Radio cole
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Caro amico lettore,
avevo grandi progetti per questo blog.

Volevo svecchiare la grafica e rendere l'homepage più professionale. Ma poi l'entusiasmo per la novità è rimasto incastrato tra l'informatica inadeguatezza e la cronica mancanza di tempo. Vistoso e sgradevole, quanto un pezzo di rucola tra denti freschi di detartrasi.

Attualmente, quindi, Radio Cole appare diversa da prima, ma ancora distante anni luce da ciò che avevo in mente. Ma non intristiamoci e cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno. Concentriamoci su ciò che c'è adesso e non su ciò che ancora manca, e che probabilmente mancherà per sempre. 

Ad esempio, c'è un logo tutto nuovo, fatto con le mie manine sante e, per questo, motivo d'infinito orgoglio. Semplice e colorato. Mi hanno chiesto di farlo. Io ho accettato e poi ho atteso l'ispirazione. Invano. Me l'hanno chiesto un'altra volta, ma con una data di scadenza che suonava più o meno "o adesso o mai più". Quindi, con la testa priva di qualsiasi spunto creativo, mi sono finalmente messa al lavoro e, in tempi tanto ristretti quanto irripetibili, ho avuto un'idea e l'ho realizzata in maniera tecnicamente adeguata. Una sorta di "miracolo di Natale" anticipato. 
Io ve lo dico con sincerità, se non vi piace il nuovo logo non lo voglio sapere, tenetevi per voi quest'informazione, nascondetemi il severo giudizio. A me piace e sono una strenua sostenitrice del lussurioso lussureggiante lusso dell'ignoranza. L'opinione altrui in alcuni casi, e questo è uno, deve rimanere nell'oscurità. Un po' come quando si cambia drasticamente taglio di capelli o fidanzato.

Tra le altre cose che ora ci sono su questa pagina è impossibile non notare il mio faccione. Del resto,ormai, se vuoi fare la blogger ci devi mettere la faccia. E quindi quella mia è quella là. Guance candide, labbra vermiglie. Cioè, appena sveglia no, non ho mica quell'aspetto lì, e neanche di pomeriggio, forse la sera sì, ma solo sotto la giusta luce.  Però, insomma, io sono più o meno così. Più meno che più. Ma perdonatemi, che avrei dovuto fare? Mettere la foto della carta d'identità? Va bene metterci la faccia, ma con un certo legittimo uso di filtri!

Questo bicchiere mezzo pieno lo voglio anche arricchire con una promessa, anzi due. Quella di rimettermi a scrivere con una costanza decente, che di post in arretrato ne ho almeno 5 o 6, e quella di cominciare a dare un poco d'importanza alle immagini. Tranquilli non mi darò alla fotografia, non ne ho il desiderio, il tempo o le attrezzature, ma prometto di fare foto meno orrende del solito e di cercarne di belle online.

Insomma, qua si vorrebbe cominciare a fare sul serio, ma sempre a modo mio. Con pazienza, procrastinazione, e un'infinità di buoni propositi.

A presto,
JPC
Ora vi racconto cosa ho fatto domenica.
No, non domenica scorsa.
Domenica 11 ottobre.
Ho i miei tempi, già lo sapete.

Domenica 11 ottobre ho dormito tutto il mattino come la più grave delle narcolettiche, poi ho fatto colazione come se non ci fosse un domani e, infine, mi sono rimessa a letto. Del resto avevo ancora da sfruttare una mezz'oretta di tutto il sonno arretrato accumulato negli ultimi 38 anni. Ora sono pari, e prevedo di stare sveglia come un grillo per i prossimi due mesi. O anche no.

Dopo tutto questo sfacciato riposo, sono andata in centro. Ci siamo andati tutti. Tutti gli abitanti di Torino e provincia stavano là. In auto. Un traffico folle che neanche a Bangkok, ci mancavano giusto i tuc tuc a fare lo slalom tra le macchine. Sembro una vera donna di mondo quando evoco tali esotiche immagini, nevvero? Ma non lo sono, ho solo visto tutte le puntate di Pechino Express.

Trovato parcheggio dall'altra parte del mondo ho raggiunto a piedi la meta tanto agognata: la Cavallerizza Reale. Cos'è la Cavallerizza Reale? Per i non sabaudi forse è il caso che lo spieghi.
La Cavallerizza Reale è un complesso antico, di stile barocco, sotto tutela dell'Unesco. Oltre che luogo di conflitto tra chi lo occupa, e cerca di farlo vivere e godere ai torinesi, e il comune che vorrebbe venderlo. 
Sappiate che ve l'ho fatta semplice ma il succo è questo.

L'altra domenica alla Cavallerizza ho assistito a: una lezione di letteratura cinese, tanto appassionata da farmi venir voglia di saperne di più; un reading, con poeti che che già conoscevo e poeti che non conoscevo, scrittori di prosa, e persino Morandazzo. Come chi? Non lo sapete? Ma fatevela una cultura cinematografica e, soprattutto, una risata: cliccate qua!

Poi sono andata a mangiarmi un hamburger in un locale che conosco da sempre. Nessuno sa quando abbia aperto, forse neanche i proprietari. Eppure esso c'è sempre stato. Dimenticabile ma non dimenticato. Tutti lo conoscono, tutti ci hanno passato almeno una serata, ma nessuno ci ha mai vissuto epiche imprese o notti memorabili. Regge inossidabile, con lo stesso arredamento e gli stessi bagni minuscoli, lascito di un tempo antico in cui gli abitanti della città erano tutti umpa lumpa custodi del segreto del gianduja.

Infine sono corsa all'apertura della stagione di Offstage, la rassegna che in primavera presenta Facce da Palco.
La responsabilità di cominciare la stagione se l'è presa Ettore Scarpa. Ottimo attore, mi piace quando recita e mi piacciono le sue freddure su Facebook. Per onestà, però, devo dire che questa volta non mi ha convinta. Ha scelto di rischiare, improvvisare, andare allo sbaraglio. Lui sa tenere il palco come pochi, ma ciò non può bastare, non deve bastare. Il patologico perfezionismo rende infelici ma fa meno danni della leggera approssimazione. Come una critica sincera è più impegnativa di un calcolato silenzio.

E comunque ho recuperato la macchina, sono tornata a casa e ora, a distanza di 10 giorni, ho nuovamente accumulato una discreta quantità di sonno arretrato. Prossimo obiettivo? Il letargo domenica 25. 
Il bello delle vacanze in macchina è che alla fine sei talmente stanco da esser felice di tornare a casa, soffri molto meno per la fine del viaggio, non ti struggi di nostalgia. Desideri solo rivedere le tue quattro familiari mura.

E' l'ultimo giorno: attraversiamo la Francia, riaffrontiamo le Alpi col malcelato terrore di finire nuovamente sulla strada degli orrori, scavalliamo le montagne e poi siamo a Torino.
In città fa freddo ma non c'importa e, ancora prima di posare le valigie, ci offriamo un gelato di benvenuto. In qualche modo dobbiamo pure ammortizzare la separazione forzata dalle boulangerie delle meraviglie.
Poi parcheggiamo, apriamo il portone, prendiamo l'ascensore, entriamo in casa e...

E perdiamo i sensi sul letto. No, non ci si addormentiamo, sveniamo proprio, non prima di un ultima preziosa domanda: "Dove andiamo la prossima volta?"

Fine.
E' ora di fare i bagagli, riempire la borsa frigo di specialità iberiche, salutare l'amato Edoardo, e tornare a casa.
Durante il primo giorno del viaggio di ritorno scopriamo che: a Madrid ci sono pochissimi distributori di benzina e per gli abitanti della capitale spagnola è normale andare in autostrada a fare il pieno. Mah! Gli inquietanti tori neri non sono presenti solo lungo la strada che dalla costa nord va verso il centro del paese, ma anche lungo quella che dal centro del paese va verso la costa sud. Ansia! Narbonne, affascinante ma inquietante cittadina francese dove passiamo la notte, ha strade vuote, marciapiedi deserti, ma ristoranti affollati con grandi vetrine che paiono acquari. Credo che la gente ci si teletrasporti dentro direttamente da casa, non vi è altra spiegazione.


Noi, per evitare di essere assimilati o ridotti in glitterate nuvolette, ceniamo in una micropizzeria d'asporto dove una dolcissima vecchina francese, dalla bellezza sfiorita ma ancora presente, ci coccola, ci vizia e ci adotta, congedandoci con un "Buona notte, mi raccomando non correte domani che è prevista pioggia!"
Noi, di fronte a tanta spontanea e familiare nonnitudine,  c'inteneriamo talmente da perdonarle perfino l'Emmenthal usato al posto della mozzarella.

Continua...
Svagata e svanita come sempre, lo dico a cani e porci ma dimentico i miei lettori. Sono proprio una brutta persona e una schifezza di blogger!

Vi ricordate che la scorsa primavera avevo avviato l'esperimento di un laboratorio di scrittura via Skype? L'esperimento continua e, fra poco, partirà una classe nuova di zecca, mentre la precedente va avanti lungo il suo percorso regalandomi manciate di goduriose soddisfazioni.

Siete interessati a buttarvi in quest'avventura?
Fate un fischio, lasciate un commento, scrivete un'email (janecole@live.it).

Potrete giocare, scrivere, leggere, confrontarvi con gli altri e, soprattutto, coccolare e far crescere un personaggio tutto vostro. 
Le persone scolpiscono la propria vita, i personaggi la propria trama.
Con questa frasona ad effetto vi ho convinto, eh? 
No? 
Strano.

Il laboratorio di scrittura è una cosa bella assai, farlo su skype ha il vantaggio di poter conoscere persone lontane e relazionarsi con nuove realtà. Se avete sempre scritto o non avete scritto mai, questa è comunque un'ottima occasione per liberare la vostra creatività senza prendervi troppo sul serio.
Vi aspetto! 
Da quando siamo a Madrid arrivo a sera così stanca da non riuscire a riposare. E di notte, comunque, fa un caldo maiale.
Mi giro e mi rigiro tra le lenzuola come un porceddu sardo. Destra, sinistra, sinistra, destra, testa sopra, testa sotto, con cuscino, senza cuscino. Dividere il letto con me deve essere una delizia. Ma sono fortunata, e chi si dovrebbe lamentare fa spallucce, pat pat sui ricci, e sopporta con calma zen.

Abbiamo bisogno di un giorno a ritmo ridotto prima del viaggio di ritorno. Di un giorno in cui non si corra. Un giorno in cui si passeggi.
Shopping è la risposta.
Ma mica shopping qualunque. Tsk! Con quali banali creature credete di avere a che fare?
Vinili. Andiamo a caccia di vinili.
Eduardo, il nostro padrone di casa-guru, ci dà un paio di dritte e noi passiamo ore a scartabellare tra polvere e copertine, in un mondo molto nerd e altrettanto affascinante.
Che sia ben chiaro, io non sono una collezionista, io non sono un'esperta, no, niente di tutto ciò. Io sono solo una che  va a rimorchio di un appassionato-collezionista dei dischi dei Beatles e, dovendo fare di necessità di virtù, decido che il mio souvenir di questa vacanza sarà un vinile da incorniciare. Quale? Lo saprò quando lo vedrò.

E così cerco tra i 45 giri. All'inizio cerco qualcosa di vecchio e italiano e m'imbatto in Modugno, Cecchetto, Pappalardo, Carrà, Albano, Celentano, Pavone. Tutta roba che avrebbe anche un suo perché, ma le cui orride copertine mettono a dura prova il mio senso estetico e l'amore che provo per le mura del mio appartamento. Ok che il vintage va di gran moda, ok che ciò che una volta era sfigato adesso è cool, ok un sacco di altre belle cose, ma io non me la sento di tenermi Cecchetto in soggiorno. Non ce la posso fare.
Quindi, abbandonata la musica italiana, mi getto sulle colonne sonore internazionali. E da queste ho molte più soddisfazioni, talmente tanta da finire con lo struggermi nell'indecisione tra diversi film, per poi scegliere di portarne a casa non uno, ma ben due: un 45 giri e un 33.  Ne agevolo le deliziose immagini.




Una volta fatti gli acquisti, passeggio per Madrid tronfia nella mia nuova condizione di detentrice di vinili iberici, quando il destino beffardo decide che sono troppo di buon umore e gioca crudelmente con me.
Eduardo ci consiglia una passeggiata lungo il fiume, a lui piace tanto. A noi un po' meno, molto molto meno.
La passeggiatina è lunga come la quaresima, il clima è quello della foresta tropicale e, inoltre, che si sappia, la vista lungo il Manzanarre non è nulla di memorabile. Noi, comunque, arriviamo fino in prossimità del Palazzo Reale e da lì c'inoltriamo nel centro. Che ideona! Per l'ora successiva (o forse più) camminiamo in salita, con una pendenza del 99%. Le salite madrilene già le abbiamo ampiamente sperimentate ma nulla ci ha preparato a una tortura medievale simile. Non mi stupirei se mi dicessero che la pianta urbana della città sia stata disegnata dalla Santa Crudele Inquisizione. Sempre e solo in salita, qualunque sia la direzione che scegliamo, non c'è modo di uscirne illesi. Voglio delle scale mobili! Voglio uno skylift! Voglio la mamma!
Finalmente raggiungiamo una fermata della metro, non prima di aver avuto la visione di un paio di santi, due beati e, per la par condicio, quattro dei pagani.

Domani si parte. E io, disidratata e sfranta, riesco persino a dormire.

Continua...
Il giorno dei musei.
Bisogna solo decidere quali.
Ci consultiamo con Eduardo che, oltre all'imperdibile Prado, ci consiglia il Reina Sofia. Noi vorremmo dargli retta, vorremmo sul serio, ma il destino si oppone. Per caso passiamo davanti al CentroCentro e ne veniamo letteralmente risucchiati.

Cos'è il CentroCentro? Se non siete stati a Madrid nell'ultimo anno probabilmente lo ignorate. Poveri sciocchini. Mi sto bullando e pavoneggiando dandomi arie da grande donna di mondo? Sì, lo sto facendo.
CentroCentro è il vecchio palazzo della Posta, appena ristrutturato e trasformato in sede di mostre e punto d'incontro per la città.
Noi ci entriamo quasi per caso e per due ore giriamo tra le immagini di un'esposizione dedicata a fotografi sudamericani. Un'esperienza intensa, suggestiva, originale, inquietante. Impossibile rimanere indifferenti. Ah, quasi dimenticavo, completamente gratuita.

Al CentroCentro sono anche disponibili grossi tavoli, per studiare, lavorare e approfittare della rete wifi. Il tutto rigorosamente aperto a tutti. Un luogo dei sogni per i freelance, gli studenti e gli scrittori.
Uno spazio silenzioso, moderno, ordinato, ricco di buonissime vibrazioni.
Ne esco a fatica, mi ci trasferirei. 
Consigliatissimo.
Se siete da quelle parti fateci un giro. Rappresenta il perfetto matrimonio tra architettura moderna e non. Spazio per cultura, curiosità, creatività. Grembo protettivo nel mezzo del caos urbano.

Dopo questa piacevole scoperta ci buttiamo nel Prado. E vi restiamo agli arresti domiciliari per quasi 5 ore.
Volete la verità? Alla fine la sensazione non è "Oh che esperienza meravigliosa", ma più "Lo dovevamo fare, l'abbiamo fatto, ora passiamo oltre." 
Sarà che (Diomiperdoni!) non sono una grande appassionata di Goya, ma altri musei europei, magari meno conosciuti, mi hanno emozionata molto di più. Ci tornerei solo per perdermi ancora nella sublime follia di Bosch, o per ammirare una seconda volta la mostra temporanea dedicata a Picasso. Perché vedere le sue opere dal vivo dà sempre un lieve friccicore allo stomaco, una sensazione di sassolino messo nella metaforica saccoccia delle cose  da fare almeno una volta nella vita.

Comunque, la giornata ci ha sfiancato, al Reina Sofia ci andremo nella prossima vita. Ma non  rinunciamo a un altro viaggio nel meraviglioso mondo delle Tapas. Questa volta ci buttiamo sul turistico sfacciato ma irresistibile: andiamo al mercato di San Miguel con le sue mille scelte. Ci abboffiamo di mini hamburger, crocchette di baccalà e soprattutto spiedini di olive. Olive con formaggio, olive con pescetti, olive con prosciutto, olive con cipolline. Ancora, ancora e ancora. Oh sì sì sììììì... aaaaahhhhhhh...

Le olive spagnole conquisteranno il mondo e noi saremo loro umili servi.

Continua...
Sveglia all'alba. Anzi, prima dell'alba.
Partenza. Direzione: Madrid.
Ci lasciamo la Francia, i paesi baschi, Biarritz, il mare alle spalle.
Puntiamo verso l'entroterra.

Attraversiamo il nulla per molto tempo, saltuariamente salutati da inquietanti sagome di tori. A Los Angeles hanno piantato la celebre scritta "Hollywood". In Spagna hanno messo i tori. Grandi, neri, vagamente inquietanti. Cioè, il primo no, il primo è folcloristico, il primo ti fa dire "Figo, stiamo proprio raggiungendo il cuore della vera Spagna". Ma al terzo inizi a chiederti cose tipo "Ma questi che vogliono? Ma perché li hanno messi? Ma ce l'hanno con noi?"

A metà mattinata finalmente arriviamo alle porte di Madrid. La vediamo da lontano. Un popolatissimo e brulicante tappeto di vita. E' grande e moderna. A pelle ci piace molto. 
Poi la dobbiamo attraversare da nord a sud, per raggiungere finalmente la stanza che abbiamo prenotato. E doverci fare 40 minuti di tangenziale ci piace un poco meno. Ma ormai l'avrete capito: ci lamentiamo facilmente ma, per fortuna, ci entusiasmiamo con altrettanto slancio.

Arrivati, ci accoglie il padrone di casa: Eduardo. Un mito. Regista teatrale impegnato nella traduzione di una pièce. Ad aiutarlo nell'impresa una sua amica attrice. Ci presentiamo anche noi "Io sono un comedian. Lei è una blogger".
Insomma, in quella casa, uno con un lavoro normale manco a cercarlo col lanternino!

Presi dalla smania di visitare tutto e subito, svuotiamo rapidamente i bagagli e ci buttiamo immediatamente nella città.
Di Madrid tutti mi avevano detto "Fa caldo, caldissimo", ma tutti avevano taciuto circa la vera iattura di questa, per altri versi, meravigliosa città: le salite! Madrid è in salita, sempre e comunque. Qualunque parte del centro si voglia visitare c'è sempre da scarpinare disperatamente. Noi, però, non ci facciamo scoraggiare e alle 11 siamo già per strada.

Dopo millemilioni di giri, dopo km e km, dopo ettolitri di liquidi persi, dopo aver scoperto le tartarughe di Atocha, dopo esserci persi tra viuzze sguelfe/caratteristiche/olaborsaolavita, dopo aver passeggiato per le piazze principali, dopo aver ammirato il palazzo reale (da fuori) e la cattedrale (pure da dentro), dopo aver preso fresco all'ombra del Don Chisciotte, dopo tutto questo, guardiamo l'ora e scopriamo che "...sono solo le 15???" "Ma noi con questo ritmo moriamo!"
Così ci diamo una regolata, torniamo a casa di Eduardo e ci facciamo un pisolino. Il rito della siesta non è una pigra abitudine, ma una fisiologica necessità quando si è immersi in certi climi. 

Poche ore dopo, rinfrancati nel corpo e nello spirito, investiamo in un salvifico biglietto della metro e torniamo in centro per la sfida tapas. E questa volta ne usciamo vincitori. Mangiamo quelle che, a mio insindacabile giudizio, si possono considerare le migliori tapas di Madrid. Lo facciamo in un posto scrauso e semplice, che presto scopriamo essere sia una nota meta turistica (indicata nelle guide) sia un apprezzato punto di ritrovo per la gente del luogo. Sto parlando di "Casa labra", dove fu fondato il partito socialista spagnolo e dove si possono mangiare le migliori crocchette di baccalà della capitale. E a me il baccalà neanche piace. Ciò, per farvi capire quanto buone devono essere!

Continua...
Dopo tre giorni sempre in giro optiamo per un tranquillo pomeriggio in spiaggia. Ci portiamo il minimo indispensabile: teli mare e 10 euro a testa. Poco inclini all'abbronzatura ci buttiamo subito in acqua. Giochiamo con le bonariamente aggressive onde di Biarritz. "Splash!""Spruzz!" "Spataplash!" "Arisruzz". Due otarie felici che, appena tornate a riva, non trovano più nulla. Tutto sparito: gli asciugamani, le scarpe e, soprattutto, gli occhiali da vista. Echecazzo! Procediamo con la perlustrazione ossessiva di ogni centimetro quadrato di spiaggia. Le persone sono accalcate l'una sull'altra. Nulla ci sembra familiare. Avevamo pochi punti di riferimento prima di tuffarci e quei pochi, comunque, non riusciamo a ritrovarli. Passa il tempo. La striscia di sabbia diventa sempre più piccola. Dopo mezz'ora realizziamo l'orrore e l'errore: l'alta marea. Non sappiamo se a portarci via tutto sia stata l'acqua o qualche poveraccio. Il risultato non cambia: siamo in costume, scalzi, e dobbiamo farci mezz'ora di strada a piedi per tornare a casa. E, problema più grave, io sono senza occhiali e non vedo una mazza. Domani andiamo a Madrid e io sono la cieca di Sorrento. Poi, però, accade il miracolo. Quando, afflitti e scoraggiati, ci apprestiamo ad andarcene, due persone ci notano, intuiscono il motivo del nostro avvilimento e fanno partire il passaparola. E' tutto là. La nostra roba è tutta là. Sull'ampio corrimano della scalinata che porta verso la strada. Asciugamani, soldi, scarpe e occhiali. C'è tutto. Zuppo e pieno di sabbia. Ma tutto affettuosamente custodito da una famiglia francese, che aspettava solo qualcuno che ne rivendicasse la proprietà.

"Io amo questa gente"
"Anch'io"

Continua...
Perché si decide di fare un viaggio così lungo in auto?
Per potersi spostare, come e quando si vuole, tra luoghi diversi. Spinti solo dall'ispirazione del momento e non dai dettami di un rigido programma da seguire.

Ed infatti, dopo tanti km macinati in 48 ore, la terza giornata non ci fermiamo, ma andiamo a visitare San Sebastian.

Da Wikipedia:
Donostia-San Sebastián (la denominazione ufficiale comprende la doppia versione in basco e spagnolo), è una città situata nella comunità autonoma dei Paesi Baschi, nella Spagna nord-orientale, che conta circa 185.510 abitanti. 
Grande, luminosa, viva. Piena di sé. Una sfacciata. Già l'adoro!
Ma non si vive di sola bellezza. E dopo cinque minuti dal nostro arrivo sentiamo il dovere di darci da fare. Non è tempo di poltrire! E, mai domi, ci dedichiamo alla valutazione dei prodotti dell'arte bianca locale. Dopo un attento esame, la conclusione è la seguente: i bomboloni baschi non hanno niente da invidiare a quelli italiani.
Che sia messo a verbale.
Grazie.

La giornata è solo all'inizio e noi abbiamo ancora tanto di cui occuparci. In particolar modo, dopo aver a lungo camminato, dobbiamo fare ciò che ogni bravo turista deve fare superati i Pirenei: provare le Tapas.
Ci troviamo in una lunga via dove i locali si alternano più o meno così: ristorante figo, bar, trattoria, ristorante figo, bar, trattoria, ristorante figo, bar, trattoria, ad libitum.
Passiamo davanti ad ogni posto, gettiamo un occhio dentro e questo ci viene ritirato indietro da una folle enorme ed ingorda. Tra paradiso ed inferno, ci sono così tante persone nei locali che, se uscissero tutte assieme, per strada non potremmo più muoverci, stretti, come neanche le sardine riescono ad essere.
Comunque noi prendiamo talmente sul serio la faccenda Tapas da metterci un'infinità di tempo a scegliere il posto adatto. Poi, una volta deciso, al bancone ci viene l'ansia da prestazione, gli occhi diventano molto più grandi dello stomaco e, scioccamente, ci facciamo irretire dagli assaggi più astrusi. Letto di frittatina con cosciotto di maiale ornato da infradito di gamberetti. Gondola di noce di cocco con bagnetto di cozze e isolotto di tirannosauro. Sgabello di asparagi con foca viva che tiene in equilibrio un prosciutto e pinneggia due aragoste come clavette.
"Era un po' pesante questa roba, eh?"
"No, ma che dici? Ora però mi sdraio un attimo a terra. Tu puoi andare. Non voglio rallentarti. Abbandonami qui a morire"

E' la giornata del cibo e delle lezioni di vita: l'ultima l'apprendiamo di sera, di ritorno a Biarritz.
Il fatto di essere in Francia non significa che tutti siano capaci a fare le crepes che, tra l'altro, tanto complicate da fare non sono! Con nostro grande disappunto scopriamo che può succedere di stare in Francia e di mangiare una delle crepes più insignificanti di tutta la propria vita.
Che delusione.

A domani...
Ostriche, ostriche, ostriche, come se non ci fosse un domani
La mattina mettiamo fuori il naso con lo sguardo dei caprioli indifesi. Ci aspettiamo che, da un momento all'altro, accada qualche sventura. Che ci abbiano rubato l'auto, fatta a pezzi, e già smerciata in Bulgaria. Che un'incudine ci colpisca,  uno o entrambi, sulla testa. Che Salvini, andato finalmente a quel paese, ci corra incontro con addosso la felpa di Libourne.

Ma i cattivi pensieri non prendono forma e, dopo i primi dieci minuti vissuti nel terrore, ci arrendiamo all'evidenza: è una bella giornata, il sole splende, e le leggi cosmiche ci sono nuovamente favorevoli.
Così passeggiamo tra i banchi di ostriche del pittoresco mercato locale, e scopriamo la bontà delle ciambelle del supermercato. Un marchio di nicchia, un certo Carrefour, immagino che non l'abbiate mai sentito nominare.

Recuperato il sorriso e riassestato l'equilibrio glicemico, ci rimettiamo in moto, lasciamo la piccola (e poco significativa) Libourne e puntiamo verso Biarritz. 
Ecco cosa ne dice Wikipedia:
Biarritz (in lingua basca Miarritze) è un comune francese di 26.067 abitanti situato nel dipartimento dei Pirenei Atlantici nella regione dell'Aquitania. Fa inoltre parte, da sempre, del Paese Basco francese.
Attraversiamo boschi e cittadine, e più ci avviciniamo ai Pirenei più l'autoradio oscilla tra il francese e lo spagnolo, tra gli chansonnier strappacuore e todo el futbol minuto a minuto.

Un lato a caso della cattedrale di Bayonne
Quasi giunti alla meta, sorprendentemente in anticipo, decidiamo di fare un giretto a Bayonne,
Bella, grande, elegante. Se passate da queste parti dedicatele un'oretta, se non di più, ne vale la pena.
Io, tra l'altro, a Bayonne scopro l'esistenza del Croque Monsieur. Toast col formaggio esterno. Perché me l'avevate tenuto nascosto finora? Perché???

Una volta arrivati a Biarritz, prendiamo possesso di quelli che saranno i nostri appartamenti per tre giorni. Abbiamo prenotato in un fantastico Airbnb dove Claudine, gentile signora francese, mette a disposizione la sua villetta con giardino ad uno stuolo di turisti provenienti da ogni dove. A noi tocca la dépendance e siamo molto felici.

La giornata è fresca ed usciamo in esplorazione della città atlantica: grandi onde per i surfisti e grandi ville per i ricconi francesi. Fricchettoni e scicconi. Mute, gonnelloni e giri di perle. Ci si perde a guardare tutte le facce e tutte le facciate. E, mentre ci chiediamo se sia meglio il castello sugli scogli o la villa con l'ingresso da sogno, arriviamo al tramonto senza aver subito incidenti, sciagure o calamità.
La vacanza è finalmente iniziata.

A lunedì...
Bagagli fatti. Navigatore collegato. Cartina stirata e inamidata. Borsa frigo piena fino all'orlo da rendere orgogliosi i miei siculi natali.
Sabato 15 agosto, alle 9 di mattina, partiamo pieni di ottimismo e buone intenzioni.
Poveri stolti.

Le principali mete della vacanza sono i paesi baschi e Madrid.
Sia all'andata che al ritorno programmiamo una sosta notturna a metà strada per recuperare le forze.
Il percorso del primo giorno prevede di coprire i km tra Torino e Libourne, ridente cittadina nei pressi di Bordeaux, che usiamo come meta di avvicinamento alla ben più nota e significativa Biarritz.

"Passiamo dal Frejus?"
"Naaaaaa, costa uno sproposito. Monginevro, Grenoble e poi c'immettiamo nell'autostrada francese"
"Yeahhhhhh siamo furbi noi!"
"Yeahhhhhhh"

Pieni di entusiasmo e autocompiacimento scavalchiamo le Alpi, sbertucciamo i pedaggi esosi, e puntiamo verso Grenoble.
"Che c'era scritto su quel tabellone?"
"Boh, non sarà importante. Che c'è frega?"
"Giusto, che c'è frega! Yeahhhhhhhhhhh"
"Yeahhhhhhhh"

Arrivati a Briancon il clima si fa sempre più freddo e strani segnali sembrano indicare oscuri presagi. La nuvola di Fantozzi ci segue fedele, branchi di gatti neri ci fanno le fusa, uno strano tizio dotato di falce ci fa "ciao ciao" con l'ossuta manina da bordo strada.
Bah... che significherà tutto ciò?

Dopo aver girato in tondo per un po', e aver cercato di ignorare anche l'evidenza, ci arrendiamo, accostiamo e chiediamo indicazioni all'ufficio turistico.
"Scusi, ma la strada per Grenoble non sarà mica..."
"Chiusa! Sì sì. Ermeticamente impercorribile"
"Ecco, lo sospettavamo, ma ci sarà un modo per arrivarci, no? Un percorso alternativo?"
"Certo"
"Sarebbe così gentile da indicarcelo?"
"Andate in Italia e fate il Frejus"
"Dovremmo tornare indietro? No, la prego, noi arriviamo dall'Italia! Non ci sarebbe un'altra via?"
"Ovviamente sì", sorride.
"Evviva!" ricambiamo.
E ci apre sotto il naso una cartina.
"Vedete questa stradina piccolina?" dice puntando il dito sopra un sottile serpentello.
"Sì..."
"Dovete prendere questa"
"E' molto brutta?"
"E' una strada di montagna"
"Sì, ok, ma è molto molto molto brutta?"
"No, tranquilli. E' solo una strada di montagna"
Perplessi, ignoriamo i cattivi presentimenti che già frignano nelle nostre orecchie, e ci rimettiamo in marcia. Cinque minuti dopo raggiungiamo la famosa "strada di montagna".

Da quel momento iniziano i 30 km più lunghi della nostra vita.
Lui guida e suda.
Io me la faccio sotto.
Tornante, tornante, tornante, gli faceva schifo mettere un muretto?, tornante, tornante, tornante, galleria, banco di nebbia, all'anem e chi t'è muort, tornante, tornante, tornante, foschia, morte apparente, tornante, tornante, tornante. Dopo un tempo che sembra ed è infinito, superiamo il tratto peggiore, scendiamo fino alla pianura e poi, finalmente, imbocchiamo la tanto agognata autostrada francese. Il peggio è passato.

La giornata non è finita ma il post sì.
Inutile infierire. Inutile raccontarvi del succo d'arancia rovesciato nella borsa frigo e sulle valigie, dei costi da strozzinaggio dei pedaggi francesi, e del tizio del Airbnb che ci ha messo 40 minuti per aprirci la porta. Tutte sciocchezze al confronto di quei dannati 30 km tornante, dopo tornante dopo tornante.

A domani...
Al cinema è appena uscito il remake di National Lampoon's Vacation.
Avete presente? Quella commedia in cui una famiglia americana si sciroppa millemilioni di chilometri per raggiungere un mega parco di divertimenti. Pellicola che ebbe molti sequel e rallegrò spesso i pomeriggi estivi della nostra infanzia. Perché, anche se molti di voi giovini scellerati non ne avranno memoria alcuna, durante gli anni '80 non era davvero estate se Italia Uno non riempiva i propri caldi pomeriggi di programmazione con le mitiche commedie americane adolescenziali-familiari. Noi giovani-vecchi, che ci siamo a lungo abbeverati a quella fonte di leggero divertimento, ancora ci ricordiamo tali ore rilassate e le rimpiangiamo assai.

Io, per festeggiarne il ritorno sugli schermi e dimostrare tutta la mia devozione a quel vecchio film, quest'estate sono partita per una vacanza simile. Ho detto simile, mica uguale. Niente famiglia al seguito, niente parco di divertimenti come meta finale, niente America. Ma nove giorni tra Italia, Francia e Spagna, spostandosi in auto, macinando chilometri e inanellando una notevole serie di situazioni che "tra tanti anni ripensandoci ci faremo grasse risate".

E cosa fa una blogger che si rispetti quando gliene capitano di ogni? Scrive.
Ed è per questo che da domani parte la serie: Nove giorni Nove Post.
Un post ogni giorno.
Un post per ogni giorno di vacanza.

Siete pronti?
No? Peggio per voi.
Chi c'è c'è. Domani si parte!

 
In metropolitana. Per strada. Sull'autobus.
Immersa nei tuoi pensieri. Stanca. Sfatta.

Succede.
L'incontro casuale con un amico. Anche per pochi secondi. Anche di corsa.

Ricarica di volti familiari, parole complici, e sorrisi sinceri.
E si torna a casa un po' più contenti. Un po' più vivi.

Proseguite nella lettura a vostro rischio e pericolo, quello che segue è un post ad alto contenuto di nulla.

L'avete mai visto "Ribelle-The Brave"?
Il cartone animato.
Quello del 2012.
Agevolo locandina.

L'avete mai visto?
Io sì, l'altro giorno.
Ne vogliamo parlare?
Parliamone!
I capelli della protagonista sono FAVOLOSI!

Rossi, ricci e selvaggi, più stanno alla straca##o e più belli sono.
Li adoro!
Anzi no, li adorerei nella realtà ma li IDOLATRO in versione digitale.
I capelli di  Merida, così si chiama la fanciulla fulvocrinita, hanno un effetto calmante e ipnotico. Loro se ne stanno là, sullo schermo, fluttuanti e vivi. Sembra addirittura che respirino. Tu li osservi e ti rilassi, nulla ha più importanza, nulla può farti del male. La vista si annebbia e i muscoli si decontraggono.
Nel frattempo potrebbero svaligiarti casa, fregarti la poltrona da sotto il sedere, o cambiarti addirittura lo status su facebook, e tu neanche te ne accorgeresti!
Quei capelli sono una droga. Danno dipendenza e assuefazione.

Non c'è altra spiegazione: questo film deve essere stato confezionato dai servizi segreti, da una dittatura internazionale trasversale o dagli alieni. Questa pellicola è progettata per rimbambirci, fiaccare la nostra volontà, e renderci tutti schiavi.

Ogni resistenza è inutile.
Brindo ai conquistatori ed agito i miei ricci collaborazionisti.
Noi siamo i ricordi degli altri.

Fra sessant'anni per mio nipote sarò ancora la zia dei racconti, della grande scrivania e dell'insalata di riso.
Sembra poco e invece è tantissimo.
Si ferma sulla soglia. E respira.
Guarda quella stanza vuota. E ricorda.

Le tornano in mente solo le cose brutte ma sa che, da qualche parte, nascoste, timide, ci sono anche quelle belle.

Fa un passo avanti sul tappeto morbido.
Eccole. Ecco dove si erano nascoste le cose belle. Nascoste nella trama del tessuto a solleticare i piedi nudi.

Ancora un passo e si sdraia sul letto. Guarda il soffitto. Un singhiozzo, due, tre. E poi basta.
Un tempo lei era capace di farsi pianti infiniti, ma ora non più. Forse ha finito le lacrime o i condotti che le potrebbero far vomitare tutto fuori si sono talmente ingarbugliati, stretti, attorcigliati che le rimane tutto dentro. Tutto dentro ad asciugarsi piano per lasciarla vuota e arida.

Ormai non c'è più nulla. Non c'è più la rabbia. Non ci sono le urla. La sua voce cattiva che la faceva sobbalzare. La sua voce gentile che la faceva sorridere.

Si alza.
Torna alla porta. La riattraversa e se la chiude alle spalle.

NdA: solo parole ritrovate oggi facendo ordine tra vecchi fogli.
Da Aprile a Luglio ho condotto laboratori di scrittura dal vivo e via Skype. Ho incontrato gente che non conoscevo e rivisto visi amici. Ho goduto del talento degli altri, della loro voglia d'imparare e del piacere di mettersi in gioco. Mi sono tuffata in un mondo che mi ha dato tantissimo e a cui ho ancora tanto da dare.

Da Aprile a Luglio ci sono stati fantasiosi aperitivi prescrittura, e frugali cene precollegamento. Ci sono stati personaggi e intrecci, aggettivi e verbi, incipit e finali, dialoghi e descrizioni. E ci sono stati, soprattutto, monologhisti in odor di paternità, produttrici sane di racconti, ragazze alle prese con semafori e dinosauri, amanti della letteratura ottocentesca, talenti semplici e inaspettati, penne create per raccontare l'infanzia,  narratrici di mondi fantastici, inventori di biografie articolate, menti insoddisfatte sempre in grado di mettersi in discussione, elaboratrici di trame semplici e complesse, giovani ironici al servizio dell'arte del racconto.

Da Aprile a Luglio c'è stato tutto questo e anche di più.
Grazie a tutti dall'onorata testimone di tanta vivacità e bellezza.
Ci si vede a settembre, dal vivo e via Skype.





Il perfetto punto di rosso.
Rosso estate, femmina, anni cinquanta, Hollywood, Cinecittà, La dolce Vita.
La vita è dolce e, anche se non lo è, ad asciugarsi le unghie al sole, con le mani appoggiate sopra le ginocchia pallide, sembra dolce comunque. Ed è un piacevole inganno.
Ed un piacevole inganno è la vita.

Alta. Elegante. Più vicina ai sessanta che ai cinquanta.
Porta con sé una di quelle borse per la spesa in tela spessa. Quelle con le ruote.
Solo quando mi è abbastanza vicina, metto a fuoco il tubicino trasparente che, partendo dalle narici, le ondeggia davanti fino a scomparire nella sporta. Ossigeno.
Lei è cosi bella. Altera. Regale. Talmente tanto che quasi vorrei fermarmi a dirglielo. Ma ho paura di offenderla, d'invadere il suo spazio di legittima normalità sottolineandone la straordinarietà.
E così taccio. Ma scrivo.
Da quanto tempo non vi consiglio un artista o un'iniziativa presenti in rete?
Ve lo dico io: da tanto tantissimo tempo!
Troppo.

Quindi, per questo grande ritorno della mia longeva rubrica "Nella Rete", scelgo un disegnatore coi controfiocchi. Tratto fantastico, mente curiosa, capacità di vedere le cose con occhio diverso. Vi sto parlando di Troqman, i cui disegni abitano lo spazio, stupiscono e fanno sorridere. Il cui blocchetto passeggia per le strade interagendo col mondo e rendendolo migliore.

Troqman, al secolo David Troquier, è un illustratore francese che abita ad Amsterdam, ma gira spesso per l'Europa, facendo vivere personaggi ed idee a stretto contatto con la realtà quotidiana.

Lo potete trovare su Facebook, Twitter, Tumblr, Instagram e pure Steller.



Negli ultimi tempi, per un motivo o per un altro, mi è capitato di consigliarlo spesso.
Io lo lessi in prima superiore, complice la passione smodata che la mia professoressa d'italiano nutriva per l'autore. A distanza di tanti anni rimane uno dei miei gialli preferiti.

La torrida estate è la stagione delle letture a base di crimini e intrighi. Quindi, se non l'avete ancora fatto, leggete "Una storia semplice" di Leonardo Sciascia.

Breve e pregno. Grande letteratura.
Fa molto caldo.

Potrei già chiuderla qui con questo argomento. Ma insisto. Fa caldo. Fa molto caldo. Un fottuto, disperato, appiccicato caldo. Di quelli che ti entrano nella testa, asciugano i pensieri, rinsecchiscono il cuore e gonfiano le gambe. Di quelli che ti tolgono le forze, avvelenano la giornata, imbruttiscono il corpo e abbrutiscono lo spirito. Di quelli che "vorrei morire". Di quelli che "forse sono già morto". Di quelli che io non ho l'aria condizionata. E lavoro da casa. E passo l'intera giornata a dormire, mangiare, cucinare, scrivere, editare, illustrare, telefonare, respirare in un dannatissimo forno. In un bilocale caldo. In un isolato caldo. In un quartiere caldo. In una città calda. Perché fa caldo. Fa molto caldo. E scrivere un post senza pause è un ottimo modo per trascinarvi all'inferno con me.



Lei lo condusse nella stanza in fondo al corridoio.
Lui la seguì. Detestava i convenevoli, preferiva darsi da fare, arrivare subito al sodo.

Varcarono la soglia. Le luci erano soffuse. Il letto grande.

Lui si tolse la giacca. Allentò la cravatta. Sbottonò i polsini. Arrotolò le maniche.
Lei avvertì un leggero capogiro.
Lui la sorresse.
"Non si preoccupi. Ora penseremo a tutto noi. Noi, delle Onoranze Rampini"
Da più di un anno, come molti di voi già sapranno, mi occupo della pagina facebook Humans -Torino.
Io e il mio socio, il fotografo Sergio Sasso, giriamo per la città alla ricerca di volti e storie. Delle volte c'imbattiamo nella preziosa normalità, altre nella ricca straordinarietà.

Circa due settimane fa abbiamo visto da lontano un gazebo, una vecchia auto e due ragazzi. Ci siamo avvicinati, ci siamo fatti raccontare il loro progetto, e ce ne siamo innamorati.

Andrea e Luca sono due cugini con gli stessi occhi e gli stessi sorrisi.
Due cugini che, dopo aver acquistato una vecchia 500, si sono chiesti "Fin dove può arrivare?"
Da quella domanda è nata una sfida: raggiungere Tokyo in nove mesi.
Attraversare Europa ed Asia per raccogliere fondi in favore della FORMA Onlus, la Fondazione dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino. E, durante questo viaggio, visitare diversi centri pediatrici e far disegnare ai bambini ricoverati i loro sogni.

Un'avventura per nutrire i sogni degli altri con il proprio, e viceversa.
Una follia per rendersi utili e mettersi in gioco, senza perdere il sapore della sfida e delle epiche imprese.
Due cavalieri con un particolare destriero attraverseranno mari, monti ed estese pianure. Ammansiranno draghi. Stregheranno maghi e fattucchiere. Incontreranno gnomi, principi, principesse, fatine e scudieri. Sarà una favola on the road a cui potremo partecipare tutti, "Spingendo" la macchina grazie a donazioni e consigli, proposte e sorrisi.

La partenza è prevista per il 3 luglio dalla Basilica di Superga.
Le offerte che giungeranno serviranno a finanziare diversi progetti, tra cui la ristrutturazione di alcuni reparti e la Pet Teraphy.

Continuerò a seguire questo sogno per me, per il mio blog e per voi. C'è ancora tanto da fare. E' una scommessa. E' una follia. Ma è un grande cuore che già corre.
Per saperne di più e innamorarvi anche voi: cliccate qui e qui.
Be Revolution from we.mind on Vimeo.
Scrivere di chi sa scrivere mi mette sempre un poco d'ansia.
E' forte la tentazione di glissare causa inadeguatezza, ma su questo blog ho sempre condiviso il bello che ho incontrato, e non intendo smettere.

Domenica scorsa ho assistito alla prima estiva de "Il Grande Fresco".
Uno spettacolo, un gruppo, un trio, fatto di poesia e musica. Un contenitore di parole e note. Un concerto reading. Un piccolo capolavoro di Guido Catalano, Federico Sirianni e Matteo Negrin. Un poeta, un cantautore e un musicista.

Bravi.
Tutti e tre. In maniera diversa ma complementare.
Era da tanto che non godevo di uno spettacolo così bello. Uno spettacolo dove c'è tutto: talento, lavoro, originalità, ironia.

Una di quelle sere in cui torno a casa felice, con la voglia di parlarne sul blog, ma anche la consapevolezza di non esserne all'altezza. Forse.

E allora meno parole ma più utili informazioni.
Questi sono i link: curiosate tra le pagine, scorrete le date, scegliete se andare a vederli come singoli o come gruppo, a Torino e non. Ne varrà, comunque, sempre, la pena.
Guido Catalano, Federico Sirianni, Matteo Negrin, Il Grande Fresco.



Dai stiamo sul pezzo.
Dai parliamo di Maturità.
No, non di quella iniziata oggi che, sinceramente, ma chi se ne frega!
Ma di quella che ho fatto io, millemilioni di anni fa.

L'esame era del vecchio, vecchissimo tipo.
C'era il tema. Poi l'altro scritto, diverso a seconda dell'indirizzo di studi. E, infine, l'orale: due materie. Ufficialmente una la sceglievi tu e l'altra la commissione. In realtà, a parte follie rare e improvvise di docenti accecati dal potere, le sceglievi tu entrambe.

I professori erano tutti esterni. Tutti tranne uno. Il membro interno, appunto. Il membro interno aveva il compito di infonderti fiducia, bisbigliare suggerimenti durante gli scritti e, nel caso specifico della mia classe, preparare torte per addolcire la commissione.

Del mio esame di maturità ricordo soprattutto il compito di matematica, che venne accolto da scene d'isteria, pianti a dirotto, e melodrammi casalinghi. Io, a differenza di alcuni miei compagni, scelsi di conservare la dignità: non feci scenate e non piansi. A scuola.
A casa, invece, mi esibii in una riuscitissima imitazione di Mario Merola, solo un poco più sopra le righe rispetto all'originale.

Del mio esame di maturità ricordo anche la preparazione per l'orale. Il "pasticcere" membro interno, per risollevare i voti abbattuti da derivate e integrali, strinse un patto scellerato con la commissione. "Chi vuole qualche punto di bonus sul giudizio finale, lasci ai professori la scelta della seconda materia orale. Gli interessati ne propongano due, noi comunicheremo la nostra decisione solo il giorno prima" ci venne spiegato.

Accettai la sfida.
Portai storia come prima materia, poi fisica e italiano.
Il programma di fisica poteva essere scritto su un tovagliolino da bar. Quello d'italiano sulla Treccani, edizione extra large.
La commissione scelse la Treccani.
Feci l'ultimo ripasso tutto in una notte. Arrivai all'orale senza aver dormito. Un fascio di nervi con occhiaie da panda. Passai per prima. Andò bene. Andò molto bene.
Dormii.

La maturità è un esame ricco di pathos.
La maturità è materiale per racconti, incubi e post su blog.
La maturità, per il resto, non serve a un cazzo.
Piccoli biglietti in giro per la città.
Parole. Racconti.
Scritti lo scorso week end. Tenuti in borsa per giorni.
Ieri, complice una giornata un po' storta, mi sono finalmente decisa.
L'ho fatto.

Nove Giugno Duemilaequindici.
Approfitto del passaggio di un gruppo di cabarettisti amici miei: vado allo Zelig!
No, non la trasmissione televisiva. Il locale originale. Dove tutto ebbe inizio e, anche lontano dalle telecamere, continua.

Un po' blogger d'assalto, un po' groupie, un po' Yoko Ono dei poveracci, migro verso Milano, prendo pioggia a secchiate, curioso in un mondo che non conosco.

Già il viaggio è una lezione di vita: due ore chiusa in macchina a sentir discutere di cambi in scena, cappelli, giacche, e corse su e giù per il palco. Che bello dover fare esclusivamente la spettatrice. A me viene l'ansia da prestazione solo a sentirli certi discorsi. In una situazione del genere fuggirei ancor prima dell'inizio dello spettacolo. Per poi essere ritrovata con la ciucca triste da "Il Lurido" o ancora incastrata nella microfinestra del bagno. Neanche meritevole di una fuga dignitosa. Ovviamente.

A proposito di bagno, appena arrivata nel locale corro ad usarne uno. Poi, rasserenata, comincio a guardarmi in giro. A dire il vero questo famoso Zelig non mi sembra un granché. L'ingresso è così triste: dal corridoio si passa direttamente ai bagni, e poi ai camerini. I camerini? Che ci faccio nei camerini? Ho usato l'entrata secondaria, quella per gli artisti. Mi sembrava strano. Va bene il low profile del cabaret underground, ma l'ingresso dai cessi era davvero troppo!

Esco. Ci riprovo. Porta principale. Quella per il pubblico. Decisamente meglio. Foto di comici famosi, luci, specchi, brillantini. Un bel posto. Una bella energia. Un po' di emozione, persino per me che non c'entro niente con tutto l'ambaradan.

Armata di smartphone, e in modalità molto social, faccio foto brutte e un poco tutte uguali.
Ceno con il panino "Teresa Mannino". E poi prendo posto sulle tribune. Tempo trenta secondi ed ho una piaga da decubito. La prossima volta mi porto una ciambella come ogni ottuagenaria che si rispetti.

Si comincia alle 21:30. Si finisce all'1. Nel mezzo un intervallo di 10 minuti.
A presentare ci sono due terzi dei Boiler: Federico Basso e Davide Paniate.
Loro sono bravi. Ma bravi bravi! Presentano, fanno ridere, fanno da spalla, risollevano i tempi morti. A fine serata voglio portarmeli a casa e costringerli a diventare i miei migliori amici. Tipo "Misery non deve morire". Ma senza violenza, sequestro di persona, e gambe rotte. Per quanto riguarda lo squilibrio mentale: ci devo ancora lavorare su.

Nel cast ci sono comici da mezza Italia. Tantissimi. Esordienti o meno, giovani o meno, talentuosi o meno. C'è chi sembra nato per stare sul palco, c'è chi dovrebbe fare altro nella vita, c'è chi è in serata, c'è chi no, c'è chi è originale, c'è chi neanche per sogno.
E, come sempre, ci sono pochissime donne. E io, come sempre, mi lancio nella mia personale crociata: per quale stram#### di ragione buona parte delle donne che fanno comicità devono sempre e comunque parlare di uomini? E' roba trita e ritrita. Oltre che un mezzo suicidio artistico. Perché, a far ridere con battute già sentite mille volte, bisogna essere delle tigri da palcoscenico, dei geni della scrittura, o premunirsi di portare tra il pubblico tutti gli invitati della propria prima comunione.

Comunque, in molti mi hanno divertito. Qualcuno davvero tanto.  Per correttezza non dico niente sui miei amici torinesi. Che sono tutti bravi e belli, specialmente Andrea Bruno. Ma ci tengo a fare i miei più spassionati complimenti a un duo proveniente da Roma (*). Non so come si chiami il duo. Non so come si chiamino loro all'anagrafe. Non so niente. Ma sono molto bravi. In particolare uno dei due passa in scioltezza da un personaggio all'altro, con velocità e padronanza invidiabili. Se mai, per caso, doveste leggermi e riconoscervi, ve lo ripeto: bravi!
Bravi loro e anche altri.

Ma non tutti. Proprio no.

(*) Il caso e i social mi hanno permesso di rintracciare il duo romano. Sono Spadoni&Paniccia e questa è la loro pagina facebook.
E, niente, io avrei deciso di fare una cosa.
Sono mesi che ci penso, forse quasi un anno.
Niente di che, una cosa piccolina.

Uno di quei gesti d'artista col gonnellone e i fiori tra i capelli. Anche se io non sono così. Niente gonnellone e niente fiori.

Però questa cosa mi piacerebbe proprio farla. Mi piacerebbe scrivere i miei racconti, quelli più piccini, su dei foglietti di carta e poi lasciarli in giro per la città. Senza nessuno scopo. Così, solo per il gusto di farlo.

Solo per il gusto d'immaginare l'incontro casuale e involontario tra uno sconosciuto e le mie parole. Qualcuno che le trovi, le legga, e poi magari sorrida. O magari no.

Io, a fare questa cosa qua, mi vergogno come una ladra. Ma non importa, la voglio fare comunque che, se fosse per la vergogna, nella vita non avrei mai fatto nulla.
Venerdì sera.
Rossetto rosso d'ordinanza e scaramantico selfie pre-serata.
L'autoscatto beneaugurante funziona: trovo parcheggio in un microsecondo.

Arrivo alla casa del quartiere dove artisti e tecnici provano. Incontro gli altri giudici, ci chiacchiero e, intanto, bevo vino rosso e mangio fusilli al dente: è l'aperitivo bellezza!

Inizia la serata finale.
I Boys e Natalia omaggiano oltraggiano la Carrà.
Donna Antea si dà coraggio a forza di cordiali.

Sul palco salgono Alessandra Donati e i Proprietà Commutativa.
Lei è più centrata della prima volta. Più sicura e con meno sbavature. Il pezzo, leggermente modificato, ne esce molto migliorato. Emoziona. Brava!
Loro spingono sull'acceleratore, osano. Sfiorano l'eccesso con l'eleganza che li contraddistingue. Sono bravi. Dannatamente bravi. E intelligenti. Cavoli, ormai mi sono quasi affezionata persino al loro inspiegabile cowboy!

Al momento della votazione sono in seria difficoltà. Per un attimo penso di dare un parimerito e affidare vigliaccamente la questione agli altri. Ma alla fine scelgo.
Dopo 30 secondi però cambio idea. Poi di nuovo dopo altri trenta. Così fino alla proclamazione. Uno o l'altro, boh! Diversi e validi, come si fa a decidere?

E, infatti, per una volta i numeri si accocchiano in karmica armonia. I voti di giuria e pubblico s'incastrano perfettamente. E il risultato è un sorprendente pareggio!
Vincono la terza edizione di facce da Palco: Alessandra Donati e i Proprietà Commutativa!

La competizione è finita. Le mie responsabilità da giurata anche. E' il momento di far festa, di bere mojito, di abbracciare vecchi e nuovi amici, di salutare i Bella Domanda che sono venuti ad esibirsi, fare ridere ed arricchire la serata.
E' il momento di chiudere quest'esperienza, ma è solo un arrivederci. Si torna l'anno prossimo con Facce da Palco, e già in autunno con altre imperdibili avventure!

ps: grazie a tutti, tutti, tutti. Ma soprattutto a Nat,  folle ed affascinante, Elena, compagna di telefonate tra freelance, e Francesca, la MIA make up artist!
Ho attivato i miei contatti su facebook, ho pubblicato il volantino in bacheca, ho mandato un poco di email. Bene, ho utilizzato tutti i miei canali di comunicazione. Perfetto.

Ma bene de che? Ma perfetto cosa? E il blog? Mi sono dimenticata del blog!

L'ho detto a cani e porci, tranne che ai miei lettori adorati che, legittimamente, ora avrebbero il sacrosanto diritto di sputacchiarmi in pieno viso.

La prossima settimana comincia il mio laboratorio di scrittura via Skype. Ebbene sì! Mi sono inventata anche questa.

Siete interessati?
Commentate, scrivete, fatemi sapere.
C'è ancora posto ma il tempo stringe!

E non fatemi quella faccia lì. Non prendete la dimenticanza come un affronto personale. Lo sapete, sono una donna sbadata, confusa e confusionaria. Ma voi mi amate nonostante tutto, no?
No?
Ah, ecco.

Non bevo mai tè a colazione. Quasi mai. Di solito preferisco il cappuccino.
Bevo tè solo quando ho mal di gola, altrimenti il latte mi s'incastra vischioso tra le tonsille grosse come palle da golf.

Non bevo mai tè a colazione, ma stamattina sì. Avevo finito il latte.

E poi c'era il sole. E mi è sembrata come una di quelle mattine d'estate nella casa in campagna.
Ci passavo le ferie quand'ero piccina. Ero la più piccola e mi toccava dormire in un lettino nella camera dei miei, mentre i cugini grandi si dividevano le camere al piano superiore. Un'invidia.

Però la mattina era bello svegliarsi in quel lettino.
I miei erano già in piedi da ore. Io mi stiracchiavo, con il sole che filtrava sottile dalle imposte di legno e i rumori che arrivavano da fuori.
C'erano le donne che spignattavano. Loro spignattavano sempre, a qualsiasi ora.
C'erano gli uomini che legavano rami e tagliavano erba. Mio padre si lamentava "Sono venuto via dal paese per non fare più il contadino, e ora mi tocca farlo in vacanza!"
C'era il nonno che partiva per una delle sue passeggiate infinite. "Ci vediamo a pranzo", annunciava già per strada. "Non fare tardi France'", si raccomandava la nonna.

Io mi alzavo e scendevo le scale con le mie gambette secche che spuntavano dal pigiama estivo. Maglietta e pantaloncini. Ogni anno mia madre me ne comprava uno nuovo. Con la frutta, con i fiori. Con i pupazzi no. "Mia figlia non li vuole con i pupazzi, dice che sono da bambina", spiegava alle commesse, mentre faceva compere per la sua esigente figlia minore.

Scendevo con il mio pigiama da adulta elegantona di 8 anni, entravo in cucina e aspettavo la colazione. In città non facevo mai colazione col tè, ma in campagna sì, perché me lo preparava mia zia Concetta. E mia zia Concetta ha sempre avuto il dono di rendere tutto più buono. Più nutella sul pane e nutella, tanto zucchero nel tè amaro.

E così cominciavo la mia giornata, facendo la zuppetta di fette biscottate in una tazza di tè con un imbarazzante numero di cucchiaini di zucchero. E le giornate che cominciavano così erano sempre belle.

Quindi stamattina ho messo un imbarazzante numero di cucchiaini di zucchero nel tè e, già che c'ero, ci ho fatto la zuppetta con la crostata di mammaCole. Che, nel frattempo, anche lei ha imparato a rendere le cose più buone.

Non è stata una giornata senza pensieri come quelle di una volta. Ma è stata comunque bella. Potere del sole che filtra tra le imposte, del tè a colazione, e dei ricordi che coccolano il presente.

Le scale sono sporche e buie. S'intuisce una luce più in basso. La si segue.
Si arriva in una larga stanza sotterranea. Vecchie mattonelle in bilico sulla parete, un grande lavandino, una sedia.
Ci si accomoda. Le luci svelano impietose segni e rughe.
Parte la registrazione. Monologhi. Di rabbia, esaltazione, dramma.
Sul viso e le palpebre scorrono le reazioni alle parole pesanti come pietre.
Alla fine si aprono gli occhi. Un secondo per adeguarsi alla luce, e poi lo scatto a fermare le tracce dell'esperienza.

Questo è stato (S)cript. Performance fotografica teatrale ideata e realizzata da Sergio Sasso nell'ambito del Fringe Festival di Torino. A questa seguirà, probabilmente, una mostra. Vi terrò informati. Ne varrà la pena.
Ed eccoci arrivati all'ultimo bignami.
Quello della Quarta Stagione, caratterizzata da sangue che scorre, teste che esplodono, e amene crudeltà di vario tipo. Una stagione splatter che più splatter non si può.

Al Nord si guerreggia. I Bruti hanno quasi la meglio sui Corvi. Ma poi arriva l'esercito di Stannis Baratheon e non c'è più storia: mazzate per tutti!
Ad Est, Daenerys Targaryen inizia a far fatica a mantenere il controllo dei suoi draghi e delle popolazioni che ha liberato dalla schiavitù. A quanto pare non bastano una chioma platinata e dei comizi coinvolgenti per governare. E' finita la campagna elettorale, bella!

Ma l'evento più importante di tutta la stagione è uno ed uno soltanto: re Joffrey muore! Ucciso. Avvelenato. Muore male tra atroci sofferenze. Ed era pure ora!
Del regicidio viene accusato lo zio Tyrion che, ovviamente, è innocente, ma altrettanto ovviamente viene condannato. Soprattutto per colpa della sorella Cersei. Bella, algida, affascinante ma proprio stronza. Ho cercato un sinonimo più elegante ma, non c'è nulla da fare, nel caso specifico mai scurrile aggettivazione fu così calzante.
Tyrion, comunque, riesce a salvare la pellaccia e a scappare da Approdo del Re, grazie all'aiuto del fratello Jaime e del consigliere Varys. Chi? Quello degli uccelletti. Ah!
Prima di scappare, però, il Folletto trucida quella traditrice zoccola della sua ex, e quel manovratore senza scrupoli di suo padre. Questi viene trafitto da più frecce mentre siede sul water. Una scena impietosa. Una morte poco dignitosa. Un capolavoro.

Ma, se non è stato Tyron ad uccidere il nobile culo rinsecchito, chi è stato?
E' presto detto: il buffone di corte, manovrato da DitoCorto, che si era messo d'accordo con la nonna di Margaery. L'adorabile vecchietta non gradiva che la nipote passasse la sua vita accanto a quel pirla crudele di Joffrey e così, tra una passeggiata in giardino e l'altra, ha commissionato un regicidio. Amore di nonna!

A proposito di DitoCorto, al secolo Petyr Baelish, in questa stagione emergono tutti i suoi intrallazzi e maneggi. In pratica è colpevole di tutto. Se non fosse stato per lui Eddard Stark sarebbe ancora vivo, Joffrey non sarebbe mai salito al trono, e i sette regni sarebbero in pace.
Insomma, lo dobbiamo ringraziare, DitoCorto è il vero deus ex machina, grazie a cui guardiamo Il trono di Spade e non le repliche di cascina Vianello.
Ariecchime!
Torno dopo due lunghe assenze: una dal blog e l'altra da Facce da Palco.
La prima dovuta ad improrogabili impegni lavorativi. La seconda all'anniversario degli amati coniugi Cole, che mi hanno coinvolta e travolta con l'organizzazione di una sobria festicciola degna del sultano del Brunei. Lo spettacolare evento si è frapposto fra me e la prima semifinale di FdP. La prima data persa in due anni di devoto amore nei confronti di questa manifestazione. Ancora non ci credo che siano andati avanti senza di me. Quanta amarezza!

Ma sabato scorso, in occasione della seconda semifinale, sono tornata da Natalia&Co e sono anche tornata in giuria. Tornata per tre pezzi che già avevo massacrato giudicato nelle serate eliminatorie.

Ad iniziare sono le ragazze chiuse in ascensore, quelle della compagnia Terra Vergine: ve le ricordate?
In occasione della loro prima esibizione scrissi sul blog:
"Le ragazze lavorano molto bene assieme. C'è fluidità nei dialoghi serrati, come nei movimenti costretti in pochi metri. Ma, nella mia attuale versione ScassosissimaPancrazia, mi tocca sottolineare quanto la recitazione e la scrittura funzionino molto bene nelle parti comiche, e molto meno in quelle drammatiche. Consiglio di lavorarci ancora su." 
In occasione della semifinale dico direttamente al microfono: "Siete molto brave ad usare corpo e spazio". Il che è vero. Recitano in un fazzoletto e poi evadono dalla costrizione e ballano. Belle, coordinate, convincenti. Brave loro, interessante la costruzione del pezzo, ancora con ampi margini di miglioramento il testo.

Poi tocca al prestigiatore Davide Allena.
Di lui scrissi:
"Molto bravo a tenere il palco, diverte il pubblico, e intrattiene con maestria. A dirla tutta però il ruolo dell'attore finisce col superare quello del mago. L'idea di aggiungere una cornice accattivante ai numeri di magia è ottima, ma io vorrei più stupore. Una ricerca dell'originalità non solo nella confezione ma anche nel contenuto."
Sabato aggiungo: "Stai cercando di svecchiare il tipico spettacolo di magia, hai questo aspetto fit, muscoli in mostra, da figo. Ma, ti prego, cambia le musiche che invece sono proprio vecchie e non c'entrano nulla". Voci di corridoio mi sussurrano che il mago abbia scelto ogni pezzo personalmente, con attenzione certosina. Ecco. Probabilmente ora mi odia. Ma ribadisco: da rivedere tutto il tappeto musicale. Tutto.
Firmato: la donna che presto verrà tagliata in 2, 3, 4 parti.

Infine, arieccolo: il cowboy dei Proprietà commutativa.
Rimembrate?
"-Perché c'era un cowboy in scena?- 
-Perché mi sono innamorato di questo personaggio e ho deciso di metterlo dentro questo spettacolo-
Ecco. No! Mai mai mai innamorarsi di un personaggio e metterlo a forza in una storia che non è la sua. Non funziona a teatro come non funziona in letteratura. I personaggi vanno rispettati. I capricci degli artisti: no. Neanche quando gli artisti siamo noi. Bisogna essere spietati con i propri vezzi. Altrimenti potrebbe esserlo qualcun altro. Tipo una blogger." 
Probabilmente uno dei giudizi più severi che abbia mai espresso in due edizioni di cronache.

Per la semifinale i Proprietà Commutativa portano un testo leggermente modificato e, secondo me, migliorato.
Ma, come dicevo, portano pure il cowboy. I due attori, comunque, hanno letto la mia critica e l'hanno presa sul serio. Ora, mi assicurano, nella versione completa dello spettacolo il personaggio del vaccaro ha una sua ragione d'essere.
Per la cronaca: loro due sono degli attori davvero capaci, ne sono sempre più convinta, e anche la loro scrittura è di ottimo livello. Insomma, lo posso confessare: la prima volta che li vidi ebbi il sospetto di una supercazzola teatrale. Ora no, la storia ha un suo senso, una sua struttura, ben fatta e convincente. Nonostante il Johnny Cash de noartri.

Credo che, a questo punto, sia chiaro ai più: sono proprio i Proprietà Commutativa a volare in finale. Meritatamente.

Sfideranno Alessandra Donati.
Avremo sul palco tre fuoriclasse.
Non vedo l'ora di assistere alla sfida.
Appuntamento il 22 maggio alla Casa del Quartiere, in via Morgari 14, Torino.
Io ci sarò!
Voi?

N.d.A: le foto sono di Sergio Sasso e risalgono alla seconda serata eliminatoria (materiale di repertorio, insomma).
Chi siede sul trono? Ancora lui: "culetto rinsecchito Jeoffrey"
Sempre più odioso e sempre più sadico.
Ora però non è più fidanzato con Sansa Stark ma con Margaery Tyrell. Chi? La vedova dello zio Renly Baratheon, quello ucciso da un sortilegio della stregona.
Passare da un pretendente al trono a uno che il trono lo occupa già è un netto miglioramento per l'astuta Margaery. Lei è l'imperatrice assoluta delle scalatrici sociali. E' scaltra e determinata. Porta in dote ricchezze e seduce lo stolto Jeoffrey assecondando le di lui perversioni con atteggiamenti del tipo "Raccontami ancora com'è morto quel tizio là...brrrrrrr... ho un brivido lungo la schiena", "Descrivimi come si scuoia un cervo...aaaaaaahhhh... quanto sei maschio", oppure "Dimmi dei bei tempi andati in cui i draghi bruciavano intere fortezze...ooohhhhh... sono tutta un fuoco"

E, a proposito di draghi, Daenerys Targaryen passa da una città all'altra liberando schiavi, arrostendo padroni e facendosi amare devotamente da folle in deliquio. Platinata e carismatica come poche, Daenerys è la regina dei discorsi motivazionali, un po' Al Pacino in "Ogni maledetta domenica" e un po' Evita Peron.

Rob Stark e la di lui madre tornano dal signorotto che avevano fatto tanto arrabbiare la scorsa stagione. Loro sono pieni di buone intenzioni e sorrisi rassicuranti. Lui di rancore. E, infatti, prima finge di perdonarli e poi, in combutta con i Lannister, massacra tutti durante un banchetto nuziale. A sto vecchio mancano proprio le basi delle buone maniere: non s'invita uno a cena per poi tagliargli la gola. Magari non gli offri il caffè oppure al momento del conto ti dilegui. Ma non tagli la gola a lui, la moglie, la madre e tutti i suoi amichetti. Non si fa!

Sansa Stark viene data in moglie a Tyrion Lannister, il nano. Lei non è molto contenta e neanche lui a dire il vero, dato che è cotto perso della sua concubina. Ma i doveri di famiglia non si discutono. E poi tutto sommato, soprattutto a lei, sarebbe potuta andare anche peggio!

Arya Stark continua a viaggiare e scappare, scappare e viaggiare. E incappare nei propri parenti decapitati: quel che si dice essere sempre nel posto sbagliato nel momento sbagliatissimo.

Bran Stark viaggia verso nord, incontra un ragazzetto strano, e scopre di essere in grado di entrare nella testa degli animali e dei giganti poco brillanti.
"Sei un metamorfo", gli spiega il ragazzetto di cui scopra, che sembra esserne uno che ne sa un bel po'.
Il fratello minore, Rickon Stark, è sempre più inutile. Talmente tanto da venir liquidato con un "Vai a nasconderti in quel palazzo lì e scompari per sempre dalla storia"
"Ma io non posso lasciarti, sei mio fratello, ti devo proteggere" risponde il dolce virgulto.
"Ah ah che tenerezza. Lo faccio per il tuo bene... bah blah blah... ci si vede. Ciao ciao"

Infine, Then Greyjoy, il viscido traditore di casa Stark, viene catturato da un pazzo sadico. Che non ho ben capito chi sia, ma in pratica è il figlio illegittimo di uno degli alleati dei Lannister. Costui è così cattivo ma così cattivo che farebbe sembrare un morbido cucciolotto persino Joeffrey.
Prima tortura Then, poi finge di liberarlo, poi lo ricattura, poi lo ritortura, poi gli manda due prostitute, poi gli fa tagliare l'augello e poi, a sfregio, si mangia pure una salsiccia di maiale di fronte a lui. Capite la sottile ironia? Una salsiccia di maiale di fronte ad uno che è appena stato evirato. Sadico, crudele e pure con uno spiccato senso teatrale. Uno così è persino in grado di farti provar pena per l'insulso Greyjoy. Qualcuno abbatta  questo povero sfigato e facciamola finita!

Intanto possiamo farla finita con la terza stagione e dirigerci sicuri verso la quarta.
Una di quelle feste dove ti diverti.
Una di quelle feste dove ti senti vecchia e ancora bambina.
Una di quelle feste dove ti senti orgogliosa e parte di una storia.

Una di quelle feste dove ti viene un poco di magone perché i capelli s'imbiancano, i visi si segnano ma tu vorresti trattenere tutti, tutti.
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