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Sono Giulietta Masina.
Oggi piango il mio geniale, amato, bugiardo, infedele, compagno di una vita.
(1993)
Mi alzo presto. 
Indosso il vestito buono e lucido le scarpe.
Faccio la riga da un lato. Abbottono la giacca.
Prendo mia moglie sottobraccio e percorro con lei la strada fino al seggio.
Abbiamo aspettato sette anni per questo momento.
Oggi torniamo a votare. 
Nostra figlia è con noi. Dentro di noi. Lei come tutti gli altri 30.000 desaparecidos.
(1983)
Mi chiamo John Glenn. Ho 77 anni. E sono il più anziano astronauta di sempre.
(1998)
La mattina seguente venni scorrazzata in giro da WonderVivì che, con notevole pazienza e grande slancio, mi mostrò le bellezze di Ariano.
Prima di tutto La Villa: parco, cuore, vetta del luogo. O, secondo i più aridi, "unica cosa che valga la pena di essere vista".
E poi gli arroventati, assolati, trafficati vicoli che costituiscono lo scheletro portante del paese. Strade da cui si domina il paesaggio sottostante, dandoti l'illusoria idea che lì in fondo, se strizzi gli occhi a sufficienza, potrai perfino vedere il mare.

Quella mattina scoprii ciò che sarebbe diventato familiare nei giorni seguenti: la passione.
La passione degli arianesi, degli irpini, dei campani. Mettetela come preferite. A me, in realtà, non piace collocare certe caratteristiche considerando la geografia o i punti cardinali. La passione o c'è o non c'è. Al nord come al sud. Ad est come ad ovest.
Io, in quei giorni, la trovai ad Ariano.

La passione, dicevo. La passione per il territorio.
L'amore per le radici. La frustrazione di chi, una volta finiti gli studi in una grande città, decide di tornare per un poco o per sempre. Tornare per dare il proprio contributo. Far crescere il paese. Farne conoscere i tesori a chi sta fuori ma, soprattutto, a chi sta dentro. A chi sta dentro ma sembra cieco e sordo. Cieco e sordo a tutto ciò che il luogo ha da offrire. Cieco e sordo al passato, al presente e pure al futuro.
Praticamente morto.

Io, dalle radici brevi. Io, che ho sempre vissuto in una grande città. Io venni travolta dalla passione per il territorio. Dalla passione di WonderVivì. E pure da quella, scoperta casualmente, di un gruppo di quarantenni tornati alla base per far rinascere le vigne antiche della zona, coniugando la storia, propria e del luogo, con un'ottima idea imprenditoriale.

Non ci posso fare niente. E' più forte di me. 
Quando sento vibrare l'aria intorno, inizio a vibrare anch'io alla stessa frequenza. I miei neuroni a specchio si attivano. La mia anima si gonfia. Lo stomaco diventa ingordo. L'energia mi carica e mi riempie di voglia di fare.

Mi bastarono poche ore ad Ariano per sognare di far rinascere la vigna dei nonni o far restaurare quell'antica Madonna dallo sguardo triste.
E poco importava che la vigna i miei nonni non ce l'avessero mai avuta. Avevano avuto degli ulivi, ma la terra era dura e cattiva, ed era stata venduta da un pezzo.
Ed era un dettaglio insignificante anche il fatto che l'unica statua della Madonna, che sapevo aver bisogno di cure, fosse quella dello zio Filippo, che io stessa avevo fatto volar giù da un mobile, decapitando in un sol colpo madre e bambinello.

La passione, per fortuna, è come una malattia infettiva. Si trasmette e ti fa venir la febbre. Per un po' deliri. Ma poi, se resti concentrata, tutta quell'energia la puoi incanalare nella tua vita, nella tua quotidianità, nei tuoi progetti. Nelle tue vigne e nelle tue Madonne. Ne fai tesoro e la riporti a casa con entusiasmo e riconoscenza verso chi te l'ha attaccata.

La passione è come la febbre che viene ai bambini. Questi, una volta ripresisi, si alzano dal letto e scoprono i pantaloni del pigiama un poco più corti. La passione ti fa crescere. Solleva il tuo punto di vista.

Continua...
Vinco le elezioni.
Sono il nuovo presidente dell'Argentina. Una donna, per la prima volta.
Mi chiamo Cristina Elisabet Fernández de Kirchner.
(2007)
Un giorno di molti anni fa ascoltai per la prima volta questa canzone.
Ero a teatro, e stavo assistendo ad una rivisitazione di "Un tram che si chiama desiderio", capolavoro di Tennesse Williams per l'occasione trasformato in "Ende Station Berlin".

Quella sera la neve veniva giù a fogli e mi si attaccava addosso come lo zucchero filato. Non l'ho più vista una neve così. Aprivo la bocca verso il cielo e la mangiavo come fanno i bambini. La mordevo e la mandavo giù soddisfatta.

Ero felice.
Ricordo che ero felice.

"Just a perfect day
you made me forget myself
I thought I was
someone else, someone good"

Un giorno di molti anni fa ascoltai per la prima volta questa canzone e cominciò a fare parte di me. Struggente e amara. Densa come la neve di quella sera.

Questa canzone rimarrà per sempre anche adesso che Lou Reed è andato oltre.
E' questo il destino dei capolavori.
E' questo il senso dell'arte.

Grazie.


Questa notte brucio.
In fiamme il sipario. In fiamme le quinte. In fiamme il palcoscenico.
Niente può salvarmi, tranne un colpo di scena, e io sopravvivo.
 
(1991)
Una di quelle volte che: "avrei voluto scriverlo io un racconto così, avrei voluto idearlo io un soggetto così, avrei voluto pensarci io!"

Avrei voluto ma no. Non l'ho scritto io. Non l'ho ideato io. Non ci ho pensato io.
Ma avrei potuto, eh!

Signore e signori, scritto e diretto da Alessio Lauria: "Sotto Casa"
Buona visione!



Un doveroso grazie a Marcello Conte che l'ha segnalato su facebook.
Mi ammalo. Il mio è l'ultimo caso al mondo.
Le vaccinazioni hanno sconfitto il vaiolo.
Anche la mia storia è a lieto fine: guarirò.
(1977)
Invado Grenada.
(1983)
Ieri bevevo birra e mangiavo pollo fritto in un quartiere rinato di Torino, in un locale bellissimo di Torino, in una di quelle sere che dico "sembra proprio di stare a Berlino!" che, come ben saprete, per me rimane la pietra di paragone assoluta.

Ieri, dicevo, bevevo e mangiavo quando un ragazzo e una ragazza hanno attirato la mia attenzione. Hanno attirato l'attenzione di tutti.
Giovani, belli ed eleganti hanno esposto una sagace presentazione in rima e un'interessante proposta: "scegliete una poesia dal nostro menù!"

Un vero menù, con tanto di prezzi e vasto assortimento di piatti. Da Prévert a Rodari, da D'Annunzio a Carducci, da Leopardi a Trilussa.
Una decisione, un cenno della mano, un sorriso, e una poesia recitata calda calda direttamente al tavolo. Con tintinnio finale di monete "al vostro buon cuore".

Mi conoscete. Non ho resistito. Ho subito sventolato il mio menù per attirare l'attenzione e mi sono goduta "Scrivere il curriculum" della Szymborska.

Cos’è necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Bella la poesia che non conoscevo, ma ho scelto ad occhi chiusi tale la mia fiducia nello smisurato talento della compianta poetessa polacca.
Bello il modo in cui è stata recitata: con passione, talento e mestiere.

I Mangiatòri sono un gruppo di attori diplomati presso il Teatro Stabile di Torino. Recitano poesie e girano l'Italia. Ieri erano a San Salvario, domani chissà.
Questa è la loro pagina facebook.
Seguiteli e inseguiteli, anche voi potreste godere presto di un breve momento d'arte al modico prezzo del "vostro buon cuore".

E Torino continua a stupirmi. Nella Rete e anche fuori.
Cinquant'anni fa mi rifiutai di cedere il posto a un bianco.
Cinquant'anni dopo cedo il posto a qualcun altro. Ormai è giunto il tempo, io ho già dato.
Me ne vado con un inchino e un sorriso.
(2005)
Assaltiamo il teatro.
Prendiamo in ostaggio più di 800 persone.
Il nostro attacco sarà un fallimento.
Il vostro attacco sarà una carneficina.
(2002)
Cari lettori e care lettrici,
cari naviganti e care navigatrici,
care amiche e cari amici,

l'animo poetico che oggi mi colse
spero che il buongusto vostro non troppo dolse.

Per farmi perdonare tali facezie
espongo me stessa e le mie inezie.

A Lucca andai, come ben sapete,
a domande risposi come presto vedrete.

Capo riccio e voce carica di grazia
ad ascoltar bene le parole si capisce subito chi è Pancrazia.



Viene pubblicato il mio articolo. 
Svelo al mondo un tassello del passato, aggiungo un granello di sabbia, racconto una parte della storia. Presento l'Homo floresiensis.
(2004)
Oggi volo. Oggi scompaio.
Lasciando dietro di me domande e speculazioni.
"That strange aircraft is hovering on top of me again. It is hovering and it's not an aircraft."

(1978)
Giro per il solito negozio di dischi. 
Guardo tra le novità. 
I miei occhi incrociano quelli di un bambino.
"E questi chi sono?" chiedo a Ben, il proprietario.
"Un nuovo gruppo irlandese"
"Gli irlandesi fanno schifo!"
"Sì, ma questi sono forti"

(1980)
Oggi inizia il processo.
Con che diritto pensano di potermi giudicare?
Questo paese è mio. Questa gente dovrebbe inchinarsi di fronte a me.
Io sono l'Iraq. Non può esistere l'Iraq senza di me.
(2005)
Quando lessi per la prima volta "Orgoglio e Pregiudizio" passai giornate intere a parlar in punta di forchetta, muovermi leggiadra e sentirmi profondamente britannica.

Quando lessi "Delitto e Castigo" mi feci inghiottire dalle pagine e dalla storia. Delirai per giorni con gli occhi lucidi da pazza e la convinzione di essere affetta da febbre cerebrale.

Nelle ultime settimane ho letto "Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud and Incredibly Close)". Prima sono stata un bambino spaventato e complicato, tuttologo e fragile. Poi sono diventata un uomo senza voce ma con parole scritte su quaderni, su muri e sulla propria pelle. Infine ho vestito i panni di una sorella minore, una moglie, una nonna smaniosa di amare e di trattenere i propri amati.

Non capita sempre ma quando capita fa quasi paura. Il confine tra la realtà e il racconto si fa fragile e, a lettura finita, qualcosa rimane dentro per sempre. Che sia un'atmosfera, che sia un dolore, che sia un sentimento di straziante perdita.

Non credo sia follia.
Io leggo. Io sono.
Me ne vado. Mi dimetto. 
La Gerrmania come l'ho conosciuta, costruita e voluta sta per cambiare.
Il partito come l'ho conosciuto, costruito e voluto sta per morire.
Ed io sto per pagare tutte le mie colpe.
(1989)
Lungo le strade della blogosfera si assiste a scene strazianti. Lettori orfani piangono calde lacrime. Blogger amici navigano con lo sguardo vacuo e una sola ripetuta domanda nella testa e nel cuore:
"Perché?"
"Perché?"
"Perché?"
"Perché Pancrazia non continua a raccontarci la sua passata vacanza in terra irpina?"

Ve lo dico io il perché.
Perché sono disorganizzata e metto troppa carne al fuoco, col risultato che le costolette mi si bruciano, mentre le salsicce rimangono dimenticate nel congelatore.
Ma per vostra "fortuna", oltre ad essere nevrotica e caotica, sono anche flemmatica e priva di vergogna. Per settimane vi ho lasciato appesi senza una parola o una spiegazione? Embé? Oggi ricomincio il mio racconto come se nulla fosse.
Voi non potete vedermi né sentirmi, ma sappiate che in questo momento fischietto beata e sfacciata come se l'ultimo post di "Pancrazia in Irpinia" risalisse all'altro ieri e non a un mese fa.
Sì, sì, un mese. Avete letto bene: un mese. Come passa il tempo quando ci si diverte, eh?

Magari qualche nuovo lettore non sa neanche di cosa io stia parlando, mentre qualche vecchio affezionato ormai non si ricorda più a che punto fosse arrivata la mia ludica cronistoria. Quindi, giusto per perdere un altro po' di tempo e mettere alla prova i vostri nervi, ho deciso di produrmi in un rapido riassunto.

Se volete potete anche saltarlo, ma poi io vi interrogo e se non siete preparati so' cazzi! Ça va sans dire.

La scorsa estate decisi di passare qualche giorno di vacanza in Irpinia. Perché sono un'originalona e perché in quella terra meravigliosa risiede la mia amica Gra' (Prologo).
Superata la difficoltosa preparazione del bagaglio (Prima parte), iniziai la transumanza dalle Alpi agli Appennini, come in uno struggente e patetico racconto del noiosissimo De Amicis. Durante il viaggio rimasi bloccata per qualche ora a Roma, divisa tra l'orrore per i bagni pubblici (Seconda Parte) e l'estasi per la capitale (Terza Parte). Dopo aver perso il 90% dei liquidi del mio corpo e aver rischiato la mummificazione, salii finalmente sul pullman, autobus, corriera, o come diavolo lo chiamate voi, in direzione dell'entroterra campano (Quarta Parte). Per poi arrivare ad Ariano Irpino, conoscere un gruppo di supereroi (Quinta Parte) e andare a mangiare la pizza. 

Pizza? Pizza? Ecco dov'ero arrivata: vi devo raccontare della pizza di zì Pumpilia.

Continua...




Che gran burlona sono.
Burlona, ho detto burlona!
Razza di screanzati!


Continua...

... per festeggiare la mia prima sera in Irpinia venni condotta dal gruppo dei suddetti supereroi a mangiare la pizza. Ma non una pizza qualunque: la pizza di zì Pumpilia.

Costei delizia i palati locali e forestieri con morbide golosità. Costei ti fa sentire a tuo agio accogliendoti in un ristorante-trattoria-bettola dall'arredamento vario e creativo. Molto vario e molto creativo. Forse troppo. Ma non sono qua per sottilizzare. Del resto, negli ultimi anni Torino si è riempita di meravigliosi ristoranti, dal design moderno e la cucina di bassa qualità e alto costo. Quindi: ben venga la zì Pumpilia con le sedie spaiate, i tavoli che ballano, ma la pizza che ti manda in estasi le papille gustative!

Questa santa donna si fa affiancare sul lavoro da tutta la famiglia. E, a splendere di luce propria tra il parentado tutto, vi è lui: il figlio MASCHIO. Unico e inimitabile.
Costui ha due compiti fondamentali da svolgere: sonnecchiare dietro il bancone del bar e fare il conto.
Qualsiasi altra cosa gli venga chiesta gli provocherà ipersudorazione, tremori e perdita dei sensi.
La mia amica Gra', di fronte alla difficoltà di scegliere una pizza adatta con cui concludere la serata, ebbe l'ardire di chiedergli: "Tu che ci consigli?"
Lui, prima si guardò intorno per capire con chi stesse parlando poi, rassegnato al fatto che la domanda fosse rivolta proprio a se medesimo, cominciò a balbettare, indietreggiare e, non contento, si buttò a terra fingendosi morto.

Ma per quanto riguarda il sonnecchiamento dietro il bancone del bar e il calcolo del conto del cliente, poche persone al mondo possono dirsi all'altezza del figlio MASCHIO. Poche o forse nessuna.
Per dormire in quel modo, in piedi, con gli occhi aperti, appoggiato allo spillatore della birra, non bastano costanza ed allenamento, ci vuole proprio un raro e innato talento naturale.
Per fare i conti, poi, con tale ingegneristica precisione, ci vogliono anni di studio, applicazione e sprezzo di qualsiasi regola dell'aritmetica. Infatti, non si sa perché e non si sa per come, qualunque sia il tipo di pizza scelta, la quantità di birra con cui la si è annaffiata e il dessert con cui si è chiusa la serata, il risultato dato dal MASCHIO contabile sarà sempre lo stesso: 7 euro a testa. Punto.
Evidentemente tra quelle mura non è mai arrivata l'inflazione, la speculazione, la cattiveria della gente e soprattutto una calcolatrice funzionante o, almeno, un pallottoliere.

Da zì Pumpilia si mangia tanto, si mangia bene e si paga pure poco.
Lunga vita a zì Pumpilia!
Lunga vita al figlio MASCHIO!

Continua...
E' stato un viaggio lungo. Nove mesi e poi il gran finale.
In una stanza fredda e troppo illuminata qualcuno esclama orgoglioso: "Eccolo qua, lui è il trecentomilionesimo americano!"
(2006)
Salgo al soglio pontificio.
(1978)
Le guardo e ancora non riesco a crederci.
Le mani. Mi hanno ridato le mani.
(2010)
Oggi ho deciso di raccontarvi il mio ultimo week end. Tutto d'un fiato. Tutto in un unico post.

Venerdì all'alba ho preso un treno che mi ha portata fino a Firenze. Sono scesa e, invece di correre a prenderne un altro che mi avrebbe condotta a Lucca, sono scappata fuori. Al sole. All'aria. Al bello.

Non visitavo Firenze dalle superiori. Non me la ricordavo.
Alla domanda "Com'è Firenze?" avrei risposto "Bella"
Ma in realtà le immagini erano sbiadite, le sensazioni dimenticate, la fascinazione svanita.

E così, quasi come se fosse la prima volta, ho girato il centro della città con gli occhi puri, con la meraviglia, con l'entusiasmo. Ho rubato due ore al mio programma per poterne fare un altro. Più improvvisato. Più libero. Più mio.

Firenze non è solo bella. Un aggettivo così banale non le rende affatto giustizia.
Firenze è "tanta", è splendente, è una donna che toglie il fiato. Con le sue ciglia lunghissime e le labbra scarlatte. Sì, perché non è mica una bellezza acqua e sapone, o un fascino sofferto. No, assolutamente no.
Firenze è una sfacciata femminile sensualità. Da godere e godere.

Soddisfatta da questo amplesso mi sono finalmente decisa a raggiungere la meta del mio fine settimana: Lucca.
Lucca e le mura. Lucca che conserva la sua storia con una tale gelosia, che le devi chiedere "per piacere" se vuole condividerla. Lucca con le stradine affollate e quelle deserte. Con gli alberi sopra le torri e gli aranci stretti stretti dentro i vasi.

Ad aspettarmi "entro le mura" c'erano Lucia e il di lei consorte.
Lei scrive, scrive, e scrive. Scrive bene come nessun altro.
Lui legge e la ama. La ama come nessun altro.
Io li guardo e penso. Penso che l'amore debba essere proprio così. Fatto di parole, gesti, scherzi, sguardi, complicità, e l'inevitabilità di una storia che li ha messi l'uno sulla strada dell'altro, l'uno accanto all'altro.
Li ho visti per la prima volta venerdì, ma mi è difficile pensare di non averli avuti nella mia vita da sempre. Perché hanno il dono dell'accoglienza e della semplicità. Con affetto e senza fronzoli.

Con loro ho conosciuto anche una coppia di tedeschi di passaggio. Giovani e belli. Sposati e felici. Con le guance rosse e lo sguardo da bambini. Capaci di andare in giro per strade sconosciute come solo i tedeschi sanno fare. Con quell'aria svagata, il passo certo verso una meta sconosciuta, e l'innata capacità di ficcarsi nei negozi sbagliati.

Con loro quattro ho passato il venerdì e la domenica, mentre il sabato è stato un mondo a parte.

Sono andata a Lucca per ricevere il premio de "I racconti nella rete", vi ricordate?
Sono andata a Lucca e ho ascoltato una ragazza dai lunghi capelli biondi che leggeva il mio racconto, mentre un pianista, che di capelli non ne aveva neanche uno, accompagnava le parole con la musica.
Ho ascoltato anche i racconti degli altri vincitori, le altre voci, e le altre musiche.
Ho risposto alle domande e persino sorriso al fotografo.

Il pomeriggio e la serata sono trascorsi tra chiacchiere e incontri. Tra cibo e vino.
A cena ero seduta vicino a una giovane sconosciuta cantautrice, e a poche sedie da un grande della produzione cinematografica italiana. Erano diversi, diversissimi, ma appassionati entrambi. Vivi entrambi. Di quella vita e vitalità che ti ruba la giovinezza ma ti regala un'eterna infanzia.

La strada del ritorno l'ho percorsa insieme a due vecchie e nuove conoscenze. Due amici di amici. Due facce di facebook che sono passate dallo schermo alla realtà. Due parlate familiari dall'accento musicale e inconfondibile.
Regista lui. Maga delle pubbliche relazioni lei.
Mi hanno condotta lungo i vicoli di Lucca e riportata a casa.
Il tutto arricchito dalla condivisione, tra una risata e un sospiro, di speranze, progetti, e passioni diversi ma simili.

Oggi è lunedì. Io sono tornata a Torino. Ma sono più ricca, più contenta, più carica di tre giorni fa. O forse di sempre.
Pronta ad affrontare i mille impegni da assolvere e i sogni da costruire pezzo per pezzo.
3, 2, 1. 
E poi giù per 38.969,4 metri.
(2012)
Vengo eletto Segretario Generale delle Nazioni Unite.
(2006)
"Far out in the uncharted backwaters of the unfashionable end of the western spiral arm of the Galaxy lies a small unregarded yellow sun.
Orbiting this at a distance of roughly ninety-two million miles is an utterly insignificant little blue green planet whose ape-descended life forms are so amazingly primitive that they still think digital watches are a pretty neat idea."
(1979)
Ci incontriamo in Islanda per trovare un accordo.
Non lo troviamo.
(1986)
"Addio mondo crudele!"
Urlò la capra prima di buttarsi sotto la panca.
Oggi compro YouTube.
(2006)

Come mai oggi vi sono due post de Il Mio Progetto?  Semplice: uno dei due è sbagliato. Leggete qua.
Vinco il premio Nobel per la letteratura.

"Una normale stanza della questura centrale. Una scrivania, un armadio, qualche sedia, una macchina da scrivere, un telefono, una finestra, due porte.
Commissario: Ah, ma non è la prima volta che ti travesti, allora. Qui dice che ti sei spacciato due volte per chirurgo, una volta per capitano dei bersaglieri... tre volte vescovo... una volta ingegnere navale... in tutto sei stato arrestato, vediamo un po'... due e tre cinque... uno, tre... due... undici volte in tutto... e questa è la dodicesima...
Indiziato: Sì, dodici arresti... ma le faccio notare, signor commissario, che non sono mai stato condannato... ho la fedina pulita, io!"
(1997)
Oggi è un giorno di festa per noi. Per la famiglia e per la comunità.

Oggi uccidono mio fratello. Si chiama Stefano e ha solo due anni.
Oggi finisce la mia infanzia.
(1982)
Pur frequentando, vivendo e lavorando la Rete delle volte capita che sfuggano alla conoscenza alcune presenze importanti.
A me, fino all'altro giorno, era sfuggita quella di Camilla: mente laboriosa che si trova dietro al blog "Zelda was a writer".
A parte consigliarvi il sito stesso, che è come un meraviglioso pozzo colorato dove buttarsi, immergersi, ed esplorare le mille iniziative offerte. Oggi voglio parlarvi soprattutto di "Wor(l)ds". Un progetto di scrittura dal titolo perfetto: con le parole si creano, descrivono, vivono i mondi più diversi.

Wor(l)ds è un gioco che durerà fino a mercoledì 27 novembre. Un gioco a cui possono partecipare tutti. Proprio tutti. Il bambino col pallone. La maniaca dell'altalena. Il teorico del "facciamo che io ero e tu eri".
Tutti. Proprio tutti. Senza limiti di età, sesso, religione, orientamento politico, squadra calcistica di riferimento, gusto preferito di gelato, e pianeta di provenienza.
Tutti. Proprio tutti. Persino te ed io.

Come funziona?
Ogni mercoledì Camilla pubblica quello che lei definisce "un kit di materiali". Questi devono fungere da ispirazione per un breve componimento di non più di 10 righe (900 battute spazi inclusi).
Ogni kit è costituito da: parole, citazioni, ritagli e oggetti.
Un esempio?
Ecco la foto del primo (datato 25 settembre 2013)


Per sapere dove, come e quando spedire gli ispirati componimenti vi rimando direttamente alla spiegazione di Camilla in persona.

Vi ho incuriosito?
Parteciperete?
Avete bisogno di maggiori informazioni?

Intanto vi ricordo che domani è già mercoledì. E io un'occhiata al nuovo kit la darò sicuramente!

ps: ringrazio Torquitax, insostituibile segnalatore di chicche Nella Rete.
Non ho un nome.
Sono una delle 30.000 vittime del terremoto in Pakistan.
(2005)
"Ti stavo aspettando"
"Lo so"


Faccio il mio lavoro. Non sono un "magistrato inquirente". Ma descrivo "quello che succede a chi non può vederlo".
Sono una giornalista e muoio per questo. Sono Anna Stepanovna Politkovskaja.
(2006)
Ho perso le elezioni.
Mi dimetto.
Maledetti! Che siate tutti maledetti!
(2000)
A mio marito viene assegnato il Premio Nobel per la pace.
E' un grande privilegio.
Andrò a ritirarlo io: la Polonia ha ancora bisogno di lui.
(1983)
Una sera può capitare di ritrovarsi sotto la Mole. In una bellissima erboristeria che profuma di buono e sembra un luogo perfetto per mille magie.
Una sera può capitare di essere invitati a uno spettacolo, che forse è la presentazione di un libro, che forse è una trovata strana, che forse non si sa bene che cosa sia.
Una sera ci si ritrova in tanti. Molti più del previsto. Tutti ammassati tra tisane, zenzero, morbidi divani, piccole sedie e libri, libri, libri.

Io mi sono portata a casa questi due
Ieri sera mi è successo tutto questo e anche di più.
Sono andata a trovare Melissa, un'erborista dai capelli lunghi e bellissimi, che veste di volant e colori d'autunno, e sembra una bambola.
Sono andata ad ascoltare Davide e Davide, due librai che leggono, parlano, raccontano, ridono e ti fanno ridere.
Sono andata ad assistere a "Il libraio suona sempre due volte", uno spettacolo, un evento, un gioco in cui i libri, meno conosciuti ma più curiosi e meritevoli, vengono estratti dagli scaffali, vengono portati in viaggio, vengono raccontati-presentati-toccati-amati (e, se si vuole, acquistati) in luoghi insoliti.

Ieri sera è stata la volta di un'erboristeria ma la prossima potrebbe essere quella di un teatro, un cinema, un salotto, un giardino, un'astronave, eccetera eccetera.

Ieri sera ho respirato il profumo della cannella mischiato a quello della carta. E mi è piaciuto. Da morire.

Volete saperne di più?
Vi consiglio il sito ufficiale di quest'iniziativa: In viaggio con i libri.

Ora che ho scritto posso anche leggere.
A presto.
Mi ritiro.
Di nuovo.
(2012)
Lampedusa, 3 ottobre 2013

Amore mio,
mia adorata Chara,
mia bellissima giovane moglie.

Quando ti ho salutato hai messo le tue mani sul mio viso e hai appoggiato la tua fronte contro la mia.
"Tornerai a prendermi?" mi hai chiesto.
"Tornerò" ti ho giurato.

Chara, dolcissimo amore mio, penserai che non ho mantenuto la mia promessa. Penserai che sono un marito infedele. Penserai che non ti amo abbastanza.

No. Non pensarlo. Non pensarlo neanche per un attimo.

Ho freddo e il mare si chiude sopra di me.
Ho freddo e mi scalda solo il pensiero di saperti al sicuro. Di saperti viva.

Tornerò Chara, tornerò dopo che avrai vissuto una lunga vita felice.
Tornerò per camminare con te. Tornerò per accoglierti.

Tu perdonami. Perdonami per non essere stato abbastanza forte. Ma giuro che ci ho provato. Ci abbiamo provato tutti.

Vivi, Chara, vivi anche per me.
Ognuno ha una storia da raccontare.
Come la ragazza coi ricci e gli occhiali dorati.
"Sono felice e disperata", dice prima di un sorso di Berliner.
"Dovrei fare un viaggio", pensa ad alta voce.

"Sì, lo dovremmo fare", le risponde l'amico che le sta seduto accanto.


Ognuno ha una storia da raccontare.
Io racconto le mie e quelle degli altri.
Ascolto.
Ingoio.
E poi risputo fuori.

Vere o finte.
Mie o no.
Dalle orecchie alla mano.
Dallo stomaco alla tastiera.

Ognuno ha una storia da raccontare.
Mentre te la racconta, te ne fa dono.
Mentre l'ascolti, ringrazi per la fiducia.

Ognuno ha una storia da raccontare e una vita da vivere.
"Non colpevole".
Non ci crede nessuno ma vengo dichiarato "non colpevole".
(1995)
Ognuno ha una storia da raccontare.

Come la barista dalla caviglia tatuata.

Ti serve una rossa in bottiglia mentre dice di sua madre:
"La conosco appena. Mio padre invece si è spezzato la schiena per me".

Ma da solo non è mai riuscito a stare. Una fidanzata dopo l'altra. Una donna dopo l'altra.
"Alla fine mi sono stufata e me ne sono andata"

Un lavoro. Una mansarda. Una vita indipendente. A 15 anni.
A quell'età devi stare attenta. Ti devi difendere. Ti fai venire la scorza dura. Fuori e pure dentro.

"Ho fatto le cose per bene. Non è mica facile quando ci si trova da soli così piccoli. Sono già passati dieci anni e non ho mai combinato un casino. E non ho mai avuto bisogno di chiedere aiuto", dice accarezzandosi la pancia.

E' orgogliosa.
Di sé. Del bambino che attende. Della famiglia che si sta costruendo.
"Non è successo per caso. L'abbiamo voluto."

Ognuno ha una storia da raccontare.

Siamo rimasti solo in tre. Gli altri sono tutti dietro. 
Douglas e Ahmed scattano, ma questa è la mia giornata. 
Muscoli. Fiato. Testa. 
Un passo dopo l'altro. Sono leggero. Volo.
Questa è la mia medaglia.
(1988)
Ognuno ha una storia da raccontare.
Come l'uomo dalla cravatta gialla.
Ingoia piccoli sorsi di una bionda torbida e ad alta voce dice di suo padre: "Era bello come il sole! Ma io ho preso da mamma. Diciamo che sono simpatico. Un tipo"
Ride.

Il padre andò a comprare le sigarette. E sparì in una nuvola di fumo.
Sparì lasciando una moglie e tre figli.
Tre figli. Due femmine e un maschio.
"Da quando se ne è andato ho fatto sempre il mio dovere. Ho fatto l'uomo di casa."
Per quarant'anni si è caricato sulle spalle ogni responsabilità. Ha vissuto la vita che gli era stata assegnata, senza un dubbio, senza un ripensamento. Sapeva cosa c'era da fare e l'ha fatto.

"Le foto delle mie figlie", mostra orgoglioso. "Non sono bellissime?"

Per quanrat'anni ha fatto ciò che ci si aspettava da lui.
Poi, quando tutto era sistemato, quando tutte erano sistemate, ha aperto la porta e ha cominciato a camminare. Ha cominciato a vivere.

Non è scomparso in una nuvola di fumo. Non lo farebbe mai. Non potrebbe stare senza le sue donne.
"Le mie figlie hanno capito. Pure le mie sorelle. Persino mia madre. Mia moglie no"

"Frocio!" gli urlano da un tavolo.
Lui ride, paga da bere a tutto il locale e se ne va via con un inchino.

Ognuno ha una toria da raccontare.
Entro nel negozio di Hiroji. Cartelloni colorati annunciano una grande novità: si chiama Compact Disc.
(1982)
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