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Sono anni che desidero imparare il francese.
Uno di quei sogni piccoli piccoli che hanno solo bisogno di tempo e buona volontà per essere realizzati.
Uno di quei sogni che si tengono chiusi nel cassetto "Non mi cambierebbe la vita ma mi piacerebbe tanto".
Quello incastrato tra gli ingombranti fratelli "Lo desidero da sempre" e "Sarebbe troppo bello per essere vero".

Lo scorso settembre ho dato una pulita alla vecchia cassettiera che mi porto dietro da sempre. Quella che inizia a prendere forma quando si è ancora bambini, cresce con l'adolescenza, ma poi invecchia e si riempie di ragnatele nell'età adulta. Ci si distrae un attimo e le tarme ne fanno scempio. Ci si distrae un attimo e sogni e desideri cominciano a puzzare di chiuso e stantio.

Ho tolto la polvere con un panno umido, poi ho lucidato la superficie con una vecchia pezza di lana morbida. Ho fatto un passo indietro, strizzato gli occhi, ed osservato il risultato finale con la giusta attenzione.
Uno splendore.
Vissuta ma non vecchia. Carica di possibilità. Con i cassetti semiaperti a prendere aria e regalare ispirazione.

E' stato durante questa mia osservazione che il vano meno magico e lucente ha attirato la mia attenzione. 
Mi sono avvicinata e l'ho spalancato.
Tra i tanti piccoli desideri realizzabili, il francese si è presentato per primo. Sfacciato e orgoglioso, con la schiena dritta, lo sguardo altero, e una femminilità tutta speciale dal nasino all'insù e i fianchi da donna.

E così, mossa da antico desiderio e  nuovo entusiasmo, mi sono iscritta a un corso.
Lingua francese-livello elementare.
Da quel momento è finita la poesia e cominciato l'incubo.

Voi parlate francese?
Io no e non credo che lo parlerò mai.
Ciò che mi ha sempre attirato di questa lingua era il suono elegante e musicale.
Bene, ora che la studio posso dire con orgoglio di non azzeccare un accento che sia uno.
Il francese tra denti e palato non mi scivola come la seta, ma s'incastra come lana infeltrita.
Mentre mi adopero disperatamente per sembrare Sophie Marceau, suono immancabilmente come la signorina Rottermeier.
Ebbene sì, parlo francese con un accento vagamente tedesco.
I miei neuroni si ribellano al cambiamento e si attaccano tenacemente alle antiche conoscenze e così, quando la parlata non è teutonica, tutt'al più è britannica. Ma mai mai e poi mai parigina.

E non è che l'accento sia l'unico dei miei problemi. Magari!
Ci sono i numeri.
Avete presente i numeri in francese?
Fino a 60 si scivola via tranquilli, poi comincia la follia.
70? Sessantadieci.
71? Sessantadieci-uno? No! Sessantaundici.
72? Sessantadieci-due? Ma allora siete di coccio!? Sessantadodici.
80? Sessantaventi? Vi piacerebbe! Quattroventi.
90? Non ci provate neanche, eh? Ve lo dico io. Quattroventidieci.
In un crescendo di delirio e insensatezza.

E le eccezioni?
Non esiste una regola grammaticale che non porti con sé un milione di eccezioni. Verbi, plurali, aggettivi. Ce n'è per tutti i gusti e per tutti gli incubi. Da imparare facendo esclusivo affidamento alla memoria e rinunciando alla logica.

Ok, non fate quella faccia lì, non c'è bisogno che lo diciate voi, lo so già da me.
La grammatica francese è difficile, ma del resto lo è anche quella del mio amato tedesco o, semplicemente, quella dell'italiano.
Il problema non è l'affascinate idioma d'oltralpe. Il problema sono io.
Io che non ho tempo di studiare. Io che non ho orecchio. Io che mi abbatto di fronte alle prime difficoltà.

Ma non temete.
Mi lamento ma non mollo.
Ci vorrà del tempo, ci vorrà impegno, ci vorrà pazienza.
Ma un giorno ce la farò.
Sarò poco musicale, sarò sgraziata, sarò un florilegio di sgrammaticature.
Ma supererò l'imbarazzo e comincerò a parlare francese.

Lo farò.
Parbleu!
Assumo la reggenza del mio principato. Sono Alberto II di Monaco.
(2005)
Per 40 milioni di dollari i Girasoli sono miei.
(1987)
 Finisce il processo. Mi condannano per l'attentato al Papa. Sono Alì Agca.
(1986)
"And the winner is: Rocky!"

(1977)
Sono Silvio Berlusconi.
Ho vinto.
(1994)
Sempre più giù.
Sempre più a fondo.
Freddo.
Buio.
11.000 metri sotto il livello del mare.
Sono James Cameron e raggiungo il punto più profondo di tutti gli oceani.
(2012)
Sono nuovamente sulla Terra dopo essere stato via 311 giorni, 20 ore ed 1 minuto.
Sono l'ultimo cittadino dell'Unione Sovietica. Il mio paese c'era quando sono partito ma ora, al mio ritorno, non c'è più.
Sono il cosmonauta Sergej Konstantinovič Krikalëv.
(1992)
Premessa fondamentale: sono malata, debole e malmostosa. Mi murerei volentieri sotto il piumone. Credo che non guarirò mai più. L'umore è sotto i tacchi e le occhiaie troneggiano orgogliose.
Mi reco alla Casa del Quartiere portando con me tutto questo bagaglio di ottimismo e voglia di vivere.

Ma, nonostante tutto, riesce nell'impresa di farmi sorridere l'accoglienza dei miei compagni d'avventura, prima, e lo scoprire l'esistenza di una sedia riservata a Radio Cole, poi.
Ok, morirò, ma morirò cullandomi in queste piccole calde soddisfazioni.

Prendo posto accanto alla giuria.
Lo spettacolo inizia.
"Nessuno può mettere Lothar in un angolo", dice Natalia di paillettes e sobritudine vestita.
E i due presentatori si lanciano nei celeberrimi Balli Sporchi, danzando al ritmo di The Time of My Life, e regalandoci persino l'angelo finale.
Brividi e commozione. Potere del virus? No, degli anni '80.

Il compito di aprire la serata tocca a Donatella Morabito. L'artista romana, vestendo i panni di Bon Bon Rouge, ci racconta un mondo fatto di acrobazie, risate, clownerie, sorprese e una forte intesa con il pubblico. E' questa la sua forza. La capacità, con un sorriso e uno sguardo, di portarci tutti stretti stretti sulla sua piccola panchina. Lei, con  la sua maschera e la sua genuinità.
Il pubblico gradisce, la blogger anche, la giuria si complimenta.


Dopo Roma si torna a Torino con Michael's arms- the new era dance crew.
Un gruppo di appassionati che portano sul palco un omaggio danzereccio a Michael Jackson.
Appassionati e non ballerini. E, purtroppo, la differenza si vede. 
Questi ragazzi sognano di far beneficienza con i loro spettacoli, in omaggio e memoria del loro idolo. Lo scopo finale è ammirevole, ma la preparazione attuale ancora lontanissima dalla sufficienza.

Andiamo oltre.

Dal Piemonte si va in Toscana. Un duo di Livorno, costituito da Valerio Ianniciello e Luca Mariotti, porta in scena magia, musica e teatro. Carte, trucchi, e lettura del pensiero come non li avete mai visti. Tutto immerso in un'atmosfera da fumoso Jazz Club. C'è persino il sassofono.
Forse manca un poco di ritmo e i meccanismi si devono ancora oliare, ma l'idea è molto buona e il risultato più che accattivante. E ve lo dice una che non è mai andata pazza per i numeri di magia!
Valerio e Luca mi hanno quasi fatto cambiare idea. No, il fatto che il titolo del loro prossimo spettacolo sia "La blogger segata in due e mai più ricomposta" non influenza minimamente il mio giudizio.
Deh, ora però poggiate quella motosega livornesi, ir'budello di tu' mà! (*)

Dopo la terza esibizione c'è un cambio palco un po' complesso da fare. Serve qualcuno che colmi il gap. Qualcuno che distragga il pubblico. Qualcuno da mandare in pasto ai leoni.
Io non sto bene e, come in ogni branco che si rispetti, divento un perfetto aperitivo per rallentare i predatori.
Mi alzo e, facendomi schermo con un foglietto stropicciato-copione wannabe, leggo tutto d'un fiato il mio "riassunto delle puntate precedenti".

Un buon ritmo iniziale.
Una battuta non mia, ma regalatami da un amico.
Un'altra improvvisata in uno slancio di "echisenefotteiodicopurequesta".
Insomma, alla fine me la cavo. Legnosetta e con la vocetta strozzata? Sì, e pure un poco tremolante. Potrei farne un marchio. Un personaggio. "Pancrazia, la blogger che in pubblico finge di farsela sotto". Finge, eh. Ma come finge bene!

Dopo gli stuzzichini di blogger, tocca agli ultimi artisti della serata. Arrivano anche loro da Livorno. Sono tre donne. 
In scena: Alessandra Donati e Beatrice Neri. Fuori: la voce potente e cangiante di Silvia Rosellini. 
Rappresentano "Carmilla", un adattamento del racconto scritto dall'irlandese Sheridan Le Fanu. 
Atmosfere gotiche, sofferte ed ambigue raccontate tra musica classica ed elettronica, danza, teatro e canto.
Lo spettacolo è suggestivo. Le artiste molto brave.
Pubblico stregato. Giuria soddisfatta. Blogger piacevolmente sorpresa.


Anche questa sera siamo giunti alle votazioni. Si fanno conti frenetici. E' il momento del verdetto.
Passano il turno Alessandra, Beatrice e Silvia. La loro Carmilla, giovane vampira ottocentesca, si è guadagnata un posto in semifinale.


Io corro a sconfiggere il virus, debellare la fiacca e sbocciare di nuova bellezza per la prossima serata.
Ci si vede sabato 29 al Café des Arts!


(*)traduzione italiano-livornese gentilmente suggerita da Alex
Il camion. L'esplosione. E poi fuoco, fuoco dappertutto.
Abbandoniamo l'auto e scappiamo all'aperto. 
Siamo tra i fortunati.
(1999)
"Soy infeliz porque se que no me quieres para que mas insistir
Vive feliz mi bien, si el amor que tu me diste para siempre he de sentir
Soy infeliz si porque tu no me quieres, piensas que yo he de morir
Que me sirvan otro trago cantinero yo los pago
Pa' calmar este sufrir"

(1988)
La riconosco. E' Maria Pia Vianale.
Mi avvicino per arrestarla.
Muoio.
(1977)
Mi sparano.
Sopravviverò?
Il pubblico trattiene il fiato.
(1980)
Se non fosse per il mal di testa e la stanchezza io stasera avrei scritto un bellissimo post.
Non so neanche su quale argomento, ma l'avrei scritto.

Ma proprio non ce la faccio.

I polpastrelli potrebbero battere sui tasti ma il cervello è assopito da più di un'ora ormai.
Quindi, miei affezionati lettori, facciamo come se l'avessi fatto, ok?
Grazie.
Sapevo di poter contare sulla vostra comprensione.
Bevo il mio ultimo caffè. Al cianuro.
(1986)
Scendo dal treno.
Prendo la bicicletta.
Pedalo fin sotto casa.
"Professore, ehi, Professore!"
Muoio.
(2002)
Venerdì. Ore 13.
Rimoviamo a Terri Schiavo il tubo per l'alimentazione.
(2005)
Hanno trovato la nostra lista.
(1981)
Il bello di Facce da Palco è che ogni serata è diversa dalle altre.
Il bello di Facce da Palco è che si esibiscono artisti nelle più svariate discipline.
Il bello di Facce da Palco è che, a qualche giorno di distanza dallo spettacolo, venite su Radio Cole e vi leggete una meravigliosa cronaca minuto per minuto. La mia.
Tutto ciò non è fantastico? Ma sì, che lo è.
La mia cronaca, appunto. Non una vera e propria recensione, ma il racconto della mia serata attraverso i miei occhi, e in base ai miei soggettivi gusti e giudizi. Sono stata chiara? Tutto ciò puzza molto di "mettere le mani avanti", nevvero? Naaaaaaaaaaa.

Vabbè, inizio?
Inizio.

Arrivo davanti al blindatissimo portone del Bazura, circolo ARCI in via Belfiore 1. A Torino, naturellement.
Suono. Niente.
Risuono. Niente.
Suono ancora. Niente.
Nel frattempo vengo raggiunta da un giurato.
Suoniamo. Niente.
Risuoniamo. Niente.
"Vabbè, si vede che stasera hanno deciso di fare a meno di noi"
Stiamo per rassegnarci quando la porta si apre. Natalia ci vuole ancora bene.  
Talmente bene che, dopo una nostra discesa dalle scale degna di Wanda Osiris, ci presenta agli artisti con enfasi ed entusiasmo. Ma stanno tutti cenando, a base di pasta al sugo e vino rosso, e non ci considerano manco di striscio. Non me la sento di dare loro torto.

Occupo il mio posto al tavolo "tecnico" e faccio rapidamente sparire un piatto di maccheroni, cercando di affogare nel cibo la più grande preoccupazione della serata.
"Jane, sei pronta per darci una mano a riempire i buchi?"
"Beh, si, insomma"
"Tranquilla, dovrai solo leggere parti del tuo blog. Fare un resoconto delle serate precedenti"
"Ma certo, nessun problema", dico.
'Voglio morire', penso.

Prendo posto accanto alla giuria.
Salgono sul palco i presentatori.
I millemila presentatori.
La prima sera c'erano solo Natalia e gli appetitosi Boys. La seconda Natalia, gli appetitosi Boys e il maschio Lotar. La terza Natalia, gli appetitosi Boys (che questa volta non si tolgono le magliette, procurandomi una certa delusione), il maschio Lotar, e le testosteroniche Girls. Molto testosteroniche e poco Girls. Allego una foto a chiarire meglio il concetto.

Purtroppo l'immagine non rende pienamente giustizia all'orrore alla bellezza di cui abbiamo goduto noi dal vivo. Prendetevela con l'inabilità della fotografa, la spietatezza delle luci, o i santi in paradiso che proteggono voi e la vostra vista.
Ma, comunque, so che non avrete difficoltà a farvene una ragione. O, per lo meno, minore della difficoltà che avrò io a cercare di cancellare dalla mia testa una tale leggiadra, elegante, femminea visione.
Sono indecisa tra l'elettroshock e la lobotomia. O entrambe.

Ora basta, però.
Si comincia.

Viene annunciata la compagnia Checosasonolenuvole, che arriva direttamente da Roma. Sono gli artisti che hanno fatto più chilometri per Facce da Palco. Almeno credo. O forse no? Potrei chiederlo a Natalia ma oggi, mentre io febbricitante scrivo la cronaca, sta a rilassarsi al sole. E io non la voglio disturbare. Invidiarla sfacciatamente sì. Ma disturbarla no.

I romani presentano un testo originale, in cui i protagonisti sono due uomini alla fermata dell'autobus. Uno sfaccendato amante della lentezza. Uno yuppie cieco a tutto ciò che gli succede attorno. A confrontarsi due visioni della vita completamente diverse.


Alla fine dell'esibizione la giuria avanza più di una critica. C'è ancora molto da lavorare, ci sono ancora notevoli margini di miglioramento, soprattutto sul ritmo e la posizione dei personaggi in scena. 
La regista, decisamente esuberante, accetta la visione altrui sorridendo, ma difende la propria creatura. E ci mancherebbe che non lo facesse. Se porti il tuo spettacolo su un palco ci credi. Se fai tutti questi chilometri ci devi credere per forza. 
Ma (e ora parte il pippone critico che, da quel pezzo di pane di Jane Pancrazia, non vi aspettereste mai), se ci credi, non puoi usare come scusante "Tutti noi facciamo anche altro nella vita, e non abbiamo tanto tempo da dedicare al teatro".
E perché non si può usare questa scusa, secondo me? 
Perché questa è la situazione tipo della stragrande maggioranza degli artisti. Soprattutto di quelli che si muovono tra piccoli teatri, locali e circoli. Che lo facciano per hobby o con il sogno di sfondare. Che abbiano 18 o 68 anni. La maggior parte di coloro che si dedicano all'arte e allo spettacolo, affiancano a questa attività altro. Un altro spesso molto ingombrante.
Il tempo dedicato all'arte è un tempo appassionato, faticoso, ricco, ma rubato. Rosicchiato al sonno, a un lavoro "normale", alla famiglia, agli amici e all'ozio.
Quindi no, questa non è una scusa valida. Vale per tutti e quindi per nessuno. 
Certo, può esserti successo qualcosa di grave, imprevedibile ma, comunque, sul palco non lo dici. Sorridi. Accetti le critiche. Rispondi a tono. Ma non cerchi scuse che sanno di pressapochismo. Offensivo per il pubblico, tutti gli altri artisti in gara, e persino gli attori che nel  tuo testo ci hanno messo la faccia. Attori che quel tempo, sicuramente, l'avranno rubato.

Dopo questo lungo pippone, passo oltre.
I secondi a salire sul palco sono i DettoFatto. E che fanno costoro? Improvvisano.
Lo spettacolo che presentano è un format canadese chiamato Gorilla Theatre. Gli elementi su cui questo si regge sono una sedia da regista (e per chi era presente il termine "reggere" acquista tutto un altro significato), degli improvvisatori e un gorilla. 
Ogni membro della compagnia, a turno, dirige una scena, che prende corpo grazie alla fantasia malata del pubblico.
E il pubblico di Facce da Palco non è un pubblico qualunque, ma un pubblico che sa dare notevoli soddisfazioni.
Un paio di esempi.
"Qual è la sua fiaba preferita?" viene chiesto a una ragazza in platea.
"La bella addormentata"
"Oh che tenerezza, ce la racconta in poche parole?"
"C'è una principessa che si addormenta per cento anni, un drago che la tiene prigioniera (ma quando mai?!?!), e un principe che alla fine se la tromba"

Oppure.
"Qual è il suo genere cinematografico preferito?" viene chiesto a un signore dall'aria distinta.
"Il cinema americano anni '70"
"Eh? Ci può fare qualche esempio?"
"Easy Rider"
"Ok"
"Oppure 'Mariti' di John Cassavetes"
"Ah, ecco, ora è tutto più chiaro. A noi e al resto del pubblico", risponde l'improvvisatore nel cui sguardo si legge chiaramente il panico. (*)

I DettoFatto affidano tutta la loro esibizione al pubblico, accettando il rischio che ciò comporta. Ed è proprio in questo che si vede la loro abilità. Nel non buttarsi a terra fingendosi morti. Nel non tentare la fuga. Nel non prendere a testate il simpatico spettatore. Ma nel provarci, sempre e comunque.
Nel provarci e nell'uscire vittoriosi da ogni nuova assurda sfida.
Il pubblico ride, la blogger pure, la giuria si complimenta.
E il gorilla? Il gorilla premia il regista preferito dal pubblico. Con una banana. E se stesso.

Con i terzi concorrenti cambia completamente l'atmosfera. 
Ci ricomponiamo tutti quando salgono sul palco i Wood Beat. Un duo acustico. 
Si siedono. Imbracciano le chitarre. Sorridono. Spendono qualche parola di presentazione. E poi suonano. E cantano.
E sono bravi, dannatamente bravi.
I musicisti in giuria fanno le fusa. Il pubblico si lascia guidare dalle note. E la blogger, che è una donna piccola piccola e dalla scarsa morale pensa: sono pure carini! 
Ok, questa è una battutaccia: passo troppo tempo con Natalia.
Rifaccio. 
La blogger pensa, come chiunque altro presente al Bazura, ma quanto sono bravi? 
E poi: ma quant'è bello che a Facce da palco, con il passare delle serate, si stia dando tanto spazio a talento e lavoro? E che io, nel mio piccolo, ne faccia parte?
Bene. C'è ancora speranza per me e la mia morale.

Per farvi capire il livello medio dell'esibizione ne condivido una parte con voi. L'unico video disponibile attualmente, poiché il loro progetto è ancora giovane e quella di stasera è la loro prima esibizione insieme. 
Questo è "Granpa", un pezzo in cui canta e suona solo uno dei due.




A questo punto pensiamo tutti che i vincitori siano loro.

Ma poi è il turno di Caterina Fornaciai e Luca Terracciano della compagnia A_Tratti_Brevissimi.
Di Roma. 
Pure loro? Forse avrei davvero dovuto importunare Natalia.
I due presentano l'estratto di uno spettacolo degli anni 70: "Dialogo di una prostituta con il suo cliente" di Dacia Maraini.
Non siamo in un teatro. Siamo in un circolo. In un pub. C'è confusione. Gente che si alza, va a prendersi da bere, fumare una sigaretta, godersi i complimenti e le congratulazioni.
E, al riguardo, avrei da dire che: almeno gli altri artisti in gara, per rispetto ai colleghi, dovrebbero sforzarsi di non muoversi. 
Io mi sono tenuta la pipì per tre ore, tanto per dire, eh.
Ops, mi è partito un altro pippone. Con la febbre mi si slatentizza l'AcidaPancrazia. 
Domani Natalia mi licenzia.

Dicevo, non siamo nell'ambito ideale per un'esibizione di questo tipo. Eppure i due attori sono talmente bravi da riuscire a calamitare l'attenzione del pubblico. A poco a poco tutti gli occhi sono per loro. Le bocche tacciono. I piedi si fermano. La magia del teatro si compie.
Il testo è intenso anche se, inevitabilmente, racconta un mondo che ai nostri occhi risulta un po' datato. La prostituzione che viene presentata sembra un ricordo sporco, brutto ma quasi nostalgico. 
Il testo è pura poesia e i due attori lo rappresentano con intensità e convinzione. Non si risparmiano. Non si tirano indietro.

Passano i venti minuti.
Silenzio. 
E poi applausi.

E ora chi vince?
Troppo talento tutto assieme. Discipline diverse da confrontare. 
Io, per fortuna, non voto. Per gli altri, giuria e pubblico, non sarà facile scegliere.

Nel frattempo giunge l'orrido momento.
"E ora sul palco la nostra blogger preferita: Jane Pancrazia" mi presenta Natalia.
Io bofonchio qualche maledizione, mi alzo, e prendo posto accanto a Lotar. Abbarbicata a Lotar. Attaccata al suo montone (indossato direttamente sulla canotta, che fa tanto chic!) come Linus alla sua coperta.

Ignoro i post del mio blog. Sono troppo lunghi e non sono nati per essere letti in pubblico. E vado a braccio. O a ca... 
Dipende dai punti di vista.
Parlo poco, in fretta e, mi è stato riferito, appaio "legnosetta e con la vocetta strozzata". E questa è l'opinione di un amico.
La cosa più bella che mi dicono è "Non ti preoccupare, non ti ascoltava nessuno". E ciò mi rassicura.

Scendo dal palco. Il peggio per me è passato. Ora potrebbero anche annunciarmi un attacco atomico e io non farei una piega. Sono sopravvissuta a questo. Che potrebbe mai farmi un poco di Uranio?

Finisce il conteggio delle votazioni.
A vincere sono gli A_Tratti_Brevissimi. 
Hanno portato un grande testo e l'hanno interpretato magistralmente. Chiunque voglia ambire alla vittoria finale sa che dovrà fare meglio di loro.
La competizione si fa sempre più accesa.

Ora mi drogo di Paracetamolo e torno a letto.
Devo esser in forma per venerdì prossimo. La quarta serata si terrà il 21 marzo alle ore 21,30 alla Casa del Quartiere in via Morgari 14.
Torino! 

(*) Non fate i furbi miei affezionati lettori.
Non buttatevi su Google.
Non setacciate wikipedia.
Non ci credo, neanche se me lo giurate su quella santa donna della vostra trisavola, che voi conoscete a memoria il film di Cassavetes.
Giusto ad Alligatore-unochenesa posso credere, che gli altri non millantino.

(Che qualcuno abbatta l'AcidaPancrazia a fucilate. Mi faccio paura da sola)
9:03
Via Fani.
Eliminiamo la scorta. 
Rapiamo il gerarca Moro.
(1978)
symbolics.com
Sono il primo dominio internet ad essere registrato.
(1985)
Siamo i sei di Birmingham e siamo innocenti.
(1991)
Sono sorella Nirmala e succedo a Madre Teresa.
(1997)
No, non sono io ad essere fobica.
Sono le macchine fotografiche ad essere crudeli.
Che ci crediate o meno, è in atto da tempo una manovra di abbattimento della mia autostima e della mia immagine da parte di tutti gli obiettivi fotografici. Che appartengano a una fotocamera analogica, a una digitale, a uno smart phone, o anche a un tablet, non cambia nulla. Si sono tutti coalizzati contro di me. E' un complotto.

No, non sono io ad essere paranoica.
Potrei mostrarvi decine, centinaia, migliaia di scatti a testimoniare il sabotaggio. Scatti che, inspiegabilmente, non ritraggono una gnocca da paura ma una tizia con una marea di capelli, gli occhietti piccoli e la faccia da pirla.

No, non sono io.
Quella non sono io: è ovvio.
Chi afferma il contrario mente sapendo di mentire.
16:30
Iniziamo il conclave. Dobbiamo scegliere il successore di Benedetto XVI.
(2013)
"I can't believe the news today,
I can't close my eyes and make it go away.
How long, how long must we sing this song?
How long? Tonight we can be as one.
Broken bottles under children's feet,
Bodies strewn across a dead end street,
But I won't heed the battle call,
It puts my back up, puts my back up against the wall."

(1983)
Trucco e parrucco: mi preparo alla seconda serata del talent per artisti ardimentosi.
Obiettivo da raggiungere: arrivare in anticipo e respirare un po' del clima di concitazione pre-spettacolo.
Che credete? Prendo molto seriamente questo mio ruolo da blogger-cronista.

Prendo molto seriamente anche la penuria di posteggi in zona San Salvario e, quindi, lascio la macchina a casa e vado in metro. Lo spettacolo questa sera si tiene alla Casa del Quartiere in via Morgari 14. Torino, ovviamente.

Arrivo e sono passate da poco le 20.
Il pubblico attende fuori. Io mi faccio largo a spallate. Come ogni vera finta VIP che si rispetti. 
In sala c'è un gran fermento. I rapper rappano. I fotografi fotografano. Gli improvvisatori improvvisano.
E Natalia, sobriamente vestita com'è nel suo stile, dà di matto:
"Problemi tecnici, tanti problemi tecnici", ripete concitata. "Questa sera krande disastritudine si abbatterà su tutti, schiacciando noi come frittelle che faceva nonna Ludmilla in piccola casetta su Volga. Serata troppo difficilissima. Io non sento me. Io voglio morire in erotico abbraccio tra miei Boys"

Mi allontano dall'isteria in salsa ninfo-esteuropea e giro tra le sedie ancora vuote in cerca di campo per il mio cellulare. Campo che non troverò mai. Tra l'altro, tra un'elegante smadonnamento da blogger sconnessa e l'altro, scopro che il mio posto questa sera sarà in prima fila. Al centro. Accanto alla giuria.
"E magari ti facciamo anche intervenire" m'informano dall'organizzazione.

Mi sento carica ma terrorizzata. Soprattutto terrorizzata.
'Quasi quasi scappo dalla finestra dal bagno', penso.
'No, rimango qua e faccio la blogger scoppiettante!' mi rispondo.
'Vabbè, facciamo che resto e cerco di cavarmela con meno imbarazzi possibili', concludo.

Intanto, tra una chiacchiera schizofrenica e l'altra, si fa una certa. Il pubblico entra e io, prima che incominci lo spettacolo, faccio in tempo a incontrare un mio compagno del liceo che, accidenti a lui, non è invecchiato neanche di un secondo, e a farmi dare della "signora" da una ragazza seduta dietro di me.
Tesoro, che la simpatia ti travolga: sotto forma di una colata lavica!
E non venite a dirmi che, tecnicamente, ha ragione lei. Lo so anch'io di essere abbondantemente in età da "signoritudine". Ma mi sento di affermare liberamente il mio pensiero con un semplice: echisenefotte!
Ho la sindrome di Trilly o come diavolo si chiama. Il corrispettivo femminile della sindrome di Peter Pan. E se non esiste, non importa, io ce l'ho. E' una patologia seria. Oh come soffro!

Ma andiamo oltre: è l'ora di cominciare.
La sala è strapiena. 
Natalia e i Boys entrano in scena tra un'abbondanza di lustrini, paillettes, petti villosi e numeri di telefono lanciati come coriandoli. Stasera, inoltre, per dare man forte nella conduzione, è stato chiamato anche il cugino Lothar. Riccio da cherubino. Canotta d'ordinanza. Sguardo pallato da "mucca che fissa i treni". Quasi quasi m'innamoro.

Le prime ad esibirsi sono Giulia Bavelloni e Daniela Pisci del Municipale Teatro. Portano in scena 20 minuti di R.I.P., una commedia drammatica in un unico atto.
Due ragazze insoddisfatte che assomigliano a tutte e a nessuna. In cerca di un lavoro, in cerca di un amore, in cerca del phon.
"Se domani finisce tutto?" si chiedono.
Se domani ci danno un taglio loro o il mondo per loro? Non è dato saperlo ma solo intuirlo. E poi, del resto, non importa.
Venti minuti che scorrono via tra valige da preparare, colloqui lavorativi da sostenere, addominali da scolpire, e quel qualcosa da trovare. Da trovare prima che domani finisca tutto. Da trovare perché domani non finisca tutto.

Passano i venti minuti. Il pubblico esplode in un lungo meritato applauso, il più lungo della rassegna finora. La giuria elargisce commenti entusiasti.
Ed io? Io voglio assolutamente vedere tutto lo spettacolo. Spettacolo scritto dalle stesse protagoniste e diretto da Chiara Lombardo.
E voglio parlarne ancora in questo blog. Perché tanto talento, professionalità e lavoro travolge e appassiona. E, soprattutto, merita di essere pubblicizzato il più possibile.

Le prime concorrenti hanno portato la competizione a un livello superiore e ora tocca alla Domus Alpha Crew.  Lello Carbone in arte “Zens” e Federico Salvai in arte “Twice” sono due giovanissimi rapper che entrano in scena pieni d'entusiasmo, ma con un grave handicap: la cassa in dotazione non è adatta allo scopo. Risultato: l'audio è pessimo e si fa molta fatica a capire le parole. Nonostante questo, il ritmo della base riesce a fare presa ma loro, ovviamente, non sono ancora soddisfatti. E allora che succede? Lello blocca la musica, chiede scusa, e comincia con il freestyle. Tutto con umiltà e un gran sorriso. In seguito verrà rimproverato dalla giuria per questo: "Dovevi andare avanti comunque", "Non avresti dovuto chiedere scusa al pubblico", "Sei un rapper, cazzo!"
Bah, probabilmente avranno ragione loro. Forse avrebbe potuto rendere il passaggio al freestyle meno "drammatico". Ma che vi devo dire? A me questa cosa è piaciuta moltissimo. Ho visto qualcuno che ama ciò che fa, non molla mai, cerca una soluzione, sa stare sul palco e sa stare pure al mondo! Niente vittimismi, niente frigne: c'è un pubblico da intrattenere e lo s'intrattiene. Bravo, bravi!

L'esibizione alla fine è più che dignitosa, ma rimane il rimpianto di non aver potuto sentire la crew al meglio delle possibilità. E allora sapete che vi dico? La sentiamo adesso su Radio Cole!


Dopo il rap, in una montagna russa di emozioni e cambiamenti di scenografia, si passa al teatro sperimentale. E' il turno dei milanesi Into the Aquarius.
Fanno teatro emozionale, interattivo e partecipativo.
La loro esibizione prevede la presenza costante del pubblico che viene coinvolto a coppie. Purtroppo lo spazio non è adatto, chi non partecipa si sente escluso e fa fatica a capire ciò che accade al centro della scena. La rappresentazione si protrae oltre i 20 minuti, dietro di me sento l'attenzione calare, ed io vivo nel terrore di essere chiamata a partecipare.
Poi l'incubo si realizza. Uno degli attori mi prende per mano e, in men che non si dica, mi trovo inginocchiata accanto a un ragazzo sdraiato, dormiente, e in mutande.

Ma, superato il primo comprensibile imbarazzo,  finalmente comprendo. O almeno credo. Questo è un teatro da vivere dall'interno.
Emozionale. Interattivo. Partecipativo.
Nel momento in cui ci sei in mezzo, anche se non capisci molto cosa stai facendo o cosa ti viene chiesto di fare, ti senti parte di un gruppo, di una creazione, di un progetto.
Una volta che vieni chiamato, non te ne vai più fino a quando non ti riaccompagnano al posto. E non solo perché hai paura di essere sgridato ma proprio perché, investito di nuova responsabilità, senti tuo dovere prendere parte alla rappresentazione fino a quando ti viene richiesto. Hai un compito. Hai un ruolo. Stai creando anche tu con gli altri. Ogni tuo gesto cambia il quadro generale.
So che non tutti quelli coinvolti hanno provato il mio stesso entusiasmo. Ma questa è la mia cronaca. Ed io vi racconto il mio punto di vista. Non ho pretese da critica esperta. Non so nulla del teatro sperimentale. Non so se ciò a cui ho assistito sia ultramoderno o riprenda semplicemente vecchi schemi degli anni '70.
So che mi è piaciuto però. Ed ho molto apprezzato il coraggio di chi porta tanta diversità in mezzo a un pubblico non pronto e, spesso, non ben disposto.
Alla fine la giuria non risparmia critiche, la responsabile del progetto (Alessandra MR D'Agostino) difende la propria creatura come una leonessa, gli attori sorridono con bellissimi sorrisi da bambini, io intervengo non nascondendo l'entusiasmo e la simpatia per tutti loro.

Ormai è tardissimo, manca solo un'esibizione.
E sapete di cosa si tratta?
Ebbene sì, proprio della "mia specialità" da cronista, l'improvvisazione teatrale!
Mi pavoneggio con chi mi è accanto, faccio quella che ne sa, elargisco commenti con tutta la spocchia di cui sono capace.

Ad esibirsi sono i SuMaDai ( Roberto Tavella, Nancy String Citro, Sergio Sasso, Gianluca Villata, Ivano Zanchetta). Portano in scena il Club dei Segreti. 
E che cos'è?
Cerco di spiegarlo rapidamente: a inizio serata è stato chiesto a tutti i presenti in sala di scrivere un proprio segreto sopra un foglietto. Da questi suggerimenti partirà l'improvvisazione.
Ecco, questa è la teoria, ma non ho la più pallida idea di come funzioni la pratica. Altro che esperta. Tanto per cambiare faccio la figura della millantante cioccolataia. Grandi soddisfazioni! 

Lo spettacolo inizia. Ognuno degli improvvisatori estrae un "segreto", lo legge tra sé e sé, e se lo mette in tasca. Infine ne viene estratto un altro, viene letto ad alta voce, "In una vita precedente sono stato un guerriero barbaro", e i Sumadai partono da questa suggestione.

Sono bravi, la storia si dipana, il pubblico si appassiona. Il ritmo non cala mai tra tradimenti, rincarnazioni, morti premature, passioni travolgenti, demoni e gatti. 
Alla fine, tra gli applausi, viene svelato il contenuto degli altri foglietti("canto a squarciagola in macchina", "sono uscito dal bar senza pagare", "ho tradito l'intradibile"...) tutti elementi che ognuno di loro ha inserito nell'improvvisazione ad insaputa dei compagni e del pubblico. Un ulteriore elemento di difficoltà. Chi, come me, non conosceva il meccanismo si entusiasma ancora di più. Bravi!
L'improvvisazione spesso viene sottovalutata, ma stare sul palco senza un testo da seguire, affidandosi solo alla tecnica, alla propria inventiva, e a quella dei compagni, non è facile. Ci vuole coraggio, fiducia, e una certa dose di follia.
Anche la giuria è soddisfatta.

La serata è finita.
Tanto talento. Tanta fatica. Tanta energia.

Pubblico e giuria votano.
A passare il turno sono i SuMaDai con il loro Club dei Segreti.
Io, prima di correre alla metro, faccio in tempo a congratularmi con i vincitori, fotografare i rapper, abbracciare i milanesi, e rincorrere le bravissime Giulia e Daniela.

Ah, già che ci sono, limono anche con due preti nel pubblico. Ma questa è un'altra storia.

Il prossimo appuntamento? Giovedì 13 marzo ore 21,30 presso il Circolo Arci Bazura di via Belfiore 1, Torino.
Sono un astronomo. 
Sono James Elliot.
Sono colui che scopre gli anelli di Urano.
(1977)
"Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow
Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow

Now I am older
The more that I see the less that I know for sure
Now I am older ah hah
The future is brighter and now is the hour

Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow
Living on borrowed time
Without a thought for tomorrow

Good to be older
Would not exchange a single day or a year
Good to be older ah hah
Less complications everything clear"

(1984)
"In your discussions of the nuclear freeze proposals, I urge you to beware the temptation of pride - the temptation of blithely declaring yourselves above it all and label both sides equally at fault, to ignore the facts of history and the aggressive impulses of an evil empire, to simply call the arms race a 'giant misunderstanding', and thereby remove yourself from the struggle between right and wrong and good and evil."

"Nelle vostre discussioni relative al congelamento dell'arsenale nucleare, vi esorto a guardarvi dalla tentazione dell'orgoglio - la tentazione di dichiararvi serenamente al di sopra di tutto questo e di etichettare entrambe le parti come egualmente in torto; la tentazione di ignorare i fatti storici, gli impulsi aggressivi di un impero del male, chiamando la corsa al riarmo 'un enorme fraintendimento', e così sottrarvi alla lotta tra il giusto e l'ingiusto, tra il bene ed il male."
(1983)
Arriviamo al porto di Brindisi. 
Siamo 27.000 e siamo albanesi.
(1991)
A qualche lettore particolarmente attento non sarà sfuggita la mia leggera predilezione per la città di Berlino. Il mio moderato affetto per la città di Berlino. La mia calorosa tenerezza per la città di Berlino. Il mio smodato amore per la città di Berlino. La mia patologica ossessione per la città di Berlino.

Non sarà quindi motivo di stupore che, di fronte a un romanzo scritto da un berlinese e ambientato nella capitale tedesca, io non abbia resistito.

Lontano dai miei gusti. Lontano dalle mie letture solite. Lontano da ciò che più amo leggere e scrivere. Il profeta della morte di Vincent Kliesch è mille volte lontano da un mio libro "tipo".
Prima di tutto è un thriller. E io, lo devo ammettere, non sono una grande appassionata del genere.
In secondo luogo è truculento. E io, lo devo ammettere, mi sono trovata a leggere alcune parti con un occhio solo. Esattamente come mi è capitato di guardare alcuni film horror in tv, prima di arrendermi, cambiare canale, e stare sveglia tutta la notte come un gufo.

Il profeta della morte però l'ho letto tutto. Fino alla fine. Non ho cambiato canale.
Ho superato le parti più truculente e disturbanti per appassionarmi a una trama ben scritta, e a personaggi ben delineati. Per lasciarmi avvincere dall'eterna sfida tra poliziotto e serial killer. Bene e male. Ma con un'abbondanza di toni di grigio e amorali alleanze ad aggiungere il perverso fascino della realtà.

Questo romanzo è il terzo di una serie ma, come nel mio caso, lo si può leggere benissimo senza sapere l'antefatto, che viene abilmente riportato durante lo svolgersi della vicenda.

Escludo che Vincent Kliesch possa mai diventare il mio scrittore preferito, anche perché non posso mica passare il tempo a leggere con un occhio solo. Ma se amate il genere e l'ambientazione euopea, a cavallo tra Berlino e Londra, mi sento di consigliarvi questa lettura. 
E se non amate il genere e l'ambientazione, ve la consiglio comunque. Perché ogni tanto bisogna pur fare una passeggiata per strade diverse: il rischio peggiore che potremo correre sarà trovare qualcosa che ci piace.

Buona lettura.
Sparo a Larry Flynt.
(1978)
Positivo. Un'altra volta.
Vengo squalificato a vita dalle competizioni internazionali.
Sono Ben Johnson.
(1993)
Stiamo tornando a casa.
Ancora pochi km e poi finalmente raggiungeremo l'aeroporto.
Un faro. 
I colpi.
Mi copre e mi salva.
Io sopravvivo. Lui no.
(2005)
Esco di casa con un certo anticipo. O almeno credo.
Trovo parcheggio in un posto relativamente vicino al locale. O almeno credo.
Mi dirigo a passo spedito nella giusta direzione. O almeno credo.

Dopo mezz'ora giro ancora come una cretina, ingobbita sotto un maxi piumino, con i ricci che, drogati di pioggia e umidità, si ribellano e acquistano vita propria. Insomma, la serata per me inizia come ogni sabato.

Arrivo al Café des Arts stravolta e seducente quanto uno strofinaccio per la polvere. Ma, contro ogni aspettativa e speranza, in perfetto orario.

Stringo mani e mi presento. Col mio nome vero, col mio nome da blogger e, in alcuni casi, semplicemente con un grugnito. Gli altri annuiscono e si presentano a loro volta. Non capisco la metà dei nomi. E, comunque, dimentico dopo un minuto l'altra metà.
In questo caotico delirio, mi ricordo improvvisamente di avere un ruolo istituzionalizzato: mi drogo di sicurezza, gonfio d'orgoglio, tiro fuori il petto (metaforicamente), e metto in dentro la pancia (praticamente). E' ora che mi cerchi un posto.
"Dove mi metto?" chiedo.
"Dove vuoi tu: qua in un angolino o là al centro, in prima fila, vicino alla giuria"
Scelgo l'angolino.

Mi arrampico tra fotografo e dj.
Ottimo posto, così non rischio di finire negli scatti.
Mentre gongolo soddisfatta per la posizione strategica occupata, entra in scena Natalia con i suoi Boys.

Chi è Natalia?
La presentatrice. Una sobria, elegante, pacata, morigerata giovine dalle imprecisate origini est europee.
Ella, vestita di ghepardate fibre sintetiche, truccata da un non vedente armato di cazzuola, e cotonata come neanch'io riuscirei mai ad osare, dirige tutto l'ambaradan di Facce da Palco. Ovviamente non lo fa guidata dal fuoco sacro dell'arte, ma da ben altre necessità. Altrettanto rispettabili, però.
In primo luogo cerca qualche vittima da raggirare anima grande che ospiti lei e i suoi 2000 parenti, per un tempo variabile dai due anni all'infinito. In secondo luogo, generosa da par sua, adocchia tra il pubblico svariati soggetti con cui accoppiarsi in allegria.
Quando si dice: poche idee ma molto chiare.
Io Natalia la stimo, le voglio bene e, soprattutto, le invidio moltissimo gli zatteroni su cui traballa con tanta femminile sicurezza. Ella è il mio nuovo punto di riferimento, la mia musa, la scriteriata a cui guardare con sincera ammirazione.

Natalia, dicevo, sale sul palco, legge il regolamento, importuna un paio di spettatori e poi presenta i primi concorrenti di questa edizione di Facce da Palco: gli Stregatti.
O meglio, Luca e Francesca, gli attori under 30 della compagnia. "Quelli giovani", ci tiene a precisare Luca. Quelli giovani. 
Ora Luca, tesoro mio, io non sono una persona meschina e non mi farò influenzare dall'odio profondo che provo nei tuoi confronti da questo momento in poi. Comunque sappi che, se t'incontro per strada, t'investo. E poi, ovviamente, faccio anche retromarcia. Del resto, mai fidarsi di un'anziana al volante! 

Ma torniamo all'esibizione. Per quanta fatica e dolore fisico mi costi ammetterlo gli Stregatti colgono nel segno. Rappresentano un tipico appuntamento tra due conosciutisi in chat. Un tipico primo appuntamento. Un tipico appuntamento al buio.
Insomma, rappresentano l'inferno!
Tra una risata e l'altra riconosco almeno due tic, quattro gaffe e cinque idiozie che sono uscite dalla mia bocca in situazioni simili. Tra una risata e l'altra prendo consapevolezza della mia scarsa originalità, ma anche del fatto di essere, forse, meno irrecuperabile di quanto io stessa creda.
Gli Stregatti rompono il ghiaccio con successo. Il pubblico ride. Il fotografo accanto a me si scompiscia e io, quasi quasi, decido di graziare l'infido Luca. 

Ora tocca al duo Bella domanda. Il loro è uno sketch di comicità surreale: dalla nobile arte della ventriloquezza ventriloquanza ventiloquetitudine, al difficile rapporto con l'arte contemporanea, fino al colloquio lavorativo che tutti sogneremmo di avere. Dopo aver mangiato un chilo di cozze marinate nella peperonata, però.
I Bella Domanda, formati da Mafe Bombi e Paolo Carenzo, tengono benissimo il palco e hanno dalla loro un pezzo scritto e montato in maniera molto intelligente. Un crescendo di comicità e assurdo. La capacità di condurre lo spettatore, anche quello meno avvezzo al nonsense, sempre un poco più al largo, sempre un poco più in là.
Mi piacciono. Mi piacciono molto. Si è capito? Faccio il tifo per loro.

Il terzo concorrente è Matthias Martelli. Giovane, pulito, ordinato. Una personcina proprio a modo. Chissà di cosa parlerà: poesia, filosofia, bon ton?
No, pornografia in rete.
Ah.
Bisogna ammettere che lo fa con una naturale eleganza. Gli manca solo la giacca con le toppe ai gomiti per sembrare un supplente di lettere. Lui è là, con quella sua faccetta da bravo ragazzo, e intanto ti parla di Sara Tommasi, You Porn, il nero che snellisce "ma neanche poi tanto", e via dicendo.
Risate e applausi anche per lui. Che, però, a differenza di chi l'ha preceduto, si becca le critiche di un giurato. "Avresti dovuto spingere di più!" gli dice. E, dato l'argomento del monologo, questa diviene, a mio insindacabile giudizio, la battuta involontaria migliore di tutta la serata. 
Matthias, uomo di classe, prende la critica con un sorriso. Natalia cerca di consolarlo. Lo spettacolo viene momentaneamente interrotto dagli artificieri del Genio Guastatori, che si adoperano per disinnescare gli ardori della presentatrice. Giù le mani dal monologhista! 

La serata si conclude con un altro duo: il The NecsTù, formato da Giorgia dell'Uomo e Magda Pohl Tontini.
Fermi tutti: arrivano in scena la bellezza e la poesia.
E' uno spettacolo di mimo. A me il mimo non è mai piaciuto. Per niente. E avrei continuato a vivere nel mio mondo di banale ignoranza e superficiale idiosincrasia se non avessi visto queste due ragazze all'opera. 
Realtà e immaginazione l'una accanto all'altra. Un angolo di colore, attenzione dei dettagli, e delicata ironia.
Le amo. Le amo così tanto che mi farei liscia solo per poter portare anch'io una bombetta. Le amo così tanto che ora tifo anche per loro.
Applaudo. E tutta la sala di appiccicati, sudati e sconclusionati spettatori applaude con me. Tra di noi c'è davvero di tutto: bambini, addetti ai lavori, curiosi e caciaroni. Applaudiamo tutti. Perché la bellezza e il talento sono tali proprio quando vengono riconosciuti universalmente e senza necessità d'infrastrutture.

La gara si è conclusa. E' l'ora della votazione.
La classifica viene stabilita per il 70% dalla giuria e per il 30% dal pubblico.
Io ho scelto i miei preferiti. Senza  togliere niente agli altri, che si sono fatti un adeguato mazzo, spero che a passare siano i Bella Domanda o le The NecsTù. 

Natalia, i Boys, e i concorrenti, salgono tutti sul palco.
Rullo di tamburi.
Emozione tangibile.
Passano il turno Mafe e Paolo.
E' giusto così. Mi ritengo soddisfatta.

I Bella Domanda, primi seminifinalisti del talent

 La serata è finita. Io mi sento appagata e orgogliosa di appartenere a questo progetto. 

Ci si vede venerdì prossimo alla casa del Quartiere in via Morgari 14. Sempre a Torino, ovviamente.
"Che guardi?"
"Un nuovo telefilm"
"Lei me la ricordo in Taxi Driver, ma lui chi è?"
"Boh, un tizio"
"Un tizio? Tutto qua?"
"Non lo conosco. Dai un'occhiata alla guida tv se sei tanto curiosa"
"Ok"
"Allora?"
"Bruce Willis"
"Mai sentito"

 
(1985)
Peter sta guardando la tv. John sfoglia una rivista. Io mangio un sandwich.
Mi cade un sottaceto, dopo essermi chinata a raccoglierlo, dò un'occhiata distratta al monitor.
"Guardate qua", richiamo l'attenzione dei miei colleghi.
"Wow!" fanno loro.
La vediamo formarsi a poco a poco. E' enorme e lo diventerà ancora di più nei giorni a venire. 
E' la tempesta del secolo. 
(1993)
Zurigo.
Assisto alla presentazione della prima collezione di Swatch.
Precisione svizzera a basso costo. Sarà un successo planetario.
(1983)
Oggi, primo marzo 2014, comincerà finalmente Facce da Palco!

Alle 21, presso il Café des Arts, in via principe Amedeo 33/F, si affronteranno i primi quattro artisti.

Matthias Martelli, con il suo "Pornologo", racconterà il mondo surreale e ossessivo della pornografia online. 
 
Luca Zilovich e Francesca Pasino, gli attori under 30 della compagnia Stregatti, porteranno in scena "Love Date (Namastè)". Una serie disastrosa di primi appuntamenti organizzati in chat.


Il duo Bella Domanda, costituito da Mafe Bombi e Paolo Carenzo, proverà a fare ridere, sorridere, sogghignare e pure pettinare con una finestra aperta sul mondo del paradosso e del nonsense dal titolo, appunto, "Ridere, sorridere, sogghignare, pettinarsi sono sinonimi?" 


E, infine, Giorgia dell’Uomo e Magda Pohl Tontini, della compagnia The Necs Tù, con "Sotto il cielo di…" passeggeranno tra realtà e fantasia. Dove l'invisibile acquista corpo. Dove vivono un palloncino, un ombrello, una pallina e una fisarmonica.



Io sono pronta. 
Porno. Innamorata. Spettinata. E decisa a prendere il volo alla prima distrazione di chi mi trattiene a terra.

E voi?
Per prepararvi nel modo giusto alla serata vi consiglio il video teaser dell'evento. Un video pieno di sole, energia e talento. E, con tutta la pioggia che sta cadendo a Torino, un po' di sole è proprio quello che ci vuole!



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