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Delle volte si mettono di mezzo il lavoro, la disorganizzazione, e la mia pigrizia.
Delle volte questo blog viene colpevolmente trascurato.
Delle volte capita che un post, che avrei dovuto pubblicare giorni fa, slitti al 31 dicembre. Slitti tanto da ritrovarsi ad essere l'emblematico ultimo post dell'anno.

Evidentemente, delle volte, il diavolo fa le pentole e anche i coperchi.

Nascoste tra le prossime righe ci sono storie e persone di questo 2014. Importanti per Radio Cole. Importanti per Jane. E importanti pure per Rossana. (Chi???)

Era il 28 maggio scorso quando pubblicavo:
La vita è un domino.
Una serie di coincidenze che ti fanno andare da un posto all'altro, da un incontro all'altro.
A te viene chiesto solo di continuare a muoverti, dire molti "Sì", e pochi ponderati "No".



(Continua...)
Non ce la farò mai a finire il doppio calendario dell'avvento pagano entro la mezzanotte di oggi.
E, sinceramente, non ho neanche intenzione di provarci.
Intanto, però, proseguo con la riproposizione dei post migliori di quest'anno. Con calma. Che tanto non ci corre dietro nessuno. O no?

E' la volta di uno dei più grandi successi di Humans-Torino.
Bella la foto, bella la persona, bello il tema proposto.

Il link alla pagina di Facebook.
Siamo giunti a metà strada nel doppio calendario dell'avvento pagano.
In ritardo? Of course!

Con il post meno cinque si celebra un altro progetto che ha caratterizzato il 2014 di questo blog: "Un marito per caso e per disgrazia".
Capitolo dopo capitolo, post dopo post, vi ho raccontato la storia di Adelina, Augusto e tutto il familiare cucuzzaro.

Un libro online che cominciò così:
Prologo.
Ogni mattina mi sveglio presto, tiro su i capelli come piacevano al marito mio, metto l’acqua di colonia dietro agli orecchi e piano piano, con la pioggia o con il sole, mi trascino fino a qua.

Tra le pietre, le fiammelle e gli alberi dritti, siamo sempre le stesse quattro facce: un gruppo di vecchi così rimbambiti che non c’è manco gusto a parlarci assieme.
(Continua...)

Non l'avete mai letto e intendete cominciare? L'avete letto ma vi è venuto un inspiegabile desiderio di rifarlo? Bravi! Già che ci siete, se qualche link tra un capitolo a l'altro non dovesse funzionare, vi dispiacerebbe lasciarmi un messaggio di avvertimento? Così mi evito la scocciatura di ricontrollarli tutti. Grazie.
Sono una blogger pigra e approfittatrice? Sì, lo sono.

NdA: Buona lettura!
Prosegue il doppio calendario dell'avvento pagano più disorganizzato di sempre!
Oggi, 28 dicembre, esce il post del 26.

Quando l'immagine si sposa perfettamente con le parole.
Il link alla pagina ufficiale è qui.
Sarebbe dovuto uscire ieri ma, meglio tardi che mai, ecco oggi a voi il post dell'avvento numero 5.

A cavallo tra il 2013 e il 2014 mi dedicai a un progetto giornaliero che, con grande originalità, chiamai appunto "Il Mio Progetto".
Trecentosessantacinque post. Uno per ogni giorno dell'anno. Dal 18 aprile 2013 al 17 aprile 2014.

Oggi vi ripropongo la chiusura di quella mia piccola impresa. Didascalica anzi che no.

17 Aprile
Sono Rossana Rotolo e oggi concludo Il Mio Progetto. 

Nel caso ve la siate persa: ecco la pagina Ufficiale, dove potete trovare ispirazione, origine e svolgimento di quella mia "avventura" lunga un anno.
La scorsa estate, nell'elegante parco della Tesoriera, incontrammo un professore. Un Signore. Un Maestro dai modi impeccabili.
Ci parlò della sua passione: la botanica.
Le piante non furono mai così affascinanti come quel pomeriggio di qualche mese fa.


Il link alla pagina di facebook.
Natale e Santo Stefano sono state giornate di festa anche per Radio Cole. Il computer è rimasto spento e gli aggiornamenti sono stati rimandati.

E' vero che avrei dovuto mantenere l'impegno del calendario dell'avvento pagano, ma non ho avuto voglia di fare tutto di corsa. Tanto sarà stata festa pure per voi, no? E sono sicura che avrete avuto tutti qualcosa di meglio da fare che leggere il mio blog.

Comunque sia, oggi si torna in pista e si recupera.
Avrei dovuto pubblicare questo post il 25. Ed il caso vuole che sia una delle cose meno natalizie e politicamente corrette che io abbia scritto in quest'ultimo anno.
Un racconto. Che, per la cronaca, io amo ancora moltissimo. E, vi assicuro, io non amo tutto ciò che scrivo, soprattutto quando lo rileggo a distanza di tempo.
Ma il fascino delle gesta del " vecchio docente universitario, senza cattedra e senza pensione" rimane ancora immutato per me.

Datato 2 aprile 2014, oggi vi ripropongo
"Il Professore"
Era giunta finalmente la primavera.
Il sole illuminava la città dal centro di un perfetto cielo color carta da zucchero.
Il Professore avanzava lungo il marciapiede, portando con sé solo un sorriso aperto da un orecchio all'altro. Procedeva a passo tanto spedito, che le falde del lungo impermeabile faticavano a coprire gli ossuti polpacci.
Ossuti, ignudi, pallidi e glabri. 


(Continua...)
Questa vigilia di Natale la dedico a quel signore pugliese arrivato a Torino cinquant'anni fa.
Lo incontrammo davanti a Palazzo Reale.
Elegante e colto. Ci conquistò.

Il link.


Prosegue la carrellata dei dieci post più rappresentativi di questo 2014.

Qual è stato l'evento che ho maggiormente pubblicizzato, seguito, amato quest'anno?
Impossibile non ricordarselo, sia che mi leggiate solo sul blog sia che abbiate la sventura di essere miei amici su Facebook, vi ho letteralmente tormentanto con il talent teatrale più figo della storia: Facce da Palco. La gara, tra artisti torinesi e non, che ho ufficialmente bloggherizzato da marzo a maggio.
Nonostante la mancanza di parcheggio, l'influenza, e il terrore di parlare in pubblico, non mi sono persa un appuntamento e non l'ho fatto perdere neanche a voi. Che lo voleste o meno.

Annunciai l'inizio di quest'avventura con un post pubblicato l'11 febbrai del 2014.
Queste furono le mie parole:

E ora come ve la dico questa cosa?
Come sbatto in prima pagina la notizia?
Come mi pavoneggio senza vergogna?
Vabbè, facciamo che ve la dico e basta!


Il primo marzo a Torino partirà Facce da Palco, un talent show ad eliminazione per artisti emergenti.
Un viaggio che si snoderà lungo nove serate e attraverso diversi locali della città. Un'avventura che terminerà a metà maggio con l'elezione del vincitore.
Le arti sceniche in gioco saranno le più diverse: dalla musica alla danza, dal teatro al cabaret, per poi passare attraverso la giocoleria, il mimo, la follia e l'incontinenza artistica!

Continua...

Fu un'esperienza memorabile che, per fortuna, si ripeterà anche quest'anno. Ma con una variante: oltre ad essere la blogger ufficiale, vestirò anche i panni della presidentessa di giuria. Non vedo l'ora di amministrare il mio nuovo ruolo con giustizia, spocchia, e prepotenza. Per l'occasione indosserò corona, mantello, e un inflessibile accento teutonico.
Oggi tocca al designer e alla ballerina.
L'incontrammo durante la nostra prima uscita a "caccia" di Humans.

La dimostrazione che un'immagine casuale, accompagnata da una risposta semplice, può aprire scenari fallaci ma interessantissimi.

Il link alla pagina ufficiale è qui.
La fine dell'anno si avvicina e il calendario dell'avvento pagano prosegue.

Oggi voglio riproporvi un post davvero speciale. Lo scrissi un sabato notte, dopo aver assistito per la prima volta ad un catch d'improvvisazione teatrale. Lo scrissi di getto e con divertimento. Lo scrissi non immaginando il successo che ne sarebbe derivato.

Quel due febbraio nacquero le cronache di Radio Cole. E scusate se è poco!

Metti una blogger tra il pubblico

Secondo i miei progetti più ambiziosi dovevamo essere in cinque.
Di fronte alla dura realtà ho prenotato due biglietti.
Nella realizzazione del mio peggior incubo, quando sono già in macchina, rimango sola. Abbandonata da un sms in corso Francia.

Ferma al semaforo, preda dello sconforto, penso per un attimo di fare inversione. Ma è solo un attimo poi, al grido di "echecazzo", continuo la mia strada diretta al Cecchi Point, tempio torinese dell'improvvisazione teatrale.

Una volta giunta lì, smadonno un quarto d'ora prima di trovare parcheggio, per poi lasciare l'auto in una via buia e mal frequentata. Perfetto! Ho sempre sognato di essere uccisa, fatta a pezzi con un taglierino, e convertita in mangime per galli da combattimento coreani.

Continua...

Quali sono i dieci post migliori pubblicati su Humans-Torino nel 2014?
Lo decido io!

In esclusivo ordine cronologico, parto con il primo momento magico di quest'esperienza in giro tra vie e volti.
Un ingegnere napoltano, da poco trasferitosi sotto la Mole, ci regalò serenità, poesia e un'inaspettata dichiarazione d'amore alla "fredda" Torino.



Per vedere il post sulla pagina ufficiale cliccate qui.
Siamo agli sgoccioli. L'anno sta per concludersi ed è tempo di bilanci, classifiche e buoni propositi.
Ecco, se non vi dispiace, io sceglierei di saltare a piè pari tutto ciò. E di fare altro.

A partire da oggi fino al 31 dicembre, vi riproporrò quotidianamente un post tra quelli pubblicati nel 2014 che, per le ragioni più diverse, considero meritevole di essere ricordato.
Farò una sorta di mini calendario dell'avvento pagano.

Anzi, già che ci sono, farò un mini calendario dell'avvento pagano doppio. Due post al giorno. Uno dedicato a Radio Cole e l'altro a Humans-Torino.
Attenzione, però, non si tratterà di una classifica, ma di un semplice elenco in ordine cronologico, in cui ogni segnalazione avrà lo stesso valore intrinseco della precedente e della successiva.

Siete pronti?
Bene.
Inizio con i post del Blog.

Lo scrissi quasi un anno fa.
Un microracconto, una forma di narrazione che quest'anno ho usato poco, ma che continuo ad amare per la sua immediatezza e complessità. Tutto il mondo in una capocchia di spillo.

Il 14 gennaio 2014 scrissi:
E i personaggi secondari si decisero finalmente a scendere in piazza. Ribaltarono trame, imbrogliarono intrecci, malmenarono indegni protagonisti.
La rivoluzione ebbe inizio.
E, per la cronaca, la rivoluzione ci fu sul serio.
Martedì 2 dicembre sono tornata al Cab41 per vedere gli Stand Up Comedian.
Questa volta però avevo appuntamento con il socio:
"Stasera vai al Cab?" mi ha chiesto.
"Sì"
"E se venissi anch'io? Così facciamo un poco di foto e interviste che, come al nostro solito, siamo alla canna del gas, abbiamo pochissimo materiale da parte, continua a piovere, è sempre buio, siamo oberati di lavoro, ci sono le cavallette, arrivano gli alieni, e mi si è scotta la pasta"
"Ti si è scotta la pasta? Oh cielo! Corriamo al Cab prima che sia troppo tardi!"

Ovviamente, per "correre al Cab" s'intende:
il socio che arriva tranquillamente con la sua auto e parcheggia davanti al locale, con una ruota sul marciapiede, una sulle strisce pedonali, una in bilico sopra il bidone dell'umido, e la quarta piantata sul femore in titanio di un vecchietto di passaggio.
Ed io che arrivo in orario, ma poi giro 20 minuti per trovare un posto. Venti minuti dopo i quali inizio a parlare in latino al contrario, girare la testa di 180 gradi, e vomitare minestrone a spruzzo. Fino a quando un tizio lascia libero un parcheggio, io ritrovo la fede, posteggio l'auto, bacio bambini, faccio camminare gli storpi, do la vista ai ciechi, e impartisco benedizioni random.

Una volta dentro il locale, il socio ed io fotografiamo e intervistiamo due cabarettisti e uno spettatore. I link sono i seguenti: uno, due e tre.

Poi ci sediamo e ci godiamo lo show.

I monologhisti si alternano sul palco. E con loro i più diversi argomenti: prosciutti vegetariani, gatti indemoniati, parrucchiere mefistofeliche, droghe e dipendenze assortite, uomini come pesci rossi, infanzie in un mondo senza telecomando, e persino elucubrazioni mistico religiose da rogo medievale.

Noi ridiamo e poi ci confrontiamo su un'annosa questione che ci vede su fronti contrapposti.
"L'importante è sapere stare sul palco" sostiene il socio, "e se non sai scrivere basta che trovi un autore"
"Certo, ma allora non sei più uno stand up comedian" rispondo io, "sei un attore che recita un copione. E' uno spettacolo anche questo ma non è stand up comedy, è altro"

Io ho ragione. Il socio ha torto. E voi dovete essere tutti d'accordo con me. Punto.
Perché siete sul mio blog e lui parcheggia sui femori d'innocui vecchietti. E, soprattutto, perché io esigo un po' di solidarietà: molti di voi neanche lo immaginano ma, con quelle due righe lì, rischio di attirarmi tanta di quell'antipatia che, al solo pensiero, necessito già di conforto.
Grazie.

Detto ciò, che fate domani?
Io torno al Cab41 ad assistere all'ultima serata di stand up prima delle feste.
Ci sarete anche voi? E allora diamoci appuntamento alle 21:30 in via fratelli Carle 41 (41!).

Dopo anni, anni e anni da blogger-poveraccia mi sono finalmente fatta il Dominio. Ed è stato bellissimo.

Ispirata da questo post di Cannibal Kid, guidata da quest'altro di Costanza, e salvata dall'esaurimento nervoso da quest'ultimo di Pietro Web, ho fatto mio un angolo di rete che risponde all'ovvio nome di www.radiocole.it
E, nel compimento dell'impresa, non ho commesso neanche un guaio informatico irreparabile e non ho guadagnato neanche una ciocca di capelli bianchi da stress. E di ciò mi bullo moltissimo.

Dopo essermi bullata passo a tranquillizzare i miei più abitudinari lettori: potete continuare ad utilizzare anche il vecchio indirizzo (www.radiocole.blogspot.com) perché tanto verrete comunque teletrasportati qua. A casetta. Nella vecchia e cara Radio Cole. Dove, come potete vedere con i vostri stessi occhi, è cambiata la via ma l'arredamento è rimasto sempre lo stesso. Per ora.

Questo minuscolo passo per l'umanità, ma enorme per la mia bloggeritudine, sarà il primo di una serie d'interventi di style e restyle necessari per dare nuova linfa, ordine, e concretezza al mio lavoro.
Ma non agitatevi, state sereni, lo spirito di condivisione, amore per la bellezza, e passione per la stupidera continuerà a regnare sovrano su questa pagina. E ci mancherebbe altro, la padrona di casa sono sempre io. Anzi, d'ora in avanti, lo sarò persino di più. No, non più stupida, solo più padrona.
Questa cronaca, che non è una cronaca, parte da più lontano del solito.
Parte da una settimana prima dello spettacolo. Parte da un piovoso sabato mattina in cui il socio ed io siamo andati a San Pietro in Vincoli.

La rassegna teatrale Palco Oscenico e la pagina facebook Humans Torino quest'anno hanno stretto un Media Parternship. Detto così fa molto figo, ma anche incredibilmente freddo.
In realtà quest'estate Nat ed Elena, già organizzatrici di Facce da palco, mi hanno chiesto "Vi va, a te e il socio, di fotografare e intervistare i nostri artisti?" "Certo che ci va!"
Molto meno figo ma decisamente più umano.

Così è nata la collaborazione. Collaborazione che ci ha portato ad incontrare persone interessanti in luoghi interessanti. Un gorilla in un bar. Due pazzi ai bordi di una fontana. E un gruppo di attori in una chiesa sconsacrata. E' questo che è San Pietro in Vincoli. Una chiesa sconsacrata all'ingresso di un ex cimitero.

Ecco spiegati, il socio ed io, un plumbeo sabato mattina a parcheggiare, varcare un cancello, attraversare un porticato, passare una porta, scendere delle scale e...
...e perderci.
Ebbene sì, ci siamo persi nei corridoi sotterranei di una chiesa sconsacrata.
Ci siamo persi tra le mille fotografie di una mostra appena allestita. Meravigliosa ma inquietante.
Ci siamo persi con lui che rideva e cercava di farmi paura. Ed io che tentavo dignitosamente di essere disinvolta ma che, tutto sommato, avrei preferito stare da un'altra parte. Meravigliosa (io) ma fifona e impressionabile.

Dopo dieci minuti di giri a vuoto, altre scale e porte serrate, siamo tornati sui nostri passi per ritrovare finalmente la giusta strada.
"Prego, accomodatevi" ci ha detto in un soffio Katia facendoci entrare, mentre gli altri stavano già provando. Gli altri erano gli artisti del LabPerm sull'Arte dell'Attore. Parlavano, cantavano, sussurravano. Ripetevano, correggevano, confrontavano. Tutto questo mentre il socio fotografava ed io cercavo di farmi il più piccola possibile. Per non disturbare, infastidire, rompere la magia. Piccola e mimetizzata con la parete. "Ti vuoi sedere?" mi ha chiesto mille volte Katia. "No, no" ho risposto mille volte io, dritta come un fuso. Un fuso che tratteneva il fiato e sgranava gli occhi. Perché le prove, spesse volte, possono essere più interessanti dello spettacolo stesso. Secondo me non si perde la magia, a differenza di quanto accade a Dorothy quando scopre l'ometto celato dietro la grande maschera di Oz, ma si comprende il meccanismo, l'ideazione, la fatica, la narrazione.

Poi i personaggi sono tornati ad essere persone. Il racconto vita. Ed una caffettiera è stata messa sul fuoco. L'incanto è diventato accoglienza.
Insomma, le prove si sono interrotte per un po' e noi ci siamo messi al lavoro. Il socio ed io abbiamo fotografato ed intervistato. E da quei pochi minuti di chiacchiere è nato questo post.


Uno dei miei preferiti da quando è iniziata l'avventura di Humans Torino. Se volete vederlo per bene, e magari guardare l'intera pagina, e già che ci siete dare un'occhiata alle altre foto, e inoltre metterci anche il like, cliccate qui. Altrimenti che voi siate maledetti! amici come prima.

Una settimana dopo, il 22 novembre, mentre il socio se ne stava in giro come al suo solito, io sono andata a vedere la data dei LabPerm all'interno del calendario di Palco Oscenico. Niente chiesa sconsacrata questa volta, ma l'accogliente e familiare Cafè des Arts. Non lo spettacolo originale per intero, dato che mancava il tempo e soprattutto lo spazio, ma una sintesi il più coerente e vicino possibile al prodotto completo e originale.
Ho visto 45 minuti di rabbia e poesia, musica e canzoni, storie e personaggi. Quarantacinque minuti per rappresentare la società attuale con limiti e storture, ingiustizie e follie. Tre quarti d'ora di talento e passione, comunicazione e arte, lotta e denuncia.

Noi del pubblico eravamo seduti vicini, stretti, periferici per lasciar il maggior spazio  possibile alla rappresentazione. Ed è proprio da quella posizione che, oltre ad osservare gli artisti, ho potuto guardare anche la gente. Il ragazzo perplesso, la donna rapita, la bambina attenta. Ed ho capito. E' questo il bello di un progetto come Palco Oscenico. E' questo il suo senso. Il teatro fuori dai teatri. A disposizione di tutti. Di chi cercherebbe il bello comunque e di chi ha bisogno di essere rincorso. Ogni forma di arte performativa e spettacolo: l'improvvisazione, il cabaret, la sperimentazione. Ad ogni appuntamento uno spicchio diverso di questo mondo. Tutto a disposizione di tutti. In luoghi accessibili e vicini, seppur in alcuni casi non particolarmente adatti. Per l'opportunità di chi rappresenta e di chi gode della rappresentazione.

Palco Oscenico torna a gennaio e io ci sarò. Come sempre. Gioiosa ed orgogliosa.
"Shhhhh...abbassa la voce"

Volete darmi sui nervi?
Ditemi questa semplice frase.
"Shhhhh...abbassa la voce"
Disponibile anche nella variante "Shhhhh...non urlare"

Non importa che io stia davvero urlando o abbia semplicemente un tono troppo alto rispetto al contesto in cui mi trovo. Questo richiamo mi farà andare il sangue al cervello. Immediatamente.

Non so da cosa dipenda la mia reazione istintiva. Non so a quale trauma infantile debba essere fatta risalire. Il risultato è sempre lo stesso.

L'interlocutore dice "Shhhhh...abbassa la voce". E il mio cervello registra "Stai zitta cretina!" oppure "Non urlare, razza di cafona inadeguata" o ancora "Chiudi quella boccaccia, imbarazzante femmina che non ha ancora imparato a comportarsi".
Ed è solo grazie al mio esiguo ma efficiente pacchetto di neuroni razionali, più o meno il 5% del totale, che non salto subito alla giugulare del richiamante. Cioè, mentalmente lo faccio. Attacco al collo il malcapitato, strappo la testa con un morso, e poi faccio roteare il cranio tenendolo per i capelli. Ma realmente no. Realmente mi limito ad abbassare la voce e continuare a parlare. Riuscendo, molto spesso, persino a mantenere un'espressione neutra.

E voi? Non vorrete farmi credere che io sia l'unica ad avere queste turbe?
Non c'è nulla che vi dia esageratamente e inspiegabilmente fastidio?
Raccontate. Raccontate con il tono di voce a voi più congeniale.
Due settimane fa sono entrata nella Villa della Tesoriera. Delle signore mi hanno accolto. Ho scelto dei racconti di amicizia. E ho preso appuntamento.
Mi sono sentita a  metà tra una libreria e una visita alla mutua.

Ogni mezz'ora un libro in carne ed ossa. Ogni mezz'ora un libraio ad accompagnarmi per meravigliosi corridoi, scale e saloni.

Due settimane fa ho partecipato a Human Library Torino.
Un progetto. Un'esperienza. Un'idea.
La riscoperta del racconto orale.

Persone pronte a raccontare la propria storia e persone pronte ad ascoltarle. In un rapporto esclusivo. Occhi negli occhi.

Il mio pomeriggio con Human Library è stato un pomeriggio di bellezza.
La bellezza di Ikram con i suoi meravigliosi capelli, la giovinezza, e la scoperta di origini forti e sagge.
La bellezza degli occhi di Alessio. Due palle azzurre piene di vita e divertimento, piene di follia e incoscienza, piene di resti d'adolescenza.
La bellezza di Fatima, la libraia che mi ha portato mano nella mano ad ascoltare l'ultima storia. Quella di Diego e dei suoi sogni da bambino. Sogni che si realizzano sempre e comunque, basta crederci abbastanza.

Ma anche la bellezza della Villa. Con i suoi stucchi e i suoi affreschi. Con il brulicare dei visitatori. Con la curiosità di chi, come me, era venuto solo a dare un'occhiata.
Perché la curiosità è bella. E' la cosa più bella che ci sia. Ti porta a scoprire facce e storie, luoghi ed eventi.
Io non ho l'auto.
Quando ho bisogno dell'auto uso quella di mio padre.

L'autoradio dell'auto di mio padre non funziona. O meglio, non funziona la radio. Funziona solo il mangiacassette. Avete letto bene: sull'auto di mio padre c'è ancora il mangiacassette.

Quando, un annetto fa, la radio dell'autoradio dell'auto di mio padre smise di funzionare, sostituendo alla musica un adorabile fruscio, FRZFRTFRBZFRTTRTTTTTRFRZFRTFRBZFRTTRTTTTTRFRZFRTFRBZFRTTRTTTTTR, raccolsi le musicassette che avevo lasciato a casa dei miei e me le cacciai in tasca.
Non tutte. Solo quelle degli U2: Achtung Baby, Zooropa, Pop.

Le scorrazzai in giro per settimane. Poi, però, decisi di lasciarne una sola in auto e stop.
Una sola.
DioSoloSaIlPerché scelsi Pop.
Pop, il nono album registrato in studio.
DioSoloSaIlPerché scelsi Pop.
Pop, uno di quelli di minor successo.
DioSoloSaIlPerché scelsi Pop.
Pop, uno di quelli considerati più brutti.

Da quel momento, ogni volta che prendevo la macchina dei miei, lo ascoltavo.

Le prime volte, sarà stato l'effetto nostalgia, l'ho apprezzato. Mi sono ritrovata addirittura a pensare che non fosse tanto male e che, pubblico e critica, l'avessero giudicato frettolosamente. Ingiustamente. Ingenerosamente.

Ora, però, dopo mesi e mesi di ascolto, sento il bisogno di scriverne una recensione. Una recensione con giusto quei 17 anni di ritardo.
Premettendo che io di musica non capisco nulla, che qualsiasi album dopo tante ore stufa e che, comunque, gli U2 rimangono uno dei miei gruppi preferiti.
Premettendo tutto ciò, dico che Pop è una mezza schifezza. A parte un paio di tracce salvabili, tra cui Staring at the Sun, per il resto l'ascolto di tutto l'album mi provoca tristezza, noia, e desiderio di prendere a randellate gli adorati ometti di Dublino. Ometti che io ho amato e amo tuttora. Ma che nel 1997 pubblicarono una mezza porcheria. La critica non fu ingenerosa. Il pubblico non fu severo. E' Pop ad essere un disco francamente brutto.

Ecco. Ora mi sento meglio. Soprattutto da quando nel mangiacassette ho messo Zooropa.

ps: Pop ai tempi ricevette il Grammy come migliore album rock. Ma fatemi il piacere!

"Vorremmo che tu partecipassi al video promozionale di Off Stage"
Così è nata quest'esperienza. Con una semplice richiesta, date e orari da concordare, e un ego da diva hollywoodiana da reprimere.

Il primo giorno mi sono presentata all'appuntamento senza avere la più pallida idea di che dovessi fare.
Pomeriggio. Cafè des Arts.
"Dovrai ordinare qualcosa"
"Che cosa?"
"Quello che vuoi, devi fare la finta cliente"
"Quello che voglio? Ma che siete matti? Non fatemi prendere inziative! Che devo dire?"
"Ordina un panino al prosciutto. Ok?"
"Ok"

Prima delle riprese.
"Ti sei truccata Pancrazia?"
"No, non sono molto brava a farlo"
"Perfetto ci pensiamo noi!"

Cinque minuti dopo.
Lunghe ciglia, matita nera, labbra rosso lacca.
"Wow!"
Talmente abituata ad essere così gnocca e così poco incline alla vanità da reagire con un sobrio: "Devo farmi un selfieeeee! Devo assolutamente farmi un selfieeeee! Questo momento va fermato e tramandato! Tutti mi devono vedere! Voglio affogare sommersa dai like!"

Per il secondo giorno mi è stata chiesta una cosa sola: un vestito nero.
E che ci vorrà mai? Ogni donna che si rispetti ha un tubino nero nel proprio armadio. No? No.
Al telefono.
"Ciao sorella mia adorata!"
"Ciao Pancrazia, sorellachenonsifamaisentire, di cosa hai bisogno?"
"Io? Niente! Per chi mi hai presa?!? Credi che ti cerchi solo per mero opportunismo???"
"Scusa, come non detto"
"Ce l'hai un vestito nero da prestarmi?"
"Appunto...per quando ti serve?"
"Oggi pomeriggio. Fra un'ora. Praticamente adesso. Non è un problema, vero?"
"Incontriamoci a metà strada, sorellachesiriducesempreall'ultimomomento"

Secondo appuntamento per le riprese, questa volta al Lab di piazza Vittorio.
Abito, trucco, parrucco.
Effetto finale: Pancrazia in stra-tiro, manco fosse stata invitata a un matrimonio.

"Che devo fare questa volta?"
"Fingi di scrivere a macchina e di guardare il palco. Un po' scrivi e un po' guardi"
"Un po' scrivo e un po' guardo, bene."
"Fai un'espressione interessata"
"Interessata? Quanto interessata?"
"Il giusto"
"Ok non c'è problema. Ce la posso fare."

Ce la potevo fare.
Ce l'ho fatta?
Questo è il risultato finale.


L'avete visto?
Avete notato che non c'è la mia versione dattilografa?
Ebbene sì, ho subito l'onta di essere tagliata dalla versione finale.

Evidentemente non ce l'ho fatta.
Ma l'ho presa benissimo eh, l'ho presa benissimo.

Io vorrei essere una di quelle blogger cool.
Quelle con l'occhiale da sole figo, il capello biondo fluente, e il sorriso che abbaglia.
Lo vorrei tantissimo, ma senza gli occhiali da vista non ci vedo una mazza, ho i capelli scuri e incazzosi, e mi sono persino dimenticata di prenotare la prossima pulizia dei denti e mo' chissà quando trovo posto!

Io vorrei essere una di quelle blogger intellettuali.
Quelle con la frangiona, lo sguardo intelligente, e le frequentazioni di un certo spessore.
Lo vorrei tantissimo, ma con la frangia sembro mia zia Peppina, se m'impegno a fare una faccia intelligente mi trasformo in uno strano mix tra Igor e Jack Nicholson, e amo frequentare cialtroni dagli interessi folli, tali e quali a me!

Io vorrei, lo vorrei tantissimo, ma mi mancano le basi!
Io sono quel tipo di blogger che dovrebbe andare a vedere uno spettacolo che aspetta da un mese e, il giorno prima, si ritrova  a letto con due tonsille grandi come palline da tennis, una gola infiammata tipo il cratere dell'Etna, e la tosse di un vecchio bronchitico che ha 110 anni ma fuma da 120.
In questo incantevole stato, a questo tipo di blogger, non rimane altro che mandare un messaggio "a chat unificate" in cui annuncia la propria imminente dipartita e la susseguente mancata presenza al tanto agognato show.
Poche ore dopo, però, di fronte a un lieve miglioramento, questo tipo di blogger si veste di corsa, prende la metro e arriva appena in tempo per assistere alla doppia serata di Cabaret della rassegna OffStage.

Insomma, non sarò cool, non sarò intellettuale, ma ho una certa sconclusionata imprevedibilità che mi rende affascinante. O almeno mi piace raccontarmela così.

Vado di cronaca? Vado.

Lo spettacolo sta per iniziare. Io arrivo giusto in tempo. Io e i miei millemilioni di fazzoletti di carta.
Nat mi vede e, stupita dalla mia presenza, dice a chiunque sia disposto a darle retta: "C'è Pancrazia! C'è Pancrazia!" Tutti la guardano come una pazza. Ma non importa, lei ed io siamo contente.

Mi siedo.
Si comincia con la prima del video. Quale video? Non dico nulla. Taccio. Vi spiegherò, con dovizia di particolari, lunedì prossimo. Sono sadica? Sì, lo sono.

Dopo il video, dicevo, è la volta del pre show affidato a Gilèt&Salopèt (Qui su Humans). Il duo comico rivelazione della scorsa edizione di Facce da Palco. Amedeo e Pippo. Giovanissimi, talentuosissimi, divertentissimi. Pochi mesi fa ci stupirono tutti, facendoci chiedere cosa sarebbero stati in grado di fare tra un paio di anni con un po' di lavoro ed esperienza in più. Intanto posso dire che, nel giro di una primavera e di un'estate, hanno lavorato sul pezzo forte del loro repertorio. Un surreale litigio tra Moka e Tazzina, una sfida a suon di tradimenti, amori rubati e relazioni bollenti. Bravi! La strada mi sembra quella giusta.

Finito il pre show si passa allo spettacolo principale con i Tracataiz Tracataiz. Un trio milanese che ci fa ridere tutti a suon di sketch, dialoghi assurdi, sponsor discutibili e l'ilare dramma del Maneki Neko. Di che? Il Maneki Neko! Il gatto giapponese porta fortuna. Quello con la zampa alzata. Quello che, a forza di stare così, soffre di "braccite dondolina". Una patologia, una piaga sociale, un dramma che non si può ignorare!
Bravi i Tracataiz Tracataiz. Bravi e coinvolgenti. Basta stare ad ascoltarli per 10 minuti e s'inizia a svalvolare come loro...aiutate il Maneki Neko!

Finisce la serata.
Io e i miei millemilioni di fazzoletti ce ne torniamo a casa.
Ora sto una schifezza e sogno il piumone come pietra tombale di tutte le mie sofferenze. Ma, se proprio bisogna andarsene, meglio farlo ridendo!
Vi ricordate che qualche settimana fa litigai con la mia inadeguatezza per raggiungere il Cab 41?
Due settimane dopo ci sono ritornata ma, forte dell'esperienza precedente, mi sono marchiata a fuoco nel cervello l'indirizzo esatto. E, infatti, ho raggiunto facilmente il punto desiderato.
Peccato che non ci fosse parcheggio vicino al locale ed io mi sia messa a girare per vie, viuzze, sensi unici, vicoli corti, vicoli stretti, stazione nord sud est ovest e parco della vittoria, prima di riuscire a posteggiare, scendere dall'auto, e...
...e non avere la più pallida idea di dove fossi finita.

Sotto la pioggia, mi sono fatta guidare dal navigatore del cellulare come un cieco dal proprio cane.
Sorprendentemente, alla fine, sono riuscita ad entrare e prendere posto ancora prima che lo spettacolo cominciasse. Evidentemente, il dio dei cabarettisti mi guarda benevolo.

La prima sera del Lab Stand Up, laboratorio per monolighisti, mi ero molto divertita. Ma la seconda persino di più!
Ho riso grazie alla colorita lingua italiana osservata da un punto di vista tutto americano.
Ho riso perché anch'io, come tutti, ho incontrato un idraulico che mi ha mortifcata con un "Ooooooohhhh, ma chi ti ha fatto questo lavoro qui?"
Ho riso perché non amo particolarmente i pezzi che affrontano il rapporto uomo-donna, ma alcune dinamiche sono sacrosante verità che trascendono il limite del buon senso e si proiettano gioiose nella fantascienza!
Insomma, ho riso!

E la terza serata? La terza sarà martedì 18 novembre.
Vorrete mica perdervela?
Vorrete mica perdervi l'occasione di ascoltare undici comici raccontarvi piccoli brandelli di realtà?
Vorrete mica perdervi l'occasione di godere di uno spettacolo gratis in un posto bello come il cab 41?
Vorrete mica perdervi l'occasione di assistere al mio trafelato arrivo? Sarò facile da riconoscere: capello bizzarro, occhiale appannato, cappottino da Epifanio.
No dico, vi vorrete mica perdere tutto ciò?

E allora martedì 18 novembre, ore 21:30, fatevi trovare al Cab 41, in via Fratelli Carle 41.
Ad aspettarvi ci saranno: Massimo Pica, Sergio Silvestri, Claudio Sterpone, Gianpiero Perone, Manuel Negro, Sergio Cardinale, Elisabetta Gullì, Mike Rollins, Mauro Ventola, Marco Guarena, e Federica Ferrero.
Ne vedrete e sentirete delle belle!
Siete di Torino, la ridente cittadina con i piedi nel fiume e la testa nelle montagne?
Conoscete il Blah Blah, il locale al numero 21 di via Po?


Se avete risposto positivamente ad entrambe le domande, o solo a una, o a nessuna delle due ma siete molto attivi e curiosi, sappiate che:


  • ogni 14 giorni, 
  •  la domenica sera, 
  • a Torino, 
  • al Blah Blah
  • si svolge Improv To. Una serata dedicata all'improvvisazione e al sano cazzeggio.

    Uno spettacolo diviso in due parti.

    La prima (ore 20) è la jam session, in cui sul palco c'è spazio per tutti (improvvisatori e no) a patto che abbiano voglia di provare, non prendersi troppo sul serio e, ovviamente, improvvisare. Piccoli sketch, intramuscolo, pochi minuti costruiti sul momento. Poco più di giochi, sciocchezze, delle volte emerite cagate. Robe che, se non siete dell'ambiente, vi faranno probabilmente lo straniante ma euforizzante effetto di esservi appena imbucati in un'esclusivissima festa di scappati dal manicomio. Pazzi ma non pericolosi o, almeno, non troppo pericolosi.

    La seconda, alle 21, propone ogni volta uno show diverso, un format diverso, una compagnia d'improvvisatori diversi. Un ottimo modo per iniziare a conoscere questo tipo di teatro, sempre in bilico tra il serio e il faceto, la tecnica e il gioco.

    Per quanto riguarda gli spettacoli delle 21 il cartellone prevede:

    16 nov   Imprevisti su Misura con Impro Quiz (da Milano)
    30 nov  Sumadai con Il club dei segreti (già visti qua, qua e pure qua)
    14 dicembre Quinta Tinta con Rooms e B-Teatro con Boxeattori

    Non vi ho incuriosito abbastanza? Devo aggiungere qualcos'altro?
    "Sì", mi suggeriscono dalla regia, "il tutto è organizzato dal B-Teatro!"
    Ecco, lo sapevo che avevo dimenticato qualcosa!
    E poi?
    E poi l'entrata è gratuita e gli spettacoli a cappello!
    Cosa volete più di questo?

    Ci si vede là.
    A domenica!
    Voi che avete fatto sabato scorso?
    Io sono andata a vedere uno spettacolo.
    "E capirai che novità", direte voi.
    In effetti, ultimamente sono diventata un po' monotematica e leggermente maniacale. Ma, tutto sommato, meglio vagamente ossessiva che passiva, no? No???
    Evvabbbè! Io vado avanti...

    ...sabato scorso sono andata a vedere "Singing in te dark" all'interno della rassegna Istantaneo.
    Istantaneo è stato un festival d'improvvisazione teatrale che ha visto riunirsi a Torino e Valenza improvvisatori provenienti dall'Italia e dall'Europa. Professionisti di tutto rispetto in grado di trasformare l'intrattenimento in arte. Il talento in meraviglia. La tecnica in prodigio. Insomma, improvvisatori bravi un bel po'. Ma proprio un bel po'!

    In cinque giorni, dal 29 ottobre al 2 novembre, si sono succeduti numerosi spettacoli, io ne ho visto solo uno (e mezzo) e sono rimasta incantata.
    Singing in the dark è un musical ispirato alle atmosfere fiabesche e gotiche di Tim Burton. Un musical tutto improvvisato. Tutto nuovo. Tutto unico. Dall'inizio alla fine. "Dica lo giuro" "Lo giuro".
    Uno show costruito sulle indicazioni del pubblico e la fantasia degli attori. Questi ultimi preparati da una vera e propria icona del settore: Sean McCann.
    Sul palcoscenico sono saliti: Renato Preziuso e Mariadele Attanasio da Chianciano; Deborah Fedrigucci, Tiziano Storti e Susanna Cantelmo da Roma; Roberto Garelli e Lara Mottola da Torino.

    E' difficile spiegarvi la magia di una storia così complessa che nasce e s'intreccia davanti ai propri occhi. Lo stupore di canzoni che durano il tempo di una sera. La forza di personaggi destinati a vivere per una sola ora. Avreste dovuto esserci. Come ve la faccio a descrivere una cosa così?
    "E allora che lo scrivi a fare questo post?" potrebbe farmi notare qualcuno.
    E forse avrebbe ragione.
    Lo scrivo per celebrare la bellezza e la bravura. Perché, per riuscire nell'impresa di creare uno spettacolo di questo livello, ci vogliono talento, esperienza e tecnica. Tutte caratteristiche che non sono mancate ai protagonisti della serata, che ci hanno regalato così un viaggio unico e irripetibile.
    Ecco. Forse è soprattutto per loro che lo scrivo. Per ringraziarli.

    Grazie!
    A voi piace travestirvi?
    A me no.
    Già mi faceva schifo il carnevale e ora, da qualche tempo, ci si è messo anche Halloween. Che gioia!

    Per fortuna quest'anno non ho dovuto inventarmi elaborate scuse, incredibili impegni precedenti, o panzane fantasmagoriche, per evitare di conciarmi da battona fattucchiera, ma ho potuto rispondere, a chiunque m'invitasse ai party del 31, con un semplice e veritiero: "C'ho da fare, venerdì c'è lo spettacolo di Nat"

    Nat è Nathalie Bernardi. Lo spettacolo era l'Edipo Re-quiem. E lo spazio dedicato su Humans all'evento è questo qui.
    Avete messo il like a Humans Torino? Non avete ancora messo il like a Humans Torino? Cosa aspettate a mettere il like a Humans Torino?!?! Mettete il like a Humans Torino!

    Per questa volta vi risparmio l'introduzione trucco-parrucco-ricerca parcheggio-esaurimento nervoso, ma mi limito a un criptico messaggio in codice: gnocca gioiosa e felicemente posteggiata. Ecco.

    Foto di Antonio Sandro Crisà
    L'Edipo Re-quiem è una versione riveduta e "scorretta" di due famose tragedie di Sofocle: Edipo Re e Antigone.
    Sul palco cinque ottimi interpreti hanno vestito i panni di Antigone, la Sfinge, Edipo, Polinice e Creonte. E hanno dato vita a una storia fatta di dolore, maledizioni, amore non corrisposto, violenza, incesto, pedofilia e sopraffazione.
    Dall'antica Grecia ci si è spostati, per l'occasione, in un ospedale psichiatrico. E i protagonisti sono diventati pazienti disturbati, inventori o vittime delle più atroci trame.

    Uno spettacolo dai toni cupi che si è sposato perfettamente con la notte dei mostri e delle streghe, delle paure e degli incubi. Una rappresentazione studiata e strutturata proprio in funzione della data che ne ha visto la prima. E, forse per questo motivo, fin troppo splatter e aggressiva.

    Un eccesso inutile data l'intensità del testo e la formidabile bravura degli attori in scena. Nathalie Bernardi è stata un Antigone drammatica e seduttiva. Francesca Puopolo una Sfinge carismatica ma schiava. Alessio Rossone un Polinice perverso e appassionato. Claudio Sportelli un Creonte crudele e meschino. E, il giovanissimo Luca Leone, un Edipo convincente che è riuscito a reggere il confronto con attori di talento e grande esperienza.

    Un bel lavoro che, però, ha bisogno di essere alleggerito di inutili effetti sorpresa, atti a coinvolgere fino al turbamento il pubblico. Scopo per cui basta, quando c'è, la bravura di chi calca le scene. E in questo caso di bravura ce n'è stata molta. Moltissima.
    Un artista e un viaggiatore.
    Questo serve e niente di più per dare vita a MyHomeGallery.

    A Myche?...un contatto diretto tra creatore e fruitore.
    Una start up, una comunità, un'idea.

    E quindi?
    Cerco di spiegarvelo il più semplicemente possibile.

    Gli artisti che fanno parte di MyHomeGallery aprono le loro case ai visitatori.
    E' possibile andarli a trovare, conoscerli, parlare con loro e visitare delle vere e proprie "mostre su misura". In questo modo si coniuga turismo ed arte in maniera originale, si crea una nuova forma di turismo culturale.

    Come funziona? Sei un turista, un amante dell'arte, un collezionista, o semplicemente un tipo molto curioso, e vuoi provare questa nuova esperienza?
    Bene! Vai sul sito di MyHomeGallery, iscriviti, inserisci la destinazione del viaggio (o semplicemente la città dove abiti!), e scegli tra gli artisti segnalati quello che t'interessa di più. Contattalo e mettiti d'accordo su tempi, luoghi e contributo richiesto.
    E poi parti. Parti per questa nuova avventura!
    Mettiamo subito in chiaro una cosa: non sono una tuttologa.
    Non sono un'esperta di letteratura, teatro, cinema, varie ed eventuali. No.
    Ma se m'imbatto in qualcosa che mi piace, che penso valga la pena, che. Se m'imbatto in qualcosa così, dicevo, amo parlarne sul blog, condividerlo con i lettori, spargere la voce, dedicare il mio tempo e la mia scrittura alla diffusione del bello. Di ciò che io ritengo bello.

    Ecco. Questo giusto per chiarire. Perché negli ultimi mesi il pubblico di queste pagine è aumentato e, in parte, cambiato. Molti non mi conoscono. Molti non sanno cosa faccio. Molti avrebbero bisogno di farsi una camomilla. Endovena.

    Detto ciò, sabato sono andata al cinema a vedere "Lucy", l'ultimo film di Luc Besson.
    Spettacolo delle 0:35.
    Non dovevo andare a vedere Lucy e non dovevo neanche andare a vedere l'ultimo spettacolo ma le vie della disorganizzazione, mancanza di parcheggio e disordine mentale sono infinite, e mi sono trovata al cinema, di notte, con un sacchetto di pop corn e una Scarlett Johansson che sparava come una matta.

    Io ve lo dico. A me Luc Besson piace. A molti no. A me sì.
    Perché è un regista fracassone ma poetico. Perché ama le donne e le sa dirigere. Perché è internazionale ma ancora così sfacciatamente francese. Insomma, per un casino di buone ragioni a me Luc Besson piace. Non nel senso che non ne colga i limiti o i difetti, ma proprio nel senso che mi diverte, m'intrattiene, mi fa simpatia e, se passasse da Torino, lo porterei da Fiorio a prendersi una cioccolata. Che, nella mia scala personale di valori, è la maggior espressione di affetto nei confronti di un turista in terra sabauda.

    Detto ciò. Passiamo al film.
    I primi 30 minuti di Lucy hanno il peso specifico del piombo. Io li ho visti ad occhi socchiusi e stomaco accartocciato. Alla protagonista succede di tutto e tutto si legge nell'espressioni del volto e negli occhi sgranati di una meravigliosa Scarlett Johansson.

    A proposito, io ve lo dico, a me la Johansson piace. A qualcuno no. A me sì.
    Perché è bella come una bambola ma brava come una donna. Perché è sensuale senza bisogno di sforzarsi. Perché è una che calca le scene fin da piccola ma non si è bruciata. Insomma, per un casino di buone ragioni a me Scarlett Johansson piace. Non nel senso che non ne colga i limiti o i difetti, ma proprio nel senso che mi convince, ne apprezzo il talento e le perdono persino di essere una bionda, stragnocca, molto più giovane di me.

    Dicevo, i primi 30 minuti sono spessi, molto spessi. Poi la fantascienza sparatutto prende il sopravvento e Lucy, con la sua camminata da gnocca al rallentatore ed i proiettili che vanno in ogni dove, prende il posto che le spetta tra le eroine senza scrupoli regine del cinema degli ultimi 20-25 anni. Eroine che popolano l'immaginario collettivo specialmente grazie allo stesso Besson. E in parte a Tarantino, anche se le sue donne sono diverse. Ma non perdiamo il filo e concentriamoci su Luc.

    In questo film c'è tutto il regista francese: c'è Nikita, c'è il Quinto Elemento, c'è Taxxi e c'è persino il mio adorato Leon.

    Lucy ha due protagonisti americani, Scarlett Johansson e Morgan Freeman, ma non è un film americano. E' una storia che si muove tra oriente ed Europa, tra Taipei e Parigi. E' un film francese a cui si prestano facce americane.

    La seconda metà della pellicola è tutta una corsa e un inseguimento fino ad una risoluzione mistico-filosofica-naif che lascia il tempo che trova, ma che a me è piaciuta. Ve lo dico.
    Perché? Perché non era necessaria ma il regista ha voluto mettercela lo stesso. Perché Luc avrebbe potuto essere più sottile ma prorio non ce l'ha fatta. Perché Besson a queste cose ci crede, si capisce, e io lo porterei da Fiorio anche per questo. Per la sua buonafede, per il suo animo da fracassone, e perché vorrei sapere assolutamente dove hanno preso il vestito nero che la Johansson indossa per metà film. Lo voglio!
    Più o meno un anno fa chiesi: "ma qua a Torino qual è il locale storico del cabaret?"
    Più o meno un anno fa mi fu risposto "Cab 41" con l'accondiscendenza che si deve a una povera disadattata.

    L'altro ieri sono finalmente entrata nel tempio del cabaret sottolamole. E, per fare ciò, consapevole dei miei limiti, mi sono aggrappata a Google Map come una cozza allo scoglio. Ricerca impostata: via f.lli Carle 77. 
    Tra la lettura del messaggio che mi era stato inviato con l'indirizzo esatto (via f.lli Carle 41) e i miei polpastrelli che digitavano deve essersi inceppato qualcosa. I miei due neuroni si devono essere distratti. Le mie sinapsi devono essere state subaffittate dalla vicina novantenne. Chi può dirlo? Fatto sta che un 41 è diventato un 77, ed io mi sono trovata di sera, da sola, a fissare un angolo di strada deserto. Deserto. Sì perché, tra l'altro, in via fratelli Carle la numerazione arriva solo fino al 67. Il 77 neanche c'è!
    Di fronte alla mancanza del numero civico non mi ha sfiorato per un attimo l'idea di aver clamorosamente sbagliato indirizzo. E quindi di ricontrollarlo. Figurarsi! Perché mai tanta ovvietà? La spiegazione doveva essere un'altra. Il locale doveva essere nascosto da qualche parte: in un interno che mi era sfuggito, rinsecchito tra due palazzi come la casa di Sirius Black in Harry Potter, oppure risucchiato per sempre in un'altra realtà spazio temporale. 

    Annebbiata da tanta meravigliosa e ottusa chiusura mentale, non mi è restato altro che chiedere disperatamente aiuto. Un aiuto umano e collaborante, però,  e non l'ennesima app di stamin@##! 
    Buttato Google Map alle ortiche, mi sono fiondata nel primo locale aperto e ho frignato davanti al proprietario:
    "Ma lei lo sa dov'è il Cab 41? Perché non riesco a trovarlo? Sarebbe così gentile da indicarmelo? E' il numero 77, ma il 77 non c'è, dov'è il 77?", il tutto in una profusione di occhioni supplichevoli, ciglia sbatacchianti, e bocca a cucchiaino. Perché la mancanza di senso dell'orientamento e conoscenza urbanistica della mia stessa città mi trasforma facilmente in un essere piccolo, bisognoso d'aiuto, e incapace di mantenere una qualsivoglia dignità.
    "Non lo trova perché il Cab 41 non sta al 77. Ma al 41. Cab 41. Lo dice il nome stesso" il tutto in una profusione di umana pietà per una deficiente.
    Un'altra tacca nel mio personalissimo cinturone delle figure da rincoglionita.
    Soddisfazioni a mazzi, proprio.

    Tornata dunque sui miei passi, ho potuto finalmente varcare la soglia del mitico Cab 41.

    Ma io, l'altro ieri, che ci sono andata a fare al numero civico 41 di via fratelli Carle?
    L'occasione è stata la prima serata del Lab Stand Up.
    Lo spazio dedicato agli stand up comedian. I monologhisti. Insomma, quelli che si mettono di fronte a un microfono e parlano, parlano, parlano.
    Obiettivo? Raccontare la propria visione della vita, del mondo, dell'Europa, dell'Italia, del pianerottolo, del matrimonio, o dell'interno delle mutande. Tutto ciò facendo ridere. Meglio se facendo MOLTO ridere.

    Ieri sono saliti sul palco otto monologhisti, ognuno con una quindicina di minuti a propria disposizione. Ognuno ha provato e sperimentato come in ogni laboratorio che si rispetti.
    C'erano i veterani e i giovanissimi. Gli aggressivi e i moderati. Gli esperti e gli insicuri. Quelli che avevano fatto tv e quelli che ancora se la facevano addosso. Quelli con una faccia conosciuta e quelli no.
    Il bello di questa idea è proprio questo: c'è un po' di tutto.
    Lo spettatore arriva, si siede, ordina qualcosa da bere, e per un paio d'ore ascolta i comici che si susseguono sul palco. Più o meno bravi. Più o meno divertenti. Più o meno politicamente scorretti, perché in un locale ci si può permettere ciò che in tv, ad esempio, non si potrebbe. Nessuna censura. Evvivaiddio!
    Tanto che per entrare bisogna avere almeno 18 anni. A tal proposito, inspiegabile che nessuno mi abbia chiesto i documenti. Deve essere stata una svista.

    La battuta migliore della serata? "Renzi è lo sbiancamento anale di Berlusconi".
    La personale conclusione della serata? Tra un comico che porta l'ennesimo, seppur divertente, monologo incentrato sui rapporti tra uomo e donna, e un altro che prova a sperimentare con qualcosa di diverso, ma magari un po' meno divertente, preferisco assolutamente il secondo. Perché quel testo avrà la possibilità di essere migliorato, anche molto, mentre una minestra riscaldata sarà sempre e soltanto una minestra riscaldata.
    Giocare sul sicuro con la comicità fa portare a casa la serata. Ma non porterà mai l'autore da nessun'altra parte.
    In un laboratorio bisogna dimenticare le sicurezze e provare a lanciarsi un poco più in là. C'è il rischio di prendere una clamorosa craniata, ma è l'unico modo per crescere.

    Per concludere: siete maggiorenni e curiosi? Sappiate che le prossime serate di Lab Stand Up sono previste per il 4 e il 18 novembre, il 2 e il 16 dicembre. Ore 21:30.
    Ingresso gratuito.
    Il tutto al Cab 41 in via fratelli Carle 41. Quarantuno. Q-u-a-r-a-n-t-u-n-o. Mi raccomando!
    Ricapitolando.
    Torno single dopo un'infinità di anni vissuti in coppia, e scopro un mondo nuovo: quello del broccolaggio (sì, lo so, avevo promesso di non usare più questo termine, chiedo venia) over 35. 
    Do l'annuncio urbi et orbi della mia nuova condizione.
    M'iscrivo a un'incongrua varietà di corsi.
    Insomma, ricomincio a vivere con entusiasmo e disordine.

    Il tempo passa, fino a quando accade l'inevitabile. Dopo mesi di uomini repellenti, stupidi e francamente molesti, m'imbatto in un tizio alla cui vista non sento l'impellente desiderio di fuggire urlando.

    Incontro. Amicizia su facebook. Chat.
    OhmioDio!
    Finora ho condotto conversazioni online sbadigliando e sperando nella caduta della linea.
    Finora ho accampato fantasmagoriche scuse per evitare appuntamenti, e qualsivoglia incontro che non includa la presenza di almeno altri 10 amici a far da cuscinetto.
    Finora.
    Poi questo tizio comincia a scrivermi e io decido che, non mi piace ma con lui non voglio fare la figura della scema, isterica, celhosoloio. Non mi piace ma voglio che mi trovi simpatica. Non mi piace ma m'interessa l'opinione che ha di me.
    Ecco! E' finita la pacchia. Interrotta l'estasi. Concluso il benessere del machisenefotte. E inzia il limbo del ameluinonpiaceperòiovorreipiacerglialmenounpochino. E perché? Giusto per risalire sulla giostra. Giusto per divertirmi un po'. Giusto.

    Arriva il primo messaggio sulla chat di facebook ed io, donna matura e ricca di esperienza, reagisco con sangue freddo e sicumera. Mi fiondo immediatamente su whatsapp a chiedere aiuto con la disperazione di una che sta annegando, la lucidità mentale di un ultracentenario, e l'autocontrollo di una quattordicenne a un concerto degli One Direction.

    "Aiuto! Help! SOS" scrivo al mio ignaro migliore amico che, un secondo prima cerca di passare una tranquilla serata con la di lui amata e un secondo dopo si vede coinvolto, suo malgrado, nel mio delirio.
    "Che c'è? Che succede?"
    "E' terribile!"
    "Cosa? Hai bisogno d'aiuto? Dove sei? Che stai facendo? Mi sto preoccupando! Devo chiamare la polizia?"
    "Ma no! Devi aiutarmi!"
    "A fare che?"
    "Parlare in chat"
    "Parlare in chat? E con chi?"
    "Con quello ameluinonpiaceperòiovorreipiacerglialmenounpochino"
    "E hai bisogno di un tutor?"
    "Sì!"
    "Ma tu parli in continuazione in chat!"
    "Sì, ma a differenza del solito, di questo tizio m'importa l'opinione che ha di me"
    "E perché?"
    "E che ne so! Non sono lucida in questo momento! So solo che m'importa"
    "Vabbé, e allora che aspetti? Parlaci!"
    "E se pensasse che sono cretina?"
    "Non me la sentirei di dargli torto"
    "E se pensasse che sono noiosa?"
    "Tu non sei noiosa, evita solo di essere monosillabica come al tuo solito"
    "Vedi! Vedi! Vedi! Ho bisogno di te! Del tuo aiuto!"
    "No, tu hai bisogno di uno bravo o, forse, semplicemente di rilassarti"
    "Io per iscritto sono un disastro"
    "Tu con la parola scritta ti ci guadagni da vivere"
    "Ma questa è una cosa diversa, qua si parla di femminile simpatia, sofisticata gattamortaggine, allegra seduzione. Sono ANNI che non pratico questa nobile e antica arte"
    "Bene, è ora di ricominciare!"
    "Da sola? Senza il tuo aiuto?"
    "Ovviamente!"
    "Non ce la posso fare!"
    "Devi"
    "E se dovesse essere un disastro?"
    "Sopravvivrai e imparerai dai tuoi errori"
    "Io non voglio imparare dai miei errori! Io non voglio fare errori!"
    "Allora adotta un gatto e comprati un plaid"
    "Non sei divertente"
    "Dai ce la puoi fare!"
    "Sono fuori allenamento!"
    "Giusto: quindi ricomincia ad allenarti hop hop!"
    "Ma..."
    "Passo e chiudo."
    "Cosa? Passo e chiudo? Passo e chiudo?...Ehi!!!...Rispondimi! Dove sei? Aiuto!!! Aiuto!!!"

    E un'ora dopo.
    "Allora com'è andata?"
    "Credo bene, ma..."
    "Ma?"
    "Sarei più tranquilla se tu leggessi tutta la chat e mi dicessi quali errori ho commesso e dove posso migliorare. Copio e incollo, eh?"
    "Passo e chiudo"
    "Passo e chiudo? Ma come? Un'altra volta? Ma daiii"

    Continua...
    In una macchina sotto la pioggia
    "Farai la cronaca sul blog?"
    "Ma figurati! E' una compagnia amatoriale che porta in scena una commedia di George Bernard Shaw. Una compagnia amatoriale che affronta un classico. Noi ci andiamo perché li conosciamo e siamo curiose come due scimmie, ma saranno inguardabili. Nessuna cronaca: non ne varrà la pena!"
    "Bene, di fronte a tanto entusiasmo, mi preme ricordarti che sei stata tu a trascinarmi in questa serata destinata alla bruttezza, la noia e il fallimento!"
    "Ne sono consapevole, e per questo ti sarò per sempre debitrice!"

    Nel teatro
    "Cavoli quanto è bello qui. Come si chiama?"
    "Astra"
    "Ma devono finire i lavori o quella roba grezza là è lasciata apposta?"
    "Credo che sia apposta"
    "Wow, di grande impatto"
    "Decisamente"

    Fotografia di Gianluca Platania, 2011


    Un minuto all'inizio dello spettacolo.
    "Te lo dico subito: se è troppo noioso me ne vado via prima della fine!"
    "E no dai, non si fa!"
    "Sì sì, che si fa"
    "Ok, ma se te ne vai via prima, il mio debito morale nei tuoi confronti si estingue"
    "Mi sembra corretto"

    Sipario
    La Compagnia dei Ghoti presenta "Non si sa mai" di George Bernard Shaw.

    Quasi due ore dopo
    "A me è piaciuto"
    "Pure a me"
    "E la tua teoria sulle compagnie amatoriali e i classici?"
    "Forse devo rivederla. Forse sono stata un poco precipitosa"
    "E anche snob"
    "Sì"
    "E saccente"
    "Sì"
    "E..."
    "Ebbbasta!"
    "Quindi?"
    "Quindi, quasi quasi, scrivo persino una cronaca.  Così parlo anche di quanto sia bello il Teatro Astra che stupisce con il suo aspetto stropicciato, vissuto, vivo, sorto, e risorto"
    "Wow! Quanto sei brava con gli aggettivi"
    "Grazie. Lo so. E poi aggiungo che questa era una serata di beneficienza in favore di Architettura senza Frontiere Piemonte onlus,  perché in mezzo allo schifo generale c'è ancora gente con buone idee e bei progetti."
    "Sì, ci sta"
    "E finisco con l'elogiare questa compagnia di attori non professionisti. Compagnia che si fa un discreto mazzo e ottiene, contro ogni pregiudizio e previsione, buoni risultati. Perché ci vuole passione ma anche tanto tanto lavoro."
    "Bene, e aggiungi pure che c'è piaciuta la scenografia: pratica ed essenziale"
    "Giusto. E poi?" 
    "E poi che ne so: la blogger sei tu!"
    One at a time

    He walks briskly between tracks and shops.
    Small steps under arches and down corridors.
    Under arches and down corridors.

    He wanders stealthily between suitcases and travelers.
    Looking right and then left.
    Right and then left.

    He slips unseen from one floor to another.
    He seeks the victim and finds the prey.
    "Do you want it? It's ripe. One euro"

    He sells corn on the cob.
    At the station.
    One at a time.


    End.

    Eccolo qua il mio secondo "anglo-parto".
    Continuo il percorso, il viaggio, la sperimentazione con la lingua del bardo.
    Cammino lungo questa strada fatta di ritmo, struttura e suono. 

    "One at a time" è nato in italiano ma è stato parallelamente modellato anche in inglese, con diversi passaggi e correzioni dall'una all'altra versione. (Sì, tutto questo lavoro per poche righe) Infine è intervenuta la penna rossa della mitica Renée, l'amicaammmericana, che mi supporta, sopporta e sgrida come neanche una maestrina incazzosa:
    "Sì, Pancrazia, il soggetto lo devi sempre mettere in inglese, non lo puoi sottintendere. Altrimenti sembri un'ignorante sgrammaticata"
    "Ma mi spezza il ritmo! Oh Cielo, questa lingua infelice tarpa le ali della mia creatività!"
    "Aoh, fly down, Sciecspir dei miei boots!"

    Direi che il prossimo passo, la prossima sfida, sarà scrivere direttamente in inglese.
    Ci sto decisamente prendendo gusto!

    ps: la versione italiana la potete trovare su Humans Torino (Avete messo il like a Humans Torino? Non avete ancora messo il like a Humans Torino? Cosa aspettate a mettere il like a Humans Torino?!?! Mettete il like a Humans Torino!)
    Questo sabato sera è un sabato sera straordinario.
    Prima di tutto, contrariamente ad ogni sabato sera che si rispetti, ha l'ardire di cominciare di pomeriggio. Sfacciato!

    Alle 17 mi dipingo le unghie di rosso assassino, domo o almeno ci provo i ricci, infilo tutto il necessario in una borsa di tela, e mi precipito in centro. A fare che? In realtà non ve lo posso dire per ora, lo saprete a tempo debito, sappiate solo che esco di casa conciata come una poveraccia ma che, un'ora dopo, sono mimetizzata da gnocca. Strataccata, intubinata (inserita in un tubino nero), e truccata da figa (scusate il francesismo), che un miracolo così manco dopo una gita a Lourdes.

    Alle 19 faccio orgogliosamente parte di uno stuolo di donne, la cui età varia dai 4 mesi ai nonvelodiconeanchesottotortura (ma portati benissimo) anni, che si dirige con passo sicuro verso il Café des Arts, locale dove avrà luogo la seconda data di Palco Oscenico. La rassegna teatrale che va dal cabaret alla musica, dalla sperimentazione all'improvvisazione. Questa sera è il turno dei DettoFatto, compagnia d'improvvisatori teatrali dotati di talento e Gorilla. (Eccoli su Humans Torino)

    Le due ore che vanno dalle 19 alle 21 le trascorro bevendo vino rosso, razziando il buffet, chiacchierando e importunando gli artisti che costringo ad immortalarsi in un selfie.  Loro mi accontentano. E, del resto, perché non dovrebbero? Sono belli, quasi tutti, e possono contare tra le proprie fila nientepopodimeno che Delia Dimasi. Ella, oltre ad essere una delle migliori improvvisatrici di Torino, vanta anche il titolo di Regina dei Selfie. Non ho mai, ripeto mai, visto una sua foto in cui sia venuta male. Se tenesse dei corsi al riguardo io li frequenterei. Probabilmente verrei bocciata o sbattuta fuori dalla classe per manifesta incapacità e patologica antifotogenia, ma comunque m'iscriverei colma di fiducia e speranza.

    Il gorilla c'è ma non si vede
    La platea rimane desolatamente vuota fino a 5 minuti dall'inizio dello show. Poi, com'è nella tradizione dei sabato sera straordinari, i posti vengono occupati e la sala si riempie. Tra chi è seduto e chi resta in piedi non c'è più spazio per nessuno. Lo spettacolo può iniziare.

    I DettoFatto presentano Gorilla Theatre TM, un format che si dipana grazie alle indicazioni del pubblico e a quelle degli attori che, uno alla volta, vestono i panni dei registi. 

    Lo spettacolo standard prevede un regista, una storia, una votazione popolare, risate, un regista, una storia, una votazione popolare, grasse risate, un regista, una storia, una votazione popolare, grassissime risate, fino all'elezione del vincitore della competizione. Vincitore che avrà l'onore di portarsi a casa un gorilla. Un gorilla vero! O quasi.

    La serata nello specifico vanta un primate "opponibile" ed accaldato che sverna in cortile, un DucaConte, due servi anglo-pugliesi, un UomodeiSogni e uno DegliIncubi, una mucca valdostana sedotta e abbandonata, una ragazza iberica appassionata dalle mani irresistibili (ben due, tra l'altro!), una Rossella O'Hara che, se non la si vede, non la si può spiegare. E pure una microdonna di 4 mesi che assiste al tutto composta e pacifica come un monaco buddista. La piccola non fa parte del format ma aggiunge dello stupefacente al sabato sera già straordinario.


    I DettoFatto sono degli incredibili intrattenitori. L'ora di spettacolo vola via nel divertimento generale. Il pubblico è entusiasta, gli artisti sono contenti, l'organizzazione è soddisfatta. La blogger, e che ve lo dico a fa'?

    Ma ormai si è fatta una certa. La gnocchitudine ha una sua scadenza. I tacchi slanceranno la figura ma dopo un po' anche basta. Lo straordinario deve tornare ordinario.

    Buona notte a tutti!
    Ci si legge al prossimo imperdibile appuntamento di Palco Oscenico.
    A presto!
    Perché proprio oggi?
    Potrei trovare mille spiegazioni ma, in realtà, il vero motivo non lo so.

    Perché prima o poi doveva accadere e lei, forse, ne sarebbe persino contenta.
    Perché l'altro giorno ho letto di un festival e ho pensato "bello, glielo devo dire, potremmo andarci assieme". Ho pensato prima di ricordarmi che assieme, lei ed io, non potremmo più andare da nessuna parte. Almeno non ora, almeno non qui.
    Perché stanotte, come altre notti, l'ho sognata. E nei miei sogni so perfettamente che lei non c'è più. E anche lei lo sa. Ma vogliamo rubare ancora un po' di tempo, ancora un pomeriggio, ancora un giorno. Facciamo passeggiate, visitiamo mostre. Stanotte lei mi salutava in fretta e poi correva alle sue prove di balletto. Lei, a cui la danza classica non è mai neanche piaciuta.
    Perché stamattina mi sono svegliata e ho scritto ad una sconosciuta che sta dall'altra parte del mondo. Una donna che combatte e ha combattuto. Come lei non ha potuto. Come lei non ha voluto. Ho scritto e ho pianto. Come se fosse successo ieri e invece sono già sette mesi.
    Perché sono ancora arrabbiata con me stessa, perché non le sono stata accanto come avrei dovuto. Con lei perché non ha lottato e non c'ha neanche provato. Perché abbiamo avuto paura tutte e due. Perché la malattia fa paura. Tanto e ancora di più quando hai 37 anni e, in fondo infondo, te ne senti anche molti di meno.
    Perché il tempo passa, ma io ancora ogni tanto sbrocco. E la gente si chiede cos'abbia. E quasi nessuno capisce, perché quando parlo di lei lo faccio sempre con poche parole asciutte, dette in fretta e a voce alta. Come se non m'importasse. Come se fosse tutto superato. E invece questo è solo l'unico modo che conosco per tenere su i pezzi, almeno di fronte agli altri, almeno un po'. Perché preferisco passare per stronza piuttosto che frignona. E lei questo l'avrebbe capito.
    Perché il dolore non va esibito. Neanche su un blog. Ma ho pensato che per una volta lo potevo pure fare. Buttare tutto fuori, in un solo colpo. Scrivere di lei e scrivere a lei.
    Perché mi manca e mi mancherà. Perché 23 anni di amicizia sono tanti e non li cancella nulla. Perché lei c'era sempre e ora non c'è più. E non le posso raccontare quello che faccio. Né le stronzate, né le cose belle. E lo so che si dice che "lei ti guarda ancora" ma non me ne frega un cazzo di lei che mi guarda ancora. Vorrei andarci al bar a chiacchierare. Vorrei raccontarle di quello che faccio, delle persone che conosco o del tipo che frequento. Le piacerebbe ascoltarmi e si farebbe grasse risate. "Tu non puoi avere una vita regolare, tu devi scrivere!" mi direbbe e avrebbe ragione.
    Lei che fu la prima a regalarmi un block notes e una penna. Lei che in me ci ha sempre creduto più di me stessa. Lei con cui ho fatto le peggio cazzate della vita mia.  Ma sono rimasta solo io a ricordarle, e quando non ci sarò più io, non ci sarà più nulla. 
    Lei che ora sta al Campo Nord, che è un posto di merda come ce ne sono pochi al mondo. Lei che ha una mamma piccola piccola che quando mi vede dice "quanto le assomigli", noi che non ci siamo assomigliate mai. Lei che ha un uomo che cerca di andare avanti, ed è l'unico rimasto al mondo a chiamarmi ancora con quel nomignolo stupido, perché lo usava lei, perché gliel'ha insegnato lei. Lei che ha anche me. Perché i verbi al passato mi fanno schifo. E ogni tanto sono felice, ogni tanto sono arrabbiata, ogni tanto sono sola. E ogni tanto sbrocco. E me ne fotto del pudore. Persino sul blog.
    A seguire la cronaca di un sabato appena trascorso.

    Ore 19.00
    Punto verso il centro con l'auto. Ho lo stomaco vuoto e sono di corsa.

    Ore 19:20
    Mi telefona IlSocio. Stasera, oltre che con Radio Cole, siamo in ballo con Humans-Torino.
    "Tra dieci minuti arrivo" mi dice.
    "Perfetto"
    "Sono zoppo"
    "Cosa?"
    "Agility"
    "Ah"

    IlSocio ha da poco ripreso a fare agility col proprio cane.
    La bestiola va come una scheggia.
    L'umano arranca.
    Pare che il quadrupede stia meditando di abbandonare il bipede ad un autogrill. Difficile dargli torto.

    Ore 19:30
    Comincia la ricerca del parcheggio.

    Ore 19:35
    Si conclude la ricerca del parcheggio.
    Lascio la macchina lontano dal locale, ma non tanto lontano come altre volte, ad una distanza quasi dignitosa.
    Mi commuovo.

    Ore 19:45
    Arrivo al Cafè des Arts, in via Principe Amedeo 33/f.
    IlSocio è già davanti all'ingresso. La sua auto pure. Lo odio!
    Accarezzo l'idea di acciaccargli pure l'altra gamba. Ma mi serve vivo e anche deambulante. Quindi desisto.

    Ore 20:00
    Incontriamo, abbracciamo, sbaciucchiamo, e intervistiamo Cecilia D'Amico, l'attrice romana vincitrice della scorsa edizione di Facce da Palco, tornata sotto la Mole per aprire in bellezza la stagione di Palco Oscenico.

    Io domando, IlSocio fotografa, la comica si dimostra disponibile e con la chiacchiera caricata a pallettoni. Perfetto. Il risultato finale mi piace assai.
    Le foto e le parole dell'incontro potete trovarle qui.
    (Avete messo il like a Humans Torino? Non avete ancora messo il like a Humans Torino? Cosa aspettate a mettere il like a Humans Torino?!?! Mettete il like a Humans Torino!)

    Ore 20:30
    Mi avvento sul buffet dell'aperitivo con la voracità di un lupo della steppa siberiana.
    Bevo vino rosso, mastico pizzette, ingoio bruschette, spalmo salsine e sgranocchio grissini.
    Il barista mi osserva basito e leggermente spaventato.
    Io lo ignoro. Ho fame.

    Ore 21:20
    Occupo, orgogliosa sbruffona e satolla, il posto che mi è stato tenuto da parte dall'organizzazione.


    Ore 21:30
    Musica introduttiva.
    Cecilia sale sul palco.
    Comincia lo spettacolo.


    Cecilia D'Amico veste i panni di quattro diversi personaggi.
    Tre donne e un ragazzo, tutti alle prese con le difficoltà di relazione, amorose o umane che siano. Il tutto fatto con un'ironia travolgente e una notevole presenza scenica.

    Impossibile non riconoscersi in una o più delle maschere rappresentate.
    Io, personalmente, adoro Mara. Esasperata, disperata, indomabile, travolgente, sarcastica, insicura, pazza, spazientita, speranzosa. UnaDiNoi! Noi a cui gli uomini piacciono ancora. Nonostante le delusioni e l'innegabile convinzione che meriterebbe di essere sterminati. Ma poi, sai che noia!

    Un'ora di risate, trasformazioni e video.
    Un'ora in cui è riassunto il lavoro di anni.
    Un'ora in cui Cecilia ci presenta la sua prima creatura. E, per questo,  la più preziosa.

    Questo sabato si è aperta ufficialmente la rassegna di Palco Oscenico.
    Era ora!
    E adesso?
    Adesso la si segue fedelmente e appassionatamente.

    Il prossimo appuntamento?
    Sabato, 4 ottobre, al Cafè des Arts sarà la volta dei DettoFatto.
    Numerosi e rumorosi, i migliori improvvisatori torinesi dotati di Gorilla ci faranno sicuramente ridere.
    E noi, probabilmente, faremo ridere loro. In che senso? Venite e lo scoprirete!
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