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Marco, appoggiato al grande ciliegio, urla a squarciagola: "50 e 51, non conto più per nessuno!" e comincia la sua ricerca.
Il vecchio meticcio drizza per un attimo le orecchie ma poi sbadiglia e si rimette a dormire all'ombra, sognando amori e battaglie, poesie e tormenti. L'età carolingia è sempre stata la sua passione e da almeno dieci anni cerca di comporre un poema epico. Vuole narrare le vicende di un cavaliere coraggioso che cacciò e stanò ad uno ad uno i propri nemici. Ma la sua ispirazione sembra ormai essersi prosciugata e lui giace afflitto col muso a terra.

Ecco un ciuffo di capelli biondi, gialli come la carta delle gomme al limone.
"Silvia, dietro lo steccato!"
I due bambini corrono spalla a spalla verso l'albero, sollevando polvere e risate.
"Tana per Silvia!"
"Uffa, Marco, tu sei troppo veloce per me", gli fa lei, sbatacchiando i codini a turacciolo e le ciglia piegate all'insù.
La gatta, spelacchiata e anarchica, soffia arrabbiata e si allontana con la coda dritta e l'aria offesa. Quanta nostalgia per i tempi andati della sua gioventù, quando le femmine combattevano alla pari accanto ai propri compagni. Spalla a spalla uniti per un'ideale. Come lei ed il suo perduto amore, rosso di pelo e sanguigno di carattere, che sacrificò se stesso per il bene di tutti i felini della valle. Lasciandola vedova orgogliosa ma inconsolabile.

Una maglietta azzurra per un attimo spunta alla finestra.
"Tana per Sandro al primo piano. Scendi, non vale!"
"E chi l'ha detto?"
"Lo dico io e comunque t'ho preso."
"Vaffanbrodo!"
"Vaffanbrodo te!"
"Faccia di cacca!"
"Specchio riflesso!"
"Specchio riflesso a te: io mi abbasso e tu sei fesso!"
Le lucertole sul davanzale restano indifferenti a un tale sfoggio di dialettica e continuano a disquisire tra loro di Leibniz e Spinoza, monadi e monismo. Non troveranno mai un accordo ma continueranno a provarci perché nulla le stimola di più che un sano confronto, basato sul rispetto dell'altro e l'arricchimento intellettuale reciproco.

L'invadente puzzo di un vecchio paio di scarpe da ginnastica non può più essere ignorato.
"Tana per Luca, sento il tanfo da qua, stai dietro al muretto!"
"Mi devi vedere con gli occhi mica sentire col naso", risponde piccato il proprietario di un paio di piedi grossi come pinne e puzzolenti come cani bagnati, tirando fuori da dietro i mattoni una testa sporca e riccia ed un naso moccioloso.
"E infatti mo t'ho visto, scemo!"
"Ma no, non è giusto!", frigna disperato Luca, spargendo a terra moccio e forfora.
Una lumaca senza guscio, dalla nobile anima ma l'infelice aspetto, sente ormai vicina la fine. Percepisce il proprio corpo rattrappirsi sotto ai raggi crudeli dell'infida stella ed affida le sue ultime preghiere a SBropFrop, il dio dei gasteropodi terrestri.

"Ora tocca a me. Andate a nascondervi", e la bella Silvia, piazza i suoi ginocchi puntuti verso il grande ciliegio e comincia a contare.
Elena è nascosta dietro la Casa Vecchia. "Prima o poi si ricorderanno di me", pensa, "Prima o poi si accorgeranno che sono tre giri che aspetto che qualcuno mi venga a cercare". E si rimette buona buona a giocare con la cacca secca, "Questa ha la forma di Saturno, quest'altra invece sembra il profilo del sommo vate Alighieri", spiega ad un vecchio grasso rospo, docente d'Arte presso l'Ateneo dell'OmbraScura, che osserva, commosso e sorpreso, il talento e la dignità di un esserino tanto inferiore.



N.d.A: questa sciocchezza, questo delirio, questo gioco insensato mi è stato ispirato da un delizioso commento di Elena.
Fate scorta di generi di conforto, cercate un posto sicuro, tenetevi stretti i vostri cari, è ora di cominciare a prepararsi seriamente: la fine del mondo, come lo abbiamo sempre conosciuto, è ormai alle porte.

Già i Maya ci avevano avvertito con largo anticipo e secondo me si erano persino tenuti larghi. Altro che 21 dicembre 2012! Qua finiamo tutti a gambe all'aria molto ma molto prima.

E' inutile che facciate scongiuri vari. I segnali sono inequivocabili. Rassegnatevi all'evidenza.
E se non sarà proprio tutto il pianeta a venire stravolto, sicuramente lo sarà la nostra penisola, il nostro elegante stivale-tacco12.
Non ci credete? Fate male! E ora vado a dimostrarvelo.

La mia tesi verte su tre prove, tre segnali, tre indicazioni che, ne converrete presto con me, non danno adito a dubbi.

1)Dopo millemilioni di anni di pigrizia, nullafacenza e ignavia, dopo che le mie articolazioni si erano fatte rigide come quelle di un novantenne e rumorose come i cingoli di un carro armato, io me medesima, Jane Pancrazia Cole, mi sono rimessa a fare sport. Da qualche tempo mi dedico all' acquagym.
E se è pur vero che questa attività sta solo un gradino sopra alla ginnastica della terza età, comunque sta di fatto che la qui presente blogger, la nemesi di qualsiasi tipo di attività sportiva, la donna con gli addominali di burro e le anche di marmo, due volte a settimana indossa il costumino schiaccia ciccia, calza la cuffia da Ester Williams e si dedica anima e corpo alla propria forma fisica.
Per ora la somiglianza con una balena spiaggiata è ancora evidente ma Pancraziuccia vostra si sta facendo di settimana in settimana più sciolta ed aggraziata.

Iniziate a fare scorta di acqua minerale. Datemi retta!

2)La seconda prova la potete verificare voi stessi entrando in una qualsivoglia libreria, giornalaio, supermercato o straccivendolo. L'augusto principe Emanuele Filiberto di Savoia, il testimonial dei cetriolini sottaceto, il quasi vincitore di Sanremo, l'uomo di fronte al quale tutti ci sentiamo improvvisamente più intelligenti, si è dedicato alla letteratura.
Ebbene sì, Fili ha scritto un libro. In realtà egli si era già cimentato in una autobiografia un paio di anni or sono, ma adesso ha fatto di più, molto di più. Le sue nobili manine hanno prodotto un ispirato romanzo dal Mocciano titolo "Mi fai stare bene".
Ripetete tutti con me: "Se ne sentiva proprio il bisogno!"

Riempite la cantina di scatolette di tonno. Ascoltatemi prima che sia troppo tardi!

3)Siete pronti per sentire l'ultima aberrazione? La definitiva dimostrazione che ormai siamo agli sgoccioli e che il nostro povero paesello affonderà nel Mediterraneo con un sonoro PLOP?
Sedetevi, che è meglio, non vorrei avere sulla coscienza i vostri traumi cranici.
I tedeschi hanno iniziato a venderci le scarpe.
Il popolo famoso per i sandali coi calzini, il paese del cattivo gusto e del sintetico elevati a forma d'arte, la nazione riconosciuta a livello mondiale come la peggio vestita, che pure inglesi ed americani al confronto sono dei damerini, ha deciso d'invaderci con le sue scarpe lowcost.
Gioiellini di eleganza e ricercatezza nei materiali. Modelli che vanno dalla cubista coi calli alla vecchietta con l'alluce valgo, passando per la teenager tamarra crucca, il tutto prodotto in raffinata plasticaccia.(*)
Ormai non c'è più rispetto per niente. Sono saltate tutte le regole. E' giunta la fine.

Non avete ancora preso il latte in polvere? Che state aspettando?

Si salvi chi può!

(*)Mi rifiuto di mettervi il link, anche perché i germanici sono permalosi assai, ma sappiate che sto parlando di quella ditta che da mesi ci martella di spot televisivi. Le scarpe che iniziano con deich e finiscono con mann.
Ovvove!
Ho saputo dell'iniziativa solo questo pomeriggio e quindi rispondo all'appello quasi allo scadere del tempo.
Oggi, 12 aprile 2011, su molti blog e social network si parla della scuola italiana. Ognuno porta la propria opinione ed esperienza.

Io non ho figli, non ancora almeno, ma se un giorno ne avrò spero che frequentino una scuola come quella che ho frequentato io.
Nella mia classe delle elementari eravamo solo in 15.
15 bambini ognuno diverso dall'altro. C'era il ragazzino con gli occhi verdi che mi faceva battere forte forte il cuore e che ogni tanto se ne arrivava in aula senza calze o col maglione scucito. Ma c'era anche la mia compagna di banco, una bambolina bionda, tutta volant e fiocchetti rosa, con un guardaroba da principessa.
Eravamo tutti uguali ma tutti diversi. Vedevamo le differenze, eravamo piccoli mica stupidi, ma per noi non avevano importanza. E lo stesso valeva per la maestra ed i nostri genitori.
Ad ogni festa di compleanno venivano invitati tutti ed ogni gita veniva scelta in modo che tutti potessero parteciparvi.
O tutti o nessuno.

La mia era un'orgogliosa scuola pubblica dove non ci mancava mai niente. C'erano i gessetti e la carta igienica, non ce li dovevamo portare da casa o autotassarci. E per le grandi occasioni il bidello Aldo tirava fuori dallo stanzino delle meraviglie un televisore, un videoregistratore, uno stereo e persino un proiettore di diapositive. Certo, quest'ultimo s'incastrava spesso. Ma quale proiettore non lo fa? E' nella natura stessa dei proiettori, no? Una botta qua, un colpetto là, l'immagine al rovescio, gira, riprova, ecco ora funziona.
Sarò naif oppure è il (tanto) tempo passato a rendere i ricordi troppo romantici, ma a noi queste cose bastavano, le lezioni non erano mai noiose ed in cinque anni ho imparato moltissimo ed ho partecipato ad attività che ancora ricordo  con piacere.
La maestra Egle c'insegnò la storia, l'italiano, la geografia e la matematica. Ci fece fare l'Iliade a fumetti ed un fotoromanzo dei Promessi sposi. Un'ora alla settimana poi venivamo divisi in gruppi e seguivamo i laboratori d'inglese, scienze e teatro. Io ricordo soprattutto la maestra Bruna che mi regalò l'emozione del ruolo di Colombina e la maestra Anna che ripeteva sempre quanto le mie fossero "domande molto intelligenti", facendomi diventare rossa dall'imbarazzo e la contentezza.
Io sono stata fortunata. Ho avuto il privilegio d'incontrare molte insegnanti piene di passione ed iniziativa. Ma sono sicura che il corpo docente attuale sia ancora ricco di soggetti di questo tipo. Persone che amano il proprio lavoro e che, se messe nelle condizioni adeguate, possono davvero fare la differenza e lasciare ricordi indelebili e doni preziosi agli adulti di domani.

In terza elementare arrivò Fabio, un compagno nuovo con una famiglia complicata alle spalle, un carattere aggressivo e molta difficoltà nel leggere. E con lui arrivò anche Carla, la sua maestra di sostegno. Vorrei che i miei figli, anzi vorrei che i figli di tutti, potessero avere la fortuna d'incontrare un Fabio sulla loro strada e che tutti i Fabio d'Italia potessero esercitare il diritto di essere guidati dalla loro maestra Carla.
Lui imparò a far parte di un gruppo, a smussare i propri spigoli ed anche a leggere. A noi venne insegnato che fermarsi ad aspettare qualcuno non è mai una perdita di tempo e che si può essere tanto orgogliosi anche per le conquiste di qualcun altro.

La mia scuola elementare era (ed è ancora) intitolata a Martin Luther King ed un indimenticabile mattina la maestra Egle ci fece uscire dal portone tutti in fila per leggere la targa: "Sapete chi era questo signore?" ci chiese e poi ci raccontò la sua vita, i suoi ideali ed il suo sacrificio. Il mio petto si riempì d'orgoglio: quel signore era stato forte, coraggioso e giusto, e anche noi eravamo un po' speciali a cominciare il nostro percorso sotto il suo nome.

E' così che vorrei la scuola italiana di adesso. Esattamente come quella che ho fatto io.


Il link dell'iniziativa su facebook.
Hanno detto la loro anche: Lumaca a 1000, Panzallaria, Mammamsterdam e tanti altri.
Il mio dentista è un genio.
Del male.

Per far dimenticare agli sciocchi pazienti l'atavica paura che il suo mestiere naturalmente suscita, l'astuto cavadenti ha elaborato un piano semplice ma efficace: tenere l'aria condizionata in sala d'attesa ad una temperatura polare.
In questo modo lo sprovveduto cariemunito, seduto tra un morbido orso polare con l'alito fetente ed un elegantissimo pinguino piagato dal tartaro, è costretto a mettere da parte l'ansia per un po' di sopportabile dolore e a concentrarsi invece sul fondato rischio di decedere per ipotermia.

Il mio dentista è un genio.
Del male.





(I credits per le immagini: 1)http://nature.ca; 2)http://www.thisblogrules.com; 3)http://ourfunnyplanet.com; 4)http://www.answersingenesis.org.)
La sorellanza è quella foto che ci fecero a Rimini un milione di anni fa e che tengo ancora sulla scrivania. O quelle del mio terzo compleanno dove io assomiglio a Renato Pozzetto e tu al maggiordomo degli Addams.

La sorellanza è un televisore che fermasti appena in tempo prima che mi schiacciasse come una sottiletta. O quel terremoto durante il quale mamma e papà ci portarono in braccio per cinque piani di scale. Pure a te, anche se eri già la più alta della famiglia. O ancora il mio risveglio dall'anestesia, quando MammaCole sollecita mi chiese: "Come stai tesoro?", ed io risposi solo: "Dov'è SorellaCole? Quando torna? Voglio lei."

La sorellanza si fonda sulla consapevolezza dell'ineluttabilità della presenza dell'altra quando vorresti stare da sola, ma anche sulla certezza della presenza dell'altra quando hai bisogno di qualcuno.

La sorellanza non è un dubbio ma una risposta.
E' la sicurezza che pure se fai una stronzata, anche una bella grande, l'altra non se ne va. 

La sorellanza è diversa per tutti. Ognuno ha la propria. La nostra è fatta di morbillo e varicella, di migliaia di colazioni assieme a base di galletti e caffè, della predilezione per il salato piuttosto che il dolce, e delle altre decine di abitudini uguali che neanche ci rendiamo conto di avere.

La sorellanza è un post che mi è girato in testa per tutto ieri ed oggi può finalmente essere pubblicato.

Buon Compleanno SorellaCole! 

Che quest'anno ti porti: un lungo viaggio, un incontro spettacolare e l'amore più grande che c'è.
Pensavate davvero che la mutazione del blog fosse solo uno scherzo o un passeggero momento di follia? Illusi! Non l'avete ancora capito che la mia stupidera non è assolutamente momentanea ma irrecuperabilmente cronica? Forse, in alcuni momenti, posso dare l'impressione di essere una persona lucida, matura e persino seria, ma si tratta solo di attimi, brevi, brevissimi attimi.

Ross e Mario, due menti diaboliche anzichenò, con i loro commenti al penultimo post mi hanno ispirata e così è nata la seconda ricetta di "Cucina Cole, il food blog che non ti aspetti".
Un piatto perfetto per cuochi comunisti, golosi di sinistra, crudeli mangiatori d'innocenti e streghe di fiabe crucche: il Nipote Bollito.
L'ingrediente è unico e di facile reperibilità: un quasi  treenne in moto perpetuo, simpatico ma molesto, dolce ma isterico, divertente ma ingestibile. Voi scegliete chi volete, io ho preso PiccolissimoE: la creatura che, sotto i miei increduli occhi, in poco tempo si è trasformato da adorabile biondo puttino in adorabile biondo scassamaroni.

Prendete il suddetto treenne, strappatelo dal letto all'alba, legatelo come un salame al seggiolino e sottoponetelo ad un viaggio in macchina di almeno trecento km.
Arrivati a destinazione liberate la bestia che, nel frattempo, si sarà trasformato in una pallina da flipper e non riuscirà a stare fermo neanche per 120 secondi consecutivi. In ordine: si rotolerà nella neve; prenderà a pallate oggetti animati ed inanimati compresi amici, parenti, sorelle, auto parcheggiate e vecchiette con deambulatore; si rotolerà nella neve; tenterà di rapinare a pannolino armato un rifugio ad alta quota; si rotolerà nella neve; urlerà a squarciagola per esprimere indifferentemente gioia, rabbia, dolore, tristezza o semplicemente voglia di provocare una valanga e, ovviamente, si rotolerà nella neve.

A questo punto i vostri ingredienti principali forse saranno già cotti a puntino ma PiccolissimoE no! Egli ha la pellaccia dura e ci vuole ben altro per cucinarlo a dovere.
L'ideale per (dargli il colpo di grazia) completare la cottura è farlo passare di fronte a delle allettanti giostrine. Il fanciullo, ebbro di gioia, ignorerà il vetro che lo separa dal Nirvana e, alla massima velocità consentita dalle sue corte gambine, prenderà un' epica craniata con annesso "SDENG!!!" udito nel raggio di 5 km.

Solo ora il Nipote sarà davvero Bollito e, dopo aver ululato come un bassotto alla luna ed essersi accessoriato con un elegantissimo corno frontale, perderà al fine i sensi. Permettendovi un po' di pace per almeno 10 minuti. Se siete fortunati.

Buon appetito!

(Nessun Nipote è stato maltrattato durante la produzione di questo post. Lo giuro!)
Io odio il Primo d'Aprile.
Per quanto mi riguarda dovrebbe essere cancellato dal calendario.
Il mondo è pieno di persone che detestano il Natale oppure il Capodanno. A me sta sulle balle il Pesce d'Aprile.

Tutto ebbe inizio molti, molti, molti, ma proprio molti anni or sono.
Era il lontano 1987, alcuni di voi non erano neanche ancora nati (e per questo vi odio, sappiatelo), ma io già frequentavo la quarta elementare. Ero un mucchietto di ossa con due guanciotte paffute ed una montagna di ricci sulla capoccia. La mia infanzia scorreva placida e serena tra la puntata giornaliera di Bim Bum Bam e le ossessive repliche di Happy Days, il mio unico mito era Alessandra Martines ed il mio sogno proibito Marc Lenders, i miei improrogabili impegni consistevano nel catechismo e le lezioni di danza con la maestra Marina (la ballerina con il culo più grande dell'universo, che se l'avesse vista la Celentano l'avrebbe fustigata sulla pubblica piazza). Insomma, andava tutto bene, fino a quel maledetto, maledettissimo primo aprile.

La maestra Egle, insegnante dal sorriso gentile e l'animo giocherellone, quella mattina ci riportò i nostri quaderni di matematica corretti.
15 bambini. 15 quaderni. 15 pesci di carta, con annessa spiritosissima e personalizzata frase, occultati tra le pagine a quadretti.
Oh che ridere!
Oh che gran divertimento!

Lo so che vi starete chiedendo in questo momento: "Che cavolo ci sarà stato mai scritto su quello della piccola Jane? E' possibile che lei sia così permalosa da ricordare ancora con astio un'innocente scherzo fatto un'eternità fa?"

Ve lo dico subito cosa c'era scritto: un bel niente!
In effetti i pesci non erano 15, ma 14!
Quella rimbambita della maestra si era dimenticata di farne uno anche per me. Eravamo solo 15 in classe mica 300, ma lei se ne dimenticò comunque uno: il mio.

Io ancora non mi sono ripresa dal trauma. Sob.



N.d.A (1) Avete notato la raffinatezza? Disprezzo talmente tanto il primo d'aprile che questo post l'ho scritto il 2.

N.d.A (2) Guai a voi se provate a convincermi che anche la povera maestrina, una volta resasi conto dell'errore, ci sarà rimasta molto male. Echissenefrega! I commenti solidali con quella stordita scateneranno la mia rabbia cieca. Vi ho avvertito.
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