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Li abbiamo ritrovati.
Disperati.
Struggenti.
Simbolo dell'angoscia umana l'uno. Della passione mistica e carnale l'altro.
(2006)
Voto per l'indipendenza del mio paese.
Voto per l'indipendenza di Timor Est.
(1999)
6:10 am
Il vento soffia a 190 km/h
Gli argini dovrebbero reggere.
Gli argini non reggono.
New Orleans è sott'acqua.
(2005)
Con il naso all'insù a guardare lo spettacolo delle frecce tricolori.
La festa.
La meraviglia.
Lo schianto.
Le fiamme.
La morte.
(1988)
Passo a 55.758.005 km dalla Terra.
Non sono mai stato così vicino negli ultimi 60.000 anni.
Sono Marte.

(2003)
"Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!
Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,
Dominum Albinum,
Sanctæ Romanæ Ecclesiæ Cardinalem Luciani
qui sibi nomen imposuit Ioannes Paulus"

(1978)
Assisto impotente al rogo della mia città, del mio quartiere, della mia casa.
Assisto impotente all'incendio del Chiado. 
(1988)
Nano. Mi declassano a pianeta nano. 
Io, Plutone, non mi sono mai sentito così offeso.
(2006)
Ci teniamo per mano.
Formiamo una catena lunga 600 km. 
Da Tallin fino a Vilnius, passando per Riga.
Protestiamo pacificamente contro l'invasore sovietico. Reclamiamo la nostra indipendenza.

(1989)
Sono stata a Roma più di una volta.
Prima fu una gita invernale con due compagne d'università.
Ci ammazzo di fatica. Ci irritammo vicendevolmente. Rompemmo equilibri che non si sarebbero più ristabiliti.
Poi fu un ferragosto insieme al mio teutonico amore.
Macinammo km. Rischiammo il colpo di sole.
Infine furono gli Internazionali di tennis al Foro Italico con Ciccio.
Guardammo gli Internazionali di tennis al Foro Italico.

Sono stata a Roma più di una volta.
Ma non la conosco. O, meglio, la conosco con tutta la superficialità di cui è capace un turista qualsiasi.
Mi piacerebbe raccontarvi che so a memoria le sue mille stradine. Che ne ho bevuto l'essenza. Che ne ho succhiato il midollo. Ma mentirei.
Il mio rapporto con la capitale non conosce profondità. E' patinato, fatto di cliché e scorci da cartolina.
Per questo motivo, trovandomi bloccata nella città eterna, non fui in grado di scegliere percorsi originali e alternativi. Ma mi limitai a prendere coscienza che, considerando i tempi da dedicare agli spostamenti, il pranzo e il ritiro del bagaglio, sarebbe stato saggio decidere per una sola meta da raggiungere.

Scelsi una meta banale e prevedibile.
Una meta che selezionai facendo scorrere il dito sulla cartina della metro.
Linea A. Quella rossa.
A scorrere verso l'alto e a sinistra.
Una pausa. Piazza di Spagna? No. Meglio di no.
Il desiderio di andare oltre. Ottaviano? San Pietro? Sì.
Giusto per poter dire al mio ritorno in Sabaudia: "Quest'estate sono stata anche all'estero...ahahahah..."
Una pessima vecchia battuta, ne convengo. Ma i veri amici sanno ridere anche a quelle.

In mezzo a Piazza San Pietro trovai tutto il mondo. Tutto il mondo sotto mille ombrelli parasole.
Tutto il mondo compresa me. Una riccia che, colpita dal sacro fuoco di Istangram, faceva foto sbilenche al cupolone.
Tutto il mondo a sudare e patire, amando Roma e maledicendola al tempo stesso.

Del resto Roma è così. Troppo calda, troppo rumorosa, troppo caotica.
La capitale di un Impero. Adesso. Sempre. Comunque.
Eterna non per definizione ma per vocazione.

Roma che esaspera ma incanta.
Roma che stressa ma conquista.
Un attimo prima sei felice di lasciartela alle spalle. Dici quello che dicono tutti "Bella sì, ma non ci vivrei mai."
Un attimo dopo già ti manca. E pensi quello che pensano tutti "Ci devo tornare".

Ed è questo che pensai anch'io quando, sudata e stropicciata, presi finalmente posto sull'autobus che mi avrebbe portata in mezzo agli Appennini.
Presi posto e, come suggeritomi dalla mia amica Gra', cominciai a cantare "Marozzi Marozzi te famo li buozzi", inno ufficiale(?) degli studenti irpini in trasferta a Roma. 
Io, in realtà, stavo facendo il percorso inverso, ma l'importante è lo spirito con cui si seguono certe tradizioni. Lo spirito più che la direzione. 
La direzione è una questione di testa. Lo spirito di spirito.

Continua...
Riemergo dalla sabbia un pezzo per volta. Un osso per volta. 
Sono il ragazzo di Turkana.
(1984)
Lascio il mio paese. Lascio tutto. 
Cerco una nuova libertà. Trovo una nuova vita. Perdo mia moglie.
Sono Alexander Godunov.
(1979)
Vengono riconosciuti i miei diritti. 
Dopo essere stata aggredita, svenduta, ed occupata, torno indipendente.
"Mu isamaa, mu õnn ja rõõm"
(1991)
Ci hanno avvertito con dei volantini. 
La voce si è sparsa rapidamente. 
Alcuni ci hanno creduto. Altri no. "Sarebbe troppo facile. Sarebbe troppo bello", hanno detto.

Noi ci crediamo e ci proviamo.
Partecipiamo al Picnic Paneuropeo.
Attraversiamo il confine tra Ungheria ed Austria. 
Siamo più di 600 e ci lasciamo la Repubblica Democratica Tedesca alle spalle.

(1989)
Brucia.
Le mie lacrime non possono spegnere le fiamme.
Il Kapellbruecke brucia.
(1993)
"I did have a relationship with Miss Lewinsky that was not appropriate".
(1998)
Divento ufficialmente la seconda potenza economica del mondo.
Sono la Cina.
(2010)
"Wow", scrivo.
(1977)
Il rischio di rimanere bloccata a Roma l'avevo già messo in preventivo.
I tempi di migrazione dal treno all'autobus erano molto ristretti. Anche solo un minimo ritardo mi avrebbe costretta nella capitale per qualche ora.

Inizialmente, quand'ero ancora all'ombra dei portici torinesi, la prospettiva non mi aveva affatto turbata. Anzi.
L'idea di trascorrere qualche ora a spasso per Roma mi aveva divertita. Ed il divertimento era continuato fino a quando un amico, molto più lungimirante di me, mi aveva fatto notare che il mix letale tra sole allo zenit, afa cittadina, e pressione bassa cronica mi avrebbe procurato qualche piccolo problema.
Lo cito testualmente: "Andrai incontro a disidratazione. Morte. Ed evaporazione del cadavere. Di te  non rimarrà neanche un corpo da piangere"

Inizialmente non lo presi molto sul serio ma poi, con l'avanzare del caldo torrido anche a Torino, realizzai finalmente che egli era sì un poco ansioso ma anche dotato di un certo buonsenso. E fu per questo motivo che al progetto "a spasso per Roma" decisi di sostituire quello "a spasso per la stazione Tiburtina".

A sorpresa, una volta scesa dal treno, anche questo mio secondo piano si rivelò impraticabile.
La stazione Tiburtina è nuova, avveniristica e architettonicamente interessante. Ma anche e soprattutto VUOTA. Desolatamente, tristemente, irrimediabilmente vuota. Non c'è nulla. Nulla. Nulla. Neanche una panchina.
Gli unici luoghi degni di nota sono un chioschetto perennemente privo di acqua fredda e dei bagni esterni a gettone.

A proposito di questi ultimi vorrei rivolgermi direttamente a te.
Sì, dico proprio a te, geometra, architetto, ingegnere, visionario, imbecille che hai progettato i suddetti bagni, ascoltami con attenzione: queste roventi, soffocanti, disgustose ritirate pubbliche DEVONO avere almeno un gancio. Un gancio per appenderci qualcosa.
Cosa? Un cappotto, una sciarpa, una borsa.
Una borsa!
Io, donna, dove appoggio la mia immancabile marsupialica appendice mentre sono in altre faccende affaccendata?
Dove? Al collo sperando di non strozzarmi?
Oppure, secondo te, emerito minchione, dovrei metterla a terra?
A terra? In un bagno pubblico? Ma hai presente lo schifo che c'è in questi luoghi?
No? Ecco. Lo sospettavo.
Allora ti condanno a una settimana di scopettone e anitra WC in codesti cubicoli infernali e poi ne riparliamo.

Scusate la digressione.
Cosa stavo dicendo?
Ah sì! Nella stazione Tiburtina non c'è niente da fare o vedere, trascorrerci quattro ore sarebbe stato un incubo. Quindi, mettendo a rischio la mia preziosa vita ed il mio disidratabile corpicino, depositai il bagaglio e m'inoltrai nella calda, caotica, umida, tentacolare ma splendida Roma.

Continua...
Strajk! Strajk! Strajk!
Urliamo tutti a Danzica.
(1980)
Sono la più veloce al mondo. 
200 metri in 1’54”82.
Medaglia d'oro a Pechino. 
Sarò anche un poco antipatica, ma chi se ne frega?
(2008)
All'inizio doveva essere un festival di musica folk. Poi divenne un week end in fattoria. Infine, la mia vacanza  si trasformò in 5 giorni da trascorrere facendo di tutto un po'.

Fu per questo motivo che la comare Gra', nelle ore che precedettero la partenza, si premunì di darmi precise indicazioni su cosa mi sarei dovuta portare.
"Un golfino e una sciarpa, che qua di sera fa sempre fresco."
"Un costume da bagno, così andiamo in piscina indossando delle meravigliose cuffie a fiori tipo Ester Williams"
"Un vestito retrò, per fare un giro su alcune auto d'epoca"
"Un paio di stivali da cowboy, in modo da camminare con disinvoltura in mezzo alla cacca di mucca"
"Un abito da cerimonia, un cappello stile Ascot, un freesby, un frustino da cavallerizza, due trenini elettrici, un'antica anfora romana, 2 kg di farina, una caciotta, una foca ammaestrata, un orso bruno, due coccodrilli, un orangotango, due piccoli serpenti, un'aquila reale, il gatto, il topo, l'elefante, non manca più nessuno, solo non si vedono i due liocorni"

Io, indecisa se presentarmi in terra campana con un TIR o un gruppo di sherpa, optai per un minibagaglio riempito fino alla soglia di deflagrazione con lo stretto indispensabile. E qualcosa di più.
Sì al golfino. No agli stivali. Sì al costume. No all'anfora. Sì all'abito "estate caprese negli anni '60". No ai coccodrilli.

Trascinato il mio monolitico trolley fino a una deserta e surreale Porta Susa, mi accasciai sul sedile del treno per rialzarmi solo 4 ore dopo.
"Roma Tiburtina. Siamo in arrivo alla stazione di Roma Tiburtina", disse il train manager.
"Con 20 minuti di ritardo", aggiunsi io, la train passenger.
Train passenger che perse quindi la coincidenza con la "corriera" e si ritrovò a dover trascorrere 4 ore a Roma.
A fine luglio.
Dalle 11 alle 15.
Temperatura: 35° gradi.
Umidità: 90%.
Possibilità di sopravvivenza: "cheDiomelamandibuona".

Continua...
Un'esplosione. E poi un'altra.
Ci rifugiamo nel nono compartimento.
Siamo in 23.
Attendiamo soccorsi.

"Un saluto a tutti. Non dovete disperarvi"
(2000)
Ed è buio. Ed è luce.
(1999)
Inizio ad orbitare attorno a Venere.
Sono la sonda spaziale Magellano.
(1990)
Nel parco di  Knebworth davanti a 120.000 spettatori. Forse di più.
Per l'ultima volta.

"God Save our gracious Queen!
Long live our noble Queen,
God save the Queen!
Send her victorious, happy and glorious,
long to reign over us,
God save the Queen!
O Lord, our God, arise,
scatter her enemies,
and make them fall.
Confound their politics,
frustrate their knavish tricks,
on thee our hopes we fix,
God save us all.
Thy choicest gifts in store
on her be pleased to pour,
long may she reign!
May she defend our laws,
and ever give us cause
to sing with heart and voice,
God save the Queen!"
(1986)
Siamo in 20.000.
Un esercito.
Un esercito d'invasori.
Un esercito di disperati.
(1991)
Ammazzata nello studio dove lavoro.
Divento il giallo dell'estate.
Divento uno dei tanti misteri irrisolti.

Avrei preferito diventare vecchia.
(1990)
Delle volte si decide di prendere la propria vita e ribaltarla come un calzino. Dal dentro al fuori.
Così. Pop! Con un solo colpo.
Oppure. Sguisccc. Con una manovra più lunga ma altrettanto inevitabile.

Certe decisioni possono essere giuste o sbagliate. Sane o malate. Efficaci o deleterie. Ma sempre, sempre, sempre destabilizzanti.
Pochi mesi fa, nel bel mezzo di uno di questi momenti, nell'attimo preciso della perdita dell'equilibrio e dello slancio in avanti, decisi che avevo bisogno di piccoli progetti, utili programmi, segni sul calendario. Decisi che avevo bisogno di punti e virgole a cui aggrapparmi, date a cui tendere, appuntamenti da fissare in un mare di nuove opportunità. Un mare tanto grande. Troppo grande. Così grande da far quasi paura.

In bilico sulle punte dei piedi, zompettando felicemente terrorizzata tra scatoloni e futuro, decisi che sarei tornata ad Ariano Irpino. Luogo di leggerezza ed allegria l'estate scorsa. Nonché residenza di una delle mie storiche amiche berlinesi.

Gettai nei flutti il mio messaggio in bottiglia e attesi fiduciosa.
La risposta arrivò. Solerte. Pronta. Vivace. Solerte. Pronta. Accogliente.
Perché gli amici dell'Erasmus sono una razza speciale. Un dono. Una continua scoperta.
Perché ci si può allontanare e avvicinare. Ma l'elastico che tiene uniti è sempre saldo. E, invece di farsi più sottile e fragile col passare del tempo, ogni anno diventa più forte del precedente. Nonostante la vita che cambia e ci cambia. Nonostante le scelte diverse. Nonostante le puntate perse ed i silenzi. Nonostante.

A fine luglio, dunque, impacchettai mille cose in una valigia lilla. Chiusi la mia piccola nuova casa tra pennellate tenui e guizzi di sole. E, nel buio di una Torino ancora addormentata, partii.

Continua...
"Positivo".
(2012)
Crolla il tetto della miniera.
Siamo in 33 e siamo vivi.
(2010)
Dopo 44.724 giorni oggi, finalmente, mi riposo un po'.
(1997)
Vengo eletto Presidente.
Il sesto Presidente della grande Repubblica islamica dell'Iran.
(2005)
10:25
Si ferma tutto. Finisce tutto.

5 minuti dopo.
Riapro gli occhi. Sono a terra.
Dov'è Sonia?
Qualcuno ha visto Sonia?
(1980)
Accendo la televisione. Mi accomodo sul divano. Sistemo bene gli occhiali sul naso e la pipa leggermente stretta tra i denti.
Dall'apparecchio giunge improvviso un fracasso insopportabile.
Ohibò, ma che cos'è?
Un nuovo canale.
Un canale di sola musica assordante per ragazzetti nullafacenti.
Non avrà mai successo.
(1981)
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