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Lei lo condusse nella stanza in fondo al corridoio.
Lui la seguì. Detestava i convenevoli, preferiva darsi da fare, arrivare subito al sodo.

Varcarono la soglia. Le luci erano soffuse. Il letto grande.

Lui si tolse la giacca. Allentò la cravatta. Sbottonò i polsini. Arrotolò le maniche.
Lei avvertì un leggero capogiro.
Lui la sorresse.
"Non si preoccupi. Ora penseremo a tutto noi. Noi, delle Onoranze Rampini"
Da più di un anno, come molti di voi già sapranno, mi occupo della pagina facebook Humans -Torino.
Io e il mio socio, il fotografo Sergio Sasso, giriamo per la città alla ricerca di volti e storie. Delle volte c'imbattiamo nella preziosa normalità, altre nella ricca straordinarietà.

Circa due settimane fa abbiamo visto da lontano un gazebo, una vecchia auto e due ragazzi. Ci siamo avvicinati, ci siamo fatti raccontare il loro progetto, e ce ne siamo innamorati.

Andrea e Luca sono due cugini con gli stessi occhi e gli stessi sorrisi.
Due cugini che, dopo aver acquistato una vecchia 500, si sono chiesti "Fin dove può arrivare?"
Da quella domanda è nata una sfida: raggiungere Tokyo in nove mesi.
Attraversare Europa ed Asia per raccogliere fondi in favore della FORMA Onlus, la Fondazione dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino. E, durante questo viaggio, visitare diversi centri pediatrici e far disegnare ai bambini ricoverati i loro sogni.

Un'avventura per nutrire i sogni degli altri con il proprio, e viceversa.
Una follia per rendersi utili e mettersi in gioco, senza perdere il sapore della sfida e delle epiche imprese.
Due cavalieri con un particolare destriero attraverseranno mari, monti ed estese pianure. Ammansiranno draghi. Stregheranno maghi e fattucchiere. Incontreranno gnomi, principi, principesse, fatine e scudieri. Sarà una favola on the road a cui potremo partecipare tutti, "Spingendo" la macchina grazie a donazioni e consigli, proposte e sorrisi.

La partenza è prevista per il 3 luglio dalla Basilica di Superga.
Le offerte che giungeranno serviranno a finanziare diversi progetti, tra cui la ristrutturazione di alcuni reparti e la Pet Teraphy.

Continuerò a seguire questo sogno per me, per il mio blog e per voi. C'è ancora tanto da fare. E' una scommessa. E' una follia. Ma è un grande cuore che già corre.
Per saperne di più e innamorarvi anche voi: cliccate qui e qui.
Be Revolution from we.mind on Vimeo.
Scrivere di chi sa scrivere mi mette sempre un poco d'ansia.
E' forte la tentazione di glissare causa inadeguatezza, ma su questo blog ho sempre condiviso il bello che ho incontrato, e non intendo smettere.

Domenica scorsa ho assistito alla prima estiva de "Il Grande Fresco".
Uno spettacolo, un gruppo, un trio, fatto di poesia e musica. Un contenitore di parole e note. Un concerto reading. Un piccolo capolavoro di Guido Catalano, Federico Sirianni e Matteo Negrin. Un poeta, un cantautore e un musicista.

Bravi.
Tutti e tre. In maniera diversa ma complementare.
Era da tanto che non godevo di uno spettacolo così bello. Uno spettacolo dove c'è tutto: talento, lavoro, originalità, ironia.

Una di quelle sere in cui torno a casa felice, con la voglia di parlarne sul blog, ma anche la consapevolezza di non esserne all'altezza. Forse.

E allora meno parole ma più utili informazioni.
Questi sono i link: curiosate tra le pagine, scorrete le date, scegliete se andare a vederli come singoli o come gruppo, a Torino e non. Ne varrà, comunque, sempre, la pena.
Guido Catalano, Federico Sirianni, Matteo Negrin, Il Grande Fresco.



Dai stiamo sul pezzo.
Dai parliamo di Maturità.
No, non di quella iniziata oggi che, sinceramente, ma chi se ne frega!
Ma di quella che ho fatto io, millemilioni di anni fa.

L'esame era del vecchio, vecchissimo tipo.
C'era il tema. Poi l'altro scritto, diverso a seconda dell'indirizzo di studi. E, infine, l'orale: due materie. Ufficialmente una la sceglievi tu e l'altra la commissione. In realtà, a parte follie rare e improvvise di docenti accecati dal potere, le sceglievi tu entrambe.

I professori erano tutti esterni. Tutti tranne uno. Il membro interno, appunto. Il membro interno aveva il compito di infonderti fiducia, bisbigliare suggerimenti durante gli scritti e, nel caso specifico della mia classe, preparare torte per addolcire la commissione.

Del mio esame di maturità ricordo soprattutto il compito di matematica, che venne accolto da scene d'isteria, pianti a dirotto, e melodrammi casalinghi. Io, a differenza di alcuni miei compagni, scelsi di conservare la dignità: non feci scenate e non piansi. A scuola.
A casa, invece, mi esibii in una riuscitissima imitazione di Mario Merola, solo un poco più sopra le righe rispetto all'originale.

Del mio esame di maturità ricordo anche la preparazione per l'orale. Il "pasticcere" membro interno, per risollevare i voti abbattuti da derivate e integrali, strinse un patto scellerato con la commissione. "Chi vuole qualche punto di bonus sul giudizio finale, lasci ai professori la scelta della seconda materia orale. Gli interessati ne propongano due, noi comunicheremo la nostra decisione solo il giorno prima" ci venne spiegato.

Accettai la sfida.
Portai storia come prima materia, poi fisica e italiano.
Il programma di fisica poteva essere scritto su un tovagliolino da bar. Quello d'italiano sulla Treccani, edizione extra large.
La commissione scelse la Treccani.
Feci l'ultimo ripasso tutto in una notte. Arrivai all'orale senza aver dormito. Un fascio di nervi con occhiaie da panda. Passai per prima. Andò bene. Andò molto bene.
Dormii.

La maturità è un esame ricco di pathos.
La maturità è materiale per racconti, incubi e post su blog.
La maturità, per il resto, non serve a un cazzo.
Piccoli biglietti in giro per la città.
Parole. Racconti.
Scritti lo scorso week end. Tenuti in borsa per giorni.
Ieri, complice una giornata un po' storta, mi sono finalmente decisa.
L'ho fatto.

Nove Giugno Duemilaequindici.
Approfitto del passaggio di un gruppo di cabarettisti amici miei: vado allo Zelig!
No, non la trasmissione televisiva. Il locale originale. Dove tutto ebbe inizio e, anche lontano dalle telecamere, continua.

Un po' blogger d'assalto, un po' groupie, un po' Yoko Ono dei poveracci, migro verso Milano, prendo pioggia a secchiate, curioso in un mondo che non conosco.

Già il viaggio è una lezione di vita: due ore chiusa in macchina a sentir discutere di cambi in scena, cappelli, giacche, e corse su e giù per il palco. Che bello dover fare esclusivamente la spettatrice. A me viene l'ansia da prestazione solo a sentirli certi discorsi. In una situazione del genere fuggirei ancor prima dell'inizio dello spettacolo. Per poi essere ritrovata con la ciucca triste da "Il Lurido" o ancora incastrata nella microfinestra del bagno. Neanche meritevole di una fuga dignitosa. Ovviamente.

A proposito di bagno, appena arrivata nel locale corro ad usarne uno. Poi, rasserenata, comincio a guardarmi in giro. A dire il vero questo famoso Zelig non mi sembra un granché. L'ingresso è così triste: dal corridoio si passa direttamente ai bagni, e poi ai camerini. I camerini? Che ci faccio nei camerini? Ho usato l'entrata secondaria, quella per gli artisti. Mi sembrava strano. Va bene il low profile del cabaret underground, ma l'ingresso dai cessi era davvero troppo!

Esco. Ci riprovo. Porta principale. Quella per il pubblico. Decisamente meglio. Foto di comici famosi, luci, specchi, brillantini. Un bel posto. Una bella energia. Un po' di emozione, persino per me che non c'entro niente con tutto l'ambaradan.

Armata di smartphone, e in modalità molto social, faccio foto brutte e un poco tutte uguali.
Ceno con il panino "Teresa Mannino". E poi prendo posto sulle tribune. Tempo trenta secondi ed ho una piaga da decubito. La prossima volta mi porto una ciambella come ogni ottuagenaria che si rispetti.

Si comincia alle 21:30. Si finisce all'1. Nel mezzo un intervallo di 10 minuti.
A presentare ci sono due terzi dei Boiler: Federico Basso e Davide Paniate.
Loro sono bravi. Ma bravi bravi! Presentano, fanno ridere, fanno da spalla, risollevano i tempi morti. A fine serata voglio portarmeli a casa e costringerli a diventare i miei migliori amici. Tipo "Misery non deve morire". Ma senza violenza, sequestro di persona, e gambe rotte. Per quanto riguarda lo squilibrio mentale: ci devo ancora lavorare su.

Nel cast ci sono comici da mezza Italia. Tantissimi. Esordienti o meno, giovani o meno, talentuosi o meno. C'è chi sembra nato per stare sul palco, c'è chi dovrebbe fare altro nella vita, c'è chi è in serata, c'è chi no, c'è chi è originale, c'è chi neanche per sogno.
E, come sempre, ci sono pochissime donne. E io, come sempre, mi lancio nella mia personale crociata: per quale stram#### di ragione buona parte delle donne che fanno comicità devono sempre e comunque parlare di uomini? E' roba trita e ritrita. Oltre che un mezzo suicidio artistico. Perché, a far ridere con battute già sentite mille volte, bisogna essere delle tigri da palcoscenico, dei geni della scrittura, o premunirsi di portare tra il pubblico tutti gli invitati della propria prima comunione.

Comunque, in molti mi hanno divertito. Qualcuno davvero tanto.  Per correttezza non dico niente sui miei amici torinesi. Che sono tutti bravi e belli, specialmente Andrea Bruno. Ma ci tengo a fare i miei più spassionati complimenti a un duo proveniente da Roma (*). Non so come si chiami il duo. Non so come si chiamino loro all'anagrafe. Non so niente. Ma sono molto bravi. In particolare uno dei due passa in scioltezza da un personaggio all'altro, con velocità e padronanza invidiabili. Se mai, per caso, doveste leggermi e riconoscervi, ve lo ripeto: bravi!
Bravi loro e anche altri.

Ma non tutti. Proprio no.

(*) Il caso e i social mi hanno permesso di rintracciare il duo romano. Sono Spadoni&Paniccia e questa è la loro pagina facebook.
E, niente, io avrei deciso di fare una cosa.
Sono mesi che ci penso, forse quasi un anno.
Niente di che, una cosa piccolina.

Uno di quei gesti d'artista col gonnellone e i fiori tra i capelli. Anche se io non sono così. Niente gonnellone e niente fiori.

Però questa cosa mi piacerebbe proprio farla. Mi piacerebbe scrivere i miei racconti, quelli più piccini, su dei foglietti di carta e poi lasciarli in giro per la città. Senza nessuno scopo. Così, solo per il gusto di farlo.

Solo per il gusto d'immaginare l'incontro casuale e involontario tra uno sconosciuto e le mie parole. Qualcuno che le trovi, le legga, e poi magari sorrida. O magari no.

Io, a fare questa cosa qua, mi vergogno come una ladra. Ma non importa, la voglio fare comunque che, se fosse per la vergogna, nella vita non avrei mai fatto nulla.
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