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Hai visto Pinocchio al cinema e in tv, te l'avranno letto da bambino o l'avrai letto tu sesso ma, probabilmente, ci sono ancora alcune cose che non sai del capolavoro di Collodi. 

Ecco 5 curiosità su Pinocchio. 

1) Le avventure di Pinocchio vennero pubblicate inizialmente nel 1881, a puntate, all'interno di un settimanale per ragazzi. Il volume unico, come lo conosciamo oggi, vide la luce solo due anni dopo, nel 1883. 

2) Nella versione pubblicata sulla rivista, Collodi faceva morire il personaggio tramite impiccagione. Ovviamente questo finale non piacque ai lettori. L'autore toscano fu costretto a cambiarlo e la storia è così giunta fino a noi con un più classico lieto fine. 

3) Pinocchio è uno dei libri italiani più tradotti al mondo. A tutt'oggi si contano 260 traduzioni.

4) Grazie a questo libro il concetto "se dici una bugia ti cresce il naso" si è diffuso in 3/4 del pianeta. Concetto che non era tipico della Toscana dell'800 ma che fu un'idea originale di Collodi stesso. Del resto, se il tuo protagonista è un bugiardo fatto di legno, non è una cattiva idea fare in modo che questo suo difetto risulti evidente anche fisicamente. Bella trovata, Carlo!

5) Il titolo completo dell'opera di Collodi è "Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino". All'epoca, infatti, con il termine "burattino" si intendeva un generico fantoccio mosso da fili. 
La lingua italiana, però, nel frattempo si è evoluta e modificata. Ora un "burattino" è un pupazzo mosso da una mano al suo interno, un tipico gioco per bambini, mentre un fantoccio manovrato dall'altro attraverso dei fili è detto "marionetta". 
Pinocchio, quindi, rimarrà per sempre il burattino più famoso al mondo. Ma ora è una marionetta. 

Conoscevi già qualcuna di queste curiosità?

"La scrittura non si insegna", un'affermazione un po' forte da fare considerando che da anni conduco laboratori di scrittura. Ma non si tratta di una mia dichiarazione quanto del titolo di un saggio di Vanni Santoni. 

"La scrittura non s'insegna" è convinto Santoni, che a sua volta insegna e ha insegnato scrittura creativa in diverse Scuole. Ma allora si tratta solo di una provocazione? Non proprio, fin dalle prime righe l'autore specifica che, secondo lui, non si può insegnare a scrivere bene ma si può insegnare a diventare uno scrittore. O un narratore, come preferisco dire io. 

Si può insegnare la disciplina, il metodo, la fatica per passare dalla teoria alla pratica, dalla fantasia del genio incompreso a un lavoro vero o, quantomeno, a un manoscritto finito. O, meglio, a più di uno. 

Il titolo "peculiare" attrae l'attenzione ma a mantenerla è il contenuto di questo breve saggio: rapido, divertente, pieno di ottimi consigli. 

Un libro che mi ha lasciata con una gran voglia di leggere, scrivere e perfino aprire una rivista letteraria. Fermatemi, vi prego, prima che lo faccia veramente! 

Una lettura consigliatissima a chi ama la scrittura, ama prenderla molto sul serio ma, magari, è pronto a prendere MENO seriamente il proprio strabordante ego e la necessità disperata di pubblicare come fine ultimo. L'importante è scrivere, scrivere, scrivere. La pubblicazione, nel caso, arriverà. 

"La scrittura non si insegna". 
Vanni Santoni. 
Minimum Fax.

Ci avevo provato qualche anno fa ma, complice una simpatica pandemia, avevo perso presto slancio ed entusiasmo. Fallendo miseramente quanto rapidamente.

Ma ho deciso che ci avrei riprovato quest'anno e così ho fatto. 
L'8 gennaio del 2023 mi sono lanciata nuovamente nell'avventura "Guerra e Pace", forse il più grande classico che ancora manca nel mio curriculum da lettrice. 

Questa volta ho scelto di darmi all'audiolettura, in modo da poter compiere questo viaggio in maniera un po' più agevole. E, infatti, ad oggi ho già abbondantemente superato la soglia che avevo raggiunto al primo (fallimentare) tentativo con un ebook. 

Quindi, quest'anno, accanto a saggi dedicati alla scrittura e a romanzi della più varia natura (la rima è voluta), leggerò anche la grande opera di Tolstoj. 

Non ho idea di quanto tempo ci metterò in tutto. 
Non ho fretta. 
Per ora, mi godo il viaggio.
Non sarebbe una domanda tanto strana se a farmela, da circa 15 anni, non fosse mia madre. 

Povera donna, l’è toccata una figlia dall’occupazione in inglese: content specialist, si dice. Poco chiara in lingua albionica ma altrettanto in italica perché, a onor del vero, non è che “specialista di contenuti” sia così esplicativo. E, infatti, a non capire cosa io faccia non è solo la mia genitrice ma spesso anche conoscenti o vecchi amici di ritorno che, di fronte alla mia risposta alla loro domanda di rito "Ma tu che fai nella vita?", o fingono di capire non capendo o non capiscono non fingendo. 

Quindi ho deciso di rispondere qui, per tutti gli interessati e anche per me, così magari la prossima volta che qualcuno me lo chiederà avrò le idee abbastanza chiare per dare una risposta soddisfacente. Si spera.

Allora, io che faccio nella vita? Io scrivo. 
Ma no, non sono una scrittrice. 
E neanche una giornalista perché, pur avendo lavorato per diverse testate, non faccio parte dell’ordine.

Ma comunque scrivo. 
E cosa scrivo? Davvero parecchia roba. 

Ad esempio, girate per siti web, no? Ecco, i testi che trovate potrei averli scritti io. Ovviamente, se i testi sono particolarmente accattivanti e Google vi ha fiondato su quel sito alla velocità della luce, allora quei testi li ho sicuramente scritti io. Perché sono brava, che si sappia! 

Seguite qualcuno sui social, no? Una ditta, un artista, un’associazione culturale? Quei contenuti presenti sui social potrei averli realizzati io. 

O, ancora, qualcuno vi ha regalato un racconto splendido in cui voi siete il protagonista e non avete mai letto una cosa tanto originale e tagliata su misura per voi? Beh, quel racconto potrei averlo scritto proprio io. Se non vi è piaciuto, invece no, io non c’entro niente. 

Oppure, state giocando a un videogioco, uno di quelli pieni di scritte, di spiegazioni, di cose che dovete leggere e seguire, ecco, pure quelle potrei averle scritte io. 

O, questo natale, hanno regalato a vostro figlio un pupazzo in grado di raccontare storie? Ecco, indovinate un po’ chi potrebbe aver contribuito alla scrittura di quelle storie? Appunto. 

Nel passato avete letto articoli dedicati a spettacoli o mostre torinesi? Come sopra. Testi esposti all’interno di mostre? Sempre io. Leggende piemontesi? Ancora io. Avete ascoltato podcast? Sapete che si basano su testi, no? Ecco, quelli, io. 

Per non parlare di romanzi, guide o manuali, firmati da altri. Perché ho fatto anche la ghostwriter. 

Il bello è che ci sarebbe tanto altro da dire riguardo al passato e anche ai progetti futuri. Insomma, conduco laboratori di scrittura, faccio consulenze e sono in procinto di realizzare altre cosine decisamente interessanti ma per ora mi taccio. 

Spero di essere stata già abbastanza chiara, no? 
Ecco, quindi, nel caso incontraste mia madre, sapete cosa rispondere.
... l'osservazione di una serie di principi che governano la narrazione. 

Il viaggio dell'eroe è uno strumento da conoscere a fondo per poi poterlo utilizzare, manipolare o anche ignorare. Perché, per ribellarsi a qualcosa, bisogna conoscerlo.

Il viaggio dell'eroe di Christian Vogler.



Il vecchio Pietro Taccagni stava tornando a casa. 
La città era ricoperta da un sottile strato di neve e l'aria era gelida. 
Ma a lui non importava, dato che il suo cuore era più freddo ancora, così come la sua anima. 

Le finestre dei palazzi svelavano scene di famiglie festose e alberi addobbati. "Che ci troveranno tutti in questa festa?" si chiedeva tra sé e sé l'anziano commerciante. "E che avranno da festeggiare? Più sono poveri e più gioiscono, manica di folli! Il Natale non è altro che un giorno di scadenze quando non s'hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un'ora più ricchi!" borbottava, profondamente infastidito dal fatto che, ogni anno, i suoi dipendenti pretendessero di stare a casa per le feste. “Pigri, vogliono fare la bella vita a mie spese!” ringhiava a denti stretti. Poi, lanciando uno sguardo in tralice alla Mole, illuminata da giorni per l'occasione, "Che spreco di soldi e watt!", gridò e prese a camminare reggendosi al bastone. 

Camminò fino a giungere sotto i portici di via Po e fu lì che cominciò una serie di “spiacevoli” incontri.

Per prima cosa vide venirgli incontro Paolo, un cugino con cui aveva condiviso mille giochi d’infanzia. “Pietro!” urlò questi allargando le braccia in un gesto accogliente e poi, cieco e sordo di fronte all’evidente fastidio del vecchio compagno di giochi, gli attaccò un bottone infinito. Parlò a lungo dei bei tempi andati, di quanto dovessero frequentarsi di più, fino ad invitarlo al pranzo del giorno dopo. “Non ci penso neanche”, rispose acido Taccagni. “Per me domani è un giorno come un altro. Io lavoro, non sono mica un vërgnach!” Ma, l’altro, conoscendo bene il caratteraccio del cugino, non si fece abbattere: "Dai, non fare il solito bastian contrari, tutti amano il Natale. Goditi la festa con noi, con la tua famiglia. La mia signora preparerà vitello tonnato, acciughe al verde, agnolotti del plin e bollito misto!" “Tutto questo spreco? Un po’ di semolino in brodo e poi i miei cari libri contabili, ecco come trascorrerò questo Natale. Con l’unica persona interessante che conosco: io! E pensando all’unica cosa che importa: i soldi! Se proprio andrò a trovar qualcuno sarà quel buono a nulla del mio commercialista”, ripose e se ne andò via senza guardarsi indietro. 

Giunto in Piazza Castello, s'imbatté in un mendicante, "Me la dà una moneta, monsù?" gli chiese questi, facendo una riverenza così profonda che la punta del naso quasi gli toccò le scarpe sfondate. "Allontanati, scansafatiche!" lo minacciò il vecchio avaro col suo bastone. Poi allungò il passo per lasciarlo rapidamente alle spalle. Continuò a camminare e lamentarsi, “Tutti questi poveracci che infestano le strade dovrebbero metterli alle Vallette, così stanno al calduccio e smettono di dare fastidio alla brava gente!” 

Attraversando il cuore della città, si sforzò di ignorare le luminarie, maledisse la puzza delle caldarroste e poi, quando pensava di essere finalmente al riparo da ulteriori scocciature, girando l’angolo quasi andò a sbattere contro una giovane famiglia carica di pacchi. La più piccola del gruppo, una bimba avvolta in un candido piumino, ebbe l'ardire di rivolgergli la parola. "Buon Natale signore", disse mentre portava orgogliosa un cabaret di bignole tra le mani. "Buon Natale, signore" ripeté sfoggiando un adorabile sorriso sdentato, ma Taccagni sbuffò sgarbato e si rifiutò di contraccambiare. 

Stufo di tutti quegli incontri, attraversò di corsa il portone e si rifugiò in casa propria. Una volta dentro si mise le pantofole, la veste da camera e un berretto di lana, necessario dato quanto teneva basso il riscaldamento perché “Un po’ di freddo fortifica, il caldo rammollisce e, soprattutto, rende poveri!”

Mangiata una mela cotta del giorno prima si mise comodo sulla sua vecchia poltrona e, dopo pochi minuti, si assopì o almeno si convinse di essersi addormento perché, tutto quello che gli accadde nella mezz’ora successiva, non poteva che essere un sogno. Il più strano dei sogni! 

Era sulla sua poltrona quando venne svegliato da strani rumori che provenivano da ogni angolo della casa. Catene, scricchiolii, porte che sbattevano. 

Taccagni si mosse per tutto l’alloggio tra il terrorizzato e l’indignato, temendo la presenza dei ladri o di qualche sciocco ragazzino in vena di scherzi. Era pronto a chiamare la madama quando, al fondo del corridoio, vide suo cugino. 
“Paolo? Sei tu? Ma che ti prende? Pensi di essere divertente? Come diavolo sei entrato?” più il vecchio faceva domande più il cugino si avvicinava senza parlare. Non camminava, fluttuava con i piedi a qualche centimetro dal pavimento. Non era fatto di carne, era trasparente, un fantasma. Taccagni si aggrappò al bastone e si tenne il petto, temendo di stare per avere un infarto da un momento all’altro, “Chi sei? Cosa sei?” chiese. Fu solo a quel punto che la spettrale figura gli fu accanto e gli sorrise, “Sono il fantasma dei Natali Passati” “Il che?”, ma non ebbe risposta e in un battito di ciglia si trovò altrove. Un altro luogo, un altro tempo. In provincia, dove aveva vissuto da piccolo. 

“Guarda com’eri felice” gli disse il fantasma. E, spiando attraverso la finestra di quella che un tempo era stata la casa della sua famiglia, il vecchio commerciante si rivide da piccino con la sua mamma, la nonna e anche il cugino di cui il fantasma aveva preso le sembianze. 
“È passato tanto tempo”, disse Pietro in un sospiro. “Ero un piccolo sognatore, convinto di sapere tutto ma non sapevo niente. Pensavo di essere felice ma guarda in che catapecchia vivevo, guarda che vestiti logori portavo”. 
“E ora? Ora credi di stare meglio? Ora credi di sapere tutto?” gli disse il fantasma prima di riportarlo indietro.

Taccagni non ebbe neanche il tempo di riprendere fiato che ebbe un nuovo sussulto, accanto a lui non c’era più l’anima di prima ma il senzatetto che aveva incrociato per strada. “Lei che ci fa qui?” gli chiese irritato, ma poi si rese conto che anche i piedi di quest’ultimo non toccavano terra e che pareva fatto di aria e non di carne. 
“Oh cielo, ancora?” 
“Sì, io sono il fantasma del Natale Presente e voglio mostrarti come festeggiano gli altri mentre tu stai ad annoiarti da solo” 
“Annoiarmi? Io...” ma Pietro non ebbe il tempo di ribattere che, in un secondo, si trovò in strada. Con suo grande stupore il fantasma non lo portò in uno di quei palazzi che aveva visto prima, quelli addobbati e luminosi, ma nelle case più modeste, con pochi addobbi e ancor meno doni. “Lo sanno, lo sanno di avere poco o nulla”, gli spiegava il fantasma. “Ma non si arrendono e cercano di rendere migliore l’uno la vita dell’altro, con il loro amore”. “Quante insensate sdolcinatez...” stava per rispondere sgarbatamente Pietro, quando la sua attenzione cadde su una giovane madre. Ella stringeva al petto il suo piccolo bambino mentre il padre disegnava con dei pastelli un albero addobbato sul muro di casa. “Come sono belli” pensò un secondo prima di materializzarsi nuovamente a casa propria. 

Rimasto solo, si guardò in giro sospettoso, “Non c’è due senza tre” disse e infatti, da dietro la poltrona, spuntò un folletto. No, anzi, una bimba, la bimba incontrata per strada. Con una veste candida e i piedi nudi e svolazzanti. “Non hai freddo?” le chiese Taccagni sorpreso. “No” “Sei il Natale futuro?” “Esatto” “Va bene, andiamo”. 

Pietro si era quasi abituato a quel sogno strano, ma a sorprenderlo ci pensò la bambina. 
“Un cimitero? Mi hai portato al Monumentale?” le chiese. 
“Guarda”, rispose lei indicandogli una lapide, “Pietro Taccagni, instancabile lavoratore”. 
Davanti alla tomba nessun fiore. Solo pietra liscia e fredda. 
“Non vien mai nessuno a trovarmi?” 

A questa domanda la bimba ripose portandolo in giro per la città, dai suoi vecchi dipendenti, i parenti, i compagni di scuola. “Il primo anno senza quell’avaraccio!” diceva uno. “Non mancherà a nessuno!” rispondeva l’altro. “Avido com’era sarà finito all’inferno e avrà chiesto al diavolo di abbassare le fiamme per non spendere troppo di gas!” Tutti ridevano di lui, nessuno lo ricordava con rispetto o un po’ di tenerezza. Solo il cugino Paolo, guardando un vecchio album di famiglia, diceva alla moglie “Eravamo così uniti, poi lui è diventato sempre più ambizioso, sempre più desideroso di arricchirsi. Si è allontanato da tutti ed è morto da solo. Forse avrei potuto fare di più, avrei dovuto insistere, andare a trovarlo più spesso.” Lei lo stringeva con tenerezza, “Non ti crucciare, ognuno sceglie il proprio destino, lui scelse il suo molto tempo fa”. 

Pietro aprì gli occhi, si era addormentato sulla sedia, fuori albeggiava. Un sogno, era stato solo un sogno. Raccolse i resti della cena sul tavolo e girò a lungo per le numerose stanze vuote della sua grande casa. Un sogno, davvero uno strano sogno. “Ognuno sceglie il proprio destino”, ripeté più volte, poi si vestì e corse in pasticceria a comprare un regalo: un panettone basso con la glassa. Infine si diresse a passi distesi verso la casa del cugino. Non aveva neanche più bisogno del bastone, sentiva di avere tutta la forza necessaria per percorrere la nuova via che aveva scelto. 

“Buon Natale, signore” sentì una vocina alle sue spalle. Era la bimba del giorno prima. 
“Buon Natale anche a te”, le rispose. 
Ormai è quasi Natale ed è il momento perfetto per scrivere un racconto a tema. 

Per queste feste, ti regalo 3 spunti. 

Il tuo racconto dovrà: 
1. Essere ambientato durante la notte del 24 Dicembre; 
2. Avere come protagonista: un bambino o una bambina o un animale; 
3. Avere nella trama: qualcosa o qualcuno che viene perduto e ritrovato. 

Tutto chiaro? 

Buona scrittura... e se hai piacere di avere un feedback da parte mia, manda il tuo racconto a janecole@live.it 

Buone feste!

Si avvicina il Natale e io mi sono data alle letture stagionali, quelle che profumano di vischio.

In realtà, quest'anno, mi sono data soprattutto alle riletture. 
In particolare, sto ascoltando, in rigoroso ordine cronologico, i 4 audiolibri che compongono la saga delle sorelle March. 

Da bambina lessi Piccole Donne e Piccole Donne Crescono. Ora, da adulta frollata, sto affrontando per la prima volta anche Piccoli Uomini e I Ragazzi di Jo. 

Piccole Donne rappresenta una pietra miliare nella letteratura per ragazzi e, tanto onore, merita un post dedicato. Un post in cui ho deciso di elencare 10 curiosità sul libro che, forse, ancora non conosci. 

1) Louisa May Alcott non voleva scrivere questo libro.
Fu l'editore a chiederle esplicitamente un romanzo per ragazzine di buona famiglia. Lei, da suffragetta impegnata qual era, trasalì e rifiutò. Per convincerla ci volle la proposta di un contratto editoriale anche per il padre filosofo. Cosa non si fa per la famiglia! 

2) Louisa scrisse il romanzo, che tanto non voleva scrivere, in sole 10 settimane.
Che fosse incredibilmente ispirata o semplicemente volesse togliersi il pensiero in fretta, non ci è dato sapere. Ma resta il fatto che, in poco più di due mesi, realizzò un libro che sarebbe stato amato da tutte le ragazzine del mondo. 

3) Il romanzo ebbe da subito un successo strepitoso.
Non si trattò di quei casi di riscoperte a posteriori o long seller che lentamente si fanno strada nei cuori dei lettori di tutte le epoche. No, Piccole Donne fu un successo editoriale fin dai primi momenti. 

4) Questo forse l'hai già sentito: il personaggio di Jo non si doveva sposare.
Louisa May Alcott voleva che alla fine Jo fosse una donna realizzata, ricca di passioni ma single, o meglio zitella, come si diceva allora. Una donna felice e indipendente che non aveva bisogno di un uomo. Una visione modernissima per l'epoca. Talmente moderna che l'editore la bocciò, ritenendo che le giovani lettrici avrebbero di gran lunga preferito un happy ending classico con tanto di principe azzurro. La Alcott dovette cedere a queste insistenze ma lo fece a modo suo, decidendo di non far finire Jo con il personaggio più ovvio. Niente Laurie: ragazzo americano, giovane, bello e ricchissimo. Meglio il Professor Bhaer: tedesco, poco attraente, in là con gli anni e povero in canna. 
Entrambi dal cuore d'oro, però.

5) L'autrice saccheggiò la propria vita e la propria famiglia per dare forma ai personaggi che avrebbero animato il suo libro. Lei stessa, infatti, era la secondogenita di 4 sorelle, proprio come Jo. Con cui condivideva, ovviamente, anche la passione per la scrittura. Sua sorella maggiore era una donna che amava il marito e i figli, come Meg. La più piccola della famiglia era una capace artista, come e più di Amy. E, purtroppo, l'amatissima terzogenita, Elizabeth nel libro e nella realtà, morì di scarlattina a soli 22 anni. 

6) Anche i genitori Alcott sono serviti da canovaccio per creare i signori March, con cui condividevano infatti la passione per la cultura e per l'impegno sociale.

7) Lo stesso Laurie pare essere ispirato a un tale Laddie, musicista polacco, che la scrittrice avrebbe conosciuto in Europa e con il quale avrebbe anche condiviso una breve vacanza a Parigi. Tra gossip e realtà non sapremo mai quale sentimento unisse veramente i due ma non c'è niente di male a sognare la (un po') bacchettona Alcott alle prese con un amore fugace per le strade della Ville Lumière. 

8) Persino la casa della famiglia March condivide con quella degli Alcott praticamente tutto: dal nome, al luogo (il Massachussets) fino all'aspetto. Tanto che Orchard House è diventata un feticcio per gli amanti della lettura di tutto il mondo e, trasformata in museo, accoglie ogni anno migliaia di visitatori curiosi di vedere dove le gesta di Louisa May, nonché quelle di Jo, abbiano avuto luogo. 

Che dire? Forse l'autrice americana ha fatto così in fretta a scrivere l'opera perché ha dovuto davvero inventare ben poco.

9) Piccole donne venne pubblicato negli Stati Uniti nel 1868. Un anno dopo, nel 1869, uscì anche Piccole Donne Crescono. I due volumi rimasero separati per 11 anni, poi – a partire nel 1880 – vennero uniti in un unico tomo e, ancora adesso, vengono pubblicati in questo modo negli USA. 

10) Diversa la situazione in Italia (come saprai) ma anche in altri paesi, come Francia e Inghilterra, dove i due volumi sono sempre stati pubblicati separatamente, forse perché ritenuti in questo modo più appetibili per il pubblico dei più giovani. 

Conoscevi qualcuna di queste curiosità? 
E qual è il tuo volume preferito della saga?



N.d.A. Immagine di janwillemsen.
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