuno mi chiede "Ma sul blog non ci scrivi più?" mi piange il cuore.
Sono tornata, perché è tra queste pagine che ho cominciato a raccontare le mie storie e, ora che c'è una nuova, è qui che le devo dare spazio.

Da pochi mesi esiste una rivista online, si chiama Vingt-Deux Pensées, e da ieri è disponibile il suo quinto numero. Dentro troverete molto da leggere e da vedere. Tra tante parole e idee, c'è anche un mio piccolo racconto, dannatamente autobiografico.

Era parecchio che non scrivevo solo per il piacere di farlo, mi è stato chiesto di mettermi in gioco, l'ho fatto e ciò ha liberato un'energia e una voglia di scrivere scrivere scrivere, come non mi capitava da anni. Che bello! Comunque vada, qualsiasi cosa venga da questo nuovo sentimento, che bello! Racconti belli, racconti brutti, storie inutili o no, chi se ne frega? Che bello!

Pre scaricare la rivista, cliccate qui.

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