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Mi dimetto e il mio successore mi garantisce l'immunitità.
 жить Россия
 да здравствует демократия
(1999)
Per tutto dicembre Facebook ci ha invitato a guardare il Nostro 2013. Una selezione dei post più importanti dell'anno.
Non so come questi eventi siano stati scelti. Dal numero di "mi piace", la quantità di commenti, il caso, i capricci di Mark Zuckerberg, l'allineamento dei pianeti, lo strega comanda color, l'intramontabile membro di segugio, o chissà che altro. Quale che sia stato il metodo adottato, il "Mio 2013" secondo Facebook è una mezza schifezza. Pochi episodi davvero fondamentali in mezzo ad una serie di epiche fesserie.

Quindi, plagiando ispirandomi all'idea di base, ho deciso di migrare sul blog e scrivere un post su misura, per raccontare, festeggiare e ricordare il mio ultimo anno.
Perché, a ben vedere, il 2013 per me è stata un'ottima annata e, alla faccia della scaramanzia, voglio celebrarla adeguatamente. Ciò non vuol dire che io non abbia avuto delusioni, momenti difficili, litigi, rabbia, tristezza, conto in banca depresso, cuore a pezzi, o incontri infelici. Ma ciò significa che, al netto delle perdite, quest'anno è stato decisamente in crescita. Ricco di esperienze, rapporti che si sono consolidati, nuovi occhi sorridenti a cui voler bene, scelte difficili finalmente prese, vecchi amici ritrovati, viaggi, abbracci, chiacchiere e risate.

Ma bando alle ciance, ormai il 2013 è agli sgoccioli, è giunto il tempo che ve lo racconti:

"Delle volte si prende la propria vita e la si ribalta come un calzino. Dal dentro al fuori. Così. Pop! Con un solo colpo."
E' l'ora della decisione. Taglio i ponti e, finalmente, comincio a costruirne di nuovi. A modo mio.

Riprendo a viaggiare. Inizio con Bologna dove m'immergo nella magia del teatro e rimango folgorata dal Mambo.


Dopo un'ingiustificata infinità di tempo torno a Berlino. Lo faccio con l'unica persona possibile. Lo faccio col mio migliore amico. Mi scrollo dalle spalle la pesantezza di anni non miei. Rido, bevo, cammino, litigo, conosco, riconosco, dormo poco, mi guardo allo specchio.
Eccomi.


Più di un mese per un trasloco. Ma, finalmente, il primo luglio mi risveglio nella nuova casa. Un pezzo alla volta, un giorno in fila all'altro, comincio a stiracchiarmi, allungarmi, distendermi. Prendo possesso di ogni angolo e trovo la mia dimensione.


Mi ritaglio una vacanza sugli Appennini. Più che dei luoghi m'innamoro delle persone. Al mio ritorno, a chi mi chiede come mi sia trovata, rispondo "Me li sarei portati tutti in valigia qui con me".

A Lucca ritiro un premio, scopro una città, e conosco volti che spero mi accompagneranno per sempre.
Gli stessi volti a cui, un mese dopo, posso mostrare la mia Torino. Bella come non la ricordavo. Bella come non l'avevo mai conosciuta.


Tra i progetti per l'autunno appunto un viaggio a Milano e un giorno al Torino Film Festival. Mesi dopo, tramite percorsi inaspettati e imprevedibili, entrambi gli obiettivi vengono centrati.

Nell'ultimo stralcio dell'anno faccio in tempo a consolidare un'amicizia ancora nuova, insegnare un po' di leggerezza a un vecchio amico solitamente dedito al lamento compulsivo, e stordirmi di chiacchiere con uno nuovo di zecca che sprizza luce ed energia dalla sua Verona.

Ora mi aspetta il 2014.
Con tanto lavoro da fare. Qualche progetto da intraprendere. Il francese da imparare. Chilometri da percorrere. Vecchie e nuove conoscenze da accogliere.

Chi di voi vorrà accompagnarmi in questo nuovo viaggio sarà il benvenuto.
Dopo una vita lunga e piena. Dopo aver portato lustro alla mia terra. Dopo tante lotte e soddisfazioni. Oggi, alla ragguardevole età di 103 anni, se non vi dispiace, io me ne andrei. 
(2012)
 Muoio oggi e con me muore l'Akkala Sami.
(2003)
Dov'ero rimasta?
Ah, sì: Simona.
Una nuova amica di SuperGra'.
Si conoscevano da poco, ma si erano immediatamente scoperte come due gemelle separate alla nascita. 
Un'esplosione di energia elevata al quadrato.

Loro brillavano tipo bombe all'idrogeno.
L'IncredibileAntonio ed io cercavamo riparo, buttandoci a terra e strisciando col passo del giaguaro.
Loro esibivano un'abilità nelle pubbliche relazioni che manco due ambasciatori!
Io, respingente quanto un grizzly con un'unghia incarnita, le guardavo ammirata, e prendevo appunti per il futuro e la mia nuova Me (che poi sarebbe l'attuale Me, ma questa è un'altra storia!).

A unire le due, oltre l'esuberante indole e la capacità di parlare senza mai prendere fiato, vi era la fotografia. Passione antica di Simona e molto più recente di Gra'. Passione che, in realtà, univa anche WonderVivì e BatDoriana.

In quei giorni vidi scattare centinaia, anzi migliaia, di foto mentre io, munita di solo cellulare, immortalavo improbabili, sbilenche, sfocate immagini che ancora esibisco orgogliosa nel mio profilo instagram. Tra questi scatti, i più numerosi raccontano la giornata agreste della mia vacanza, il motivo fondamentale per cui ero partita: il Regio Tratturo & Friends.

"Il Regio che?" vi starete chiedendo.
Ora ve lo spiego.
Un evento che si ripete tutte le estati. Una festa. Un fine settimana in campagna.
L'occasione per cui numerose genti di diverse nazionalità raggiungono una sperduta fattoria irpina, portandosi appresso buona volontà e ottuso entusiasmo urbano. E rendendosi protagonisti di un raduno di cittadini alle prese con la bellezza dei sapori semplici, il sano sudore del lavoro nei campi, e la fetenzia della puzza di concime.

Muniti di macchina fotografica (i miei compagni d'avventura) e di  tanta buona volontà (io) quel sabato mattina ci avviammo per la nostra bucolica esperienza. 

Orario di partenza: all'alba. Quasi. Insomma. Più o meno. Forse più che meno.
Prima sosta: raduno di tutta la compagnia.
Seconda sosta: ultimi acquisti pre-scampagnata.
Terza sosta: colazione al bar.
Quarta sosta: smistamento nelle diverse macchine.
Quinta sosta: attesa inutile nel parcheggio.
Sesta sosta: "Ma guarda, toh chi c'è, andiamolo a salutare"
Settima sosta: non me la ricordo ma ci deve essere stata per forza.
Arrivo in fattoria: ore 11. Più o meno. Forse più che meno.

"Dove sono le mucche da mungere?" esclamammo, gioiosi e fastidiosi, appena varcato il campestre confine.
"A quest'ora? Ma siete matti? Volevate vederle esplodere, povere bestie?" 
"Sì. No. Cioè. Che facciamo adesso?"
"Prima d'ogni altra cosa indossate il cappello villico d'ordinanza"  

E io così feci. 
E non me lo tolsi per le successive 10 ore.
E me lo portai anche a Torino.
E da allora troneggia a casa mia.
(Ma anche questa è un'altra storia!)


 

Comunque, non avendo potuto applicarci alla mungitura delle mucche, passammo direttamente alla preparazione del formaggio.


 

Continua...
Cominciamo a protestare.
La primavera araba passa anche per l'Algeria.
(2010)
Trovo il corpo senza vita nella sua capanna.
C'è sangue ovunque.
L'hanno uccisa come una bestia.
L'hanno uccisa come un gorilla. Uno dei suoi amati gorilla.
(1985)
La terra trema.
Le acque si ritirano.
Assisto alla fine del mondo. Non sopravvivo per raccontarlo.

(2004)
Li abbiamo giustiziati con più di 100 colpi di Kalashnikov.
Abbiamo risparmiato la faccia di lui: il mondo lo deve riconoscere.
Quella di lei no, non serve.
(1989)
E' giunto il momento: invadiamo l'Afghanistan.
(1979)
Nasco oggi.
Sono un diario. Una rivista. Un sito. Uno sfogo. Un palco da cui parlare. Un pulpito da cui predicare.
Sono un blog. Il Blog.
(1997)
"I do", dice Woody.
"I do", rispondo io.
Lui mi sposa.
Lui mi ama.
Il mondo inorridisce ma ci perdona. Ai registi si perdona tutto.
(1997)
Sono a Lockerbie, in Scozia.
Sento un gran fragore.
Guardo in alto.
Poi, più nulla.
(1988)
"Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l'amico che ti delude."
Oggi muoio.
Finalmente.
Sono Piergiorgio Welby.
(2006)
S'inizia a scavare.
Prossima stazione monte Grappa.
Next station monte Grappa.
(2000)
Il pubblico si accalca dietro le transenne.
I fotografi litigano per un posto in prima fila.
Le limousine giungono cariche dei protagonisti dell'evento.

Lucio si presenta strizzato in una giacca di pelle che ne evidenzia la notevole fisicata.
Santa Cecilia si commuove di fronte a un successo sì grande e sì inaspettato.
Eustacchia, come ogni Miss che si rispetti, dichiara di "amare i cuccioli" e di "detestare la falsità". E, nel suo caso, sta tragicamente dicendo il vero.
La Diavolessa schiocca la coda, sensualmente abbarbicata sopra un paio di Louboutin di pelle umana.
E il Grande Capo?
Il Grande Capo si limita ad essere presente all'evento, procurandosi copertine e titoli di giornale. "Lui C'è", si leggerà domani in edicola e nel web.

Non manca nessuno. Un po' in disparte, oscurati dallo splendore dei protagonisti, sono presenti persino: Jane Pancrazia Cole, autrice del racconto; Andrea Rotolo, ideatore, doppiatore e rumorista del video; e Alex Rakugakichan, abilissimo disegnatore.

Mettetevi comodi, che si spengano le luci e inizi lo spettacolo.
Buona visione a tutti.

Probabilmente la conoscete già. Io l'ho scoperta un paio di mesi fa, e me ne sono perdutamente innamorata.
Humans of New York, per gli amici HONY, la pagina facebook dove il fotografo Brandon Stanton raccoglie un incredibile campionario di umanità newyorkese.

Uno scatto e una frase. Questo straordinario blogger-fotografo entra in contatto con le persone, parla loro, le fa raccontare e poi le fotografa. Il risultato è unico: tante facce e tante storie. Un imperdibile caleidoscopio di normalità e follia, disagio e gioia, vita e morte.
Brandon racconta New York attraverso i personaggi e le persone.
Stanton lascia che la città gli si racconti attraverso piccoli aneddoti o grandi imprese.

Una pagina che ha più di due milioni di affezionati. E se voi non siete tra questi, vi consiglio di rimediare al più presto.

https://www.facebook.com/humansofnewyork?fref=ts

Ho compiuto un viaggio lungo 35.000 anni.
Sono una zanna d'avorio.
Sono un flauto.
Sono lo strumento musicale più antico mai trovato.
Sono la meraviglia dell'evoluzione di una specie.
Sono l'ennesima dimostrazione dell'innata necessità dell'arte.
(2004)
"Ma perché sono tutti gialli?"
"Sarà colpa del televisore"

Jingle Bells, Batman smells, Robin laid an egg. Batmobile broke its wheel, the Joker got awa-augh!
(1989)
Marcello Conte, del blog Condividendomi, ama raccontare le storie di alcuni personaggi secondari.
Quali? Coloro che nei film, e non solo, fanno ingiustamente una brutta fine. Vengono eliminati, uccisi, trucidati, senza che lo svolgersi della trama lo necessiti realmente.
Vittime superflue a cui il blogger romano regala una meritata ribalta.

Qualche giorno fa è stata la volta di Joseph da Terminator e, prima di lui, di Agnés da The Bourne Identity.

Viene in mente anche a voi qualche personaggio dall'ingrato destino? Se sì, perché non passate da Marcello e glielo segnalate?
Tutti hanno diritto a una storia!

"I film in 3D non mi piacciono"
"Questo ti piacerà: sarà un'esperienza mistica. Troverai la via. Troverai Pandora"
"Non andrò mai più al cinema con un nerd!"
(2009)
Iniziarono i lavori quando stavo ancora sul seggiolone.
Ora, insieme a mamma e papà, salgo finalmente sulla torre.
(2001)
In passato fu fuoco e distruzione.
Ma ora torna "com'era, dov'era".
Si riaprono le porte.
Si rialza il sipario.
Il Gran Teatro La Fenice risuona di antica musica.
(2003)
Vengo eletto nuovo Segretario Generale delle Nazioni Unite.
(1996)
Apple Goes Public.
(1980)
Notti in bianco. Litri di caffé. Trattative e compromessi.
Redigiamo il Protocollo di Kyoto.
(1997)
Tempo fa vi parlai di Camilla e del suo Wor(l)ds. Un progetto sviluppatosi tra la fine di settembre e la fine di novembre.
La blogger milanese ha proposto ogni settimana Kit ricchi di materiali, spunti e suggestioni. Kit da cui partire e lasciarsi ispirare per produrre componimenti di qualsiasi forma o genere. Racconti che, però, non superassero i 900 caratteri. Tanti o tantissimi. Pochi o pochissimi. Comunque sufficienti per narrare una storia e delineare un mondo.

Ci sono stati 10 kit e 10 Pidieffoni (qua potete trovare l'ultimo) in cui Camilla ha raccolto tutto il materiale che le è pervenuto.

Io, facendo lo slalom tra impegni e scadenze, sono riuscita a produrre un solo componimento, in occasione del quinto Kit. In quel caso la facciona di John Lennon mi è stata di grande ispirazione e da questa è nato un piccolo racconto.
A voi.

"Il post-it sullo specchio del bagno mi ricorda cosa devo fare oggi. L’ho attaccato io stesso. Ultimamente sono così distratto. È colpa delle voci. Tutte quelle voci nella mia testa. Vorrei solo che la piantassero. Che mi lasciassero in pace per un po’.

Vorrei poter metterle in una cassetta di latta, chiudere il lucchetto, e seppellirle nella terra morbida e scura. Proprio come ho fatto con Pit, il mio criceto. Quando avevo 11 anni.
Era un animale cattivo, Pit. Se l’è meritato.

Prima di andare all’appuntamento infilo quella buffa foto in una tasca.
In realtà non mi serve. Conosco bene la sua faccia, ma voglio essere comunque sicuro. Sicuro di colpire la persona giusta.

E infatti la colpisco. Lo colpisco. Cinque volte.

E le voci, finalmente, tacciono.
Seppellite nella terra morbida e scura. Insieme a John Lennon."
"La scoperta del Ngf (Nerve Growth Factor) all'inizio degli anni '50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza, i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo"
Con questa motivazione consegno il Premio Nobel per la medicina a Rita Levi Montalcini.
(1986)
Dopo il pranzo andammo in visita dalla mamma de L'IncredibileAntonio.
Una signora elegante e gentile in un modo tutto campano e nobile. Un modo sfarzoso ma semplice, raffinato ma accogliente, formale ma caloroso.
Ella ci parlò con uguale amore sia dell'adorabile e talentuoso figlio unico. L'IncredibileAntonio, appunto. Dotato, a quanto pare, oltre che dei superpoteri anche del dono della scrittura e del disegno. Sia della bella e vivace nuora. L'amica mia SuperGra'. Intelligente e piena di passione.
Che dire? A sentire una tale signora decantare in maniera tanto partigiana quanto equilibrata il frutto del proprio ventre e la di lui moglie verrebbe quasi voglia di farsi adottare. Perché i complimenti e l'orgoglio bisogna anche saperli esibire, soprattutto quando non derivano dal cieco amore materno, ma dall'entusiasta consapevolezza che la propria prole è finalmente felice e appagata, come da tempo avrebbe meritato.

Il resto della giornata lo trascorremmo cercando di evitare il mal tempo, che rovesciava secchiate d'acqua appena provavamo a mettere piede fuori casa.
Alla fine ci ritrovammo tutti a cena da Antonio&Gra' che, in coppia, perdono i propri appellativi da supereroi per dare meno nell'occhio e migliorare la fluidità della lettura.
Gli eventi che spiccarono in quelle ore consistettero nello scoprire cosa fosse un rustico, litigare con dei molesti orsetti gommosi, e conoscere Simona.

Ero in terra irpina da poco tempo ma già l'avevo sentito nominare più e più volte:
"Io col rustico ci faccio colazione, sarà un poco pesante ma vuoi mettere la soddisfazione?"
"Io col rustico c'ho salvato il mio matrimonio"
"Io col rustico ci faccio all'ammmore".
E così, quando iniziarono i preparativi della cena, mi precipitai in cucina pronta ad immortalare la preparazione del suddetto rustico, a carpirne tutti i segreti, a scoprirne l'essenza più intima.

Voi lo sapete cos'è un rustico?
Sì? Bene.
No? Ve lo spiego io.

Prendete della pasta sfoglia metteteci dentro quello che trovate nel frigo (mozzarelle, pomodori, zucchine) chiudete e schiaffate tutto in forno. Il rustico non è altro che una torta salata molto rapida, semplice e gustosa.
Ovviamente, echevelodicoafare, questa sana abitudine nonché sfiziosa ricetta è stata importata, con i dovuti onori, fin qui in terra sabauda. E regna felice tra le anguste quattro mura della mia minicucina.

Dopo cena cercammo un po' di sollievo dal caldo umido scappando sul terrazzino.
Lì, noi ospiti inconsapevoli, pestammo cose morbide e appiccicose, ci sedemmo su cose morbide e appiccicose, c'imbrattammo le mani con cose morbide e appiccicose.
"Oddio che schifo!"
"Ma che roba è?"
"Accendi la luce che non capisco"
Orsetti gommosi. Orsetti gommosi in ogni dove. Un'invasione di orsetti gommosi.

Io lo so che le possibilità che la vicina del piano di sopra dei miei amici legga Radio Cole sono molto scarse, ma ritengo mio dovere morale provarci comunque. Scelgo di fare un uso privatistico del mio blog. Ed essendo il suddetto un sito di carattere prettamente personale, l'uso privatistico ci sta eccome!

"Egregia vicina del piano di sopra,
no, non dico a lei, torinese 93enne che mi riempie il balcone di briciole.

Egregia vicina del piano di sopra di Antonio&Gra',
probabilmente ne è all'oscuro ma il suo adorato frugoletto, il suo piccolo principe, il fetente mostriciattolo che le scorrazza per casa, non gradisce affatto le caramelline gommose di cui lei, da madre affettuosa e solerte qual è, lo omaggia.
Il suo figliolo adorato evidentemente detesta gli orsetti gommosi o, forse, semplicemente è un dispettoso e pestifero lillipuziano. Quale che sia il motivo poco importa, fatto sta che l'essere, invece di nutrirsi dei deliziosi dolciumi, li butta a manciate nel balcone sottostante, andando a intessere un fruttuoso appiccicoso nauseabondo tappeto.
Per evitare un inutile spreco di denaro a lei e un esaurimento nervoso all'amica mia, le suggerisco di interrompere immantinente l'acquisto dei beni di dolce consumo e, già che c'è, di provvedere alla soppressione della fastidiosa creatura.

Con immensa simpatia,
Jane Erode Cole"

Infine arrivò Simona. CaricataAPallettoniSimona. Una supereroina che più super non si può. Avete presente quel genere di persona con un milione d'interessi, la mania dell'organizzazione, e la voglia di fare contagiosa? Ecco: lei.

Continua...
Nasco oggi a Palermo.
Sono un'associazione di promozione sociale.
Sono l'Arcigay.
(1980)
"Lo sai che cosa hai fatto?"
"Sì, ho appena sparato a John Lennon"
(1980)
Accetto ufficialmente il diritto d'Israele ad esistere. Sono Arafat.
(1988)
Vinco le elezioni.
Con il 56,2% dei voti vengo eletto sessantunesimo presidente del Venezuela.
(1998)
Com'è cominciata la vostra giornata?
La mia così.

Ho scoperto di aver pagato le mutande verdi di Cota. Ciò mi ha procurato rabbia, disagio e molta nausea.
Ripresami dallo shock, ho deciso di buttare l'immondizia. Ho indossato giubbotto e sciarpona da nonna Abelarda e, non contenta, ho persino tenuto su le pantofole. Così fascinosamente abbigliata mi sono imbattuta nell'unico vicino di casa al di sotto dei 50 anni. Il suo sguardo non ha lasciato adito a dubbi: le mie pantofole l'hanno molto colpito. Quasi come una botta in testa.
Ancora turbata dal significativo incontro ho sbagliato il bidone, gettando l'umido nell'indifferenziata. Quindi mi sono dovuta tuffare di testa nel cassonetto per recuperare il sacchetto malriposto.

Voi sareste corsi subito a rificcarvi sotto il piumone, nevvero?
Io no. E ciò, se permettete, è indice di forte personalità.
O no?
Notte.
La fine di un'interminabile giornata di lavoro.
Vengo investito da olio bollente.
Sono Antonio Schiavone.
Sono Roberto Scola.
Sono Angelo Laurino.
Sono Antonio Santino.
Sono Rocco Marzo.
Sono Rosario Rodinò.
Sono Giuseppe Demasi.
(2007)
Fate parte del folto gruppo di persone cadute vittime d'Instagram?
Siete produttori compulsivi di mille scatti al minuto?
Guardate con invidia e avida curiosità le foto degli altri?
Non preoccupatevi, non è poi così grave, siamo in tanti.

Tra tutti i social quello dedicato alla fotografia è forse il migliore.
Niente stupide frasi fatte, nessun guru della domenica, ma tante immagini da tutto il mondo.
Nel bel mezzo di questa grande offerta capita d'imbattersi in professionisti capaci o, ancora meglio, dilettanti talentuosi.
Tra i numerosi profili che vale la pena seguire, ho scelto di segnalarvi quello di sir__james.


Un torinese che ritrae la sua (e mia) città con l'abilità di pochi altri.
Che sia lo scatto originale di un luogo noto o quello di un angolo sconosciuto, le foto di Massimo meritano più di un'occhiata da parte vostra.


Che conosciate Torino, ci abitiate, o non ci siate mai stati, provate a guardarla attraverso questo obiettivo.


Che siate esperti del settore o semplici curiosi come me, fate anche voi un giro tra i mille aspetti della città di Sir James.

Buona visione e buon viaggio!
Mi autoproclamo
"Empereur de Centrafrique par la volonté du Peuple Centrafricain, uni au sein du parti politique national, le MESAN".
Io, Bokassa I.
Il Cannibale.
(1977)
81 giorni.
4.500 chilometri.
Attraverso l'Oceano Atlantico con una barca a remi. Da sola.
Nessun'altra donna l'ha fatto prima di me.
(1999)
Fui il primo a parlare.
Non mi credettero.
Insufficienza di prove.
Pazzo. Sono pazzo. Sì, sono anche pazzo.
Sono Leonardo Vitale.
Esco dalla messa con mia madre e mi uccidono.
(1984)
Quadri meravigliosi e champagne per tutti.
Partecipo all'inaugurazione del museo d'Orsay.
(1986)
We don't need no education
We don't need no thought control
No dark sarcasm in the classroom
Teachers leave them kids alone
Hey teacher leave them kids alone
All in all it's just another brick in the wall
All in all you're just another brick in the wall
(1979)
Voto per l'ingresso della Palestina nell'ONU.
Sono la maggioranza.
(2012)
Ucciso a bastonate.
Muoio. Finalmente.
Sono un mostro, sono il male, sono l'orrore oltre ogni immaginazione.
(1994)
Una settimana in rima
Pancrazia tornò nuovamente a Milano,
dove Torquitax l'attendeva con una zine in mano.
Forbici, colla e nuove amicizie,
la giornata trascorse tra mille letizie.
Bracciali, biglietti e copricapezzoli,
a conoscere gente così ella esclamò "corbezzoli!"

Di nuovo a Torino, il giorno dopo,
un'altra proposta le venne fatta all'uopo.
"La mostra di Renoir, t'interesserebbe?"
"Certo cara Erika", e l'amicizia crebbe.

Fu poi la volta di Luisa, con mamma e zia,
scese dalle Alpi ma andate subito via.
Giusto il tempo di comprar pacchi e pacchetti,
regalar caramelle e farsi due cicchetti.

Infine il week end sabaudo si presentò col botto,
e gli amici lucchesi videro quasi tutto tranne il Lingotto.
La città di mattina, di pomeriggio e di sera,
tante cose da riempire gli occhi per una vita intera.

Con Michele, Camilla, Andrea, Luci e Justine,
si è dato un calcio alla noia e anche alla routine.
Una settimana colma d'incontri e tanti sorrisi,
che ad avercene sempre così non sevirebbero i paradisi.
E per raccontare tutto ho preso fiato in una sola filastrocca,
che è proprio brutta, lo so, ma questa vi tocca!
ps: chi capisce il significato del titolo (da cosa deriva e perché è stato scelto) vince la mia stima eterna, e anche la possibilità di scegliere l'argomento del prossimo post.
Mi ammalo. SARS.
Nel mondo scatta la psicosi.
(2002)
Fare l'istruttore di pilates ti garantisce un corpo elastico, una mente equilibrata, e uno spirito in pace.
Ma, soprattutto, ti permette di usare in scioltezza espressioni del tipo:
  • dirigete lo sguardo verso l'orizzonte mistico
  •  i glutei devono essere luminosi
  •  puntate l'ano verso il soffitto
  •  questa posizione è meravigliouuuusa
  •  seguite il coniglio bianco. 
Fare la blogger, invece, t'impedisce di restare concentrata durante una lezione di pilates perché, ad ogni nuova perla, cresce il desiderio di un computer, un tablet, uno smartphone o anche solo un tovagliolino di carta ove prendere appunti per un futuro post. Questo.

5:10 pm
"This is the voice of Asteron. I am an authorised representative of the Intergalactic Mission, and I have a message for the planet Earth. We are beginning to enter the period of Aquarius and there are many corrections which have to be made by Earth people. All your weapons of evil must be destroyed. You have only a short time to learn to live together in peace. You must live in peace or leave the galaxy."
(1977)
Votiamo.
E' fatta.
Dal prossimo primo gennaio la Cecoslovacchia non esisterà più.

Benvenuta Repubblica Ceca.
Benvenuta Slovacchia.
(1992)
'Cos these are the days of our lives
They've flown in the swiftness of time
These days are all gone now but some things remain
When I look and I find - no change
Those were the days of our lives yeah
The bad things in life were so few
Those days are all gone now but one thing's still true
When I look and I find, I still love you
I still love you

(1991)
Trema.
(1980)
Marciamo lungo le strade e nelle piazze. Arriviamo fin dentro al Parlamento.
Siamo quelli della Rivoluzione delle Rose. Siamo padri e figli di una nuova Georgia.
(2003)
Vengo estradato in Italia.
E' possibile che mi debbano ancora tormentare per quella vecchia storia?
E' passata una vita! La mia. 
Non quella dei 335 italiani. Quella è passata da un pezzo.
(1995)
Questa sera siamo tutti davanti alla tv.
"Sarà un grande evento", dicono.
The day after, ovunque, non si parlerà d'altro. 
La paura e il clamore.
(1983)
C'è una cosa che non ho mai raccontato del mio Erasmus.
Stonava troppo con il resto della storia. Non c'erano risate. Non c'era follia. In fondo, non c'era neanche Berlino.

Un giorno d'autunno Elisa, la mia amica romana, ed io incrociammo altre due ragazze italiane.
Io non conoscevo loro. Loro non conoscevano me. E, dopo quel giorno, non le avrei più riviste.
Una era di Milano, ricordo solo questo.

"Hai sentito che sta succedendo a Torino?" chiese questa ad Elisa.
"No, cosa?"
"Un disastro. Un'alluvione. Hanno interrotto l'autostrada con Milano. Torino è isolata", disse con una certa morbosa eccitazione.

-Torino è isolata- mi rimbombò nella testa.

La mia città era sola.
La mia famiglia si trovava immersa nell'acqua fino al collo.
E io, come una stronza, stavo a Berlino.

Non dissi una parola. Non so che faccia feci. Ma riuscii a zittire l'eccitata milanese che, guardandomi, si bloccò.
"Tu di dove sei?" mi chiese infine, quasi sottovoce.
"Torino"
"Vedrai che... vedrai che si aggiusta tutto"

-Si aggiusta tutto-
Non avevo internet, non avevo la televisione. Torino affogava e io non ne sapevo un cazzo. Corsi a chiamare i miei e, il giorno dopo, feci incetta di tutti i giornali italiani che riuscii a trovare.

Volevo sapere. Dovevo sapere. 

Seppi.
La mia famiglia stava bene. La mia città un po' meno.
Quei giorni furono gli unici in cui desiderai tornare indietro. Desiderai stare con i piedi nel fango e l'acqua fino al collo. 


"Va tutto bene, stai tranquilla. Goditi quest'esperienza e smettila di preoccuparti!" mi dicevano da casa.
Io un po' gli credevo e po' no.
Non parlai d'altro per giorni, nella costante ricerca di chetare il senso di colpa dato dal privilegio, dalla sicurezza, dall'ingiustizia del caso che mi voleva salva.

L'emergenza in città durò poco. Il mio Erasmus proseguii come sapete.

Ma ogni volta che in Italia la catastrofe si ripete. E si ripete sempre. Io penso a quel giorno.
Penso a quelli sotto l'acqua.
E penso anche a quelli all'asciutto. Quelli fortunati. Quelli stronzi che, però, preferirebbero stare con i piedi nel fango. Costretti, come sono, ad osservare impotenti la propria terra che annega. Senza neanche l'amara consolazione di poterla vegliare.

Questo è solo un piccolo, insignificante, privilegiato punto di vista. Ma è il mio. L'unico che possa raccontare.
 71,5 milioni di dollari e uno.
 71,5 milioni di dollari e due.
 71,5 milioni di dollari e tre.

Mi aggiudico l'"Autoritratto senza barba" di van Gogh.

(1998)
Una delle grandi meraviglie del web è il passaparola.
Passaparola grazie al quale ho scoperto che Federico, dell'Eremo del viandante, ha scritto un libro. Scritto e pubblicato in rete.

Il bello è che io il suo blog lo leggo regolarmente, ma del libro non me n'ero accorta. E perché?
Perchè lui, Federico, l'ha nascosto proprio bene. L'ha messo in una sottopagina che, se non ci finisci per caso, non te ne accorgi. Con un piccolo link buttato lì con nonchalance.

E, va bene, essere di Torino e quindi avere come mantra assoluto il low profile. Ma un poco di pubblicità, a un lavoro che sarà costato tanta fatica, non la vogliamo fare? No???
E allora ci penso io che, soprattutto per i progetti che riguardano gli altri, non mi faccio scrupolo di dotarmi di megafono e fare un gran chiasso.

Quindi, udite udite,  io il libro l'ho letto. S'intitola "Semi" e lo potete trovare qua.

Scrivere un romanzo non è cosa facile, Federico porta a termine il proprio con grande onestà.
Non è un capolavoro, ha qualche ingenuità di troppo e bisogno di un editing professionale.
Ma è un'opera prima valida e sincera.

Lui scrive e scrive benissimo. Nella sua storia è facile ritrovarsi, riconoscere i sentimenti e le delusioni. L'amicizia, quella vera e quella no. L'amore che sembra tutto e poi non è niente. Il dolore di chi non si ritrova dentro la propria pelle. E il tempo che corre veloce ma non va da nessuna parte.

Federico ha generosamente messo a disposizione di tutti questo suo lavoro. Io ve lo consiglio. E, già che ci sono, vi consiglio di leggere anche il suo blog. Non ve ne pentirete.
I'm ready
I'm ready for the laughing gas
I'm ready
I'm ready for what's next
I'm ready to duck
I'm ready to dive
I'm ready to say
I'm glad to be alive
I'm ready
I'm ready for the push
(1991)
Guardo la televisione. Assisto sbigottita a Terminator che diventa governatore della California.
(2003)
La settimana scorsa LaMati ed io ci siamo regalate un giorno da turiste in quel di Milano.

A seguire ciò che abbiamo visto e, soprattutto, ciò che abbiamo detto.


Piazza Duomo
 
"Aspetta che faccio una foto e la metto su Instagram"
"Che ho fatto di male per meritarmi un'amica bimbominkia?"
"Taci, io sono Social e tu sei tecnologicamente inetta!"


Pasticceria in via Monte Napoleone
"Che siamo venute a fare qua?"
"Gianlu, l'amoredellavitamia, vuole che gli porti una sacker da questo negozio"
"E la dovremo scorrazzare in giro tutto il giorno?"
"Sì"
"Ma sei matta? Non sarò complice di questa follia! Non mi macchierò di un tale colpo basso nei confronti della gloriosa tradizione pasticciera sabauda! Mai e poi mai!"
"Ma guarda che te la faccio assaggiare"
"Ok, ti aiuto a portarla"

 
Pinacoteca
"Se un giorno decidessi di trafugare un quadro sceglierei il ritratto di Manzoni"
"Starebbe un amore accanto alla tua scrivania"
"Quant'è vero!"


Castello Sforzesco
 
"Ho fame"
"Pure io"


Pranzo
"Desidera?"
"Io prendo un pezzo di pizza con i pomodorini, un panino con prosciutto cotto non troppo grasso, un cappuccino con una spolverata di cacao, mezzo litro d'acqua naturale, e una fetta di torta riscaldata"
"Va bene. E lei?"
"Un pezzo di pizza e un panino al latte"
"Un pezzo di pizza e un caffè d'orzo?"
"No, un panino al latte"
"Un panino al latte e un caffè d'orzo?"
"No, non lo voglio il caffè d'orzo"
"Vuole solo il panino?"
"No, vorrei ucciderla"


Cenacolo vinciano
"Leonardo era un genio. E la sua scelta della tecnica a secco dimostra che anche i geni ogni tanto fanno delle min#### pazzesche"
"Quant'è vero!"


Santa Maria delle Grazie
 
Senza parole.


Basilica di Sant'Ambrogio
 
"Aspetta, ancora un paio di scatti e arrivo"
"Hai finito di fare foto come se non ci fosse un domani?"
"Guarda che le puoi fare pure tu con il tuo cellulare"
"Sì, ma io non le voglio fare"
"Figurati! Tu non le fai perché non sei capace!"
"Non è vero"
"Sì che è vero"
"No"
"Sì"
"No!"
"Sì!"
 Shhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!!


Passaggio davanti a una scuola elementare
"Hai visto quanti bei bambini della Milano bene?"
"Di sfuggita. Sfocati. Ero concentrata su quel papà sexi della Milano bene"
"Pancrazia, vergognati!"
"Non mi dirai che tu non l'hai notato?"
"Chi? Il figo col maglione grigio, la barbetta incolta, la camminata alla De Niro e i capelli leggermente brizzolati"
"Sì"
"No, non c'ho fatto caso"


Piazza Duomo
"Ok, lo sto per dire."
"Cosa?"
"Non pensavo che sarebbe mai arrivato questo giorno"
"Quale giorno?"
"Il giorno in cui una tale consapevolezza mi avrebbe travolta. Vorrei nascondermi. Ma devo essere forte: la verità deve essere detta!"
"Mi fai paura: parla!"
"Milano mi piace molto"
"Oh cielo! Anche a me! Mi vergognavo a dirlo, ma ora che so di non essere sola mi sento molto meglio"
"Ci abbracciamo?"
"Sì"
"Ti voglio bene"
"Anch'io"
"E ti resterò sempre vicino"
"Pure io"
"Credi che ci toglieranno la residenza una volta tornate a casa?"
"No, dovremo solo fare in modo che non si venga mai a sapere. Comportarci come se nulla fosse. Conservare gelosamente questa nostra debolezza. Questa nostra fatale attrazione per la città che ogni vero torinese dovrebbe guardare con malcelato fastidio e ostentato disprezzo. Non potremo mai parlarne con nessuno"
"Giusto. Saremo il sostegno l'una dell'altra"
"Non potrai scriverlo neanche sul blog"
"Ma è ovvio! Per chi mi hai presa?"
Bip bip bip! 
Urla il Metal Detector.
Bip bip bip!  
14.865 monete romane in oro, argento e bronzo.
Bip bip bip!
Più di 200 pezzi di vasellame e gioielli.
Bip bip bip!
Abbiamo appena trovato il tesoro di Hoxne.
(1992)
Sophie ed io firmiamo il nostro Patto Civile di Solidarietà.
(1999)
Da un anno riempiamo le strade brandendo pentole e mestoli.
Oggi il nostro paese, l'Argentina, dichiara ufficialmente la bancarotta.
 
(2002)
La prima volta che andai al cinema ero al mare. A Rivazzurra, per la precisione.
A godermi la più classica delle vacanze per famiglie in Riviera Romagnola.
Mamma, papà, sorella ed io.

La prima volta che andai al cinema, superate le pesanti tende rosse, mi ritrovai in un cortile.
In alto c'era un cielo pieno di stelle, a terra la ghiaia.
Da un lato un grande telo bianco, dall'altro una spianata di sedie di legno.
Erano quelle classiche da cinema. Quelle che si chiudevano appena ti alzavi. Quelle che, se andavi al bagno durante la proiezione, al ritorno ti dovevi ricordare di spingere giù il sedile con una mano, altrimenti le mancavi e finivi col sedere a terra.

La prima volta che andai al cinema, mio padre mi sollevò e mi depositò sulla sedia accanto alla sua.
Io, all'epoca, ero un leggerissimo mucchietto d'ossa con le gambette corte. Le luci si spensero e la sedia cercò immediatamente d'ingoiarmi.
Dimostrando sprezzo del pericolo e una certa capacità d'iniziativa, invece di frignare o chiedere aiuto, scivolai fino al bordo, e lì rimasi per tutto il film. Con le punte dei piedi a sfiorare la ghiaia e gli addominali contratti a mantenere l'equilibrio.

La prima volta che andai al cinema il programma prevedeva "Innamorato pazzo" con Celentano e Ornella Muti.
Ricordo chiaramente le risate di tutti. E ricordo ancora più chiaramente che, tra la fatica fisica di non finir risucchiata dal sedile, e l'emozione di quel mondo nuovo e un poco magico, non riuscii a seguire la trama.
Per nulla. Figurarsi capirne la comicità!
E così risi a comando. Risi quando ridevano gli altri.
Celentano guidava l'autobus. Tutti ridevano. E pure io.
La Muti si arrabbiava. Tutti ridevano. E pure io.
Ricordo che la Muti si arrabbiava parecchio. Ed era bella. Quando era imbronciata era ancora più bella. Forse era per questo che la facevano sempre arrabbiare.

La prima volta che andai al cinema fu speciale e indimenticabile. Fu un piccolo traguardo da "grande".

Oggi pomeriggio non ci saranno le stelle e neanche la ghiaia.
Le sedie saranno comodissime e non proveranno a mangiare nessuno.
Il film sarà un cartone animato e non una commedia romantica all'italiana.
Ma sarà comunque un momento magico.

Oggi pomeriggio il PrincipeV vedrà il suo primo film al cinema. E io sarò con lui.
E sarò anche un poco emozionata. Orgogliosa di poter essergli accanto mentre taglia questo traguardo.

 
Vengo finalmente liberata. Ma la strada del mio paese, la Birmania, verso la democrazia è ancora lunga e tutta da percorrere.
(2010)
Sono il 125° monarca.
Imperatore Akihito del Giappone.
Crisantemi, samurai, futuro e medioevo.
(1990)
Sono una donna e da oggi posso diventare sacerdote. In Inghilterra.
(1992)
"Por qué no te callas?"
(2007)
Attraversiamo il confine. Passiamo il muro. Mio figlio ed io, l'uno accanto all'altro.
I clacson. I canti. Le risate. Le lacrime.
"Prendine un pezzo da conservare", mi dice il mio vicino armato di martello e un sorriso contagioso.
E' finita. E' appena cominciata.
Addio!
Benvenuti!
(1989)
Voto contro il nucleare in Italia.
(1987)
Convoco una conferenza stampa e lo dico a tutto il mondo.
Sono sieropositivo.
Mi chiamo Earvin Johnson, ma per tutti sono Magic.
(1991)
Piove. Piove tutto il giorno. Piove anche la notte.
L'acqua riempie le strade e i fiumi.
Assisto impotente all'alluvione della mia terra.
(1994)

Cavina è un autore che ama parlare di ciò che conosce. Lui ha frequentato l'ITIS e così ci parla di questo. Ce ne parla con personaggi tratteggiati da poche caratteristiche ma mai piatti. Ce ne parla con episodi forse non veri ma verosimili. Ce ne parla strappando più di un sorriso.

Ma Cavina non è solo questo. Non scrive solo di questo.
Quando pensi di aver inquadrato il genere, la storia, lo stile, lui aggiunge la poesia. Immagini che all'inizio appaiono solo ai bordi della pagina, cominciano a diffondersi a tradimento ad ogni riga.
E così tutto acquista un significato altro, anche la merda d'uccello.
Il sorriso si fa amaro e le dita sfogliano più velocemente. Gli occhi si incollano alle pagine. Le labbra bevono ogni storia, ogni quadro, ogni ritratto.

Come quello di Veroli Wanda, doloroso primo amore del protagonista. Lei, con il suo sguardo che trapassa, diventa il più crudele dei personaggi.
Algida. Spietata. Egoista. Come solo una ragazzina sa essere. Ma come nessuna crudele ragazzina è mai stata adeguatamente descritta. Lei non fa niente e dice ancora meno, ma nel suo distacco si coglie la cifra della vera cattiveria.

O quello di Mamma Creonti. Madre del protagonista che, dopo un libro intero in cui appare come una figura ritagliata da un foglio di carta velina, alla fine si trasforma in forza e sostanza. Si rivela essere consapevole ma protettiva, piegata dalla vita ma lungi dall'esserne spezzata.

Ad essere spezzata è invece la vicina di casa, abusata dal marito. Cavina ce la regala in un singolo episodio, intenta a salvare un giocattolo incastrato tra i rami di un albero. E non serve altro.

Parlavo al mio Big Jim come se fossi stato il capo della spedizione di soccorso mandata dietro le linee nemiche a recuperarlo.
Ero un tipo simpatico, allora. Mica andavo in una scuola seria.
Stavo proprio dicendo al mio Big Jim di tenere duro, quando la mia vicina mi si mise dietro e incominciò a darmi consigli su come disimpigliarlo.
Era divertente.
Sembrava facesse parte anche lei della spedizione di soccorso.
"Tieni duro, passo" diceva al Big Jim, come se parlasse alla ricetrasmittente.
Era una bella idea.
Mi stavo proprio divertendo un sacco.
Riuscimmo a tirarlo giù da quell'inferno di rami senza rompere il paracadute della festa.
E quando mi girai per ringraziarla, perché ero un capo spedizione severo ma giusto, che non tratta i suoi soldati come fossero, chennesò, uccellini da richiamo, vidi che aveva il labbro spaccato, sanguinava.
Tutto il vestito era pieno di sangue.
E aveva solo una ciabatta ai piedi.
Quella fu la cosa peggiore. Vedere che era scesa dall'ultimo piano con quel labbro spaccato senza accorgersi di avere una sola ciabatta.
Ce l'aveva al piede sinistro.
Scappai in casa.
Forse non avrei dovuto farlo, ma filai diritto in casa, al sicuro lontano dalle linee nemiche.
Guardai dalla finestra, prima di rimettere a posto il paracadute nel suo cassetto.
Era ancora là che fissava i rami dell'albero. Chissà cosa ci vedeva. Chissà chi c'era rimasto impigliato.
Non sarebbe mai riuscita a portarlo in salvo, con quell'unica ciabatta al piede.
Mai e poi mai.

Inutile Tentare Imprigionare Sogni è edito da Marcos y Marcos.

Io ve lo consiglio. Che abbiate fatto l'ITIS o no. Che siate stati studenti brillanti o no. Cavina vi racconterà se stesso e anche un po' di voi.
Condanno a morte Saddam Hussein.
(2006)
Due colpi di pistola alla schiena.
Agricoltore. Militare. Uomo di pace.
Rappresentavo la svolta per il mio paese e un'intera regione.
Ora sono solo un rimpianto. Un'occasione perduta.
שלום
(1995)
Vinco le elezioni.
Giovane, amato e chiacchierato.
Interrompo 12 anni di dominio repubblicano.
(1992)
Lascio il mio primo messaggio.
Sono John Titor e viaggio nel tempo. O almeno così dico.
Sono John Titor e il mondo parla di me. 
(2000)
Oggi entro ufficialmente in vigore. Sono il trattato di Maastricht.
(1993)
Sono Giulietta Masina.
Oggi piango il mio geniale, amato, bugiardo, infedele, compagno di una vita.
(1993)
Mi alzo presto. 
Indosso il vestito buono e lucido le scarpe.
Faccio la riga da un lato. Abbottono la giacca.
Prendo mia moglie sottobraccio e percorro con lei la strada fino al seggio.
Abbiamo aspettato sette anni per questo momento.
Oggi torniamo a votare. 
Nostra figlia è con noi. Dentro di noi. Lei come tutti gli altri 30.000 desaparecidos.
(1983)
Mi chiamo John Glenn. Ho 77 anni. E sono il più anziano astronauta di sempre.
(1998)
La mattina seguente venni scorrazzata in giro da WonderVivì che, con notevole pazienza e grande slancio, mi mostrò le bellezze di Ariano.
Prima di tutto La Villa: parco, cuore, vetta del luogo. O, secondo i più aridi, "unica cosa che valga la pena di essere vista".
E poi gli arroventati, assolati, trafficati vicoli che costituiscono lo scheletro portante del paese. Strade da cui si domina il paesaggio sottostante, dandoti l'illusoria idea che lì in fondo, se strizzi gli occhi a sufficienza, potrai perfino vedere il mare.

Quella mattina scoprii ciò che sarebbe diventato familiare nei giorni seguenti: la passione.
La passione degli arianesi, degli irpini, dei campani. Mettetela come preferite. A me, in realtà, non piace collocare certe caratteristiche considerando la geografia o i punti cardinali. La passione o c'è o non c'è. Al nord come al sud. Ad est come ad ovest.
Io, in quei giorni, la trovai ad Ariano.

La passione, dicevo. La passione per il territorio.
L'amore per le radici. La frustrazione di chi, una volta finiti gli studi in una grande città, decide di tornare per un poco o per sempre. Tornare per dare il proprio contributo. Far crescere il paese. Farne conoscere i tesori a chi sta fuori ma, soprattutto, a chi sta dentro. A chi sta dentro ma sembra cieco e sordo. Cieco e sordo a tutto ciò che il luogo ha da offrire. Cieco e sordo al passato, al presente e pure al futuro.
Praticamente morto.

Io, dalle radici brevi. Io, che ho sempre vissuto in una grande città. Io venni travolta dalla passione per il territorio. Dalla passione di WonderVivì. E pure da quella, scoperta casualmente, di un gruppo di quarantenni tornati alla base per far rinascere le vigne antiche della zona, coniugando la storia, propria e del luogo, con un'ottima idea imprenditoriale.

Non ci posso fare niente. E' più forte di me. 
Quando sento vibrare l'aria intorno, inizio a vibrare anch'io alla stessa frequenza. I miei neuroni a specchio si attivano. La mia anima si gonfia. Lo stomaco diventa ingordo. L'energia mi carica e mi riempie di voglia di fare.

Mi bastarono poche ore ad Ariano per sognare di far rinascere la vigna dei nonni o far restaurare quell'antica Madonna dallo sguardo triste.
E poco importava che la vigna i miei nonni non ce l'avessero mai avuta. Avevano avuto degli ulivi, ma la terra era dura e cattiva, ed era stata venduta da un pezzo.
Ed era un dettaglio insignificante anche il fatto che l'unica statua della Madonna, che sapevo aver bisogno di cure, fosse quella dello zio Filippo, che io stessa avevo fatto volar giù da un mobile, decapitando in un sol colpo madre e bambinello.

La passione, per fortuna, è come una malattia infettiva. Si trasmette e ti fa venir la febbre. Per un po' deliri. Ma poi, se resti concentrata, tutta quell'energia la puoi incanalare nella tua vita, nella tua quotidianità, nei tuoi progetti. Nelle tue vigne e nelle tue Madonne. Ne fai tesoro e la riporti a casa con entusiasmo e riconoscenza verso chi te l'ha attaccata.

La passione è come la febbre che viene ai bambini. Questi, una volta ripresisi, si alzano dal letto e scoprono i pantaloni del pigiama un poco più corti. La passione ti fa crescere. Solleva il tuo punto di vista.

Continua...
Vinco le elezioni.
Sono il nuovo presidente dell'Argentina. Una donna, per la prima volta.
Mi chiamo Cristina Elisabet Fernández de Kirchner.
(2007)
Un giorno di molti anni fa ascoltai per la prima volta questa canzone.
Ero a teatro, e stavo assistendo ad una rivisitazione di "Un tram che si chiama desiderio", capolavoro di Tennesse Williams per l'occasione trasformato in "Ende Station Berlin".

Quella sera la neve veniva giù a fogli e mi si attaccava addosso come lo zucchero filato. Non l'ho più vista una neve così. Aprivo la bocca verso il cielo e la mangiavo come fanno i bambini. La mordevo e la mandavo giù soddisfatta.

Ero felice.
Ricordo che ero felice.

"Just a perfect day
you made me forget myself
I thought I was
someone else, someone good"

Un giorno di molti anni fa ascoltai per la prima volta questa canzone e cominciò a fare parte di me. Struggente e amara. Densa come la neve di quella sera.

Questa canzone rimarrà per sempre anche adesso che Lou Reed è andato oltre.
E' questo il destino dei capolavori.
E' questo il senso dell'arte.

Grazie.


Questa notte brucio.
In fiamme il sipario. In fiamme le quinte. In fiamme il palcoscenico.
Niente può salvarmi, tranne un colpo di scena, e io sopravvivo.
 
(1991)
Una di quelle volte che: "avrei voluto scriverlo io un racconto così, avrei voluto idearlo io un soggetto così, avrei voluto pensarci io!"

Avrei voluto ma no. Non l'ho scritto io. Non l'ho ideato io. Non ci ho pensato io.
Ma avrei potuto, eh!

Signore e signori, scritto e diretto da Alessio Lauria: "Sotto Casa"
Buona visione!



Un doveroso grazie a Marcello Conte che l'ha segnalato su facebook.
Mi ammalo. Il mio è l'ultimo caso al mondo.
Le vaccinazioni hanno sconfitto il vaiolo.
Anche la mia storia è a lieto fine: guarirò.
(1977)
Invado Grenada.
(1983)
Ieri bevevo birra e mangiavo pollo fritto in un quartiere rinato di Torino, in un locale bellissimo di Torino, in una di quelle sere che dico "sembra proprio di stare a Berlino!" che, come ben saprete, per me rimane la pietra di paragone assoluta.

Ieri, dicevo, bevevo e mangiavo quando un ragazzo e una ragazza hanno attirato la mia attenzione. Hanno attirato l'attenzione di tutti.
Giovani, belli ed eleganti hanno esposto una sagace presentazione in rima e un'interessante proposta: "scegliete una poesia dal nostro menù!"

Un vero menù, con tanto di prezzi e vasto assortimento di piatti. Da Prévert a Rodari, da D'Annunzio a Carducci, da Leopardi a Trilussa.
Una decisione, un cenno della mano, un sorriso, e una poesia recitata calda calda direttamente al tavolo. Con tintinnio finale di monete "al vostro buon cuore".

Mi conoscete. Non ho resistito. Ho subito sventolato il mio menù per attirare l'attenzione e mi sono goduta "Scrivere il curriculum" della Szymborska.

Cos’è necessario?
E’ necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.

Bella la poesia che non conoscevo, ma ho scelto ad occhi chiusi tale la mia fiducia nello smisurato talento della compianta poetessa polacca.
Bello il modo in cui è stata recitata: con passione, talento e mestiere.

I Mangiatòri sono un gruppo di attori diplomati presso il Teatro Stabile di Torino. Recitano poesie e girano l'Italia. Ieri erano a San Salvario, domani chissà.
Questa è la loro pagina facebook.
Seguiteli e inseguiteli, anche voi potreste godere presto di un breve momento d'arte al modico prezzo del "vostro buon cuore".

E Torino continua a stupirmi. Nella Rete e anche fuori.
Cinquant'anni fa mi rifiutai di cedere il posto a un bianco.
Cinquant'anni dopo cedo il posto a qualcun altro. Ormai è giunto il tempo, io ho già dato.
Me ne vado con un inchino e un sorriso.
(2005)
Assaltiamo il teatro.
Prendiamo in ostaggio più di 800 persone.
Il nostro attacco sarà un fallimento.
Il vostro attacco sarà una carneficina.
(2002)
Cari lettori e care lettrici,
cari naviganti e care navigatrici,
care amiche e cari amici,

l'animo poetico che oggi mi colse
spero che il buongusto vostro non troppo dolse.

Per farmi perdonare tali facezie
espongo me stessa e le mie inezie.

A Lucca andai, come ben sapete,
a domande risposi come presto vedrete.

Capo riccio e voce carica di grazia
ad ascoltar bene le parole si capisce subito chi è Pancrazia.



Viene pubblicato il mio articolo. 
Svelo al mondo un tassello del passato, aggiungo un granello di sabbia, racconto una parte della storia. Presento l'Homo floresiensis.
(2004)
Oggi volo. Oggi scompaio.
Lasciando dietro di me domande e speculazioni.
"That strange aircraft is hovering on top of me again. It is hovering and it's not an aircraft."

(1978)
Giro per il solito negozio di dischi. 
Guardo tra le novità. 
I miei occhi incrociano quelli di un bambino.
"E questi chi sono?" chiedo a Ben, il proprietario.
"Un nuovo gruppo irlandese"
"Gli irlandesi fanno schifo!"
"Sì, ma questi sono forti"

(1980)
Oggi inizia il processo.
Con che diritto pensano di potermi giudicare?
Questo paese è mio. Questa gente dovrebbe inchinarsi di fronte a me.
Io sono l'Iraq. Non può esistere l'Iraq senza di me.
(2005)
Quando lessi per la prima volta "Orgoglio e Pregiudizio" passai giornate intere a parlar in punta di forchetta, muovermi leggiadra e sentirmi profondamente britannica.

Quando lessi "Delitto e Castigo" mi feci inghiottire dalle pagine e dalla storia. Delirai per giorni con gli occhi lucidi da pazza e la convinzione di essere affetta da febbre cerebrale.

Nelle ultime settimane ho letto "Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud and Incredibly Close)". Prima sono stata un bambino spaventato e complicato, tuttologo e fragile. Poi sono diventata un uomo senza voce ma con parole scritte su quaderni, su muri e sulla propria pelle. Infine ho vestito i panni di una sorella minore, una moglie, una nonna smaniosa di amare e di trattenere i propri amati.

Non capita sempre ma quando capita fa quasi paura. Il confine tra la realtà e il racconto si fa fragile e, a lettura finita, qualcosa rimane dentro per sempre. Che sia un'atmosfera, che sia un dolore, che sia un sentimento di straziante perdita.

Non credo sia follia.
Io leggo. Io sono.
Me ne vado. Mi dimetto. 
La Gerrmania come l'ho conosciuta, costruita e voluta sta per cambiare.
Il partito come l'ho conosciuto, costruito e voluto sta per morire.
Ed io sto per pagare tutte le mie colpe.
(1989)
Lungo le strade della blogosfera si assiste a scene strazianti. Lettori orfani piangono calde lacrime. Blogger amici navigano con lo sguardo vacuo e una sola ripetuta domanda nella testa e nel cuore:
"Perché?"
"Perché?"
"Perché?"
"Perché Pancrazia non continua a raccontarci la sua passata vacanza in terra irpina?"

Ve lo dico io il perché.
Perché sono disorganizzata e metto troppa carne al fuoco, col risultato che le costolette mi si bruciano, mentre le salsicce rimangono dimenticate nel congelatore.
Ma per vostra "fortuna", oltre ad essere nevrotica e caotica, sono anche flemmatica e priva di vergogna. Per settimane vi ho lasciato appesi senza una parola o una spiegazione? Embé? Oggi ricomincio il mio racconto come se nulla fosse.
Voi non potete vedermi né sentirmi, ma sappiate che in questo momento fischietto beata e sfacciata come se l'ultimo post di "Pancrazia in Irpinia" risalisse all'altro ieri e non a un mese fa.
Sì, sì, un mese. Avete letto bene: un mese. Come passa il tempo quando ci si diverte, eh?

Magari qualche nuovo lettore non sa neanche di cosa io stia parlando, mentre qualche vecchio affezionato ormai non si ricorda più a che punto fosse arrivata la mia ludica cronistoria. Quindi, giusto per perdere un altro po' di tempo e mettere alla prova i vostri nervi, ho deciso di produrmi in un rapido riassunto.

Se volete potete anche saltarlo, ma poi io vi interrogo e se non siete preparati so' cazzi! Ça va sans dire.

La scorsa estate decisi di passare qualche giorno di vacanza in Irpinia. Perché sono un'originalona e perché in quella terra meravigliosa risiede la mia amica Gra' (Prologo).
Superata la difficoltosa preparazione del bagaglio (Prima parte), iniziai la transumanza dalle Alpi agli Appennini, come in uno struggente e patetico racconto del noiosissimo De Amicis. Durante il viaggio rimasi bloccata per qualche ora a Roma, divisa tra l'orrore per i bagni pubblici (Seconda Parte) e l'estasi per la capitale (Terza Parte). Dopo aver perso il 90% dei liquidi del mio corpo e aver rischiato la mummificazione, salii finalmente sul pullman, autobus, corriera, o come diavolo lo chiamate voi, in direzione dell'entroterra campano (Quarta Parte). Per poi arrivare ad Ariano Irpino, conoscere un gruppo di supereroi (Quinta Parte) e andare a mangiare la pizza. 

Pizza? Pizza? Ecco dov'ero arrivata: vi devo raccontare della pizza di zì Pumpilia.

Continua...




Che gran burlona sono.
Burlona, ho detto burlona!
Razza di screanzati!


Continua...

... per festeggiare la mia prima sera in Irpinia venni condotta dal gruppo dei suddetti supereroi a mangiare la pizza. Ma non una pizza qualunque: la pizza di zì Pumpilia.

Costei delizia i palati locali e forestieri con morbide golosità. Costei ti fa sentire a tuo agio accogliendoti in un ristorante-trattoria-bettola dall'arredamento vario e creativo. Molto vario e molto creativo. Forse troppo. Ma non sono qua per sottilizzare. Del resto, negli ultimi anni Torino si è riempita di meravigliosi ristoranti, dal design moderno e la cucina di bassa qualità e alto costo. Quindi: ben venga la zì Pumpilia con le sedie spaiate, i tavoli che ballano, ma la pizza che ti manda in estasi le papille gustative!

Questa santa donna si fa affiancare sul lavoro da tutta la famiglia. E, a splendere di luce propria tra il parentado tutto, vi è lui: il figlio MASCHIO. Unico e inimitabile.
Costui ha due compiti fondamentali da svolgere: sonnecchiare dietro il bancone del bar e fare il conto.
Qualsiasi altra cosa gli venga chiesta gli provocherà ipersudorazione, tremori e perdita dei sensi.
La mia amica Gra', di fronte alla difficoltà di scegliere una pizza adatta con cui concludere la serata, ebbe l'ardire di chiedergli: "Tu che ci consigli?"
Lui, prima si guardò intorno per capire con chi stesse parlando poi, rassegnato al fatto che la domanda fosse rivolta proprio a se medesimo, cominciò a balbettare, indietreggiare e, non contento, si buttò a terra fingendosi morto.

Ma per quanto riguarda il sonnecchiamento dietro il bancone del bar e il calcolo del conto del cliente, poche persone al mondo possono dirsi all'altezza del figlio MASCHIO. Poche o forse nessuna.
Per dormire in quel modo, in piedi, con gli occhi aperti, appoggiato allo spillatore della birra, non bastano costanza ed allenamento, ci vuole proprio un raro e innato talento naturale.
Per fare i conti, poi, con tale ingegneristica precisione, ci vogliono anni di studio, applicazione e sprezzo di qualsiasi regola dell'aritmetica. Infatti, non si sa perché e non si sa per come, qualunque sia il tipo di pizza scelta, la quantità di birra con cui la si è annaffiata e il dessert con cui si è chiusa la serata, il risultato dato dal MASCHIO contabile sarà sempre lo stesso: 7 euro a testa. Punto.
Evidentemente tra quelle mura non è mai arrivata l'inflazione, la speculazione, la cattiveria della gente e soprattutto una calcolatrice funzionante o, almeno, un pallottoliere.

Da zì Pumpilia si mangia tanto, si mangia bene e si paga pure poco.
Lunga vita a zì Pumpilia!
Lunga vita al figlio MASCHIO!

Continua...
E' stato un viaggio lungo. Nove mesi e poi il gran finale.
In una stanza fredda e troppo illuminata qualcuno esclama orgoglioso: "Eccolo qua, lui è il trecentomilionesimo americano!"
(2006)
Salgo al soglio pontificio.
(1978)
Le guardo e ancora non riesco a crederci.
Le mani. Mi hanno ridato le mani.
(2010)
Oggi ho deciso di raccontarvi il mio ultimo week end. Tutto d'un fiato. Tutto in un unico post.

Venerdì all'alba ho preso un treno che mi ha portata fino a Firenze. Sono scesa e, invece di correre a prenderne un altro che mi avrebbe condotta a Lucca, sono scappata fuori. Al sole. All'aria. Al bello.

Non visitavo Firenze dalle superiori. Non me la ricordavo.
Alla domanda "Com'è Firenze?" avrei risposto "Bella"
Ma in realtà le immagini erano sbiadite, le sensazioni dimenticate, la fascinazione svanita.

E così, quasi come se fosse la prima volta, ho girato il centro della città con gli occhi puri, con la meraviglia, con l'entusiasmo. Ho rubato due ore al mio programma per poterne fare un altro. Più improvvisato. Più libero. Più mio.

Firenze non è solo bella. Un aggettivo così banale non le rende affatto giustizia.
Firenze è "tanta", è splendente, è una donna che toglie il fiato. Con le sue ciglia lunghissime e le labbra scarlatte. Sì, perché non è mica una bellezza acqua e sapone, o un fascino sofferto. No, assolutamente no.
Firenze è una sfacciata femminile sensualità. Da godere e godere.

Soddisfatta da questo amplesso mi sono finalmente decisa a raggiungere la meta del mio fine settimana: Lucca.
Lucca e le mura. Lucca che conserva la sua storia con una tale gelosia, che le devi chiedere "per piacere" se vuole condividerla. Lucca con le stradine affollate e quelle deserte. Con gli alberi sopra le torri e gli aranci stretti stretti dentro i vasi.

Ad aspettarmi "entro le mura" c'erano Lucia e il di lei consorte.
Lei scrive, scrive, e scrive. Scrive bene come nessun altro.
Lui legge e la ama. La ama come nessun altro.
Io li guardo e penso. Penso che l'amore debba essere proprio così. Fatto di parole, gesti, scherzi, sguardi, complicità, e l'inevitabilità di una storia che li ha messi l'uno sulla strada dell'altro, l'uno accanto all'altro.
Li ho visti per la prima volta venerdì, ma mi è difficile pensare di non averli avuti nella mia vita da sempre. Perché hanno il dono dell'accoglienza e della semplicità. Con affetto e senza fronzoli.

Con loro ho conosciuto anche una coppia di tedeschi di passaggio. Giovani e belli. Sposati e felici. Con le guance rosse e lo sguardo da bambini. Capaci di andare in giro per strade sconosciute come solo i tedeschi sanno fare. Con quell'aria svagata, il passo certo verso una meta sconosciuta, e l'innata capacità di ficcarsi nei negozi sbagliati.

Con loro quattro ho passato il venerdì e la domenica, mentre il sabato è stato un mondo a parte.

Sono andata a Lucca per ricevere il premio de "I racconti nella rete", vi ricordate?
Sono andata a Lucca e ho ascoltato una ragazza dai lunghi capelli biondi che leggeva il mio racconto, mentre un pianista, che di capelli non ne aveva neanche uno, accompagnava le parole con la musica.
Ho ascoltato anche i racconti degli altri vincitori, le altre voci, e le altre musiche.
Ho risposto alle domande e persino sorriso al fotografo.

Il pomeriggio e la serata sono trascorsi tra chiacchiere e incontri. Tra cibo e vino.
A cena ero seduta vicino a una giovane sconosciuta cantautrice, e a poche sedie da un grande della produzione cinematografica italiana. Erano diversi, diversissimi, ma appassionati entrambi. Vivi entrambi. Di quella vita e vitalità che ti ruba la giovinezza ma ti regala un'eterna infanzia.

La strada del ritorno l'ho percorsa insieme a due vecchie e nuove conoscenze. Due amici di amici. Due facce di facebook che sono passate dallo schermo alla realtà. Due parlate familiari dall'accento musicale e inconfondibile.
Regista lui. Maga delle pubbliche relazioni lei.
Mi hanno condotta lungo i vicoli di Lucca e riportata a casa.
Il tutto arricchito dalla condivisione, tra una risata e un sospiro, di speranze, progetti, e passioni diversi ma simili.

Oggi è lunedì. Io sono tornata a Torino. Ma sono più ricca, più contenta, più carica di tre giorni fa. O forse di sempre.
Pronta ad affrontare i mille impegni da assolvere e i sogni da costruire pezzo per pezzo.
3, 2, 1. 
E poi giù per 38.969,4 metri.
(2012)
Vengo eletto Segretario Generale delle Nazioni Unite.
(2006)
"Far out in the uncharted backwaters of the unfashionable end of the western spiral arm of the Galaxy lies a small unregarded yellow sun.
Orbiting this at a distance of roughly ninety-two million miles is an utterly insignificant little blue green planet whose ape-descended life forms are so amazingly primitive that they still think digital watches are a pretty neat idea."
(1979)
Ci incontriamo in Islanda per trovare un accordo.
Non lo troviamo.
(1986)
"Addio mondo crudele!"
Urlò la capra prima di buttarsi sotto la panca.
Oggi compro YouTube.
(2006)

Come mai oggi vi sono due post de Il Mio Progetto?  Semplice: uno dei due è sbagliato. Leggete qua.
Vinco il premio Nobel per la letteratura.

"Una normale stanza della questura centrale. Una scrivania, un armadio, qualche sedia, una macchina da scrivere, un telefono, una finestra, due porte.
Commissario: Ah, ma non è la prima volta che ti travesti, allora. Qui dice che ti sei spacciato due volte per chirurgo, una volta per capitano dei bersaglieri... tre volte vescovo... una volta ingegnere navale... in tutto sei stato arrestato, vediamo un po'... due e tre cinque... uno, tre... due... undici volte in tutto... e questa è la dodicesima...
Indiziato: Sì, dodici arresti... ma le faccio notare, signor commissario, che non sono mai stato condannato... ho la fedina pulita, io!"
(1997)
Oggi è un giorno di festa per noi. Per la famiglia e per la comunità.

Oggi uccidono mio fratello. Si chiama Stefano e ha solo due anni.
Oggi finisce la mia infanzia.
(1982)
Pur frequentando, vivendo e lavorando la Rete delle volte capita che sfuggano alla conoscenza alcune presenze importanti.
A me, fino all'altro giorno, era sfuggita quella di Camilla: mente laboriosa che si trova dietro al blog "Zelda was a writer".
A parte consigliarvi il sito stesso, che è come un meraviglioso pozzo colorato dove buttarsi, immergersi, ed esplorare le mille iniziative offerte. Oggi voglio parlarvi soprattutto di "Wor(l)ds". Un progetto di scrittura dal titolo perfetto: con le parole si creano, descrivono, vivono i mondi più diversi.

Wor(l)ds è un gioco che durerà fino a mercoledì 27 novembre. Un gioco a cui possono partecipare tutti. Proprio tutti. Il bambino col pallone. La maniaca dell'altalena. Il teorico del "facciamo che io ero e tu eri".
Tutti. Proprio tutti. Senza limiti di età, sesso, religione, orientamento politico, squadra calcistica di riferimento, gusto preferito di gelato, e pianeta di provenienza.
Tutti. Proprio tutti. Persino te ed io.

Come funziona?
Ogni mercoledì Camilla pubblica quello che lei definisce "un kit di materiali". Questi devono fungere da ispirazione per un breve componimento di non più di 10 righe (900 battute spazi inclusi).
Ogni kit è costituito da: parole, citazioni, ritagli e oggetti.
Un esempio?
Ecco la foto del primo (datato 25 settembre 2013)


Per sapere dove, come e quando spedire gli ispirati componimenti vi rimando direttamente alla spiegazione di Camilla in persona.

Vi ho incuriosito?
Parteciperete?
Avete bisogno di maggiori informazioni?

Intanto vi ricordo che domani è già mercoledì. E io un'occhiata al nuovo kit la darò sicuramente!

ps: ringrazio Torquitax, insostituibile segnalatore di chicche Nella Rete.
Non ho un nome.
Sono una delle 30.000 vittime del terremoto in Pakistan.
(2005)
"Ti stavo aspettando"
"Lo so"


Faccio il mio lavoro. Non sono un "magistrato inquirente". Ma descrivo "quello che succede a chi non può vederlo".
Sono una giornalista e muoio per questo. Sono Anna Stepanovna Politkovskaja.
(2006)
Ho perso le elezioni.
Mi dimetto.
Maledetti! Che siate tutti maledetti!
(2000)
A mio marito viene assegnato il Premio Nobel per la pace.
E' un grande privilegio.
Andrò a ritirarlo io: la Polonia ha ancora bisogno di lui.
(1983)
Una sera può capitare di ritrovarsi sotto la Mole. In una bellissima erboristeria che profuma di buono e sembra un luogo perfetto per mille magie.
Una sera può capitare di essere invitati a uno spettacolo, che forse è la presentazione di un libro, che forse è una trovata strana, che forse non si sa bene che cosa sia.
Una sera ci si ritrova in tanti. Molti più del previsto. Tutti ammassati tra tisane, zenzero, morbidi divani, piccole sedie e libri, libri, libri.

Io mi sono portata a casa questi due
Ieri sera mi è successo tutto questo e anche di più.
Sono andata a trovare Melissa, un'erborista dai capelli lunghi e bellissimi, che veste di volant e colori d'autunno, e sembra una bambola.
Sono andata ad ascoltare Davide e Davide, due librai che leggono, parlano, raccontano, ridono e ti fanno ridere.
Sono andata ad assistere a "Il libraio suona sempre due volte", uno spettacolo, un evento, un gioco in cui i libri, meno conosciuti ma più curiosi e meritevoli, vengono estratti dagli scaffali, vengono portati in viaggio, vengono raccontati-presentati-toccati-amati (e, se si vuole, acquistati) in luoghi insoliti.

Ieri sera è stata la volta di un'erboristeria ma la prossima potrebbe essere quella di un teatro, un cinema, un salotto, un giardino, un'astronave, eccetera eccetera.

Ieri sera ho respirato il profumo della cannella mischiato a quello della carta. E mi è piaciuto. Da morire.

Volete saperne di più?
Vi consiglio il sito ufficiale di quest'iniziativa: In viaggio con i libri.

Ora che ho scritto posso anche leggere.
A presto.
Mi ritiro.
Di nuovo.
(2012)
Lampedusa, 3 ottobre 2013

Amore mio,
mia adorata Chara,
mia bellissima giovane moglie.

Quando ti ho salutato hai messo le tue mani sul mio viso e hai appoggiato la tua fronte contro la mia.
"Tornerai a prendermi?" mi hai chiesto.
"Tornerò" ti ho giurato.

Chara, dolcissimo amore mio, penserai che non ho mantenuto la mia promessa. Penserai che sono un marito infedele. Penserai che non ti amo abbastanza.

No. Non pensarlo. Non pensarlo neanche per un attimo.

Ho freddo e il mare si chiude sopra di me.
Ho freddo e mi scalda solo il pensiero di saperti al sicuro. Di saperti viva.

Tornerò Chara, tornerò dopo che avrai vissuto una lunga vita felice.
Tornerò per camminare con te. Tornerò per accoglierti.

Tu perdonami. Perdonami per non essere stato abbastanza forte. Ma giuro che ci ho provato. Ci abbiamo provato tutti.

Vivi, Chara, vivi anche per me.
Ognuno ha una storia da raccontare.
Come la ragazza coi ricci e gli occhiali dorati.
"Sono felice e disperata", dice prima di un sorso di Berliner.
"Dovrei fare un viaggio", pensa ad alta voce.

"Sì, lo dovremmo fare", le risponde l'amico che le sta seduto accanto.


Ognuno ha una storia da raccontare.
Io racconto le mie e quelle degli altri.
Ascolto.
Ingoio.
E poi risputo fuori.

Vere o finte.
Mie o no.
Dalle orecchie alla mano.
Dallo stomaco alla tastiera.

Ognuno ha una storia da raccontare.
Mentre te la racconta, te ne fa dono.
Mentre l'ascolti, ringrazi per la fiducia.

Ognuno ha una storia da raccontare e una vita da vivere.
"Non colpevole".
Non ci crede nessuno ma vengo dichiarato "non colpevole".
(1995)
Ognuno ha una storia da raccontare.

Come la barista dalla caviglia tatuata.

Ti serve una rossa in bottiglia mentre dice di sua madre:
"La conosco appena. Mio padre invece si è spezzato la schiena per me".

Ma da solo non è mai riuscito a stare. Una fidanzata dopo l'altra. Una donna dopo l'altra.
"Alla fine mi sono stufata e me ne sono andata"

Un lavoro. Una mansarda. Una vita indipendente. A 15 anni.
A quell'età devi stare attenta. Ti devi difendere. Ti fai venire la scorza dura. Fuori e pure dentro.

"Ho fatto le cose per bene. Non è mica facile quando ci si trova da soli così piccoli. Sono già passati dieci anni e non ho mai combinato un casino. E non ho mai avuto bisogno di chiedere aiuto", dice accarezzandosi la pancia.

E' orgogliosa.
Di sé. Del bambino che attende. Della famiglia che si sta costruendo.
"Non è successo per caso. L'abbiamo voluto."

Ognuno ha una storia da raccontare.

Siamo rimasti solo in tre. Gli altri sono tutti dietro. 
Douglas e Ahmed scattano, ma questa è la mia giornata. 
Muscoli. Fiato. Testa. 
Un passo dopo l'altro. Sono leggero. Volo.
Questa è la mia medaglia.
(1988)
Ognuno ha una storia da raccontare.
Come l'uomo dalla cravatta gialla.
Ingoia piccoli sorsi di una bionda torbida e ad alta voce dice di suo padre: "Era bello come il sole! Ma io ho preso da mamma. Diciamo che sono simpatico. Un tipo"
Ride.

Il padre andò a comprare le sigarette. E sparì in una nuvola di fumo.
Sparì lasciando una moglie e tre figli.
Tre figli. Due femmine e un maschio.
"Da quando se ne è andato ho fatto sempre il mio dovere. Ho fatto l'uomo di casa."
Per quarant'anni si è caricato sulle spalle ogni responsabilità. Ha vissuto la vita che gli era stata assegnata, senza un dubbio, senza un ripensamento. Sapeva cosa c'era da fare e l'ha fatto.

"Le foto delle mie figlie", mostra orgoglioso. "Non sono bellissime?"

Per quanrat'anni ha fatto ciò che ci si aspettava da lui.
Poi, quando tutto era sistemato, quando tutte erano sistemate, ha aperto la porta e ha cominciato a camminare. Ha cominciato a vivere.

Non è scomparso in una nuvola di fumo. Non lo farebbe mai. Non potrebbe stare senza le sue donne.
"Le mie figlie hanno capito. Pure le mie sorelle. Persino mia madre. Mia moglie no"

"Frocio!" gli urlano da un tavolo.
Lui ride, paga da bere a tutto il locale e se ne va via con un inchino.

Ognuno ha una toria da raccontare.
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