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Mi alzo dal mio posto in mezzo al pubblico.
Nessuno mi nota.
In un attimo sono alle sue spalle e affondo la lama.

Lei urla.

Mi trascinano via. 

L'ho fatto per Steffi. Lo rifarei.
(1993)
Conoscete qualcuno più ossessionato di me dal prorpio passato Erasmus?
No, vero?
E quindi chi meglio di me può apprezzare un progetto come Erasmus 24_7?
Nessuno!

Ma cos'è questo Erasmus 24_7?
Un documentario che si sta realizzando proprio in questi giorni.
Un film che ha come scopo quello di raccontare le 24 ore di 7 studenti sparsi per l'Europa.
7 studenti in 7 città diverse. Istanbul, Valencia, Praga, Bordeaux, Berlino, Roma, Lisbona.

Questa idea è nata dalle fertili menti di due ragazzi italiani: Stefano De Marco e Niccolò Falsetti. E a loro si sono successivamente uniti Alessandro Grespan, Benjamin Maier e Lorenzo Schirru.
Un brillante quintetto che sta girando l'Europa filmando, importunando, stalkerando sette poveri studenti Erasmus.

E tra questi sette sapete chi c'è? Rita!!! 
Come Rita chi? Rita lei (sì, lo so che il nome è un altro ma, fidatevi, è lei)! 

Spesso mi leggono passati, presenti e futuri studenti Erasmus. Alcuni chiedono consigli, altri conforto, la maggiorparte semplicemente di farsi quattro risate con le mie avventure berlinesi.
Io e la giovanissima Rita (ha solo 20 anni!) siamo rimaste in contatto tramite facebook. Io l'ho seguita a distanza come una vecchia zia. Lei, nel frattempo, ha allungato di un altro semestre la permaneneza in terra germanica e, per non farsi mancare nulla, è diventata la protagonista berlinese di questo interessante documentario. 

Brava, Rita, sei l'orgoglio e l'invidia di Tante Pancrazia!

Aspettando le immagini berlinesi godiamoci il backstage di Valencia.

Erasmus 24_7 - Valencia [Behind the Scenes] from Zero on Vimeo.
Sono seduta in mezzo ai miei colleghi.
Votiamo.
Risultati.
"La Camera non concede l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'onorevole Craxi Bettino"

 (1993)
Guardo distrattamente la televisione.
Sono stravaccata sul divano. E ho i piedi sul tavolino del soggiorno.
Tra le mani un enorme sandwich. La mia cena.

La CBS annuncia uno scoop.
"Immagini impressionanti", dicono.
Inizia lo spettacolo. I nostri ragazzi torturano i prigionieri iracheni. Ridono. Si mettono in posa.

Mi è passata la fame.
(2004)
Oggi è iniziata la costruzione della Freedom Tower.
Spengo la televisione. Stacco il telefono. 
Scelgo di celebrare l'evento fissando la parete e bevendo un bicchiere di vino.
Sono sola. A casa nostra. A casa mia.
(2006)
E' notte. Sto allattando mio figlio.
Un boato.
Io sobbalzo. Lui piange.

Viviamo a Pryp'jat'.

(1986)
Sotto il caldo sole etiope, assisto alla restituzione dell'ultima parte dell'obelisco di Axum.
(2005)
Gli italiani si dividono tra Settentrionali e Meridionali. Continentali e Isolani. Montanari e Costieri.
Gli italiani si dividono in mille modi diversi.
Noi e Voi.
Voi e Noi.

Chi siamo noi?
Chi siete voi?

Noi siamo quelli che non vivono nella terra dove sono nati, cresciuti e morti i propri antenati.
Noi siamo figli di siciliani, calabresi, pugliesi, sardi, veneti. Ma non stiamo in Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna, Veneto.

Noi siamo quelli che quando ci chiedono "Di dove sei?", rispondono "Di..., ma i miei genitori vengono da..."

Io sono di Torino ma i miei genitori vengono dalla Sicilia. Da Palermo. Dalla provincia di Palermo. Da Lercara Friddi.


Io sono quella a cui c'è sempre qualche piemontese che si premunisce di far notare "Tu sei nata qua, ma non sei piemontese."
Io sono quella a cui c'è sempre qualche siciliano che si premunisce di far notare "I tuoi genitori sono siciliani, ma tu no."

Io non lo so di dove sono.
Sono di Torino. Certamente.
Sono anche di Berlino. Per scelta, storia personale e naturale predisposizione.
Sono di Ajaccio col pensiero e di Atrani con i sogni.
Sono di Venere e pure un poco di Saturno.

Io sono della mia famiglia.
Appartengo ai timpuluna di nonna e ai cannoli di zia.
Al tivio. Alla cuccia.
Ai regali del 24 dicembre. Ai ricordi della festa di Costantinopoli.

Io non so cosa si provi a vivere nella stessa terra calpestata dai propri antenati.
Io non sono una quercia con profonde radici.
Io sono una pianta d'appartamento.
Ho il mio vaso. La mia terra.
Ma non fatevi ingannare, non sono una piantina delicata. Posso stare al sole oppure all'ombra. Vicino alla finestra o accanto a una porta. In montagna o in pianura.
Delle volte m'ingiallisco e perdo le foglie. Ma, a quel punto, basta travasarmi e acquisto nuova vita.

Io non ho le radici di un albero secolare ma i miei rami puntano in alto e sono carichi di gemme.

Io sono di Torino. Berlino. Ajaccio. Atrani. Venere. Saturno.
Io sono di questi luoghi e di tutti quelli di cui deciderò di essere.
E sì, sono anche di Lercara. Magari non sono siciliana. Ma sono di Lercara. Là c'è l'inizio della mia storia. Là c'è mio nonno. Là, prima o poi, ci sarò di nuovo anch'io.
E, potrete scommetterci, quel giorno qualche vecchietto si avvicinerà per dirmi: "Una Cole, vero? Si 'na stampa e 'na figura con tuo padre!"
Non ho bisogno di radici profonde. Chi sono e da dove vengo ce l'ho scritto in faccia.
A Houston siamo tutti con il naso all'insù.
Il lancio è perfettamente riuscito.
Il telescopio spaziale Hubble è in orbita.

(1990)
Sono al volante di una Fulvia Blu.
Alle 22:45 mi fermo in via Bertola, davanti alla sede de La Stampa.
Scendo e accendo la miccia.

Boom!

Si rompe solo la vetrina. Peccato. Scappo.
(1977)
Aveva passato anni credendosi un perdente.
Aveva sprecato una vita intera.
Era un perdente.
Io e i miei compagni scendiamo in piazza. Piazza Tien'anmen.
(1989)


Sono un soldato serbo e bombardo l'ospedale di Gorazde.

Così mi hanno detto di fare.
Così faccio.

(1994)
E io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete.
Quella dove uno va dallo psichiatra e dice: "Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina", e il dottore gli dice: "perché non lo interna?", e quello risponde: "e poi a me le uova chi me le fa?".

Be', credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi.
Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.

(Citazione tratta da "Io e Annie")
Le luci si spengono ed inizia la proiezione.
Assisto alla prima mondiale di "Io e Annie".

Woody Allen è seduto due file davanti a me.

(1977)
Delle volte mi capita di leggere un racconto e pensare: "questo avrei voluto scriverlo io"
Delle volte mi capita di vedere un film e pensare: "una storia così avrei voluto che fosse venuta in mente a me"
Delle volte mi capita di ascoltare una canzone e pensare: "vorrei anch'io essere in grado di creare un testo così"

Quando mi sono imbattuta per la prima volta in "Maddalena" di Alessandro Mannarino ho pensato: "Questo avrei voluto scriverlo io. Avrei voluto che una storia così fosse venuta in mente a me. Vorrei essere in grado, un giorno, di creare un testo così"

Più forte dell'inadeguatezza, più importante della consapevole inferiorità, la meraviglia per la creazione altrui può farti credere in un mondo migliore, in un'umanità più degna o, semplicemente, nell'arrivo della primavera.


Maddalena
Gli presero la casa ed il giardino
In nome della grande santità
E Giuda prese a fare a nascondino
Con lo specchio e con la dignità

Poi venne Dio che tutto da e tutto toglie
Chiamò un taxi e ci mise su la moglie
E Giuda andò a morire nella notte
Per il vino, per le donne e per le botte

Lo raccolse per la giacca Maddalena
Che viveva alle baracche allo sfacelo
In mezzo a una comune di ubriaconi
Che credevano in un regno su nel cielo

E fu amore e fu rivoluzione
Discorsi sulla strada e vita piena
Ma Giuda amava più d'ogni sermone
Le urla dolci della Maddalena

Il fattaccio poi successe in una sera
Giuda fu preso e messo alla galera
Gesù Cristo era scappato fra la gente
E Giuda disse di non sapere niente

Ma quando vide Maddalena in parlatorio
che stava male e aveva perso un dente
"Ispettore", disse, "è stato Gesù Cristo
A portare tutto l'oppio dall'Oriente"

E ritornò dal suo amore col bottino
Trenta denari per sette amari, grazie un marsala
Per poi vedere scritta doppia al botteghino
L'insegna di una grande multisala

Diceva: "Gesù Santo alla stazione
Un nuovo film davvero commovente
Con un cast del tutto eccezionale
C'è pure Dio, l'immenso onnipotente"

Il cinema è un buio di persone
I grandi divi sono stelle da ammirare
E nessuno vide giù fra le poltrone
Che quei due cominciavano a scopare

"Maddalena, io ti amo tanto
lui voleva il cielo e io voglio stare qua
Lo uccidessero, va bene tanto al tempo
Ha detto a tutti che poi risorgerà

Ma il paradiso mio sta solo nei tuoi fianchi
Seni dolci per occhi stanchi
Bocca rossa di caramella
Questa vita sulla terra è così bella"

Dallo schermo Dio li vide e alzò la voce
"Io ti fulmino, Giuda l'Iscariota,
Mio figlio sta morendo sulla croce
Per colpa di un mortale così idiota"

Maddalena allora s'alzò e urlò con tutto il cuore
"Dio non mi fai paura
Tu che hai fatto un figlio senza far l'amore
Che vuoi capirci di questa fregatura?

Lascia stare Giuda e guarda altrove
Ecco, guarda la mia scollatura
E io mi guarderò dalla tua invidia
Perchè Dio non gode come una creatura"

Dio scappò nel cielo e nella furia
Mise su un grandissimo cantiere
Per costruire una potente curia
Che potesse Maddalena far tacere

Giuda e Maddalena stanno insieme
E girano nascosti fra la gente
E vanno al fiume a far l'amore
Su una barchetta che va controcorrente

Salgo le scale.
Attraverso l'ingresso.
Passo il metal detector.
Finalmente mi siedo sulla mia poltrona blu.

Dieci anni fa brindavo arrampicata sul muro.
Oggi sono uno dei  parlamentari tedeschi e partecipo alla prima seduta plenaria nel rinato Reichstag di Berlino.

(1999)
Ci chiamano per un intervento.
"Una perdita d'acqua in via Gradoli 96, interno 11, secondo piano", dicono.
Io sono la prima ad entrare.

Dentro c'è di tutto.

(1978)
Sono stata a Bologna.
"Capirai che notiziona", starete dicendo voi. "E' un mese che vai avanti con questa storia!"
Embè? Questo è indice di quanto io poco viaggi e, soprattutto, di quanto più dovrei farlo. E voi non siete affatto carini a farmelo notare.

Ma ora vi prego di darmi retta, perché la cosa potrebbe farsi interessante.
Sono stata a Bologna.
Non ero mai stata a Bologna.
In realtà ho frequentato poco l'Emilia tutta.
Però ho una lunga tradizione di vacanze romagnole. A tal proposito vi potrei raccontare di quella volta che mi persi tra i mille ombrelloni tutti uguali di Rivazzurra, oppure del mio amore incondizionato per i passatelli, o ancora di quando, a sedici anni, venni avvicinata dall'aiuto bagnino che, trattenendo il fiato per rendere più scolpiti addominali e pettorali, mi chiese:
"Che leggi di bello? Un romanzo d'amore?"
"No, Apologia della Storia di Bloch"
"Ah"

Ma, ne converrete con me, se vi parlassi di tutto questo uscirei fuori tema e anche fuori strada.

Oggi voglio parlarvi del mio fine settimana a Bologna.
Ma non del fatto che a Bologna ci siano i portici, le librerie e le botteghe. Perché tutta questa roba ce l'abbiamo anche a Torino.
E neanche dello spettacolo teatrale di mia cugina. La quale è stata bravissima, mi ha reso molto orgogliosa, e ha confermato la mia certezza che nel sangue della nostra famiglia scorra talento puro, anzi purissimo, ad ettolitri.
E neppure del locale/bettola/antrodell'inferno in cui sono stata trascinata la prima sera. Luogo ameno grazie al quale ho capito che Stefano Benni sarà pure uno scrittore eccezionale ma, a vivere in una città con certi luoghi e certi personaggi, non serve mica tanta fantasia per inventarsi racconti assurdi e surreali.

Io oggi voglio parlarvi del Mambo.
No, non il ballo.
Il Mambo, il museo d'arte moderna di Bologna.
Ci sono finita quasi per caso, alla ricerca della collezione di Giorgio Morandi. Il pittore bolognese famoso soprattutto per le nature morte. L'uomo che trascorse gran parte della propria vita a dipingere chiuso nella sua stanzetta, come se tutto il talento racchiuso dentro di sé non avesse quasi bisogno di arricchirsi, confrontarsi e nutrirsi del mondo esterno. L'uomo mite e gentile che visse per rappresentare la luce, e la luce soltanto.

Prima di perdermi tra le numerose opere di Morandi sono però passata in mezzo alla collezione permanente del museo. E lì mi sono innamorata. Sono stata stregata. Mi sono commossa. Ed esaltata.

Tutto.
Mi è piaciuto tutto.
Ma, più di ogni altra cosa, mi ha rapita: "Sono stata io. Diario 1900 - 1999".
Un'opera di Daniela Comani.

Un'enorme tela dove sono descritti 366 momenti dello scorso secolo. Uno per ogni giorno dell'anno.
Un anno virtuale. Una lunga sequenza di eventi raccontata in prima persona, come se l'artista fosse stata testimone diretta di cento anni di storia. Vittima o carnefice. Spettatrice o protagonista. Individuo.
Cronaca. Politica. Arte. Spettacolo.
Daniela Comani scrive tutto. E legge tutto. Perché quest'opera, oltre ad essere guardata, può anche essere ascoltata. Attraverso la voce della stessa autrice che legge in ordine i 366 giorni.

L'arte contemporanea che diventa letteratura. Un racconto. Una vita.
Storia, arte, romanzo, emozione: tutto assieme.

Ne sono rimasta così colpita da decidere di portare avanti un progetto simile anche su questo blog.
Da domani comincerò il mio diario. Racconterò anch'io la mia storia. Quella del mio mondo e del mio tempo. 365 piccoli post. 365 momenti che potranno andare, in rigoroso disordine cronologico, dal 9 gennaio 1977 al 17 aprile 2014.

"Perché?", vi starete chiedendo.
Non saprei darvi una risposta. Forse solo perché ne sento il bisogno. Istintivo. Irrazionale. Genuino.

Non temete, miei più abitudinari lettori, questo progetto non interferirà con l'andamento del blog come lo avete conosciuto finora, ma lo accompagnerà e, spero, arricchirà.

Per oggi vi ho detto tutto.
Ci ritroviamo domani.
"ZAC", dissero le forbici tagliando i ponti.
Ed eccomi di nuovo qui con l'imperdibile rubrica dedicata ai piccoli tesori scovati Nella Rete.
Rubrica che, com'è nel mio inconfondibile stile, ripropongo in maniera casuale e disordinata, praticamente alla "membro di segugio".
Del resto, non vi aspetterete mica di trovare un appuntamento fisso e coerente su queste pagine?
Ma per chi mi avete presa?

Fatta questa dovuta premessa, passo alla ciccia, al ripieno, al cuore di questo post. Ossia: al protagonista scovato nel web.
Questa volta si tratta di Giuliano Dottori, un cantautore italiano, nato a Montreal.
Chitarrista e anche produttore, potete ascoltare la sua musica qui, qui e anche qui.
Ma pure qui.

Insomma, Giuliano è uno che la rete la usa e la sa usare, e quindi in questa rubrica ci sta a pennello.
E, il suddetto artista, da amante e fruitore del web, si è anche inventato una bella iniziativa per realizzare il suo prossimo video.
Come scrive lui stesso...


Prima di correre alla finestra per dare il vostro piccolo contributo a questa bella idea, fermatevi ancora un attimo qua ad ascoltare ciò che ho scelto per voi...




NdA: se avete iniziative, vostre o di chiunque altro, da segnalarmi scrivete pure a janecole@live.it
Lei finalmente cacciò fuori le lacrime.
Queste andarono a dormire sotto un ponte.
Domani partirò per visitare una città che ancora non conosco, e per andare a vedere uno spettacolo teatrale di cui vi ho già parlato.
La città è Bologna. Lo spettacolo è la versione riveduta e corretta di Romeo & Giulietta, in scena sabato alle 21, al teatro Centofiori, in via Gorky 16.


Per salutarvi e augurarvi, in anticipo, un buon week end vi lascio un racconto.
Un racconto che non è stato scelto a caso, ma ripescato tra i miei appunti proprio per l'occasione.
Si tratta della mia personale versione del prologo di una commedia famosissima.

Commedia padovana scritta dalle medesime mani che composero la tragedia dei due amanti veronesi.
Che vi devo dire? Al bardo gli garbava assai il Veneto!

Prologo
Quando Donna Lucrezia scoprì di portare in grembo una nuova vita gli occhi le si riempirono di lacrime, il viso di gioia e il cuore di speranza. Sognò una figlia dalla pelle candida e i lineamenti delicati, una creaturina docile da accudire e proteggere.

Quando il Cavalier Battista scoprì che presto sarebbe diventato padre il petto gli si riempì d'orgoglio, il sorriso di denti e la testa di progetti. Immaginò un figlio forte e vigoroso, un erede a cui trasmettere ricchezze e doveri, conoscenze e privilegi.

Ma, purtroppo, fu subito evidente che quella non sarebbe stata una gravidanza lieve.
Infatti, più Donna Lucrezia si gonfiava più l'umore d'Ella peggiorava.
Ogni giorno veniva torturata dalle voglie più strane: fragole con aringhe in salsa di soya, straccetti di Gnù con contorno di polenta nera, biscotti bagnati nella grappa e sbriciolati sopra un cosciotto di Caribù.
Ogni notte veniva tormentata dagli incubi più angosciosi: percepiva il calore soffocante delle fiamme dell'inferno, sentiva le urla disperate dei dannati, e tremava per lo stridere di mille unghie sulla lavagna.

Il povero Battista, che tanto amava la propria consorte, le rimase accanto soffrendo con lei, cercando di confortarla e di alleviarne il disagio. Assunse tre cuoche, e sperperò una fortuna per trovare in giro per il mondo gli astrusi ingredienti e sapori che la sua Madonna desiderava. Ed ogni notte, durante l'infinita attesa, le rimase vicino, vegliandola quando vegliava, o cullandola quando si ridestava in lacrime da uno dei numerosi incubi.

Entrambi i coniugi giunsero al momento del parto con profonde occhiaie, molto sonno arretrato, ed il principio di un esaurimento nervoso.
Eppure il peggio doveva ancora arrivare.

Caterina venne al mondo una notte senza luna, in cui il vento gelido s'infilava all'interno delle mura della villa, e una pioggia scrosciante spazzava il cortile.
Caterina iniziò la sua vita abbaiando come un cane rabbioso, con il viso rosso di collera ed i piccoli pugni stretti e pronti a colpire.

Quando Battista si avvicinò per osservarla, la piccolina tacque, aprì gli occhi ed osservò i genitori con lo sguardo profondo di un adulto, il cipiglio di un condottiero, ed un sorriso beffardo che non prometteva niente di buono.
Lucrezia ne fu talmente impressionata da venir meno. Il Cavalier Battista, uomo tutto d'un pezzo, finse noncuranza e prese a cullare nervosamente la strana creatura che il Signore, o Chi per esso, gli aveva mandato.

La piccola Caterina crebbe sana, forte, bella e prepotente. Regina e terrore di tutta la casa.
I suoi non erano i semplici capricci di una bimba ma gli ordini di un inflessibile generale.
I suoi non erano gli sbalzi d'umore di un intrattabile adolescente ma gli squilibri incontrollati di una sociopatica.

La povera Bianca, venuta al mondo pochi anni dopo la sorella, trascorse l'infanzia e la giovinezza tra paura e vessazioni, ridotta a schiava e vittima prediletta.
I servi lasciarono il palazzo a frotte. Tutti i precettori si licenziarono dopo la prima lezione.
Il prete svuotò l'acquasantiera cercando di chetare Caterina, ma neanche questo parve funzionare. La bambina, che in quell'occasione aveva solo 8 anni, bagnata come un pulcino, tentò di dar fuoco alla tonaca del parroco, urlando sconcezze che avrebbero fatto arrossire anche il più navigato dei marinai.

Caterina cresceva e la sua famiglia sperava che qualche pretendente se la portasse finalmente via. Lontano.
Ma neanche la sua indubbia bellezza e l'abbondante dote bastavano a far dimenticare l'animo da demonio.
Ogni corteggiamento si concludeva con feriti, o quasi.
Claudio, un signorotto di Verona, riportò solo qualche piccola bruciatura ed un grande spavento.
Astolfo, un lanciere di Venezia, perse due dita della mano sinistra e dieci anni di vita dalla paura.
Pancrazio, un mercante giunto addirittura dalla nebbiosa Mediolanum, se ne tornò di corsa a casa, lasciando dietro a sé la lunga chioma corvina e gran parte della propria dignità.

Caterina riuscì a far scappare tutti.
Tutti tranne Petruccio.

Perché, per domare un diavolo, ce ne vuole un altro, meno selvaggio ma più spietato.

To be continued...
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